Lettera sulla Cena del Signore

John Nelson Darby – Il Dispensatore, 1887

I sottotitoli sono stati aggiunti da BibbiaWeb

1. Il valore spirituale delle parole: «Questo è il mio corpo… questo è il mio sangue»

… Credo che il pane rimanga semplicemente ed assolutamente pane, e che il vino rimanga vino; cioè, che fisicamente non vi sia alcuna variazione negli elementi. Cercare le cose materiali e fisiche in una istituzione del Signore così preziosa, è, secondo me, il considerarla in un modo povero e miserabile. Io ho un bel ritratto di mia madre, che me la ricorda come se ella fosse ancor viva; ma se qualcuno venisse a parlarmi della tela e dei colori, sentirei subito che un tale ne capisce un bel nulla. Ciò che mi è prezioso, è la mia madre stessa; e chi rivolge la mia attenzione sui mezzi impiegati per ricordarmela, mostra che ha nessuna idea di ciò che essa è per me. Il ritratto ha nessun valore, se non in quanto che mi rappresenta al vero colei che non è più là; e riguardandolo, posso dire: è mia madre. Io non potrei disfarmene come d’un semplice pezzo di tela, perché in esso discerno mia madre. Lo porto con me; mi è molto caro; ma se mi fermassi a considerare la perfezione della pittura come opera d’arte, il legame intimo col mio cuore sarebbe rotto.

Nella Cena del nostro Signore v’è ancora qualche cosa di più, perché in essa, secondo l’intenzione dell’istituzione, Egli è realmente presente con noi, in ispirito; e ciò è d’un pregio immenso. Ma gli è piaciuto darci un mezzo fisico, onde potessimo ricordarci di Lui; ed è perciò che parlo d’un ritratto come termine di paragone. Ho ancora un’altra autorità per rifiutare l’idea d’un cambiamento fisico nel pane e nel vino, in ciò che ha detto il Signore nel capitolo 6 di Giovanni che mi citaste: «è lo Spirito che vivifica; la carne non è di alcuna utilità.» Però i versetti di questo capitolo che parlano di mangiare la Sua carne e di bere il Suo sangue, non alludono affatto alla Cena del Signore, ma a Cristo: di ciò non sono soltanto persuaso, ma sicuro. La Cena parla di ciò che parla il capitolo; ma il capitolo non parla della Cena che è il simbolo, bensì della cosa simbolizzata. Questo è evidente, e non si ha che a leggere il capitolo per comprenderlo.

2. Confutazione della transustanziazione (*)

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(*) Transustanziazione: dottrina che afferma che il pane e il vino si cambiano in vero corpo e vero sangue di Gesù.

2.1 Perché Giovanni 6 non parla della Cena?

Se l’applicazione che se n’è fatta alla Cena fosse giusta, non uno di coloro che hanno partecipato ad essa sarebbe perduto, e sarebbe invece perduto colui che non vi ha partecipato, chiunque esso sia; anzi coloro che vi hanno partecipato, non sarebbero soltanto benedetti, ma sarebbero salvati eternamente (vedi Giov. 6:53-54).

2.2 Se ci ricordiamo d’un Cristo vivente, dimentichiamo Cristo morto

Altrove il Salvatore dice che parla di Sè stesso, ch’è disceso dal cielo (e non della Cena) — della medesima Persona che salirà nuovamente al cielo, dov’era prima (versetti 35-41, 48, 51, 58-62). La Cena presenta Cristo soltanto in una di queste condizioni, ma in quella che è, per così dire, centrale: ci presenta un Cristo morto, che è la base di tutto, che è quella preziosa verità per il quale il Padre stesso ebbe un motivo per amare Cristo; ed il fatto che ci viene presentato un Cristo morto, è la prova che non potremmo mai avere negli elementi un Cristo vivente. Ciò equivarrebbe a negare lo stato di morte, ed a distruggere l’oggetto e lo scopo di quest’istituzione, la quale ci presenta la morte di Cristo — un Cristo morto — il Suo corpo rotto ed il Suo sangue sparso.

2.3 Si ricorda d’un fatto passato (Cristo morto), ma non d’una realtà attuale (Cristo vivente)

Ma non si può dire che vi esista un Cristo morto. Egli desidera che noi ci ricordiamo di Lui: — «Fate questo in memoria di me»; ma non è detto di fare la rammemorazione di Cristo vivente nel cielo. Noi viviamo per Lui; Egli è la nostra vita; godiamo della Sua comunione; dimoriamo in Lui, ed Egli dimora in noi — non v’è quindi separazione. Ma se per la mia follia, la comunione è interrotta, non è questione di rammemorarlo, bensì d’essere di nuovo con Lui — con un Salvatore che si manifesta a noi e non al mondo. Ecco fin dove andarono i cattolici romani (ch’io amo molto), col voler dare una spiegazione materiale a questa preziosa istituzione! Essi vorrebbero prenderlo alla lettera («e la lettera uccide»).

2.4 «Senza spargimento di sangue, non c’è perdono»

Ma poi tolgono letteralmente il sangue; poiché il fatto che il sangue è separato dal corpo, è segno della morte, dell’opera efficace di Cristo; e noi siamo riconciliati e giustificati per il sangue. Per compensare questa perdita, essi insegnano che il corpo, l’anima, il sangue e la divinità di Gesù Cristo vi sono in entrembi le specie. Ora, se il sangue è nel corpo, non v’è redenzione; e senza saperlo, essi celebrano un sacramento di non compiuta redenzione. Ecco l’effetto di voler materializzare quest’istituzione! Non v’è prova più grande del modo con cui Satana si prende giuoco degli uomini, quand’essi lasciano lo Spirito per la carne, che questo fatto, il quale forma il centro del sistema cattolico romano. Quanto a me, affermo positivamente che la loro Eucarestia è un sacramento, non di redenzione, ma di irredenzione. Se voi mi dite che molti fra loro pensano al Salvatore, all’efficacia della Sua morte, lo credo e me ne rallegro; ma per ciò fare essi devono lasciare il materialismo del loro sistema e seguire i pensieri della fede. Essi pensano, quindi, ad un sangue sparso, e lo bevono; pensano ad un Salvatore morto, ad un corpo rotto, e così mangiano realmente la Sua carne. In questo caso (che Iddio sia benedetto!) Satana non è stato capace di nascondere alla loro fede ciò ch’è negato nella forma alla quale essi danno molta importanza.

3. Parallelo con il battesimo

Nel capitolo 6 di Giovanni è la stessa cosa come nel capitolo 3, dove ci viene detto che bisogna essere nato d’acqua. Se si applica ciò al battesimo, allora vuol dire che siamo nati da Dio per mezzo dell’acqua, il che è falso. è lo stesso sistema ovunque; un sistema che il Nemico ha introdotto nella Chiesa per distruggere la necessità e la potenza di una vera opera nel cuore, e ridurre il cristianesimo al livello del giudaismo — cioè, ad una religione di forme, attribuendo loro la pretesa (che non trovasi nemmeno in questo) di conferire all’uomo ciò che quello solo può dargli. Essi dicono che il battesimo c’introduce in quella posizione di cui parla Giovanni 3, mentre invece la Santa Scrittura ci dice che noi siamo lavati per la Parola. Efesini 5:26: «Il lavaggio dell’acqua mediante la Parola» ci rivela la Parola vivente, morta e risuscitata per noi.

4. Importanza della Santa Cena dovuta all’importanza di ciò ch’essa rappresenta

Ora, dobbiamo noi per questo diminuire l’importanza o la dolcezza di una tale istituzione? Al contrario: noi impediamo che si materializzi, ed insistiamo che vi sia nel cuore la spirituale realizzazione di ciò ch’essa rappresenta, invece di ciò che chiamasi un opus operatum (*), il quale è semplicemente materiale. Il punto di partenza si è che noi siamo uniti ad un Cristo glorificato; un Cristo morto non c’è più — la morte non ha più potenza sopra di Lui. Io sono in comunione con quel Cristo che è lassù nella gloria; sono unito a Lui; e sarò simile a Lui. Il pensiero di vederlo com’Egli è, e la speranza della gloria, mi rallegrano e mi riempiono il cuore d’amore. Debbo perciò dimenticare la Sua morte e le Sue sofferenze? Così non sia! Sono appunto esse che mi uniscono a Cristo coi sentimenti della più tenera affezione. Dov’Egli ebbe a soffrire ed a compiere ogni cosa, fu solo; ma alla fine il mio cuore sarà con Lui. Egli non mi chiamò per essere con Lui nella posizione di sofferenza, perché non avrei potuto seguirlo; ma volle essere solo — che sia benedetto il Suo Nome! — ed ha compiuto tutto in modo perfetto. Quel cuore però che volle dare Sè stesso per me allora, è quello stesso che ora pensa a me e che mi ama. Rammemorando la Sua morte, il Suo amore, le Sue sofferenze, cosa dico? — divino ed umano ad un tempo! — io sono unito di cuore con Lui, là dov’Egli è — nel cielo; non è un’altra persona od un altro amore, ma è quegli stesso che soffrì in questo mondo. Sia nella Cena, dove lo ricordiamo in un modo particolare e commovente, sia in altri momenti…, quando pensiamo alla Sua morte, quando ci nutriamo di Lui come essendo morto per noi, siamo in comunione con Lui che è vivente, e realizziamo l’amore di Colui che vive — lo stesso amore, lo stesso cuore del Salvatore: noi dimoriamo in Lui, ed Egli in noi. Non è detto esattamente: «Fate questo in memoria» della mia morte, ma «di me». Inoltre Lo ricordiamo sulla terra nella Sua incarnazione, e specialmente come morto sulla croce. Fare rammemorazione di Lui! — non di Lui nei cieli, ma di Colui che ora vive nel cielo e che fu per un tempo umiliato quaggiù e messo alla morte per noi; v’è anche una certa azione del cuore — noi mangiamo. Nel capitolo 5 di Giovanni il Figliuol di Dio vivifica chi Egli vuole; qui mangiamo il ch’è disceso dal cielo — mangiamo il Suo corpo e beviamo il Suo sangue.

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(*) Opus operatum vuol dire opera operata (ossia effetto prodotto) attribuita materialmente alla cena, ed in generale alla messa nella cristianità.

5. La nostra posizione: uniti a Cristo vivente nel cielo

è della somma importanza di ben comprendere che Cristo morto non esiste più, e che non possiamo avere alcuna relazione con un Cristo vivente sulla terra. Quand’anche come Giudei avessimo avuto una tal relazione, saremmo costretti di dire con Paolo: «Se anche abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora però non lo conosciamo più così.» La morte ha messo fine ad ogni relazione di Cristo col mondo, secondo la carne; ed ora Egli vive come Capo d’una nuova razza — come il secondo uomo. Perciò in Giov. 6:53, il Signore stabilisce come condizione indispensabile della vita, il mangiare la Sua carne e bere il Suo sangue, che equivale a riceverlo nella Sua morte. Quindi noi Lo commemoriamo prima della Sua risurrezione, e siamo uniti con Lui, come vivente, dopo la Sua risurrezione, com’Egli stesso ha detto: «Se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto.» Quindi la nostra unione è con un Cristo glorificato, e non dobbiamo conoscerlo altrimenti; ma la più potente molla di affezione per il cuore è un Cristo — uomo nel mondo, ed un Cristo morto. Ciò mi nutrisce, e mi fa vivere; ma se ritorniamo indietro, per così dire, ad un Cristo tal quale è stato in questo mondo, rovesciamo interamente il significato di questa istituzione non solo, ma dell’intero cristianesimo. Ogni qualvolta noi mangiamo questo pane e beviamo questo calice, noi annunziamo la morte del Signore finché Egli venga; ma se vogliamo introdurre un Cristo vivente, onde animare, per così esprimermi, il Cristo morto, noi Lo distruggiamo. Perché dunque è detto: «Non discerne il corpo del Signore»? Quale corpo? — Il Suo corpo morto. Presentasi ai nostri sguardi un perfetto amore, l’opera Sua compiuta, un’ubbidienza che non fu impedita da nessuna difficoltà!… V’è forse qualche cosa all’infuori d’un corpo morto? Se è così, io non so più dove mi sia, né cosa significa la Cena. Non animarla con la vita che ebbe Cristo prima della Sua morte! La Sua obbedienza non era ancor finita, la Sua opera non ancor compiuta, né il Suo amore perfettamente manifestato! Non animarla con la vita che ha ora Cristi risorto! In tal caso Lo allontanerebbe da me come morto; la morte ch’è la base della salvezza, la prova dell’obbedienza, la glorificazione di Dio, non ci sarebbe più. Oh non allontanate da me questa morte, questo corpo rotto, questo sangue sparso per sempre, il quale mi dice che ogni cosa è compiuta, e che mediante l’amore del mio Salvatore, il peccato è cancellato per sempre! Se potete farmi afferrare sempre più strettamente ciò che v’è di prezioso in questo Salvatore morto, nella morte di Colui che è l’eterno Figliuol di Dio; se potete farmi nutrire di Lui con maggior fede, con maggior spiritualità, con un intelligenza più divina, e con maggior cuore… oh! allora ve ne sarò riconoscentissimo; ma che mi sia lasciato il mio Salvatore morto! Quando uno è in comunione con Lui vivente, c’è nulla di così prezioso come la Sua morte, ch’è così preziosa anche a Dio: «Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita, per riprenderla poi.» In quanto a me, quest’è la fine, o meglio la prova e l’ultima convinzione che ho finito col primo Adamo, che per la fede la prima creazione non esiste più, essendo essa per il cuore il tenero e perfetto amore del Salvatore. Io non sono più né Giudeo, né Gentile, né un uomo che viva sopra la terra; io sono cristiano. La morte di Cristo, Capo d’ogni cosa, ha messo fine alla prima creazione e ci ha introdotti in una nuova, come primizie, uniti con Lui.

6. Gli elementi rimangono pane e vino, ma la fede discerne e si nutrisce di Gesù

Quindi io discerno il Corpo del Signore, ma il corpo del Signore rotto — il Suo sangue sparso — la Sua morte! Non è un pasto ordinario od una semplice rimembranza, se volete; ma un’istituzione che Cristo ha dato ai Suoi; non affinché trovino negli elementi altro se non il pane ed il frutto della vigna, ma onde la loro fede possa, nel modo più dolce e con la potenza dello Spirito Santo, nutrirsi di Gesù, di ciò ch’Egli è stato per loro quando morì sulla croce, quando compì quell’opera la cui efficacia rimane eternamente anche agli occhi del Padre, ma il cui amore è tutto per noi. Se io faccio questa commemorazione con leggerezza, mi rendo colpevole del corpo e del sangue del Signore, perché è appunto questo corpo e questo sangue che mi sono presentati in essa.

Dubito che vi siano molti in questo mondo che godano della Cena del Signore, quantunque non dubiti che vi siano molte persone pie; in quanto a me, credo che per goderne sia necessario mantenere sempre vivo il pensiero ch’essa ci presenta il corpo ed il sangue del nostro Salvatore morto, e per conseguenza un amore perfetto ed una perfetta opera. Ma Egli non può essere nel Suo corpo morto, ch’io discerno per la fede. Egli è in me, onde io possa godere di Lui; se è introdotto come vivente, ciò ch’io dovrei discernere non esiste più. Tutto ciò è in connessione col fatto della posizione interamente nuova del Cristo vivente — una dottrina che Paolo ci presenta con una speciale e divina energia, che il Nemico ha sempre cercato di nascondere, anche sotto forma della pietà, e che Paolo ha conservata mediante grandi sforzi. Quante angustie egli soffrì per le mene del Nemico che voleva ricondurre delle anime al giudaismo, come se vivessero ancora nel mondo! «Voi siete morti, e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio.»

Che Iddio ci conceda di discernere sempre meglio il Corpo di Gesù — di nutrirci della Sua carne, e di realizzare sempre più la Sua morte! Sì! questa morte è preziosissima. Essa c’incontra nei nostri propri bisogni, e ce ne libera introducendoci là dov’Egli è, nella potenza d’una nuova vita, che per la Sua morte non ne conosce la fine.

Vi ho scritto un po’in lungo, e mi fermerei ancora volentieri su questo soggetto, perché fra tutte le istituzioni, quella della Cena del Signore mi è la più preziosa, solamente per essere tale bisogna ch’essa mi presenti un Salvatore morto. Ora, però, vivo con Lui nel cielo.

Vi sarebbe un altro aspetto — quello dell’unità del corpo — ch’io non ho toccato, quantunque sia un prezioso lato della verità di quest’istituzione del Signore; ma è all’infuori della vostra questione.

Spero che possiate almeno comprendere la base del mio pensiero, quantunque vi abbia scritto con molto fretta.

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