La Chiesa di Dio

Andrè Gilbert

Indice: Introduzione 1. Prima parte : I principi del radunamento cristiano 1.1 La Chiesa secondo il pensiero di Dio 1.1.1 Il suo prezzo 1.1.2 I propositi di Dio 1.1.3 La sua precisa posizione 1.1.4 La sua composizione 1.1.5 Figure e aspetti della sua unità Sposa di Cristo Corpo di Cristo Casa di Dio Santa città 1.1.6 Perché la Chiesa sulla terra? 1.1.7 Le sue preziose prerogative 1.1.8 Risorse e mezzi 1.1.9 Responsabilità 1.2 Che cosa gli uomini hanno fatto della Chiesa 1.2.1 Gli inizi 1.2.2 Dagli apostoli ai nostri giorni 1.2.3 Cristianità e chiesa 1.3 Come comportarsi nello stato attuale 1.3.1 Le diverse categorie dei gruppi cristiani Chiese cattoliche (romana e ortodossa) Chiese non cattoliche «Fuori dal campo» (Ebrei 13:13) 1.3.2 Una chimera: il ritorno della cristianità alle origini 1.3.3 Ciò che rimane valido 1.3.4 Le caratteristiche permanenti di un’assemblea di Dio 1.3.5 Posizione conseguente a questi caratteri 2. Seconda parte : Il radunamento secondo Dio: la pratica 2.1 Il problema della terminologia 2.2 L’opera del servizio 2.2.1 Clero e ministerio ufficiale 2.2.2 I «doni» 2.2.3 Gli incarichi 2.2.4 Libertà e dipendenza 2.2.5 Il ministerio delle donne 2.3 Le riunioni 2.3.1 Riunioni speciali e riunioni normali previste dalla Scrittura 2.3.2 L’assemblea che si rivolge a Dio La preghiera La riunione per l’adorazione 2.3.3 L’assemblea che riceve da Dio 2.4 Il cammino dell’assemblea 2.4.1 «Seguitando verità in carità» (o «essendo veri nell’amore») (Efesini 4:15) 2.4.2 L’esercizio dell’autorità nel nome del Signore da parte della Chiesa La sfera di competenza dell’assemblea L’ammissione alla tavola del Signore La «disciplina» Valore delle decisioni di un’assemblea Le divisioni Conclusione

I doni che i Corinzi prediligevano tanto, miracoli e lingue, erano dei «segni» per gli increduli (*); in questo capitolo non vengono menzionati gli evangelisti in quanto qui l’apostolo considera le manifestazioni spirituali tipiche di un’assemblea locale, nella sua vita diretta dallo Spirito.

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(*) Detti doni erano usati dai servitori del Signore per accreditare la predicazione del Vangelo, rivelazione del tutto nuova per i Giudei e tanti più per i pagani ; ma non ne è promessa la continuità, come invece è promessa alla fede, alla speranza e all’amore (1 Corinzi 3 :8 e 13). Vediamo inoltre chiaramente che il dono di guarigione non venne mai esercitato a favore di credenti come invece alcuni pretendono di fare (Paolo non guarì né Epafrodito, Fil. 2:27-28, né Timoteo, 1 Tim. 5:23, né Trofimo, 2 Tim. 4:20).
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In Romani 12 troviamo non soltanto il servizio della Parola, ma l’insieme dei «servizi» cristiani, che ci sono presentati come «doni di grazia». Essi vanno dalla profezia, che è limitata ad alcuni, all’esercizio della misericordia che certamente tutti i fedeli, fratelli e sorelle, possono praticare.

Tutti hanno ricevuto e tutti sono esortati a dare. Nello stesso tempo, tutti sono richiamati alla «misura di fede che Dio ha assegnata a ciascuno» per non oltrepassarla, in modo che il corpo intero funzioni armoniosamente.

In 1 Pietro 4:10 -11, la diversità dei doni «della svariata grazia di Dio» è distribuita, dice l’apostolo, a «ciascuno» di voi che siete chiamati ad esserne i «buoni amministratori». Di modo che «se uno parla, lo faccia pure come annunciando oracoli di Dio; se uno esercita un ministerio, lo faccia come con la forza che Dio fornisce». L’amore fervente al quale tutti i fedeli sono invitati, fa si che «si faccia valere al servizio degli altri» i doni di grazia che ciascuno, fratello o sorella, ha ricevuto.

Questi insegnamenti della Parola non debbono restare per noi considerazioni teoriche; la loro portata pratica è di estrema importanza. Vi è una grande diversità di «doni». Noi siamo portati a definire così solo i doni più evidenti, in particolare il ministerio della Parola, e ad apprezzarli nella misura in cui essi sono esercitati in modo brillante o accattivante; ma agli occhi di Dio non vi sono tali distinzioni. Il ministro della Parola è solo un canale, colui che esercita la misericordia è un focolare d’amore. Il più umile servizio nell’assemblea ha sovente più valore di un altro molto più in vista.

Questi «doni» per «l’opera del ministerio» a tutti i livelli conferiscono non un’autorità ufficiale, ma una responsabilità per coloro che ne sono investiti. Essere servitore è essere ciò che è stato Cristo. Pretenderebbe qualcuno di essere più del suo Maestro? «Che hai tu che non l’abbia ricevuto?» (1 Cor. 4:7). Così «chi presiede» o «è preposto» (essere alla testa) non è affatto un capo nel senso in cui lo intendono gli uomini; egli è al pari dei suoi fratelli, ma messo in un posto di responsabilità particolare. Il pericolo, per chi ha ricevuto un dono che potrebbe metterlo in evidenza (come quello di presentare la Parola), è di erigersi a capo e di distogliere le anime da Cristo attaccandole in maniera più o meno consapevole a se stesso. D’altra parte esiste anche per gli altri il pericolo, non meno grande, di adagiarsi passivamente su qualche dono che Dio ha dato e addormentarsi nella «routine», provocando così, forse senza accorgersene, la nascita e il permanere di un clero.

Ciascuno ha un «dono». Ciascuno deve sapere ciò che ha ricevuto dal Signore e obbedirgli, nella dipendenza dello Spirito Santo. Perché il corpo cresca e funzioni, è necessario che ogni membro adempia al suo compito, con serietà, come troviamo in 1 Corinzi 12. Siamo membra gli uni degli altri; è per il bene comune, e non per una nostra soddisfazione personale, che dobbiamo desiderare «ardentemente i doni maggiori» (1 Cor. 12:31). Ma davanti a noi è aperta una via che è «la via per eccellenza», quella dell’amore (1 Cor. 13).

Pensiamo con gioia al fatto che il Signore «dona» per i bisogni della Chiesa che Egli ama; mai cesserà di fornirle i doni necessari. Ma come sono esercitati? e come è ricevuto il loro esercizio da coloro che ne usufruiscono? Nello stato attuale delle cose, molti doni sono perduti perché inutilizzati, anche se ci sono. Questo aspetto dell’impiego dei doni ci viene presentato in Romani 12. Agiamo secondo il dono che ci è stato dato. Se non è cosi è una perdita per tutti. Lo stato attuale della Chiesa mette in evidenza non l’assenza dei doni, ma l’assenza del loro esercizio o il loro cattivo impiego. Timoteo è esortato a «ravvivare il dono di Dio» che è in lui, Archippo a «badare al ministerio» che ha ricevuto nel Signore. Il Signore può dire a tutti noi: «Che cosa hai fatto di quello che ti ho dato?» (*).

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(*) Altro pericolo e quello di exercitare un ministerio senza averlo ricevuto dal Signore o agire come se si avesse ricevuto un dono senza però averlo ricevuto. In questo caso il ministero sarà inconcludente e senza edificazione, e l’assemblea ne soffrirà e non potra crescere (n.d.r.).
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Lungi da noi il pensiero che tutti i doni suscitati attualmente da Dio si trovino tra i fratelli coi quali ci si raduna. E non abbiamo la pretesa di conoscerli tutti. Voglia Dio che, tra noi, non ci sia altra azione che quella dello Spirito Santo che si esercita attraverso i «doni», e che ciascuno agisca nella dipendenza, secondo quanto ha ricevuto dal Signore stesso.

2.2.3 Gli incarichi

Il Nuovo Testamento chiama sovente fratelli incaricati di occuparsi dell’assemblea locale col nome di «anziani» o vescovi (o «sorveglianti») o come «servitori» o «diaconi» (Atti 11:30, 14:23, 20:17, Filippesi 1:1, 1 Timoteo 3, Tito 1, Pietro 5:1, Giacomo 5:14, Ebrei 13:17). Questi incarichi non sono incompatibili con l’esercizio di un dono di presentazione della Parola, come lo mostrano i casi di Stefano e di Filippo, ma non necessarianiente collegati a questo dono.

L’ordine deve essere mantenuto nell’assemblea; il disordine deve essere rimproverato; le anime debbono essere curate ed incoraggiate. È necessario che uomini e donne (Febe era diaconessa dell’assemblea di Cencrea) devoti, si occupino delle cose materiali la più piccola delle quali ha la sua importanza; i diaconi istituiti in Atti 6 si occupavano dei poveri e distribuivano il cibo alle mense. I fedeli che aspirano a tali funzioni «desiderano un’opera buona».

Le qualità richieste per tali incarichi sono elencate dall’apostolo Paolo nel cap. 3 della l’Epistola a Timoteo e nell’epistola a Tito (1:7). Sono necessari credenti fondati, sperimentati, pii. La carenza di queste qualità spiega perché, nei nostri tempi, nella vita delle assemblee locali, mancano sorveglianti e servitori. Ma dove ci sono dobbiamo riconoscerli ed onorarli.

Ancora una volta notiamo che la Parola non dà delle direttive per quanto riguarda l’investitura ufficiale e regolamentata di questi incarichi. «Lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi per pascere la Chiesa di Dio», dice agli anziani di Efeso (Atti 20:28).

Storicamente, gli anziani (presbuteroi: preti), i sorveglianti (episkopoi: vescovi) e i servitori (diakonoi: diaconi) si sono a poco a poco separati dai fedeli per formare il clero. Essi si sono considerati (e sono stati considerati) nelle chiese cattoliche come i soli investiti dei «doni» e incaricati di ogni tipo di ministerio: insegnamento, culto, servizio divino. Infine, si sono autoreclutati e, quale corpo speciale, si ritengono come i soli qualificati per riconoscere nuovi preti, secondo un potere che deriverebbe loro dagli apostoli e che sarebbe trasmesso senza interruzione. Basta leggere il Nuovo Testamento per constatare che queste pretese non sono giustificate dalla Scrittura e che si oppongono alla sovranità dello Spirito Santo nell’Assemblea. Nella maggior parte delle denominazioni protestanti, gli «anziani» non costituiscono, per l’esattezza, un clero del tipo precedentemente descritto, ma formano tuttavia una categoria ufficiale e sono eletti dall’insieme dei fedeli, cosa che non troviamo nella Scrittura. Al momento della designazione dei sette diaconi in Atti 6:1-6, l’insieme dei discepoli «elegge» (letteralmente «getta lo sguardo su di loro») alcuni fratelli e li presenta agli apostoli, e sono poi questi che li stabiliscono in base alla loro autorità. Di fatto, noi riteniamo che non esista oggi sulla terra nessuna autorità competente per stabilire anziani o servitori. Ma sarebbe altrettanto pericoloso affermare che essi non hanno più ragione di esistere, e sarebbe dubitare dell’amore del Signore per la sua Chiesa il pensare che Egli abbia fatto cessare ciò che è indispensabile alla benedizione delle assemblee locali. Essi sono necessari quanto i doni. Al pari dell’esercizio del ministerio per mezzo dei «doni», l’amministrazione di questi «incarichi» richiede, unite alle capacità e qualità morali che la Parola definisce in Timoteo 3:8-13 e in Atti 6:3 (che si riassumono nella pietà), una saggezza, un amore per i santi e un amore per il Signore del tutto particolari. I fratelli che li hanno devono compiere un santo dovere nell’obbedienza, e non occupare un posto eminente o di dominio (1 Pietro5:1-14).

2.2.4 Libertà e dipendenza

Insistiamo ancora su quanto già detto. L’assenza di clero e di ministerio ufficiale non significa una sorta di democrazia religiosa dove ognuno ha tutti i diritti. Nessuno ha dei diritti sui suoi fratelli, ma ognuno ha dei doveri che il Signore gli assegna. Basterà lasciare allo Spirito Santo la sua libera azione perché ogni elemento dell’organismo funzioni per il bene dell’insieme e secondo la volontà di Dio. I «sistemi» religiosi non concepiscono radunamenti senza una direzione designata, un ordine stabilito, una liturgia, in quanto la presenza effettiva dello Spirito Santo nell’assemblea non è compresa. Potrebbero forse alcuni uomini, anche se spinti dalle migliori intenzioni, essere più saggi e più potenti dello Spirito Santo?

Facciamo però attenzione che con il pretesto di essere liberati da una dominazione umana, non agiamo nell’indipendenza riguardo a Colui che prende ciò che è di Cristo per comunicarlo (Giovanni 16:14, 14:26) e mette i cuori e le coscienze alla presenza di Cristo stesso. Senza di Lui, la Chiesa non potrebbe esistere. Quando Egli è contristato o spento essa perde il suo carattere. L’assemblea deve forse diventare un luogo dove la carne si può manifestare liberamente senza essere repressa?

Un «dono» per essere esercitato non deve attendere di essere ratificato dalla Chiesa: essa deve riconoscerne l’esercizio, discernendo se è da Dio nella misura in cui concorre all’edificazione (1 Corinzi 14:29, 1 Tessalonicesi 5:19-21, 1 Giovanni 2:20, 4:1). Secondo i momenti e i luoghi può essere necessario un evangelista, un pastore, un dottore; Dio li susciterà secondo i bisogni che solo Lui conosce. Il dono è totalmente libero nei confronti degli uomini.

Purtroppo la carne è sempre portata ad usare la libertà per imporsi. Alcuni possono esercitare un ministerio pretendendo di avere un dono che non hanno; altri, forse, esercitano fuori tempo il dono che hanno o in misura più grande di quanto abbiano ricevuto. Quale danno infliggono all’assemblea le nostre frequenti mancanze a questo riguardo! Occupati di noi stessi più che di Cristo e dei suoi, a volte rifiutiamo di valorizzare il dono che abbiamo ricevuto, ed è così che molti fratelli che potrebbero edificare l’assemblea non aprono mai bocca; o, in qualche caso, nell’esercizio del ministerio della Parola, una serie di discorsi fuori luogo prendono il posto della vera parola in grado di edificare.

Notiamo con molta tristezza che a volte tutto si svolge come se il fatto di non avere nelle riunioni una presenza ufficiale desse a tutti il diritto di agire. Nulla è più contrario alla Parola di questo modo di vedere che denota la più completa misconoscenza dei caratteri della Chiesa, dei diritti di Cristo e del posto che deve occupare lo Spirito Santo. La conoscenza del sacro Libro, la capacità di comunicarla ad altri, un sobrio buon senso, sono indispensabili; essi sono per così dire la parte evidente del dono. Inoltre, colui che ha la responsabilità di un dono non può esercitarlo utilmente se non ha diligenza, amore per Cristo e per la Chiesa e umile dipendenza. Non sono la facilità di parola, l’istruzione o la sapienza umana che conferiscono un dono, e non chiunque sappia esprimersi chiaramente o eloquentemente è per questo qualificato dal Signore. È vero però che un credente che abbia tali facoltà deve domandarsi perché le ha ricevute e se fa bene ad impiegarle per il mondo e non per il Signore. Le facoltà dell’uomo non servono, se non nella misura in cui lo Spirito Santo può servirsi di esse e usarle tramite coloro che Egli chiama.

Se coloro che vogliono sempre mettersi in evidenza devono prestare attenzione a non oltrepassare «il muro» con il quale Dio ha limitato il loro dono (Ecclesiaste 10:8), è però necessario, d’altra parte, esortare i «timidi» a non lasciarsi fermare quando si sentono chiamati dal Signore ad un servizio. Vi si impegnino dunque con quella «franchezza nella fede che è in Cristo Gesù» (1 Timoteo 3:13), proveniente da Dio, di cui il libro degli Atti parla a più riprese.

Ricerchiamo la comunione dei santi, e non le approvazioni lusinghiere, a volte sospette e sempre da temere; la «critica sana» è sempre riconoscibile perché ispirata all’obbedienza, alla Parola e all’amore. Un fratello scrisse: «Ciò di cui abbiamo bisogno è di pazienza, fede nel Dio vivente, amore per Cristo, vera sottomissione allo Spirito, studio diligente della Parola e una sincera sottomìssione gli uni agli altri nel timore del Signore».

2.2.5 Il ministerio delle donne

Il Nuovo Testamento lo indica come estremamente prezioso in vari e appropriati contesti: insegnamento nella famiglia o in riunioni private (Priscilla era vicina ad Aquila per istruire Apollo; le quattro figlie di Filippo profetizzavano) e tutti i vari «servizi» (come quello che Febe esercitava nell’assemblea di Cencrea) dove la donna è insostituibile: ospitalità, cura dei malati, ecc… Per quanto concerne il servizio pubblico della Parola nell’assemblea, l’insegnamento scritturale è così chiaro che basta trascriverlo: «Tacciansi le donne nelle assemblee, perché non è loro permesso di parlare… È cosa indecorosa per una donna parlare in assemblea… Non permetto alla donna d’insegnare… ma stia in silenzio» (1 Corinzi 14:34-35, 1 Timoteo 2:11-14). Non perché a loro manchino le capacità o la conoscenza o la devozione, ma semplicemente per onorare il Signore nell’assemblea rispettando l’ordine voluto da Dio.

Così, l’uguaglianza di tutti i figli di Dio, uomini e donne, come sacerdoti non significa affatto uniformità. Il «sacerdozio universale» non significa ministerio universale e intercambiabile. Vi è diversità di doni, ma un solo Spirito.

2.3 Le riunioni

Una sola ed unica preziosa esortazione domina tutta la vita pratica dell’assemblea: «Tutte le cose vostre siano fatte con amore» (1 Corinzi 16:14). Questo amore inseparabile dalla verità (2 Giovanni 3) è il «vincolo della perfezione» che lega i credenti specialmente nelle occasioni in cui l’assemblea è riunita. Infatti è ordinato che tutto si faccia per l’edificazione ed è l’amore che edifica (1 Corinzi 14:26, 8:1).

Nell’assemblea, d’altra parte, poiché Dio non è un Dio di disordine, ma di pace, è necessario «che ogni cosa sia fatta con decoro e con ordine» (1 Corinzi 14:40).

L’assemblea deve riunirsi nel nome del Signore. Egli è la sorgente della benedizione. Se Egli non è presente, a quale scopo riunirsi? Ma dal momento che ci si raduna nel suo nome, Egli sarà presente, fedele alla sua promessa.

Siamo esortati a non abbandonare una tale «comune adunanza» (Ebrei 10:25). Non si tratta di una legge imposta, ma di richiamo ad una condizione indispensabile per la vita del corpo. Disertare questo radunamento «come alcuni sono usi di fare», è privare se stessi e gli altri, con cui siamo uniti, di quanto è necessario per la crescita comune. Ma facciano anche attenzione a non privarci, quando si è riuniti, della benedizione che il Signore vuole donarci, non portando ciò che gli è dovuto. L’apostolo Paolo rimproverava i Corinzi perché non si radunavano per il meglio (cioè per il loro progresso) ma per il peggio (cioè per il loro danno) (1 Corinzi 11:17). È triste pensare che possiamo radunarci in maniera non conforme alle indicazioni del Signore fino ad «attirar su di noi un giudizio» (v. 34); è detto che «le mosche morte fanno puzzare e imputridire l’olio del profumiere» (Ecclesiaste 10:1).

Come presso i Corinzi, la prima causa di una tale perdita consiste nelle «divisioni» (1 Corinzi 11:18-19): dissensi persistenti, gelosie, rancori più o meno palesi, tutte cose che intralciano l’azione dello Spirito nel radunamento e impediscono la libertà davanti al Signore. Ricordiamoci dell’esortazione sempre attuale di Gesù in Matteo 5:23-24 e riconciliamoci col nostro fratello prima di venire «davanti all’altare» ad offrire la nostra offerta!

Un’altra causa di grave danno è la misconoscenza, nel radunamento, della dignità del Signore. Egli è presente e pertanto ci troviamo su un terreno santo dove dobbiamo toglierci i sandali dai piedi. I Corinzi celebravano «indegnamente» la cena, e per questo molti fra loro erano malati e alcuni si erano addormentati (cioè erano morti).

Infine, vi può essere la mancanza di discernimento riguardo all’esercizio dei doni spirituali nelle riunioni dell’assemblea (1 Corinzi 12:14).

2.3.1 Riunioni speciali e riunioni normali previste dalla Scrittura

L’assemblea può essere riunita su proposta di uno o più fratelli che il Signore chiama per dare un insegnamento tramite una meditazione o uno studio (Atti 11:26). Essi possono avere parole di avvertimento e di consolazione da parte del Signore (Atti 15:30), oppure desiderano dare notizie intorno all’opera del Signore, come si vede in Atti 14:26 dove Paolo e Barnaba, ritornando ad Antiochia «da dove erano stati raccomandati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuta», riunirono l’assemblea per raccontare «tutte le cose che Dio aveva fatto per loro mezzo». Una tale comunione nel servizio è veramente preziosa!

Talvolta ci si sbaglia sul carattere di queste riunioni e si esita adefinirle «nel nome del Signore» o effettuate intorno a Lui. In tale maniera limiteremmo, per abitudine o per punti di vista particolari e restrittivi, le occasioni nelle quali l’assemblea può trovarsi riunita nel nome del Signore Gesù e contare sulla sua presenza. Senza dubbio, il servitore di Dio che convoca una riunione, o permette che sia convocata sotto la sua responsabilità, lo fa per esercitare il suo ministerio, deve pertanto sempre valutare questa responsabilità davanti al Signore, e avere il sentimento che una tale riunione è stata da Lui desiderata. È evidente la serietà del servizio di ogni fratello che visita le assemblee locali, e resta fermo il principio che il Signore opera per mezzo dei «doni», sotto la direzione dello Spirito Santo. In una riunione di questo genere, l’assemblea è riconoscente a Colui che vuole edificarla per mezzo di un servitore. È a Lui che l’assemblea guarda per ricevere il messaggio. Ciascuno deve domandare per quel servitore, prima e durante la riunione, la guida divina.

Chi parla è un canale, e si prega perché egli resti connesso alla sorgente per fornire acqua pura. Una verifica costante deve avere luogo, grazie a quella «unzione del Santo» che ogni credente possiede, perché tutto ciò che è detto sia conforme alla Parola, e perché l’assemblea riceva con gioia il «nutrimento» adatto senza rischiare di accogliere o tollerare un insegnamento non sano (Atti 17:11, 1 Tessalonicesi 5:19-21, 2 Giovanni 9-10).

Stiamo trattando qui del lavoro di edificazione nell’interno dell’assemblea. Non si potrebbe chiamare riunione d’assemblea una riunione d’evangelizzazione tenuta nel mondo, normale sfera di azione per un evangelista. Certamente la parola di evangelizzazione può avere il suo posto in ogni tipo di riunione dell’assemblea, soprattutto nei nostri tempi dove bisogna insistere «a tempo e fuor di tempo» e fare «opera di evangelista», anche con altri doni e altre funzioni. Tuttavia l’assemblea non si riunisce con lo specifico scopo di evangelizzare. Quando Cornelio dice a Pietro (Atti 10:33) «siamo tutti qui presenti davanti a Dio, per udire tutte le cose che ti sono state comandate dal Signore», lo Spirito Santo era certamente all’opera con potenza; tuttavia non si trattava ancora di assemblea riunita in quanto al di fuori di Pietro e dei fratelli che l’accompagnavano, gli uditori non avevano ancora ricevuto lo Spirito Santo.

A differenza delle riunioni così convocate dai ministri della Parola, il Nuovo Testamento ci parla esplicitamente di riunioni regolari dell’assemblea, nelle quali si esprime abitualmente la vita di un’assemblea locale.

Esse sono un fatto collettivo, dall’inizio alla fine. Tutti sono chiamati, non semplicemente ad assistervi ma a parteciparvi. «Quando… vi radunate assieme», o «quando v’adunate in assemblea», o ancora «quando dunque tutta la chiesa si raduna assieme», dice l’apostolo ai Corinzi (1 Corinzi 11:18-20, 14:23-26). In tale caso non si tratta dell’esercizio di un «dono» particolare, ma della funzione normale dei doni. Esse rappresentano le riunioni fondamentali dell’assemblea che ricerca la presenza personale del Signore per esercitare le funzioni collettive che le sono connesse. L’assemblea riguarda a Lui solo, con fede, senza sapere in anticipo chi lo Spirito Santo condurrà ad «agire».

Non si deve aspettare un insorgere improvviso di impulsi incoerenti, che manifesterebbero solamente un’attività insensata della carne (1 Corinzi 14:23), ma tutto deve svolgersi in maniera pacifica ed equilibrata, mostrando il funzionamento di un corpo in buona salute, animato dalla potenza invisibile di un solo Spirito.

2.3.2 L’assemblea che si rivolge a Dio

Nell’esercizio di queste funzioni collettive, tra le preziose prerogative dell’assemblea che abbiamo considerato precedentemente, la preghiera in comune e l’adorazione in comune rappresentano le attività nelle quali l’assemblea si indirizza a Dio, parla a Dio.

Per parlare a Dio, sia che gli si rivolgano richieste (preghiera) o che gli si offrano ringraziamenti e lodi (adorazione), tutti i fratelli sono uguali, hanno lo stesso titolo di sacerdoti, e il loro sacerdozio è unito, per l’intercessione come per l’adorazione, a quello di Cristo glorificato. Ciascuno può pregare, indicare un cantico, ringraziare Dio a nome di tutti, purché lo faccia nella dipendenza dello Spirito che agisce nell’assemblea. Colui che apre la bocca è allora la voce dell’assemblea.

Preghiere e azioni di grazie dell’assemblea possono essere indirizzate a Dio in tutte le riunioni. Tuttavia, l’ordine che si addice alla casa di Dio suggerisce che alcune riunioni siano più specificatamente dedicate alla preghiera o all’adorazione.

a) La preghiera

La preghiera in comune, in Matteo 18, è associata alla promessa della presenza di Gesù, che è ciò che le dà il suo reale valore. Non deve mancare in un’assemblea locale una regolare riunione di preghiera, come non è possibile che un credente non preghi individualmente. Se così fosse si priverebbe del privilegio di attingere alla sorgente delle benedizioni. Non si ripeterà mai abbastanza quanto sia negativo il fatto che le riunioni di preghiera non siano frequentate; in molte località la maggioranza dei fratelli e delle sorelle sembrano disinteressarsene completamente, lasciandone solo ad alcuni la regolare frequenza.

Per essere sinceri, alcuni di coloro che vi prendono parte spesso ne falsano il carattere, con il rischio di allontanare le anime anziché attirarle! Quando le preghiere sono troppo lunghe, o fatte di ripetizioni vaghe, in cui abbondano formule banali, o diventano degli esposti di dottrina, come se dovessimo ricordare a Dio le verità della Parola, si perde molto, più di quanto si creda.

Discorsi interminabili e fastidiosi, anche se sono sinceri, impediscono ai giovani fratelli o a fratelli timidi di pregare, sia perché non se ne lascia loro il tempo, sia perché questa prolissità li scoraggia. Preghiamo pure a lungo in privato, ma tacciamolo più succintamente nell’assemblea. Molto è stato detto e scritto su questo soggetto, ma lo dimentichiamo facilmente e ricadiamo nello stesso errore tutte le volte che ci inginocchiamo in assemblea. Come si è ristorati quando vengono espressi in modo preciso, breve ma fervente, i bisogni reali che pesano veramente sul cuore di tutti.

La riunione di preghiera non s’improvvisa. Essa presuppone dei cuori preparati, dei soggetti di richiesta anticipatamente considerati, possibilmente concertati. Diremmo di più: presuppone una vita abitualmente vissuta col Signore, piena di amore per Lui ed i suoi, e quel discernimento che solo un «esercizio» continuo può dare (Ebrei 5:14). La riunione di preghiera implica d’altra parte l’accordo tra fratelli (Matteo 18:19), e dovrebbe essere l’occasione per regolare questioni controverse e giungere a un medesimo sentimento.

Principalmente essa richiede la libertà d’azione dello Spirito Santo: «Pregando per lo Spirito Santo» dice Giuda 20 (vedere anche Efesini 6:16). Non solamente Egli ci aiuta nella nostra infermità ma ci insegna a domandare quanto conviene, e dà l’ardire per farlo nel nome del Signore Gesù.

L’indifferenza per le riunioni di preghiera e la loro deformazione rappresentano i segni più appariscenti di un declino. Riunioni caratterizzate da poche preghiere o arricchite artificialmente da lunge orazioni, non sono forse la prova di una mancanza di vita spirituale? Non serve a nulla lamentarci su ciò che non va; dobbiamo piuttosto esortarci reciprocamente e ritrovare il rimedio, così semplice e così efficace: «Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia per essere soccorsi nel momento opportuno» (Ebrei 4:16). Chi di noi non può ringraziare Dio d’aver trovato, in momenti difficili, il più potente incoraggiamento in una riunione di preghiera, forse umile e inutile agli occhi degli uomini, ma in cui la grazia divina ci ha fatto gustare la sua pace? (Filippesi 4:7) «Egli è fedele».

b) La riunione per l’adorazione

La casa di Dio è una casa di «preghiera» e una casa di «sacrifici spirituali». Adorare è certamente la più alta funzione dell’assemblea. Tutti i figli di Dio sono sacerdoti per intercedere, ed anche per offrire l’incenso e presentare l’olocausto; sono gli adoratori in spirito e verità, che il Padre ha cercato.

La lode è offerta a Dio per mezzo di Gesù Cristo, il quale purifica l’iniquità delle nostre sante offerte (Esodo 28:38).

I temi sono i meravigliosi soggetti che lo Spirito Santo propone ai credenti: l’amore di Dio, la persona di Cristo nella sua divinità e la sua umanità, le sue sofferenze, le sue glorie infinite… Questa riunione ha Dio come oggetto, Gesù Cristo come soggetto e lo Spirito Santo come potenza.

Ciascuno di noi individualmente è chiamato a «benedire Dio in ogni tempo» come faceva il salmista (Salmo 34:1); ma c’è anche una lode collettiva, di cui Cristo risuscitato è il centro (Ebrei 2:12). Egli stesso prende posto «in mezzo all’assemblea» per intonare le lodi del «suo Dio» di cui Egli «annuncia il nome ai suoi fratelli». L’assemblea è il luogo del «sacerdozio santo», dove vengono offerti con solennità e gioia «sacrifici di lode». Non esiste altro luogo dove offrire insieme questi sacrifici.

Circa il giorno in cui l’assemblea deve riunirsi per l’adorazione, non abbiamo comandamenti formali, al pari di altri tipi di riunione. Nel Nuovo Testamento l’esistenza di un «giorno per il Signore» s’impone ad ogni spirito ed a ogni coscienza sensibile a ciò che Egli aspetta dai suoi. Questo giorno, il primo della settimana, è quello della risurrezione, alla sera del quale Egli venne e si trovò in mezzo ai suoi radunati. Alcuni versetti (Atti 20:7, 1 Corinzi 16:2) dimostrano che i cristiani del tempo dell’apostolo Paolo, sceglievano quel giorno per riunirsi in particolare per rompere il pane. Ciò dimostra che la domenica non ha niente a che vedere col «sabato», se non nel fatto che deve essere onorata come lo era il sabato (Isaia 58:13).

L’adorazione intelligente si svolge nella libertà dello Spirito. Ogni azione della carne è particolarmente stonata, sia come organizzazione preliminare, sia come direzione umana, sia come impulsi senza controllo. Lo Spirito crea una corrente di pensiero percepita da ogni fratello sensibile, che si traduce in inni, cantici, azioni di grazie, lettura della Parola, il tutto presentato in una vivente armonia, ad un livello più o meno elevato a seconda dello stato spirituale di ogni singolo e dell’insieme. È un concerto dalle note molteplici, ma che concorrono ad un’espressione di unità, sotto la direzione del suo invisibile, ma sempre presente direttore.

Nessuno dovrebbe restare inerte nella riunione per l’adorazione. Tutti dovrebbero avere qualcosa da portare, a meno che il loro cuore, durante la settimana, sia stato occupato dalle cose del mondo, e allora il «paniere» (Deut. 26) vuoto dovrebbe indurre a un salutare giudizio di se stesso. In una vera adorazione, i silenzi non sono intervalli vuoti, nei quali ci si spazientisce, perché, come la casa era ripiena dall’odore del profumo che Maria versava ai piedi del Signore senza parlare, l’atmosfera è impregnata di una muta adorazione. Questi silenzi non costituiscono pause destinate a far riprendere respiro tra varie manifestazioni verbali, ma intervalli di raccoglimento fra azioni che hanno lo scopo di esprimere ciò che lo Spirito forma nei cuori alla gloria di Dio Padre e Dio Figlio. La lettura della Parola serve a far scaturire la lode.

Va evitata ogni routine, ogni fiducia nell’uomo. «Noi… offriamo il nostro culto per mezzo dello Spirito di Dio, … ci gloriamo in Gesù Cristo e non confidiamo nella carne», dice l’apostolo (Filippesi 3:3). La riunione per l’adorazione non rappresenta la sede idonea ove i doni, anche i più qualificati per il ministerio della Parola, debbano essere manifestati. Tutta l’assemblea parla per mezzo dei suoi componenti, e l’attività dello Spirito può interrompersi se uno di loro esprime pensieri non inerenti all’adorazione, anche se contengono verità elevate. Affidare ad alcuni o, peggio ancora, a una persona sola l’impegnativo compito di «indirizzare» l’adorazione, certamente priva l’assemblea di grandi benedizioni. Nessuno è «consacrato» per rendere grazie al momento della commemorazione della morte del Signore, alla cena.

La riunione di adorazione può anche aver luogo senza la celebrazione della cena; ma è bene che la cena sia celebrata nel contesto di una tale riunione. Essa si accompagna alle lodi ed alle azioni di grazie. Di solito è celebrata nel momento culminante dell’adorazione; essa dovrebbe rappresentarne la massima espressione. Alle riunioni per l’adorazione si ricollegano, infatti, tutti i risultati della morte di Cristo. Riuniti «il primo giorno della settimana per rompere il pane» come i santi della Troade, commemoriamo alla tavola del Signore la manifestazione più elevata dell’amore divino. Se fossimo realmente consapevoli di questo amore, pronunceremmo poche parole e le azioni di grazie sarebbero brevi.

Il memoriale della morte del Signore Gesù Cristo parla; per mezzo di esso Egli ci ricorda la sua morte e noi «facciamo questo in memoria di Lui». In questa celebrazione consiste la più potente testimonianza resa a Cristo in questo mondo da coloro che non ne fanno più parte e che attendono il loro Maestro: «annunciamo la morte del Signore finché Egli venga». Pertanto questo atto deve essere celebrato «degnamente» e per prendervi parte ogni credente è tenuto a «provare se stesso» (giudicare se stesso e non solo i propri atti). Essa è la tavola del Signore e non la nostra. È triste pensare che alcuni dei suoi non si uniscano per rispondere al suo invito. Nessuno di coloro che gli appartengono ha ragioni valide per tenersene lontano; se qualche cosa nella vita di un credente lo trattiene, questo «qualcosa» può avere il sopravvento sulla più pura delle gioie. È scritto che ciascuno «provi se stesso, e cosi mangi del pane e beva al calice», e non «si astenga».

Nel contempo a questa tavola si realizza la comunione, nell’espressione di «un solo corpo» secondo 1 Corinzi 10:15-17. Bisogna pensare a tutti i figli di Dio, lavati nel sangue del Signore, membra di questo corpo. Presenti o assenti, conosciuti o sconosciuti, li vediamo uno in Lui.

Ma il fatto stesso che possiamo radunarci solo sulla base dell’unità del corpo ci impone l’obbligo di serbare l’unità dello Spirito. A questa luce, come ci appaiono insensate e meschine tante cose che spesso trascuriamo di giudicare e che turbano la comunione!

D’altra parte, il sentimento della santa presenza di Dio indurrà l’assemblea a purificarsi dal «vecchio lievito», giungendo fino a «togliere il malvagio» dopo aver provato con tutti i mezzi a ricondurlo. Questa purificazione pratica, individuale e collettiva, è indispensabile all’esercizio del «santo sacerdozio». In figura vediamo qui la conca di rame; Aronne e i suoi figli vi si «lavavano» quando entravano nella tenda di convegno e quando s’accostavano all’altare (Esodo 40:31-32).

2.3.3 L’assemblea che riceve da Dio

Quando l’assemblea è radunata, il Signore opera per l’edificazione dei suoi con «doni» adatti per questo scopo. In una riunione di edificazione i credenti non rappresentano più la bocca dell’assemblea per parlare a Dio, ma quella di Dio per parlare all’assemblea (1 Pietro 4:11). Ciò può avvenire in tutte le direzioni: anche nella riunione di preghiera o di adorazione, lo Spirito si può servire della Parola per risvegliare i cuori, spronare le coscienze, condurre le anime al livello voluto. Ma questo caratterizza particolarmente le riunioni che noi abbiamo l’abitudine di classificare col nome di «riunioni d’edificazione» come le presenta 1 Corinzi 14. Possiamo notare che, secondo l’insegnamento di questo capitolo, le preghiere, gli inni, le azioni di grazie, trovano il loro posto in tali riunioni e concorrono all’edificazione al pari dell’esercizio dei «doni». Del resto sarebbe pericoloso voler schematizzare eccessivamente i differenti tipi di riunioni; sarebbe limitare l’azione dello Spirito.

In alcune località sono troppo poco frequenti queste riunioni in cui ci si affida completamente al Signore per ricevere direttamente da Lui, e ciò rappresenta l’inizio di una grande debolezza spirituale. In altre località, queste riunioni non esistono affatto. Vi sono assemblee che, oltre all’adorazione, non hanno altre riunioni se non quelle tenute occasionalmente da «fratelli di passaggio». Così, sono prive di nutrimento, il che è anomalo; che dìre infatti di un corpo che non si nutre?

Talvolta queste riunioni sono sostituite, nella vita dell’assemblea locale, da qualcosa di completamente differente; cioè da una riunione affidata ad un fratello. In alcuni casi così si svolgono le riunioni dette di edificazione, ma tali tipi di riunioni, se sono occasionali e non sistematiche, potrebbero essere assimilate alla categoria delle riunioni convocate. Esse possono essere molto utili; l’assemblea rischia però di essere nutrita in modo troppo uniforme e di affidarsi, anche senza accorgersene, ad un uomo più che al Signore; e così, inconsciamente, prepara una sorta di clero. Essa non funziona più come un corpo, e un corpo che non funziona si atrofizza. L’attività dei fratelli qualificati non sarebbe sminuita se si esercitasse nel corso di riunioni dove la piena libertà fosse lasciata allo Spirito; anzi sarebbe certamente più fruttuosa, senza rischiare di sopprimere gli altri mezzi di edificazione.

È necessario, quando ci si raduna, contare solo sul Signore e si sarà edificati e arricchiti. Egli darà il necessario per consolare, per esortare, per «edificare». I doni saranno esercitati senza l’obbligo di parlare quando non hanno nulla da comunicare. Se sarà necessario, altri doni saranno manifestati; il Signore susciterà questi «profeti» che parlano da parte sua in modo comprensibile per l’edificazione. Saranno «due o tre» (1 Cor. 14:29) a parlare durante la stessa riunione: quale benedizione quando alcuni fratelli presentano, uno dopo l’altro, aspetti differenti di un medesimo soggetto! Si è detto molte volte che cinque parole, come i cinque pani d’orzo che saziarono una moltitudine, hanno spesso più effetto di lunghi discorsi (1 Corinzi 14:19). Quanti doni rimangono inutilizzati, trattenuti sia da una falsa umiltà da parte di chi li ha, sia da una troppo ricca attività di altri fratelli dotati!

Bisogna impegnarsi ad evitare che la libertà dello Spirito diventi «un’occasione per la carne» (Gal. 5:13), come se ciascuno avesse il diritto di parlare. Purtroppo ciò accade! Questo soggetto è già stato trattato a proposito del ministerio; il fratello che nell’assemblea si compiace in ciò che dice, non porta profitto per i suoi uditori; parla fuori tempo e fuori luogo! Ciascuno deve capire se veramente ciò che sta dicendo lo riceve dal Signore, per lo Spirito, o se esprime solo i propri pensieri; infatti è scritto «gli spiriti dei profeti sono sottoposti ai profeti». Ma la sensibilità spirituale dell’assemblea deve essere sempre elevata; se essa è in uno stato normale, colui che parla abitualmente senza edificare sarà avvertito, e se continua, gli si ingiungerà di tacere, per il bene dell’assemblea perché la libertà cristiana deve comportare una critica sana ed opportuna. Senza dubbio è necessario uno spirito di sopportazione; le cose devono essere espresse nell’amore fraterno e con dolcezza, dopo aver molto pregato su quanto fa così soffrire il gregge; il Signore, allora, può intervenire anche senza essere costretti a parlare. Tutto si deve fare per il bene comune, alla gloria di Dio. Troppo sovente le critiche vengono fatte sconsideratamente, al di fuori, nelle famiglie, senza amore e senza discernimento, turbando così gli animi.

È importante sottolineare ancora che anche nelle riunioni come quella per l’adorazione, il silenzio non sempre è sinonimo di inattività; lo Spirito Santo può agire potentemente nel corso dei silenzi; ma quando questi sono opprimenti, chiaramente vuoti, ciò deve risvegliare le nostre coscienze, farci gridare al Signore, affinché ci aiuti a individuare e a rimuovere le cause di un tale stato, e ci apra la sua Parola. L’importante è avvertire la Sua presenza! È Lui che ci raduna. Non vi sarà allora né precipitazione né ritardo; non si sentirà il bisogno di un intervento umano per organizzare qualcosa anticipatamente o per mantenere un certo ordine. Osserviamo attentamente l’insegnamento di 1 Corinzi 14. Ci è stato dato perché vi era a Corinto molto disordine per abuso di certi doni; alcuni li usavano non per l’edificazione dell’assemblea, ma per la loro propria soddisfazione.

Non esiste in questo capitolo una sola parola su un’organizzazione destinata a prevenire il disordine, né sulla necessità di una visibile presidenza. Tutto è affidato allo Spirito, nella dipendenza del quale tutti devono stare. I Corinzi, che erano usciti dal paganesimo dove le manifestazioni soprannaturali erano esuberanti, desideravano doni brillanti; ma il Dio di ordine e di pace ingiunge loro di fare «ogni cosa per l’edificazione». Essi agivano come dei bambini, e allora è detto loro: «Quanto a senno siate uomini fatti». Anche noi che sovente usiamo con puerilità le preziose risorse assicurate alla Chiesa di Dio, dobbiamo essere «uomini fatti»!

Che Dio ci accordi, ogni volta che ci raduniamo, di considerare seriamente i due grandi privilegi che stanno alla base del radunamento: la presenza del Signore Gesù e l’opera dello Spirito Santo nell’assemblea. Ogni dettaglio pratico delle riunioni, che non è il caso di trattare in queste pagine, sarà risolto se teniamo conto di queste due realtà e agiamo di conseguenza (*).

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(*) Per esempio, la puntualità: vorremmo fare aspettare il Signore? E l’abbigliamento: ci raduniamo per gli uomini o per il Signore? Teniamo conto anche delle condizioni del locale di radunamento: la casa del Signore dovrà essere meno decorosa della nostra? O la sua santa presenza ammetterà un lusso che dà soddisfazione alla nostra carne?
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2.4 Il cammino dell’assemblea

2.4.1 «Seguitando verità in carità» (o «essendo veri nell’amore») (Efesini 4:15)

La vita dell’assemblea non si limita alle riunioni; in realtà il suo funzionamento comprende la completa vita cristiana di tutti i credenti. Tutti i dettagli della vita spirituale di ciascun credente si ripercuotono sull’insieme.

L’attuale dispersione dei veri credenti e la confusione generale tra mondo e cristianità risultano ancor più penose e più umilianti da questo solo pensiero: oggi è diventato praticamente impossibile realizzare una comunione sincera e vitale con tutti, se non col cuore e nella preghiera, e vedendoci tutti «uno» nell’unico pane durante la cena. Certamente siamo felici di gustare l’amore cristiano con tutti coloro che possiamo incontrare ed identificare come veri credenti. Ma la pratica dei rapporti fraterni, realtà benedetta e rallegrante, è purtroppo limitata dall’impossibilità di fare lo stesso cammino con quanti si scostano dalla verità; e così procediamo insieme finché è possible «continuare a camminare per la stessa via» (Filippesi 3:16).

Se avessimo a cuore gli interessi di Cristo nell’assemblea, e se la sollecitudine per «tutte le chiese» ci preoccupasse come assillava ogni giorno l’apostolo Paolo (2 Corinzi 11:28), avremmo più spesso sulla bocca l’esclamazione afflitta del profeta: «Come mai s’è oscurato l’oro, s’è alterato l’oro più puro? Come mai le pietre del santuario si trovano sparse qua e là ai canti di tutte le strade?» (Lamentazioni 4:1). Ma nello stesso tempo noi proveremmo una più sincera riconoscenza verso Dio le cui compassioni fanno sì che «non siamo consumati» (3:22), e verso Colui che ha fornito alla debole testimonianza di Filadelfia le più ferme promesse. Non cessiamo dunque di domandargli la grazia di essere suoi testimoni.

Coloro che la grazia di Dio ha voluto riunire, in testimonianza al valore permanente del nome di Gesù come centro di radunamento, devono vegliare perché i diritti del Signore siano mantenuti in questa sfera, come dovrebbero esserlo dovunque nella Chiesa. Essi devono condursi come se costituissero la totalità della Chiesa. Ciò richiede l’attività continua dell’amore nella verità. Quale testimonianza sarebbe resa e quante anime sincere sarebbero rese salde, se tutti i rapporti fra noi fossero contraddistinti da questa duplice caratteristica! «Procacciate la pace con tutti, e la santificazione… badando bene che nessuno resti privo della grazia di Dio» (Ebrei 12:15). Quante volte la Parola ci invita ad esortarci reciprocamente, a sopportarci, a soccorrerci l’un l’altro!

Tutto l’insegnamento pratico del Nuovo Testamento si concretizza in questo, ed è strettamente connesso alla dottrina che ci è data affinché «tutti arriviamo all’unità della fede e della piena conoscenza del Figliuol di Dio, allo stato d’uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo» (Efesini 4:13). Le esortazioni pratiche delle epistole agli Efesini e ai Colossesi che, più di altre, abbracciano tutta la vita dei credenti quaggiù, sono in rapporto con la Chiesa. Questa vita non è mai considerata solo in rapporto col singolo individuo. Dai passi sopra citati è chiara l’importanza di tutto ciò che il Signore ha posto «nel corpo» per l’edificazione, affinché, «seguitando verità in carità, noi cresciamo in ogni cosa verso Colui che è il capo, cioè Cristo. Da Lui tutto il corpo ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella misura del vigore di ogni singola parte, per edificare se stesso nell’amore» (Efesini 4:15-16). Ogni parte del corpo (e ciascuno di noi ne rappresenta una), funziona come dovrebbe? Lasciamo che ogni giuntura agisca liberamente per collegare fra loro i vari organi e fornire ad essi da parte del Signore il necessarie nutrimento?

2.4.2 L’esercizio dell’autorità nel nome del Signore da parte della Chiesa

a) La sfera di competenza dell’assemblea

L’assemblea come tale ha diritto-dovere di intervenire nei rapporti fra gli individui. Matteo 18 ce la indica come il più alto punto di riferimento sulla terra alla quale un fratello offeso da un altro possa ricorrere. Essa non può disinteressarsi della buona armonia tra i membri del corpo di Cristo. Paolo era felice nel sapere che i Filippesi erano «fermi in uno stesso spirito, combattendo assieme d’un medesimo animo» (Filippesi 1:27). Avrebbe reso la sua allegrezza perfetta il vederli di un medesimo sentimento, di uno stesso pensiero, uno stesso amore; e per supplicare Evodia e Sintiche ad avere un medesimo sentimento nel Signore, egli si serve della stessa epistola che scrive a tutta l’assemblea. Inoltre ognuno deve vegliare sul comportamento dei suoi fratelli e sorelle coi quali costituisce la testimonianza collettiva.

L’assemblea è anche l’ambiente nel quale i credenti devono crescere e portare frutto, in pace, nella gioia d’una comunione fraterna. Ma questa è, come sappiamo, una cosa molto fragile, e bisogna lavorare senza tregua per mantenerla. Fiducia fraterna, cure e attenzioni reciproche, sotto l’autorità del Signore e la sottomissione alla Parola, vanno di pari passo.

Senza dubbio, non è l’assemblea che fa entrare qualcuno nel corpo di Cristo, contrariamente a quanto alcuni pretendono. Ogni persona che è nata da Dio (per mezzo dello Spirito e della Sua Parola) diventa membro di questo corpo grazie al «battesimo» dello Spirito Santo.

L’assemblea, come tale, non interviene neppure nel battesimo con l’acqua (introduzione nella professione cristiana); infatti non troviamo in nessuna parte della Scrittura il battesimo praticato dalla Chiesa o nel nome della Chiesa, ma solo da servitori del Signore nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (o nel nome del Signore Gesù).

L’assemblea ha il privilegio di riconoscere e di ricevere coloro che «Cristo ha accolto per la gloria di Dio» (Romani 15:7). Essa li accoglie alla tavola del Signore, dove s’esprime, non lo si dirà mai abbastanza, l’unità del corpo di Cristo.

Essa ha la responsabilità di preservare la santità di questa tavola e la purezza della «casa di Dio». Questo per la gloria del Signore e per il bene spirituale dei suoi. Vi è un ordine da mantenere e questo compito appartiene all’assemblea.

Essa prende decisioni, secondo il principio enunciato dal Signore Gesù: «In verità vi dico: tutte le cose che avrete legate sulla terra saranno legate nel cielo, e tutte le cose che avrete sciolte sulla terra, saranno sciolte nel cielo» (Matteo 18:18).

Questa gestione spirituale competerebbe a tutti i credenti esistenti in una località, ma, nello stato attuale delle cose, a causa delle divisioni che ci sono, deve essere realizzata almeno da quelli che hanno le caratteristiche di una vera assemblea del Signore. Coloro che «lo Spirito Santo ha stabilito come sorveglianti» e, in modo più generico, tutti coloro che hanno a cuore gli interessi di Cristo nell’assemblea, se ne occuperanno senza dubbio con uno zelo speciale, e secondo l’ordine stabilito nella Scrittura. I fratelli hanno un ruolo nella vita dell’assemblea che le sorelle non debbono rivendicare; ma le decisioni non possono essere prese che dall’assemblea intera, fratelli e sorelle, avendo anche queste ultime fatto conoscere il loro pensiero.

Non si tratta di procedure o di formule; è importante un continuo esercizio della coscienza dell’assemblea davanti al Signore, perché tutto sia fatto secondo Lui, per Lui, nel suo nome, nella piena libertà dello Spirito.

b) L’ammissione alla tavola del Signore

Solo la preoccupazione della gloria del Signore deve guidare nell’ammissione di un credente alla tavola del Signore. Lo si riconosce come vero credente, fatto dimostrato non solo dalle sue parole (egli confessa «con la bocca Gesù come Signore», credendo «col cuore che Dio l’ha risuscitato dai morti»; Romani 10:9), ma anche dalla sua condotta. Non si esigerà da questa persona la perfezione, ma un cammino separato dal male, nel giudizio di se stesso: praticamente, una condotta riconosciuta buona, e l’assenza di ogni legame con dottrine che porterebbero pregiudizio alla persona di Cristo (2 Giovanni 9-10).

Non si tratta di possedere una conoscenza più o meno approfondita; non vi sono esami da far sostenere, ma l’assemblea deve avere la certezza che colui che ha fatto tale domanda è sano nella fede e che conforma la sua vita a questa fede.

È superfluo dire che più le false dottrine si moltiplicano nella cristianità, più è necessaria un’attenta vigilanza per ammettere alla tavola del Signore. I fratelli più scrupolosi a questo riguardo sono a volte considerati troppo «stretti»; eppure, nella maggioranza dei casi, è col cuore contrito, ma con la convinzione assoluta di difendere i diritti del loro Maestro, che essi mantengono il muro di cinta e non aprono ulteriormente la porta.

Quante volte non si è sufficientemente vegliato a questo proposito!

c) La «disciplina»

La «disciplina» dell’assemblea riguardo a «quelli di dentro», come dice l’apostolo, è altrettanto indispensabile (1 Corinzi 5:12). Essa consiste nel consigliare, nell’avvertire, nel riprendere se è necessario, prima di giungere al triste obbligo dì «giudicare». Un credente che non pratichi l’indispensabile giudizio di se stesso e si allontani poco a poco dal sentiero, corre verso una grave caduta, che pregiudicherà non solamente la sua testimonianza, ma quella dell’intera assemblea. In tale frangente, l’amore fraterno deve manifestarsi per «ricondurre», coprendo «una moltitudine di peccati» (Giacomo 5:19-20; 1 Pietro 4:8; Galati 6:1; 2 Tessalonicesi 3:14-15). Uno spirito umile, contristato per le mancanze altrui, che pratica quel lavaggio dei piedi di cui il Signore ci ha lasciato l’esempio, sarà molto spesso più efficace di severi rimproveri. Dio moltiplichi tra noi dei pastori che abbiano la saggezza e l’energia per esercitare un efficace ministerio «in privato» con la giusta intransigenza verso il peccato commesso ma anche con tenerezza e misericordia verso colui che ha sbagliato. L’assemblea, e non solamente uno o l’altro fratello individualmente, ha il dovere di occuparsi di coloro che «camminano disordinatamente»; ma sarà un lavoro fatto male se non fa cordoglio sul peccato commesso (1 Corinzi 5), umiliata, prendendo come proprio questo peccato di uno dei suoi, invece di atteggiarsi a giudice. Se la disciplina non ha effetto, se il carattere di «malvagio» si manifesta, allora essa deve «mettere fuori», dove «Dio giudica» (1 Corinzi 5:13) (cioè escludere dalla comunione) colui che non si è lasciato rincondurre. «Togliendo il malvagio» l’assemblea si purifica, nell’umiliazione e nel dolore. Nei confronti di colui da cui si separa, essa agisce in vista del ricupero di chi ha peccato; nei confronti di se stessa, si giudica davanti al Signore. «Noi abbiamo peccato, abbiamo agito malvagiamente», diceva Nehemia (Nehemia 1:6).

d) Valore delle decisioni di un’assemblea

Le decisioni dell’assemblea, prese sotto lo sguardo del Signore, sono contraddistinte dalla Sua autorità; ciò che è ratificato in un’assemblea locale ha valore per tutte le altre assemblee locali. Da quanto precede, fra l’altro, si ricava il pensiero della necessità del l’uso di «lettere di raccomandazione» mediante le quali un’assemblea locale è informata che un nuovo venuto, ad essa sconosciuto, è veramente in comunione in un’altra assemblea; così, un credente è certo di essere ricevuto ovunque si presenterà (Romani 16:1; 2 Corinzi 3:1).

e) Le divisioni

In verità, niente è più semplice del principio del funzionamento di un’assemblea fondata sull’unità del corpo di Cristo. La sua applicazione invece è diventata una delle cose più delicate data la confusione ecclesiastica attuale.

Ecco un soggetto che travaglia e affligge ogni anima che ama il Signore: la molteplicità delle comunità cristiane separate anch’esse dai grandi sistemi religiosi della cristianità.

Dove trovare la vera tavola del Signore? Dove si può essere certi di radunarsi in piena buona coscienza, nell’ubbidienza alla Parola?

Non stupiamoci dell’accanimento di Satana contro ogni testimonianza suscitata da Dio e del fatto che sia riuscito, approfittando della nostra scarsa vigilanza, a dividere anche coloro che erano usciti «fuori dal campo». Abbiamo tutti la nostra colpa in questa umiliante situazione. Dobbiamo riconoscerlo, ma senza l’orgoglio e lo scoraggiamento del profeta Elia che diceva: «Hanno abbandonato il tuo patto, hanno demolito i tuoi altari…; sono rimasto io solo»! (1 Re 19:10). Domandiamo al Signore il discernimento e lo zelo necessari per riconoscere i «settemila» che Egli s’è riservato (1 Re 19:18), perché «Egli conosce quelli che sono suoi», sempre però ritirandoci dall’iniquità, poiché non vi può essere comunione tra le tenebre e la luce. Ancora una volta, siamo certi che «il solido fondamento di Dio rimane fermo» e porta sempre lo stesso doppio sigillo.

L’intelligenza spirituale farà discernere se una tavola può essere o meno considerata «del Signore» esaminando i principi che vi sono professati e informandosi circa il modo con cui essa è stata istituita. È un dovere per ogni assemblea sapere quale condotta tenere verso chi si presenta per rompere il pane.

Supponiamo il caso che esistano in una stessa località due tavole «indipendenti» l’una dall’altra; riconoscere l’una e l’altra egualmente come tavola del Signore, sarebbe rifiutare deliberatamente di serbare l’unità dello Spirito, ed equivarrebbe a negare l’unità del corpo. È dunque indispensabile informarsi attentamente. Un tale dualismo può essere la conseguenza di false dottrine da cui credenti fedeli hanno dovuto separarsi. Può trattarsi di uno scisma senza ragione causato da dissensi particolari per casi di disciplina; oppure persone le quali, giunte in quella località, hanno voluto, a torto, erigere «la loro tavola» senza tener conto di quella che già esisteva. Non dovremmo restare indifferenti di fronte a questo fatto. Sarebbe mostrare o una colpevole insensibilità verso la santità del nome del Signore o associarsi ad un’azione settaria.

D’altra parte, la tavola del Signore non potrebbe esistere in una località e restare indipendente da quelle che esistono altrove sullo stesso principio. Non sarebbe pensabile, per esempio, ricevere qualcuno che è escluso altrove o rifiutare qualcuno ch’e vi è ricevuto, senza negare l’unità del corpo.

Un ambiente in cui i principi del mondo, l’autorità e i regolamenti degli uomini si mescolano espressamente all’azione dello Spirito Santo, o ancora dove è ammesso che si tolleri il male consapevolmente non giudicato, non può avere la tavola del Signore. L’infallibilità è dunque la condizione indispensabile per il radunamento? No. Se così fosse non sarebbe possibile radunarsi. Nell’assemblea possono esservi, e vi sono in effetti, difetti, errori, mancamenti che saranno perdonati dal Signore quando saranno stati giudicati e confessati. Rifiutare il riconoscimento di una assemblea perché ha mancato, è contrario allo spirito degli insegnamenti della Parola. Se questi errori non sono giudicati, potranno costringere il Signore ad intervenire sia per purificare l’assemblea con dolorose prove, sia per togliere «il candelabro dal suo posto» (Apoc. 2:5). Noi rischiamo talvolta di volerci sostituire a Lui nel ruolo di Colui che cammina «in mezzo ai sette candelabri d’oro».

Se una decisione dell’assemblea non sembra giusta, e può non esserlo, o se un’assemblea non ha preso una decisione che sarebbe sembrata giusta, non bisogna dimenticare con ciò che «tutte le cose che voi – l’assemblea – avrete legate sulla terra saranno legate nel cielo, e tutte le cose che avrete sciolte sulla terra, saranno sciolte nel cielo». (Matteo 18:18). È molto doloroso sentire sovente criticare, non senza leggerezza o presunzione, una decisione o una mancata decisione da parte dell’assemblea. Ma la signoria di Cristo è intangibile, e il suo amore non muta. Dobbiamo gridare a Lui se qualche cosa sembra non essere stata fatta secondo la Sua volontà, affinché Egli intervenga; dobbiamo essere sottomessi a Lui con la fiducia assoluta che Egli salvaguarderà la gloria del Suo nome. Egli stesso saprà far sentire a dei fratelli di altre assemblee il dovere di fare eventualmente delle «rimostranze» divenute necessarie. Ma bisogna che queste siano fatte dalla parte del Signore e ciò sarà dimostrato dal modo con cui saranno presentate: nell’amore vero, con la preoccupazione di mantenere o ristabilire una comunione la cui perdita causerebbe un’afflizione profonda. La pazienza dell’amore saprà aspettare che il Signore metta in evidenza ciò che è da giudicare e conduca l’assemblea a giudicarlo affinché le sue decisioni siano veramente ratificate dal Signore.

Ben diverso è il caso in cui un’assemblea accetta per principio, e non in seguito ad un errore occasionale, di tollerare il male, morale o dottrinale – il secondo più nefasto del primo – lasciando a ciascuno la sua responsabilità senza considerare la propria come impegnata, anche dopo l’azione di un’altra assemblea. In tali casi, la nozione stessa dell’unità del corpo è distrutta, i diritti del Signore sono disprezzati e, come è stato detto più sopra, una tale assemblea non potrebbe più essere riconosciuta come una assemblea che porta i caratteri di un’assemblea di Dio.

Conclusione

Con tristezza dobbiamo trattare soggetti così poco edificanti, mentre l’argomento della Chiesa di Dio dovrebbe essere tutto amore, dolcezza e gioia. Si è costretti a lottare per le verità che la concernono, mentre si vorrebbe solamente trovare in essa una rocca inviolabile di pace in mezzo a questo mondo frenetico. Ma il cuore si sente consolato e confortato al pensiero che, come il sole splende al di sopra della più impenetrabile nuvola, così il proposito divino riguardo alla Chiesa resta immutabile e glorioso.

L’amore che sorpassa ogni conoscenza dirige gli interessi di Cristo verso di essa. Egli la nutre e la cura teneramente; presto la prenderà presso di sé. Afferriamo dunque queste realtà vivificanti: Cristo nella gloria, lo Spirito Santo sulla terra, una sola Chiesa e la speranza legata alla sua vocazione celeste. Non sono aride verità e neppure ferree regole (come dei meccanismi inanimati, destinati ad agitare sterilmente una materia inerte); esse ci pongono nella piena vita, la vita divina. La sorgente di questa vita è Cristo solo, il «Capo glorificato» del corpo che è sulla terra, ma che è esso pure destinato alla gloria del cielo.

Maggiormente occupati di Lui e più coscienti dell’immensità delle benedizioni spirituali di cui siamo benedetti in Lui, ci troveremo senza sforzo radunati, perché legati a Lui, come quelle particelle di limatura ferrosa attratte tutte con la medesima forza verso una punta calamitata. Fra poco, addormentati in Lui o viventi, tutti i santi verranno attratti al cielo con potenza e Cristo presenterà a se stesso la sua Chiesa, senza macchia, né ruga o cosa alcuna simile, ma nella sua bellezza e unità. Che questa speranza faccia di noi dei vincitori!

«Or a Colui che può, mediante la potenza che opera in noi, fare infinitamente al di là di quel che domandiamo o pensiamo, a Lui sia la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù, per tutte le età, nei secoli dei secoli. Amen» (Efesini 3:20-21).

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