Asa e Manasse, due re di Giuda

di P. Fusiez

Articolo tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 04-2011

Asa, un regno iniziato bene e finito male

Il regno di Asa iniziò bene, ma finì male (2 Cronache 14 a 16). I primi 6 versetti del cap. 14 descrivono la sua attività nei primi dieci anni di regno, durante i quali il paese “era tranquillo”.  In quegli anni ci fu un grande impegno per togliere dalla casa dell’Eterno tutto ciò che aveva a che fare col culto a dèi stranieri, e per indurre Giuda a “cercare il SIGNORE, Dio dei suoi padri”, a mettere in pratica “la sua legge e i suoi comandamenti” e a realizzare una vera separazione dal male. Inoltre Asa fece edificare delle “città fortificate” circondate da “mura, torri, porte e sbarre”.

Fu anche messo insieme un esercito di cinquecentottantamila uomini, di modo che Asa e il suo popolo erano preparati a fronteggiare un attacco nemico, che purtroppo non tardò ad aver luogo (v. 9). Apparentemente la guerra si preannunciava molto più impegnativa di quanto il regno di Giuda potesse sopportare, poiché “Zera, l’Etiope, marciò contro di loro con un esercito di un milione di uomini e di trecento carri”. Ma Asa guarda all’Eterno e l’Eterno spiega la sua potenza per la liberazione del popolo e del suo re (v. 10 a 15).

Il cap. 15 descrive la seconda parte del regno; Asa “prese coraggio e fece sparire le abominazioni da tutto il paese di Giuda e di Beniamino e dalle città che aveva conquistato nella regione montuosa di Efraim”. In questo modo egli realizza l’unità del popolo nella  misura in cui ciò può avvenire in un tempo di rovina. Inoltre, vedendo che “il SIGNORE, il suo Dio era con lui” (v. 8 e 9), nuove anime sono attirate a Dio,.

Asa dimostra di essere molto fermo, fino al punto da destituire “dalla sua dignità di regina la madre (che era la nonna) Maaca, perché questa aveva eretto un’immagine ad Astarte. Abbatté l’immagine, la fece a pezzi  e la bruciò presso il torrente Chidron” (v. 16).

Il cap. 16 racconta gli ultimi anni del suo regno. Ma che contrasto con i primi nove anni! La fede di Asa s’indebolisce; egli si allea con Ben Adad re di Siria, per difendersi da Baasa, re d’Israele, che era salito contro Giuda (v. 1-3). Qualche anno prima, al momento dell’attacco di Zera, Asa si era appoggiato sull’Eterno e aveva fatto l’esperienza dello spiegamento della Sua potenza; ora, invece, si appoggia su “un braccio di carne” (2 Cronache 32:8)!

Se la fede si indebolisce, anche noi credenti perdiamo di vista il Signore e siamo portati ad appoggiarci su aiuti umani, a cercare nel mondo, nemico di Dio, un soccorso che né può né desidera darci.

Qui, Dio decide comunque di concedergli la vittoria; Canani, il veggente, glielo dichiara, ricordandogli anche l’esperienza fatta quando si era appoggiato sul SIGNORE (v. 7 e 8); e gli dice: “Tu hai agito da insensato; infatti da ora in poi avrai delle guerre”. Invece di umiliarsi, “Asa s’indignò contro il veggente, e lo fece mettere in prigione… e, allo stesso tempo, Asa divenne crudele anche contro alcuni del popolo” (v. 9, 10).

Proprio alla fine del suo regno, Dio gli manda una prova destinata a manifestare lo stato del suo cuore: “Asa ebbe una malattia ai piedi; la sua malattia fu gravissima”. Questa prova avrà aiutato Asa a capire quello che l’Eterno gli aveva dichiarato per bocca di Canani? Alla fine della sua vita, si sarà umiliato di essersi confidato nell’uomo invece di abbandonarsi a Colui che lo aveva liberato in modo così meraviglioso all’inizio del suo regno? Ahimè! Anche in questa occasione egli non cerca l’aiuto di Dio ma quello dei medici. Dio poteva indubbiamente usare i medici per guarirlo, ma Asa avrebbe dovuto per prima cosa affidarsi a Lui e alla sua potenza, pur sapendo che Dio, a sua volta, può servirsi degli strumenti che ritiene più idonei. Ricordiamoci di questo anche noi!

Quale fu la sua fine? “Asa si addormentò con i suoi padri; morì il quarantunesimo anno del suo regno, e fu sepolto nella tomba che egli aveva fatto scavare per sé nella città di Davide. Fu steso sopra un letto pieno di profumi e di varie specie d’aromi composti con arte di profumiere; e ne bruciarono una grandissima quantità in suo onore” (v. 13, 14). E’ sepolto nella “città di Davide”, è vero, ma “in una tomba che egli aveva fatto scavare”. C’è “una grandissima quantità” d’incenso, c’è molto sfarzo e molta ricchezza; ma, come qualcuno ha detto, c’è poco profumo per Dio!

Manasse, un regno iniziato male e finito bene

Manasse regnò per cinquantacinque anni a Gerusalemme (2 Cronache 33:1). Il suo regno fu il più lungo fra quelli dei re di Giuda e anche d’Israele.

A differenza di quello di Asa, l’inizio del suo regno fu pessimo, ma terminò bene. Egli aveva certamente avuto un buon esempio dal padre Ezechia ma, salito al trono a soli dodici anni, non aveva potuto usufruirne molto. Questa può essere una causa di quel brutto inizio.

I primi nove versetti del cap. 33 ci riferiscono dei particolari che rattristano: “Egli fece ciò che è male agli occhi del SIGNORE… Ricostruì gli alti luoghi che Ezechia suo padre aveva demoliti… adorò tutto l’esercito del cielo… Costruì pure altari ad altri dèi nella casa del SIGNORE”. La casa di Dio era profanata. Arrivò al punto di mettere “l’immagine scolpita dell’idolo che aveva fatto, nella casa di Dio… Si abbandonò completamente a fare ciò che è male agli occhi del SIGNORE, provocando la sua ira”.

Per quanto riguarda il popolo, Manasse “indusse Giuda e gli abitanti di Gerusalemme a sviarsi, e a far peggio delle nazioni che il SIGNORE aveva distrutte davanti ai figli d’Israele”. Che quadro desolante! Ma Dio non lo abbandona e cerca di fermarlo: “Il SIGNORE parlò a Manasse e al suo popolo, ma essi non ne tennero conto”. Così Dio è costretto ad agire: manda contro il popolo i capi dell’esercito del re d’Assiria che “catturarono Manasse con uncini e, legatolo con una doppia catena di bronzo, lo portarono a Babilonia” (v. 10, 11).

Questa disciplina portò dei buoni frutti: nella sua angoscia Manasse implorò l’Eterno e “s’umiliò  profondamente… Dio esaudì le sue suppliche, e lo ricondusse a Gerusalemme nel suo regno. Allora Manasse riconobbe che il SIGNORE è Dio” (v. 12, 13). Da quel momento ci fu un cambiamento radicale, e l’ultimo periodo del suo regno fu tanto buono quanto cattivo era stato l’inizio.

Per prima cosa Manasse comprende la necessità della separazione per Dio: “costruì fuori della città di Davide… un muro e lo tirò su a grande altezza… Tolse dalla casa del SIGNORE gli dèi stranieri e l’idolo” che vi aveva posti; abbatté e gettò fuori della città “tutti gli altari che aveva costruito sul monte della casa del SIGNORE e a Gerusalemme”. “Poi ristabilì l’altare del Signore e vi offrì sopra dei sacrifici di riconoscenza e di ringraziamento” (v. 33:14-16).

Lui, che aveva indotto “Giuda e gli abitanti di Gerusalemme a sviarsi” (v. 9), ordina ora che servano il Dio d’Israele (v. 16). In qualche modo si sforza e si impegna a riparare, in ogni dettaglio, il male che aveva commesso all’inizio del regno, e indica al popolo la via giusta. Quando c’è un’umiliazione sincera c’è anche il rimorso per i danni provocati e un reale desiderio di porvi rimedio. Chiedere perdono per un’offesa arrecata a un fratello o per un comportamento ingiusto o disonesto nei suoi riguardi è il minimo che possiamo fare se siamo caduti in quel genere di peccati. Come sono ammirevoli i frutti del cambiamento che il Signore ha operato in questo re! Sono i “frutti degni del ravvedimento” (Matteo 3:8) che Giovanni Battista voleva vedere nei farisei e nei sadducei che andavano da lui per farsi battezzare.

E’ detto di Manasse che “si addormentò con i suoi padri, e fu sepolto in casa sua” (v. 20). Si era pentito, ma non meritava di essere sepolto “nelle tombe dei figli di Davide”, “nelle tombe dei suoi padri”, come Ezechia o Giosia, né “con i suoi padri nella città di Davide”, come è detto per Giosafat. Ma possiamo anche pensare che Manasse stesso, sentendosi indegno della sepoltura regale al pensiero di tutto il male commesso nella prima parte del suo regno, avesse chiesto di essere sepolto “nella sua casa”. Se così fosse, sarebbe un bel segno di umiltà che andrebbe a suo onore.

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