Non c’era forma né bellezza in lui

da una meditazione di P. Seignobos

Leggere Isaia 11:1-4; 49:1-26; 50:2-9; 52:13; 53:1-3

Ci sono versetti della Parola che leggiamo spesso, che ci sono familiari, ma questo non significa che ne conosciamo tutta la ricchezza. Molti passi ci sembrano ben conosciuti, tanto da recitarli a memoria; questo, tuttavia, non basta se non li comprendiamo a fondo. Per entrare nella vera conoscenza della Parola, dobbiamo possederne la chiave; è necessario che sappiamo che tutta la Parola contiene una Persona, ed è di Lei che il profeta Isaia parla nei versetti sopra citati.

La conoscenza del nostro Signore, che siamo invitati ad approfondire e nel quale dobbiamo credere (2 Pietro 3:18), nutre e fa crescere il nostro essere spirituale. Il neonato ha bisogno di latte, e l’uomo adulto di cibo solido. Lo stesso avviene per il credente. Il Signore Gesù è il nutrimento per  le nostre anime, sia come il vero pane che viene dal cielo, raffigurato dalla manna, sia come Cristo glorioso, rappresentato dai prodotti del paese (“il vecchio grano del paese” versione JND – Giosuè 5:12). Qualunque sia il nostro livello spirituale, giovane convertito o più anziano, abbiamo tutti bisogno dello stesso cibo spirituale che è Cristo. Ciò di cui ci nutriamo diviene parte di noi stessi; è ciò che ci riempie il cuore che modella il nostro essere. “Dimmi che cosa ti piace, e ti dirò chi sei”.

Quando cresciamo nella conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, noi non ci inorgogliamo; anzi ci sentiamo piccoli e deboli: questa conoscenza ci trasforma “di gloria in gloria, secondo l’azione del Signore, che è lo Spirito” (2 Corinzi 3:18).

I passi indicati ci parlano del Signore; in essi vediamo un’umiltà, uno spogliamento, una rinuncia che ci colpiscono. Nel tabernacolo, all’interno, c’erano tanti bei paramenti, ma all’esterno si vedeva solo pelle di tasso (o di delfino). Finché era quaggiù, Gesù nascondeva la Sua gloria personale e divina dietro la Sua umanità; non cercava ciò che cerca l’uomo. Egli rifuggiva dalla gloria umana.

Il Signore ha incontrato l’opposizione dei peccatori. “Come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che vien da Dio solo?” (Giovanni 5:44). La presunzione e l’orgoglio impedivano ai farisei di credere; erano dei sepolcri imbiancati, il cui interno era pieno di sporcizia.

Il Signore ha usato grazia coi peggiori dei peccatori; ha mangiato e bevuto con loro: era come il dolce suono del flauto (Matteo 11:17). Questa compassione per i peccatori, uomini e donne, gli ha attirato dei rimproveri e del disprezzo: lo vediamo dal comportamento di Simone, in Luca 7.

Quando era di fronte all’orgoglio e all’ipocrisia dei farisei, Gesù li affrontava e stappava loro la maschera. Dio vuole la verità nel nostro cuore. “Tutte le cose sono nude e scoperte agli occhi di Colui al quale dobbiamo rendere conto” (Ebrei 4:13). Chi pensa di poter nascondere il proprio stato, agli occhi del Dio santo, si espone ad un giudizio terribile.

Per il Signore, la vista del male era una sofferenza. Certamente, ha avuto anche qualche momento buono: c’era il conforto che trovava nella comunione con il Padre e una gioia divina alla quale non mancava nulla. Era quella che desiderava condividere con i Suoi (Giovanni 15:11). Questo è un grande mistero: l’uomo dei dolori conosceva la sofferenza e anche la gioia perfetta! La sofferenza non alterava la gioia e la gioia non diminuiva la sofferenza. Anche l’apostolo Paolo poteva dire: “Afflitti, eppure sempre allegri” (2 Corinzi 6:10).

Nei versetti di Isaia che abbiamo citato, vediamo l’abbassamento e l’umiliazione del Signore che ha detto: “Io sono mansueto e umile di cuore” (Matteo 11:29). La Sua umiltà era come uno sfondo che metteva in risalto tutte le Sue perfezioni. In ogni circostanza, Gesù si comportava in perfetta armonia col pensiero di Dio, offrendo continuamente al Padre un motivo di gioia. L’armonia delle Sue perfezioni era mantenuta e nessuna di esse nuoceva ad un’altra. Nel mondo ci sono persone le cui qualità, troppo elevate, diventano pesanti per gli altri; persone talmente eccezionali che è difficile conviverci, perché mancano di comprensione per i difetti di chi le frequenta. Non ci si sente liberi, si preferisce vivere con qualcuno con qualità meno spiccate; ma tutto, in Gesù, era in equilibrio perfetto.

Ce ne dà una figura bellissima la Parola nel “fior di farina” (Levitico 25:4). La farina prende la forma di tutti i vasi in cui la mettiamo e, se vi infiliamo una mano, non sentiamo alcuna ruvidità. Tutto era grazia nella persona del Signore, anche se avrebbe potuto essere il più severo di tutti. Lui solo avrebbe avuto il diritto di scagliare la prima pietra contro la donna adultera, ma non l’ha fatto; c’era in Lui un perfetto equilibrio tra grazia e santità. Che grazia e che mansuetudine nella Sua vita! Grande è il mistero della pietà: Dio è stato manifestato in carne (1 Timoteo 3:16). Il Figlio di Dio è diventato uomo, ma è rimasto lo Stesso, non poteva essere altri che Se Stesso.

Pensiamo a quello che il Signore ha subito da parte dei peccatori; nonostante tutti gli oltraggi, Egli ha mantenuto intatta la propria dignità. Gli uomini, approfittando della Sua mansuetudine e della Sua umiltà, hanno cercato di distruggere la Sua dignità, coprendolo di vergogna. Hanno sputato sul Suo viso, lo hanno schiaffeggiato cercando di togliergli ogni maestà, ma Gesù ha superato ogni prova, restando sempre uguale a Se Stesso, conservando la dignità e la maestà, anche sotto la corona di spine.

Quell’Uomo unico, che non aveva bisogno di ciò che serve agli uomini per apparire, ha visto infrangersi su di Sé tutte le ondate delle offese dell’umanità. I “cani e i tori di Basan” (Salmo 22:12-13) erano là per Lui, uniti strettamente nell’odio e nella violenza.

Come si è felici quando si legge al capitolo 5 dell’Apocalisse, dove gli scherni lasciano il posto alla lode universale! Com’era grande e magnifico il Signore anche sulla croce! Appariva come un vinto, ma, agli occhi della fede, splendeva di tutte le Sue perfezioni! Tutto l’odio e la cattiveria dell’uomo hanno fatto brillare lo splendore del Suo amore e della Sua umiltà.

Ubbidiente fra i disubbidienti, santo fra i peccatori, non ha detto al lebbroso: “Stai lontano da me”. Lo ha toccato e lo ha guarito. Quel gesto metteva in evidenza la santità di Colui che poteva toccare un lebbroso senza esserne contagiato.

È il Suo spogliamento che ce lo rende tanto caro, e noi sentiamo di poter andare da Lui ed essere accolti. Egli è sempre lo stesso, nella Sua grazia, mansuetudine e umiltà!

Perché un credente, arrivato alla fine, dovrebbe avere qualche apprensione all’idea d’incontrare il Signore? Quando saremo liberati da questo corpo mortale, “saremo simili a Lui, perché lo vedremo com’Egli è” (1 Giovanni 3:2). Un caro credente poteva dire, alla fine della sua vita: “Vado a vedere l’Uomo che era seduto al pozzo di Sicar” e il suo cuore traboccava di gioia.

Noi siamo incapaci di cogliere tutte le glorie e le perfezioni del Signore. Il Signore ha nobilitato tutte le cose: è stato povero, e ha nobilitato la povertà; è stato il figlio di un falegname, ed ha elevato il lavoro manuale; Lui, che avrebbe potuto avere il più grande successo, non ha lasciato nulla di scritto. Ha mostrato questa modestia anche nei Suoi discorsi, nella semplicità del Suo stile. Non ha cercato l’approvazione degli uomini, né abbellito le frasi; restava sempre uguale a Se Stesso.

“Non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né aspetto tale da piacerci”. Avrebbe potuto sbalordire il mondo scientifico della Sua epoca, ma non era venuto per questo. Imitando il Signore, anche Paolo, pur così ricco di sapere, non ha mai cercato di abbagliare quelli a cui si rivolgeva; si presentava come un uomo senza eloquenza, non volendo conoscere che una cosa: “Cristo e Cristo crocifisso” (1 Corinzi 1:22-23). Ecco lo scandalo della croce!

Potrebbe capitarci di assaporare in segreto una sottile esaltazione umana, un po’ di orgoglio, anche nelle cose di Dio; ma è un “fuoco estraneo” (Levitico 10:1, 2). Potremmo inorgoglirci per una buona conoscenza, o per una buona eloquenza o per il canto di un inno ben interpretato… Che il Signore ci guardi da queste cose; temiamole come una “bruciatura”! Giudichiamo l’orgoglio in tutte le sue forme, sia per quel che è in se stesso, un peccato, sia pensando a com’è vissuto il nostro Salvatore e Signore.

Noi siamo, in un modo o in un altro, al servizio del Signore fin dalla nostra conversione. Una casalinga o una madre di famiglia, un semplice impiegato o un importante manager, sono tutti al servizio del Signore. Ci sono lavori che bisogna sempre ricominciare, e potremmo scoraggiarci fino a pensare di aver lavorato invano perché non si vedono risultati. Ma se facciamo queste cose perché è la volontà del Signore, non è mai invano. Al v. 4 del cap. 49 d’Isaia leggiamo: “Invano ho faticato; inutilmente e per nulla ho consumato la mia forza; ma certo, il mio diritto è presso il SIGNORE”. Tutti possiamo subire fallimenti di ogni tipo: ci sono quelli nella professione, nella famiglia, nelle relazioni affettive, nell’educazione dei figli, nella realizzazione di noi stessi, e anche nel servizio del Signore. Dio prende nota del nostro lavoro, soprattutto delle nostre motivazioni. Se il nostro lavoro per Lui, svolto nell’umiltà e con amore, è misconosciuto o disprezzato dal mondo, rallegriamoci, perché la nostra ricompensa è grande nei cieli.

Non dimentichiamo che il Signore stesso non ha avuto una ricompensa immediata; anzi, è stato trattato come un malfattore, ma Egli vedeva la gioia davanti a Sé (Ebrei 12:2).

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