Lo spirito di giudizio

di Arend Remmers

Articolo tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 01-2003

Matteo 7:1-6

 I versetti da 1 a 6 del cap. 7 del Vangelo di Matteo trattano le relazioni del discepolo con il suo prossimo. Il Signore Gesù parla prima di tutto di un cattivo spirito di giudizio (v. 1-5) e poi della capacità di giudicare (v. 6).

La necessità di giudicare

“Non giudicate” (v. 1). Questo versetto ben conosciuto, ha, come altri versetti della Parola, un carattere quasi proverbiale. Ma talvolta è mal compreso e male applicato anche dai credenti.

Il Signore Gesù non vieta ai suoi discepoli di esercitare un sano giudizio spirituale, anzi, nel corso del discorso richiama la loro capacità di giudicare fra ciò che si deve o non si deve fare. Anche l’apostolo Paolo invita i suoi lettori a giudicare ciò che egli scrive (1 Corinzi 10:15).

Il termine originale greco tradotto in questo passo con la parola “giudicare” ha molte sfumature, che vanno da “distinguere”, a “esprimere un giudizio” fino a “condannare”.

Come discepoli del Signore, dovremmo non solo “provare noi stessi” alla luce di Dio e giudicarci, se necessario (Romani 14:13; 1 Corinzi 11:31), ma anche provare ciò che ci viene presentato, specialmente nel campo spirituale (1 Corinzi 12:10; 1 Giovanni 4:1).

Anche la Chiesa ha la responsabilità di condannare il male e giudicare coloro che persistono in comportamenti che denotano un cattivo stato spirituale o che sostengono degli errori. Paolo scrive: “Non giudicate voi quelli di dentro? Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi stessi” (1 Corinzi 5:12-13)

Tutti questi metodi di giudizio sono necessari nella vita dei credenti, per la realizzazione della loro comunione, per la loro prosperità e la loro crescita spirituale, come pure per portare onore alla gloria e alla santità di Dio. L’assenza di questo giudizio spirituale porta all’indifferenza e alla mondanità.

Il cattivo spirito di giudizio

Il compito di occuparsi del male negli altri è sempre penoso, e dev’essere portato avanti con uno spirito d’amore, di grazia e di umiltà. Il suo scopo principale è di raggiungere e di guadagnare il cuore e la coscienza. Se dei fratelli, chiamati a occuparsi di qualcuno che ha peccato, non compiono questo servizio con tale disposizione, ma con uno spirito di giudizio, essi non sono d’aiuto e non fanno altro che aggravare la situazione. Il risultato è spesso amarezza e indurimento.

Gal. 6:1 ci insegna come agire in tali circostanze: “Fratelli, se uno viene sorpreso in colpa, voi, che siete spirituali, rialzatelo con spirito di mansuetudine. Bada bene a te stesso, che anche tu non sia tentato” (confr. anche Matteo 18:15-18).

Dicendo: “Non giudicate”, il Signore non parla di questo giudizio del peccato praticato con un spirito umile e con l’atteggiamento adatto. Egli condanna lo spirito di giudizio, la tendenza farisaica ad elevarsi sempre al di sopra degli altri, e a considerare non solo i loro atti, ma anche le intenzioni o le presunte motivazioni, e tutto ciò in modo negativo, senza carità.

 Questo spirito di giudizio manifesta con diverse caratteristiche:

  • leggerezza di spirito, perché si giudica prima di conoscere esattamente il contesto;
  • ingiustizia, perché non si possono conoscere le motivazioni altrui senza averne parlato con l’interessato nell’amore fraterno;
  • orgoglio, perché chi giudica così si eleva al di sopra del suo fratello;
  • ipocrisia, perché si usa l’amore e lo zelo per il Signore solo come un manto esteriore;
  • durezza di cuore, perché una debolezza può essere subito qualificata come “male”.

Il Signore ci mette in guardia verso questi pericoli con molta insistenza. Anche l’apostolo Paolo avvertiva i Corinzi di non pronunciare giudizi prima del tempo (1 Corinzi 4:5) e invitava i Romani a non giudicare i loro fratelli con ristrettezza di cuore (Romani 14:3,10,13), esortandoli allo stesso tempo a giudicare se stessi.

Con che misura misuriamo?

Il Signore Gesù aggiunge: “affinché non siate giudicati”. Da queste parole possiamo comprendere che chi giudica indebitamente gli altri, non dovrebbe stupirsi se riceve altrettanto dal suo prossimo. Ma può anche significare che sarà Dio a giudicare noi, e con la stessa misura.

Per chi rifiuta di accettare il Figlio di Dio come proprio Salvatore, non resta altro che l’attesa terribile del giudizio e della condanna eterna. Invece, chi crede in Lui sa che non incontrerà il giudizio; ma sa anche che Dio, come Padre, disciplina i suoi figli durante la loro vita terrena e giudica senza fare parzialità (Ebrei 12:4-11; 1 Pietro 1:17; 1 Corinzi 11:32). Un giorno tutti i credenti saranno manifestati davanti al tribunale di Cristo, e tutti o otterranno una ricompensa oppure subiranno una perdita (1 Corinzi 3:15; 2 Corinzi 5:10).

Questi pensieri devono preservare tutti i discepoli del Signore da uno spirito di giudizio arrogante, “perché con il giudizio con il quale giudicate – dice il Signore – sarete giudicati; e con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi”. Sia ben chiaro che questa dichiarazione non significa che Dio tratterà ingiustamente coloro che hanno giudicato ingiustamente, ma che userà una severità particolare verso quelli che avranno giudicato ingiustamente. Essa ci assicura inoltre che ogni essere umano sarà giudicato da Lui in maniera perfetta, secondo la sua assoluta giustizia.

Alla luce di ciò, il credente si impegnerà per ottenere l’approvazione del suo Giudice celeste. Ecco perché dovremmo agire in armonia con la misura con la quale noi stessi siamo misurati da Dio e giudicare con il giudizio con cui siamo giudicati da Lui. In questo modo manifesteremo nella pratica la nostra posizione di figli di Dio: “Beati i misericordiosi , perché a loro misericordia sarà fatta… Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste” (Matteo 5:7,48). “Siate benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo”.

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