Espiazione, propiziazione, abolizione del peccato

di F. Cucchi [1]

Articolo tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 01-2005

 Certi termini della Scrittura sono citati spesso nelle preghiere e durante le riunioni di edificazione, e quindi ci sono familiari, ma non sempre è altrettanto chiaro il loro significato. Si dice sovente, per esempio, che Cristo ha espiato i nostri peccati; ma, dopo averne considerato il significato, ci accorgeremo che il termine “espiazione” è forse un po’ riduttivo rispetto alla completa e risolutiva efficacia del sacrificio di Cristo. Oggi, nel linguaggio comune, si parla di espiare una colpa nel senso di “purificarsi facendo ammenda o sostenendone la punizione”, di espiare un errore nel senso di “subirne le conseguenze”, di espiare la pena quando la si sconta rimanendo in carcere per il tempo stabilito dalla sentenza di un tribunale; sono estensioni del significato del termine non sempre biblicamente corrette.

Cerchiamo quindi nella Scrittura quando questo termine è usato e la sua effettiva portata. Il capitolo 16 del libro del Levitico ci sarà di grande aiuto.

Il termine espiare (ebraico: kâfar, usato ben 150 volte) significa letteralmente coprire. Che cosa doveva essere coperto? I peccati del popolo d’Israele. Chi aveva ordinato di farlo? Dio. Perché? Perché Dio non può ignorare il peccato (“non terrà il colpevole per innocente” – Esodo 34:7), deve punirlo con la morte del peccatore (“il salario del peccato è la morte” – Romani 6:23). I peccati, che non potevano essere ignorati e nemmeno rimossi da Dio, in quel tempo dovevano essere “coperti”, in figura, perché Egli, se così possiamo esprimerci, non li vedesse e potesse così abitare col suo popolo.

Allora leggiamo che Dio stabilisce nella sua Legge un giorno preciso, uno solo nell’anno (“nel settimo mese, il decimo giorno del mese” – Lev. 16:29) in cui il somme sacerdote, Aaronne, doveva presentarsi nel “luogo santissimo” del tabernacolo, e “non senza sangue, che egli offre per sé stesso e per i peccati del popolo” (Ebrei 9:7). Con un rituale complesso egli doveva sacrificare un toro e un capro (un secondo capro, simbolicamente carico dei peccati del popolo, doveva invece essere mandato a morire nel deserto) e portarne il sangue “al di là della cortina” che separava il luogo santo dal luogo santissimo, dove c’era l’arca.

Con questo sangue il sommo sacerdote doveva “fare l’aspersione sul propiziatorio e davanti al propiziatorio” (vers. 14-15). Il “propiziatorio” era un coperchio d’oro posto sull’arca, sul quale c’erano pure due cherubini d’oro che, uno di fronte all’altro, lo coprivano con le loro ali mentre guardavano verso il fondo. Sul propiziatorio dunque doveva essere sparso il sangue degli animali sacrificati. Dio “vedeva” quel sangue. Da qui deriva il termine propiziazione. Dio, vedendo il sangue, era “propizio” verso il popolo, lo perdonava.

Possiamo notare che autorevoli traduttori della Bibbia traducono kâfar in propiziazione anziché espiazione. In realtà i due concetti sono correlati. Dio mostrava tutta la sua misericordia accettando che il peccato fosse “coperto” e perdonando così il peccatore. Come ci spiega l’apostolo Paolo, Dio ha “usato tolleranza verso i peccati commessi in passato, al tempo della sua divina pazienza” (Romani 3:25) proprio perdonando i peccatori in virtù di quei sacrifici.

“La legge possiede solo un’ombra dei futuri beni, non la realtà stessa delle cose. Perciò con quei sacrifici, che sono ripetuti continuamente, anno dopo anno, essa non può rendere perfetti coloro che si avvicinano a Dio” (Ebrei 10:1). Perché dunque Dio accettava un sacrificio di animali, evidentemente incolpevoli, per poter perdonare i peccatori? Quei ripetuti sacrifici, agli occhi di Dio, erano come un’anticipazione, in figura, di quello che sarebbe stato l’unico sacrificio dell’unica Vittima in grado di togliere il peccato davanti ai suoi occhi santi, quello del suo Figlio Gesù Cristo, l’unico a non aver nemmeno “conosciuto” il peccato (2 Corinzi 5:21). “Ecco perché Cristo, entrando nel mondo… dopo aver detto: Tu non hai voluto né sacrifici, né offerte, né olocausti, né sacrifici per il peccato (che sono offerti secondo la legge), aggiunge poi: Ecco, vengo per fare la tua volontà” (Ebrei 10:8-9).

Dio non ha mai smentito se stesso. Il peccato doveva essere punito; come abbiamo visto, già al tempo della Legge aveva previsto che ci fossero delle vittime (gli animali sacrificati) per evitare il giudizio sui peccatori. E Dio, a cui tutto è possibile, non ha potuto evitare che il suo diletto Figlio, “l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (Giovanni 1:29) morisse e fosse da Dio giudicato come il colpevole. Dio ha dovuto colpire il peccato, ma lo ha fatto sull’unico Giusto, per poter risparmiare gl’ingiusti.

Cristo ha accettato tutto questo, in perfetta armonia con la volontà di Dio e per attuare il suo piano d’amore: far scampare alla condanna della “morte eterna” la sua creatura colpevole e darle la “vita eterna” alla sua beata presenza. “Dio lo ha stabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare la sua giustizia” (Romani 3:25). Era tempo ormai di sostituire la “copertura” del peccato con il suo annullamento (“ora, una volta sola, alla fine dei secoli, è stato manifestato per annullare – o abolire – il peccato con il suo sacrificio” – Ebrei 9:26), con la sua cancellazione (“Ravvedetevi e convertitevi, perché i vostri peccati siano cancellati” – Atti 3:19).

Ma le prime parole di quest’ultimo versetto “ravvedetevi e convertitevi” e “la fede nel suo sangue” (Rom. 3:25) sono la condizione assoluta perché il suo sacrificio sia efficace nei confronti del peccatore. Potenzialmente, il sacrificio di Cristo è efficace per tutti i peccati di tutti gli uomini di tutti i tempi; in realtà, lo è per quelli che “si ravvedono”, cioè si pentono dei loro peccati, e “si convertono”, cioè quelli che, invertendo la direzione della loro vita, si rivolgono a Dio con una vera “fede nel suo sangue”, in quel sacrificio eccellente e perfetto. Ed è del peccato dei credenti, e solo di quelli, che il Signore Gesù ha sopportato tutta la pena e il castigo da parte di Dio.

E gli uomini e le donne che sono morti prima della venuta di Cristo, su quale base hanno la vita eterna? Sullo stesso principio di “fede”. “La sua morte è avvenuta (anche) per redimere dalle trasgressioni commesse sotto il primo patto” (Ebrei 9:15). Essi non avevano ancora una visione completa dei piani di Dio come la abbiamo oggi noi, che siamo in possesso di tutta la sua Parola, ma già il profeta Abacuc aveva affermato tanti secoli prima di Cristo: “Il giusto per la sua fede vivrà”, preziosa affermazione di portata universale, ripresa integralmente in tre passi del Nuovo Testamento (Rom. 1:17; Gal. 3:11; Ebr. 10:38).

Come possiamo essere sicuri che il sacrificio di Cristo abbia raggiunto lo scopo, cioè evitare ai peccatori che credono la “morte eterna”? In realtà, se Cristo si fosse limitato a morire, come talvolta muoiono certi uomini in nome di un ideale, e non fosse poi risorto, lo scopo non sarebbe stato raggiunto. Il ricordo e l’esempio della sua vita terrena perfetta non ci sarebbe stato di alcuna utilità perché nessuno sarebbe mai riuscito ad imitarla, ciascuno sarebbe rimasto col peso dei propri peccati addosso e quindi condannato. “Se Cristo non è stato risuscitato, vana è la vostra fede; voi siete ancora nei vostri peccati” (1 Corinzi 15:17). “Gesù Cristo, nostro Signore, è stato dato a causa delle nostre offese ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione” (Rom. 4:25). Quello che dà sicurezza e tranquillità ai credenti è la vittoria del Signore Gesù sulla morte e la sua glorificazione alla destra di Dio.

Egli si è fatto “ubbidiente fino alla morte, e alla morte della croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome” (Fil. 2:8-9). Dio ha così dimostrato di avere pienamente gradito l’opera del Signore Gesù; le sue sante, giuste ed inderogabili esigenze sul peccato sono state completamente soddisfatte. L’opera del Signore è stata perfetta, completa, definitiva.

Nessuno potrà “scoprire” ciò che è stato non solo “coperto” ma abolito, cancellato. “Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio è colui che li giustifica” (Rom. 8:33). A Dio Padre e al Signore Gesù siano la lode, l’adorazione e la testimonianza da parte di tutti noi credenti, diventati “giustizia di Dio in lui” (2 Cor. 5:21)! E che la nostra giustizia pratica, nella vita di tutti i giorni, possa essere all’altezza della posizione che ci è stata conferita e alla gloria di Colui che ha compiuto in noi un’opera così meravigliosa e potente.

[1] Questo articolo contiene i principali concetti espressi nel corso del campo estivo per ragazzi del 1997 in collaborazione con altri fratelli

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