La paura cacciata via

di Ferruccio Cucchi

Articolo tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 02-2011

“Nell’amore non c’è paura; anzi, l’amore perfetto caccia via la paura, perché chi ha paura teme un castigo” (1 Giovanni 4:18).

“Dopo aver prima sofferto e subito oltraggi, a Filippi, trovammo il coraggio nel nostro Dio, per annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte” (1 Tessalonicesi 2:2).

La paura è talmente insita nell’essere umano che non c’è opera letteraria in cui, più o meno diffusamente, non se ne parli. Citerò qui due frasi, scritte da celebri autori, che illustrano due diversi atteggiamenti dell’uomo di fronte a questo problema che lo assilla.

“Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio andò ad aprire, e non c’era più nessuno”.

“Il coraggio, uno non se lo può dare”.

Il primo pensiero, sebbene risalga a quasi due secoli fa, è singolarmente “moderno”. La paura non sarebbe altro che uno stato mentale, una creazione della nostra mente. Di fronte a situazioni e persone che incutono paura, l’autore sembra offrire una soluzione semplice ed efficace: attingere in se stessi le risorse necessarie per superare le difficoltà. In parole povere, non farsi fermare dalla paura, farsi coraggio e prendere di petto il problema. È un pensiero moderno perché in armonia con una filosofia, coltivata specialmente in Oriente e che sta prendendo sempre più piede anche nella nostra civiltà: credere in se stessi, ricercare in se stessi le energie potenziali per dirigere la propria vita. Ma, come vedremo, non è questa la soluzione che risolve l’essenza del problema.

Il secondo pensiero esprime tutta la frustrazione dell’uomo di fronte a persone e situazioni che sembrano sovrastarlo, senza possibilità di sfuggirvi; esso esprime, comunque, anche una parte di verità.

Ma se vogliamo capire e affrontare il problema della paura e trovarne la soluzione, è soltanto alla Parola di Dio che possiamo e dobbiamo ricorrere.

L’origine della paura

La paura è vecchia come l’uomo. Nella Bibbia troviamo la parola “paura” già nelle sue prime pagine:  “Dio il SIGNORE chiamò l’uomo e gli disse:  «Dove sei?» Egli rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino e ho avuto paura… e mi sono nascosto»” (Genesi 3:9-10).

Perché questa paura, che ha spinto l’uomo a sottrarsi allo sguardo di Dio? Perché aveva peccato, aveva disatteso l’ordine di Dio dando ascolto a Satana. Il fatto che Adamo ed Eva abbiano sentito il bisogno di nascondersi dimostra che, a causa della caduta, erano divenuti coscienti della loro separazione da Dio e del loro castigo inevitabile. Quindi, paura di Dio, anzitutto: “Chi ha paura teme un castigo”, abbiamo letto in 1 Giovanni 4:18; e poi, paura di tutte le conseguenze del peccato: morte, malattia, sofferenza, fatica.

Molte manifestazione del peccato (inimicizia, volontà di dominio, rivalità) sono diventate a loro volta fonti di paura. La paura uno dell’altro contrassegna le relazioni fra gli uomini; già alcuni secoli fa un filosofo inglese, riprendendo un detto latino, ha scritto: “L’uomo è un lupo per l’altro uomo”. È la realtà che vediamo attorno a noi ancora oggi.

Impotenza dell’uomo

Non possiamo negare che alcune persone, dotate di un temperamento forte, possono assumere un atteggiamento risoluto e far fronte ai casi della vita che incutono timore, a volte con successo. Ma l’uomo non ha alcuna risorsa in sé per allontanare la paura di quel “castigo” di cui ha almeno una sensazione, spesso volutamente ignorata; castigo che non subirà necessariamente durante la vita terrena ma certamente dopo essere passato per ciò che la Bibbia chiama “il re degli spaventi” (Giobbe 18:14): la morte.

A volte, molti che giustamente hanno paura di ciò che segue la morte ricorrono a varie pratiche religiose osservando dei riti, o si privano volontariamente di alcuni beni, facendo delle opere che sottenderebbero dei meriti da var valere di fronte a Dio. Ma tutto questo, oltre che illusorio, non dà alcuna certezza; c’è sempre una sensazione di insufficienza in ciò che viene compiuto, e non si va al di là di una speranza più o meno vaga. Non si è liberati dalla paura del re degli spaventi.

La soluzione di Dio

Lo stesso versetto citato sopra ci dà la soluzione al problema della paura: “L’amore perfetto caccia via la paura”. Qual è l’amore perfetto? È forse quello che noi esseri umani proviamo per il nostro prossimo? Certamente no, perché nell’uomo il sentimento dell’amore, se c’è, è sempre imperfetto, spesso accompagnato da altri impulsi che lo inquinano: orgoglio e ipocrisia, “per essere visti dagli uomini” (Matteo 6:5), con la pretesa di essere ricambiati.

No, l’amore perfetto viene solo da Dio: “L’amore è da Dio” (1 Giovanni 4:7). Nel passo citato all’inizio, l’amore è personificato ed agisce. “Dio ha amato noi, e ha mandato suo Figlio per essere il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati” (v. 9). E quelli che possono dire con convinzione: “Noi abbiamo conosciuto l’amore che Dio ha per noi, e vi abbiamo creduto” (v. 16), non hanno più paura del Suo castigo. Non perché Dio sia indulgente riguardo alle loro mancanze, ma perché, se abbiamo creduto nel sacrificio di Cristo per noi, “il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato” (1:7).

Il credente non ha più paura di nulla e di nessuno?

Se lo affermassimo, inganneremmo noi stessi. Certo, noi che abbiamo creduto non abbiamo più la Grande Paura, perché siamo sicuri della fedeltà di Dio che afferma riguardo a chi crede: “Non mi ricorderò più dei loro peccati” (Ebrei 8:12; 10:17), perché “il castigo, per cui abbiamo pace, è stato su di lui” (il Signore Gesù – Isaia 53:5). Ma può succedere che facciamo l’esperienza dei discepoli in mezzo alla tempesta sul lago e ci sentiamo dire dal Signore: “Perché siete così paurosi? Come mai non avete fede?” (Marco 4:40).

Nel rimprovero del Signore c’è già la diagnosi e la cura del problema. La fede, nel credente, significa soprattutto fiducia in Dio, nella sua potenza e nel suo amore. Nelle avversità, raffigurate dal “vento che gettava le onde nella barca, tanto che la barca già si riempiva” (v. 37), la risorsa non è da ricercare in noi stessi. Cosa avrebbero potuto fare i discepoli se non chiedere l’intervento del Signore? Si sarebbero solo affannati a remare per raggiungere la riva, e senza risultati.

Ma aver fiducia nel Signore e affidarsi a Lui non significa inerzia e passività da parte nostra; significa invece affrontare le difficoltà con lo sguardo rivolto a Lui, senza fare affidamento sulle nostre forze, come il profeta che lodando Dio diceva: “Tu sei stato una fortezza per l’indifeso nella sua angoscia, un rifugio contro la tempesta, un’ombra contro l’arsura” (Isaia 25:4).

L’esempio di Paolo e Sila

La disposizione d’animo di Paolo e Sila è molto istruttiva per noi. Essi avevano annunciato l’Evangelo a Filippi, in Macedonia, e dopo aver liberato una serva da una possessione demoniaca che procurava guadagni ai suoi padroni, erano stati battuti con le verghe e cacciati in prigione, coi ceppi ai piedi (Atti 16:16-24). In seguito erano arrivati a Tessalonica con lo stesso scopo; come affrontare l’immancabile reazione dei nemici dell’Evangelo che, anche in quella città, non avrebbe tardato a manifestarsi? (Atti 17:1-8). “Facendosi” coraggio l’un l’altro? No; Paolo scrive: “Trovammo il coraggio nel nostro Dio”. Notiamo: “nel nostro Dio”, non solo in Dio. Quel coraggio, che non avrebbero trovato in se stessi, essi lo cercarono e lo trovarono nell’intima comunione col loro Dio, che servivano con piena fiducia e con sottomissione alla Sua “buona, gradita e perfetta volontà” (Romani 12:3).

Facciamo anche noi come loro!

Rispondi

Scopri di più da BibbiaWeb

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading