Piccolo commentario del Secondo libro delle Cronache

Jean Koechlin

Le citazioni bibliche di questo commentario fanno riferimento alla versione Giovanni Luzzi


2 Cronache

Capitolo 1, versetti da 1 a 17

Di repente siamo introdotti nel regno del grande Salomone. Il suo nome, che significa «il Pacifico» dirige i nostri sguardi su Cristo, il «Principe di pace» (Isaia 9:6), il cui regno futuro è riccamente illustrato dalle narrazioni e dalle descrizioni che leggeremo. Precisiamo che anzitutto si tratta, in questi capitoli, del regno e del culto terrestre del Messia d’Israele. Ma più d’una volta, i nostri pensieri si trasporteranno, sia per analogia, sia per contrasto, sulla Chiesa e sul suo Capo.

La domanda che l’Eterno legge nel cuore del giovane re corrisponde ad una richiesta di Paolo in favore degli Efesini. L’apostolo faceva menzione di loro nelle sue preghiere, affinché il Dio del Signor nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, dia loro «uno spirito di sapienza e di rivelazione per la piena conoscenza di Lui», ed illumini gli occhi del loro cuore (Efesini 1:16 a 18).

«Poiché l’Eterno dà la sapienza; dalla sua bocca procedono la scienza e l’intelligenza», scriverà Salomone nel libro dei Proverbi (cap. 2:6). Desideriamo possedere questa divina sapienza e domandiamola a Colui «che dà a tutti liberalmente, senza rinfacciare» (Giacomo 1:5).




2 Cronache

Capitolo 2, versetti da 1 a 10

I rapporti di Hiram (o Huram o Churam), re di Tiro, con Salomone prefigurano le relazioni che tutte le nazioni della terra avranno con Israele durante il regno di mille anni. Allora «la terra sarà piena della conoscenza dell’Eterno, come le acque coprono il fondo del mare. E in quel giorno vi sarà una radice d’Isai, che si troverà là come una bandiera dei popoli: le nazioni la ricercheranno, e il suo riposo sarà gloria» (Isaia 11:9-10). Come Hiram che benedice l’Eterno che ha fatto i cieli e la terra (vers. 12), le nazioni adoreranno il vero Dio.

Oltre a tutto ciò che Davide aveva accumulato nel suo affetto per la Casa di Dio, egli aveva anche preparato degli operai per compiere il lavoro (fine del vers. 7; vedere anche 1 Cronache 22:15-16). Così è pure dell’opera del Signore, oggi.

Ogni lavoro per Lui richiede da parte sua un’accurata preparazione dei servitori. Impegnarsi troppo presto in un servizio espone per conseguenza a fare del cattivo lavoro. Dio che ha preparato le opere, ha pure creato, poi formato, gli operai per eseguirle. Efesini 2:10 ci ricorda che «noi siamo fattura di Lui (oppure: opera sua), essendo stati creati in Cristo Gesù per le buone opere, le quali Dio ha innanzi preparate affinché le pratichiamo».




2 Cronache

Capitolo 2, versetti da 11 a 18

Abbiamo appreso, meditando il Libro dei Re, che Huram-Abi (o Hiram) l’operaio abile fra tutti, era una figura dello Spirito Santo. Sotto la direzione illuminata di quest’uomo, gli artigiani preparati da Davide adempiranno il loro compito. Nello stesso modo il credente sarà capace di servire lasciandosi condurre dallo Spirito di Dio. Vedete negli Atti come lo Spirito comunica agli apostoli gli ordini del Signore: Atti 1:2; 8:29; 13:2 e 4; prestiamo orecchio alla sua voce. Essa ci dirà sovente come a Paolo e ai suoi compagni: Non fare questo; non andare là! (Atti 16:6-7).

153’600 uomini sono stati censiti per fare il lavoro. Alcuni erano adibiti a portare pesi; altri a tagliar pietre nella montagna; altri a sorvegliare. Tre forme dell’attività cristiana:

  1. Portare i pesi per mezzo della preghiera. Questa è la prima cosa.
  2. Distaccare le pietre vive dalla cava del mondo e foggiarvele: opera dell’evangelista e degli altri ministeri;
  3. sorvegliare l’opera e il gregge.

 

Cosa notevole: le squadre degli operai si componevano di quei Cananei, stranieri, un tempo nemici d’Israele e un laccio per loro. Sotto il regno del re di pace, sono diventati dei servitori utili.




2 Cronache

Capitolo 3, versetti da 1 a 17

Le Cronache presentano la costruzione del Tempio sotto un altro aspetto del libro dei Re. Quest’ultimo lo considerava soprattutto come l’abitazione dell’Eterno in mezzo al suo popolo. Il nostro libro ce lo mostrerà piuttosto come il luogo di avvicinamento in cui l’adoratore è ammesso a incontrarsi col suo Dio. Il fondamento della Casa è stabilito su questo monte di Morija su cui la grazia di Dio aveva sospeso il giudizio e compiuto l’olocausto.

Per ciò che concerne la Chiesa, sappiamo dalla dichiarazione di Pietro e dalla risposta del Signore Gesù, su quale roccia è costruita: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Matteo 16:16 e 18).

Salomone costruisce successivamente il portico, la casa propriamente detta e il luogo santissimo. Confeziona in seguito i due grandi cherubini, il velo, poi le due colonne Jakin e Boaz. La straordinaria altezza del portico è menzionata soltanto qui: centoventi cubiti, cioè quattro volte l’altezza della casa. Non si trova forse qui un’illustrazione del Salmo 24:7-9 che ripete: «O porte, alzate i vostri capi; alzatevi, o porte eterne, e il re di gloria entrerà»? Per una Persona così grande, che porta potrebbe convenire?




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Capitolo 4, versetti da 1 a 22

La casa, tutta rivestita d’oro, parla di giustizia perfetta e pura. Così l’adoratore non potrebbe avvicinarsi ad essa senza essere passato prima dall’altare di rame dei sacrifici. Quest’altare è quadrato, e le sue dimensioni: venti cubiti di larghezza e venti di lunghezza, sono identiche a quelle dell’«oracolo». Sarebbe come dire che le glorie di questo luogo santissimo corrispondono alla grandezza e alla perfezione del sacrificio rappresentato dall’altare.

Vengono in seguito: il mare di rame di cui i dodici buoi ricordano il lavoro paziente e perseverante di Cristo secondo Efesini 5:26, come pure la fermezza da manifestare in tutte le direzioni per resistere alle influenze esterne e preservare la purezza. Poi i bacini, i candelieri, le tavole, l’altare d’oro, e i diversi utensili, gli accessori dei sacerdoti; questa ci ricorda che possiamo godere delle verità rappresentate dai questi oggetti solo dopo la nostra purificazione morale al «mare di rame» (Salmo 26:6; 2 Corinzi 7:1).

Ad eccezione del calice e del pane della Cena, l’adoratore del Nuovo Testamento non ha più dinanzi a sé né oggetti visibili, né «sacramenti», né cerimonie. Egli è invitato in semplicità a partecipare alla cena del Signore. Il suo culto, secondo l’insegnamento del Signore Gesù, deve essere d’ora innanzi in spirito e in verità, essendo le forme ingannevoli per tradurre lo stato del cuore (Giovanni 4:24). E nella città celeste, dimora eterna dei credenti, non vi sarà neppure il tempio, «poiché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio» (Apocalisse 21:22).




2 Cronache

Capitolo 5, versetti da 1 a 14

La casa meravigliosa è terminata. Ma vi manca ancora l’oggetto principale: l’arca santa. La sua introduzione «al luogo destinatole, nel santuario della casa, nel luogo santissimo, sotto le ali dei cherubini» (vers. 7), dirige i nostri sguardi su Gesù nei luoghi eccelsi, esaltato da Dio stesso, centro della lode universale, che riempie il cielo e la terra della sua gloria. Egli è l’oggetto dell’ammirazione degli angeli (i cherubini; 1 Timoteo 3:16) e dell’adorazione del suo popolo beato. «Un’unica voce», ma diversi strumenti (vers. 13; Salmo 150). Un solo cantico: il cantico nuovo, cantato dalla moltitudine dei riscattati recanti ciascuno la propria nota particolare, ma in perfetto accordo.

Dei tre oggetti che l’arca aveva contenuto: la manna nella sua brocca d’oro, la verga d’Aaronne il sacerdote, e le tavole della legge, sussistono solo queste ultime (vers. 10). Al tempo del viaggio, ormai terminato, Dio aveva dato la manna e condotto il popolo a Sé per mezzo del sacerdozio. Ora l’arca è in Sion, nel riposo di Dio, il quale ha realizzato la sua promessa. Ed Egli stesso, sulla base d’un nuovo patto garantito dalle tavole, si riposa nel suo amore in mezzo al suo popolo riscattato (Sofonia 3:17).




2 Cronache

Capitolo 6, versetti da 1 a 11

Salomone, davanti a tutto il popolo radunato, celebra il Dio d’Israele, ricorda le sue grazie, ed i motivi per cui il Tempio è stato costruito.

Volgere verso l’Eterno il cuore del popolo, è il desiderio del re. E noi pensiamo a Colui che poteva dichiarare, aldilà della morte: «Io annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea» (Salmo 22:22). Talvolta temiamo di indirizzarci a Dio nelle nostre preghiere. Crediamo di trovare nel Signore Gesù più comprensione e tenerezza. Non è questa una mancanza di fiducia verso Dio? «Poiché il Padre stesso vi ama» (Giovanni 16:27), afferma il Signore ai suoi discepoli. Cristo desidera che conosciamo il Padre suo come Lui lo conosce. Ma la croce era necessaria per stabilire questa relazione. Così la sua prima parola per i suoi dopo la sua risurrezione è stata: «Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro» (Giovanni 20:17). Ora che l’opera della redenzione è compiuta, non abbiamo più da fare con un Dio temibile, con un Giudice che occorre flettere. Dio è per noi un Padre a cui possiamo avvicinarci senza spavento, nel nome del Signore Gesù.




2 Cronache
 

Capitolo 6, versetti da 12 a 21
versetti da 40 a 42

Si è notato che la tribuna di rame da cui il re s’indirizza all’Eterno ha esattamente le dimensioni dell’altare di rame del deserto (vers. 13; Esodo 27:1). Particolare che ha un significato bello e importante: È sulla base del suo sacrificio compiuto e accettato da Dio, che Cristo esercita in favore dei suoi gli uffici di sacerdote e d’avvocato presso il Padre. Talché «se noi confessiamo i nostri peccati», Dio è«fedele e giusto» per perdonarceli. Fedele e giusto, poiché Gesù li ha espiasti sulla croce (di cui l’altare ci parla), Dio non può chiedercene conto una seconda volta.

Notate che non è detto: se noi domandiamo perdono; poiché il perdono è già acquistato al riscattato; ma: «se noi confessiamo». E lo stesso passo continua assicurandoci: «Se alcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre, cioè Gesù Cristo, il giusto; ed Egli è la propiziazione per i nostri peccati» (1 Giovanni 1:9 e 2:1-2).

Dopo i vers. 22 a 39, poco differenti da 1 Re 8:31 a 53, Salomone termina la sua preghiera servendosi delle parole del Salmo 132 vers. 8 a 10.

Salomone chiedeva all’Eterno: «Tu esaudisci dal cielo!». I cristiani, istruiti dalla volontà d’amore del Signore, possono dire per esperienza: «Sappiamo ch’Egli ci esaudisce» (1 Giovanni 5:15).




2 Cronache

Capitolo 7, versetti da 1 a 10

In risposta alla preghiera del re, il fuoco scende sull’olocausto. E per la seconda volta (vedere cap. 5:14), la gloria dell’Eterno riempie la Casa. Da quel momento, fino al tempo d’Ezechiele (cap. 10:18; 11:23) vi farà dimora.

Il timore che questa gloria ispira impedisce ai sacerdoti di penetrare nella casa (cap. 5:14; 7:2). Pensiamo per contrasto alla nostra parte eterna. Il Signore vuole avere i suoi vicino a Sé nella gloria. Già, sulla santa montagna, Egli è presentato ai discepoli, essendo Mosè ed Elia con Lui nell’abbagliante nuvola, chiamata «la gloria magnifica» (Matteo 17:5; 2 Pietro 1:17).

Tutto il popolo si prostra ed intona il cantico che sarà quello del regno di mille anni: «Celebrate l’Eterno, perché Egli è buono, perché la sua benignità dura in eterno»(vers. 3; Salmo 136). Dopo di che i sacrifici sono offerti in immensa quantità: 22’000 buoi e 120’000 montoni. Anche qui, quale contrasto con la «unica offerta» per cui siamo stati santificati e resi perfetti: quella del «corpo di Gesù Cristo fatta una volta per sempre» (Ebrei 10:10 e 14).

Poi, per il popolo del gran re, è la gioia senza ombre della Festa dei Tabernacoli.




2 Cronache

Capitolo 7, versetti da 11 a 22

La Casa è stata terminata e inaugurata. Nella sua risposta a Salomone, l’Eterno dichiara che l’ha santificata affinché il Suo nome sia in essa per sempre (vers. 16 e 20). Preziosa sicurezza! Ciò che caratterizza oggi il radunamento dei credenti a cui Gesù ha promesso la sua presenza, è il fatto che esso si riunisce nel nome del Signore (Matteo 18:20). Donde la seria responsabilità di non tollerarvi nulla che disonori questo Nome e questa presenza. È in questo senso che l’Eterno avverte Salomone dal vers. 19.

Ma la presenza del Signore in mezzo ai suoi assicura loro, nello stesso tempo, tutto ciò di cui la loro anima ha bisogno. Come mai dunque certe riunioni sono languenti e fatte di abitudini? Manca allora qualche cosa, ed è evidente che non è l’adempimento della promessa del Signore. Ciò che manca, purtroppo, è la fede, la mia fede nella sua presenza, sufficiente per benedirmi abbondantemente e benedirmi !

Vediamo come la risposta divina corrisponde fin nei particolari alla preghiera del re al capitolo precedente. Paragonaiamo per esempio il vers. 15 col vers. 40 del cap. 6. Sì, aspettiamoci da Dio delle benedizioni precise. Egli troverà piacere ad accordarcele.




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Capitolo 8, versetti da 1 a 18

Salomone consolida il suo regno. Edifica dei magazzini di deposito e delle opere militari. Fra questi Beth-Horon superiore e Beth-Horon inferiore (vers. 5) ci ricordano la straordinaria vittoria di Giosuè (o piuttosto dell’Eterno) nella discesa che separa le due città (Giosuè 10:11). Ora tutti i Cananei che, per l’infedeltà del popolo erano sopravvissuti dopo il tempo della conquista, sono assoggettati ai lavori servili. Invece, in obbedienza alla Parola (Levitico 25:42) i figli d’Israele non sono sottoposti a quei lavori riserbati agli schavi. Il re fa in tal modo una netta distinzione fra quelli che appartengono al popolo di Dio e quelli che non gli appartengono, anche quando si tratta della propria moglie (vers. 11). Questa distinzione esiste ancor oggi, non dimentichiamolo mai.

È vero che eravamo un tempo schiavi del peccato (Rom. 6:20). Ma ora il Figlio ci ha affrancati; noi siamo liberi (Giovanni 8:36). Liberi «per lodare e per fare il servizio… secondo l’opera di ogni giorno» (vers. 14, versione corretta). Ma non liberi per fare quello che vogliamo. «E non si deviò in nulla dagli ordini che il re avea dato» (vers. 15). Il vers. 13 menziona l’ordine di Mosè e il vers. 14 quello di Davide. La vera libertà per il cristiano consiste nel far per amore la volontà del Signore.




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Capitolo 9, versetti da 1 a 12

A parte il suo carattere profetico, la visita della regina di Sheba illustra il cammino del peccatore che va al Salvatore. È l’occasione d’una parola per quello fra i nostri lettori, che non ha ancora fatto questo passo della fede verso il Signore Gesù: Sappiate che nulla di quel che vi è riferito a suo riguardo può paragonarsi alla conoscenza personale che farete di Lui. Di modo che la sola cosa che vi diremo, è, come Filippo a Natanaele: «Vieni e vedi» (Giovanni 1:47; parag. Vers. 6).

E noi che conosciamo Gesù da più o meno tempo, sappiamo qual è la testimonianza più potente che possiamo renderGli? Mostriamo che siamo felici! Attorno a noi, molti senza confessarlo anelano alla vera felicità. Possono essi constatare che la possediamo? E che il segreto di questa felicità è la nostra relazione personale col Signore? La nostra sorte è forse invidiata da loro, come era il caso per la regina in rapporto coi servitori di Salomone? Se abbiamo l’aspetto triste e infelice, faremo loro pensare che Gesù non è in grado di soddisfare il nostro cuore. Ed impediremo gli altri di venire, di vedere… e di credere.

Notiamo ancora la differenza di misura tra quello che la regina aveva portato e quello che riceve: «tutto quello ch’essa bramò e chiese» (vers. 12).




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Capitolo 9, versetti da 13 a 31

Gloria, ricchezze, sapienza, potenza… il regno del figlio di Davide si chiude sopra una visione magnifica! Non solo la regina di Sheba, ma tutti i re della terra vengono ad udire la sapienza del grande Salomone, a recargli dei doni, e anzitutto a vederlo (vers. 23).

A ben più forte ragione sarà così del Signore! «Dei re lo vedranno e si leveranno; dei principi pure e si prostreranno, a motivo dell’Eterno che è fedele, del Santo d’Israele che t’ha scelto» (Isaia 49:7). È anche scritto: «I tuoi occhi mireranno il re nella sua bellezza» (Isaia 33:17). L’adempimento di questa promessa sarà per Israele e per le nazioni la suprema benedizione. Ma i suoi felici riscattati saranno i primi a contemplarLo. — Sì, vedere il Signore! Questo pensiero riempie forse il vostro cuore di gioia… o di timore?… Ovvero vi lascia esso indifferente?

La storia di Salomone è terminata. Ma… dove sono dunque i gravi peccati messi in evidenza dal 1° Libro dei Re? È possibile che il nostro libro non ne faccia la minima allusione? Veramente la meravigliosa grazia li ha tutti cancellati, onde mostrarci attraverso questo re uno più grande di Salomone: Gesù Cristo (Luca 11:31).




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Capitolo 10, versetti da 1 a 19

Israele si è radunato a Sichem attorno al nuovo re e gli chiede: «Rendi più lieve la dura servitù…». Che cosa consigliano i vecchi a Roboamo?: «Se ti mostri benevolo verso questo popolo, e gli compiaci…» (vers. 7). E in 1 Re 12:7: «Se oggi tu ti fai il servitore di questo popolo,… se gli parli con bontà…» Tale è, anche per un re, il solo modo di conquistare o di conservarsi l’affetto altrui. I nostri pensieri vanno sul Signore Gesù. Egli è venuto non «per essere servito, ma per servire» (Matteo 20, leggere vers. 26 a 28). I suoi titoli di gloria non gli sono stati di ostacolo nel suo sentiero d’umiltà, d’amore e di devozione. Talché Egli si è acquistato ora tutti i diritti all’obbedienza degli uomini (Filippesi 2:6 a 11). Ad esempio di questo grande Modello, quelli che hanno una posizione d’autorità devono essere i primi nel servizio. Poiché come esigere l’obbedienza e la devozione quando noi stessi non ne diamo l’esempio? Roboamo ha rifiutato di servire il suo popolo. È forse da stupirsi che le dieci tribù rifiutino anche di servirlo? Il suo proprio orgoglio li ha distolti dal sentiero dell’umile sottomissione. E questo conduce alla divisione! Mai più, fino all’avvento in gloria del Signore, il popolo ritroverà la sua vera unità.




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Capitolo 11, versetti da 1 a 23

La divisione d’Israele in due regni è stata un giudicio di Dio. È dunque fatica sprecata mettere in campo 180’000 uomini scelti, per capovolgere la situazione. Roboamo, avvertito dall’uomo di Dio, rinuncia alla sua impresa. Consacra il suo tempo a costruire delle città per assicurare la protezione e il vettovagliamento al suo piccolo regno.

Da parte sua Geroboamo non è inattivo; purtroppo in tutt’altro senso! Nel timore di perdere la sua influenza lasciando che i suoi sudditi salgano alle feste di Gerusalemme, stabilisce un culto nazionale idolatra, abbominevole agli occhi di Dio. Allora i sacerdoti ed i Leviti delle dieci tribù mostrano la loro consacrazione all’Eterno e alla sua Parola. Lasciando il terreno contaminato, si stabiliscono in Giuda, preferendo abbandonare tutto quel che posseggono, piuttosto di rimanere associati all’iniquità. Quanti cristiani hanno dovuto, e devono ancora, fare altrettanto per fedeltà al Signore! (vedere 2 Timoteo 2:19). Incoraggiati dall’esempio di quei Leviti, altri fedeli appartenenti a quelle dieci tribù, senza cessare probabilmente di abitare nelle loro città, salgono d’ora innanzi a Gerusalemme per i loro sacrifici in obbedienza alla Parola.




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Capitolo 12, versetti da 1 a 16

Tre brevi anni dura la fedeltà di Roboamo e del popolo. Allora, come al tempo dei giudici, Dio parlerà loro suscitando contro loro degli avversari. L’offensiva del Faraone Scishak permetterà al re e al popolo di paragonare il servizio dell’Eterno con quello del re d’Egitto (vers. 8). Prima constatazione: Mentre l’Eterno arricchisce i suoi servitori, il Nemico spoglia quelli che riduce in schiavitù.

La parola di Scemaia, il profeta, ha prodotto l’umiliazione nel cuore dei capi d’Israele e del re. Essa li condusse a dire: «L’Eterno è giusto». Riconoscere questa giustizia… anche quando essa ha dovuto agire contro noi, è sempre un buon segno (vedere Luca 23:41). Ciò permette a Dio di rivelarsi in seguito, non solo come un Dio giusto, ma anche come un Dio misericordioso, un Dio Salvatore. Vedete come mette in rilievo le «buone cose» che può ancora discernere nel regno di Giuda. Nonostante tutto, nell’insieme, Roboamo «fece il male» (vers. 14). Un male dalle radici lontane, poiché la madre sua, una Ammonita, era stata sposata da Salomone prima della morte di Davide (parag. cap. 9:30 con 12:13).




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Capitolo 13, versetti da 1 a 12

Contrariamente alle istruzioni della Parola (Deuteronomio 21:15 a 17), Roboamo ha nominato come suo erede e successore Abija, figlio della moglie preferita, Maaca (o Micaia — vedere cap. 11:20-21). Da una tale infedeltà non poteva risultare che un cattivo regno. E tuttavia la breve storia di questo re contiene una bella pagina. Essa è omessa nel Libro dei «Re», ma il nostro libro della grazia non poteva passarla sotto silenzio. Si tratta della guerra che scoppia fra Abija e Geroboamo. Secondo Luca 14:31, era insensato da parte del re di Giuda intraprendere una guerra con la metà di soldati del suo avversario. Ma Abija ha per sé dei vantaggi che compensano ai suoi occhi la sua inferiorità numerica. Li fa valere nel discorso che rivolge all’esercito d’Israele. Dalla parte di Giuda erano la dinastia di Davide, il vero culto con il sacerdozio, ed anche con la presenza dell’Eterno. Abija pretende di non averLo abbandonato (vers. 10), prova che non conosce se stesso. Infine vi era un’arma segreta, efficace fra tutte, di cui vedremo domani il ruolo decisivo: la tromba squillante (vers. 12).




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Capitolo 13, versetti da 13 a 22

Il discorso di Abija alle truppe d’Israele è stato pronunziato con un tono di superiorità poco convenevole. Occorre la manovra di accerchiamento di Geroboamo per mettere alla prova il re di Giuda e il suo esercito. Ad un certo momento questo si trova preso per di dietro, ed è sul punto d’essere schiacciato. Ma una direzione resta libera: il cielo. Grida di distretta salgono verso l’Eterno; ora ogni pretesa è caduta. E la fede si mostra. Essa si serve d’uno strano strumento di guerra… ma ben conosciuto nella storia d’Israele: le trombe, figura della preghiera (vedere Giosuè 6:4; Giudici 7:18). Arma irresistibile, perché la fede che se ne serve s’appoggia sulla Parola divina e sulle sue promesse sempre valevoli (leggere Numeri 10:9). Ebbene, l’appello della fede non poteva non essere udito! Il suono squillante ha parlato al cuore di Dio del pericolo che i suoi correvano. E senza dubbio ha parlato pure solennemente al cuore degli uomini di Geroboamo che stavano per far guerra ai loro fratelli… e all’Eterno.

L’esercito d’Israele è sbaragliato e umiliato (vers. 18) avendo dato prova che né la forza (vers. 3) né l’astuzia (vers. 13) non potevano competere con la fiducia in Dio.




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Capitolo 14, versetti da 1 a 15

Asa, figlio e successore di Abija, da re fedele purifica Giuda dalla sua idolatria. La Parola insiste sul riposo e la tranquillità di cui il paese gode durante la prima parte di questo regno (vers. 1, 5, 6, 7). Asa mette a profitto questo riposo per edificare delle cittadelle e rinforzare la difesa del suo territorio. E ci dà pure un’importante lezione. Certi periodi della nostra vita corrispondono a tempi di riposo: Vacanze, vari momenti di libertà. «L’armatura completa di Dio» deve essere rivestita in anticipo, «onde possiate resistere nel giorno malvagio… (Efesini 6:13…).

Il giorno malvagio, quello dell’offensiva di Zerah, trova dunque un Asa preparato. Soprattutto, egli dispone dello «scudo della fede», vale a dire della semplice fiducia nel suo Dio, che brilla nella sua bella preghiera del versetto 11. Nessuna forza da parte sua, nonostante i suoi 580’000 soldati. Di fronte a sé un milione di avversari. A vista umana, conflitto ben ineguale! Ma è sempre vero che «quando sono debole, allora sono forte» (2 Corinzi 12:10). Dio risponde alla fede d’Asa dandogli una strepitosa vittoria e un bottino considerevole.




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Capitolo 15, versetti da 1 a 19

Asa è stato fedele. Per mezzo di Azaria, Dio lo incoraggerà. La sua Parola non è meno necessaria dopo il combattimento che prima di questo. Poiché allora la tendenza naturale è di rilassarsi. «Non vi lasciate illanguidire le braccia» raccomanda il profeta; aggiungendo questa promessa: «L’opera vostra avrà una mercede». Queste parole producono il loro effetto. Asa, pieno d’energia, fa sparire dal paese le cose abominevoli e ristabilisce il servizio dell’altare. Zelo particolarmente notevole, che trascina dietro a sé non soltanto quelli di Giuda e di Beniamino, ma anche «gran numero di Israeliti» delle altre tribù (vers. 9)! Così sarà della devozione che mostreremo per il Signore. Egli incoraggerà altri credenti, più timidi forse, a manifestare la loro fede. È un’esperienza che molti hanno fatta, particolarmente al servizio militare. Qualcuno ha detto: Un cuore sinceramente attaccato al Signore, è ciò che parla alla coscienza degli altri (W. Kelly).

Asa comprende che non può chiedere al popolo una completa purificazione se egli stesso non ne dà l’esempio nella propria famiglia. Non esita ad agire contro Maaca, la madre, destituendola dalla dignità di regina e riducendo il suo idolo in polvere e cenere.




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Capitolo 16, versetti da 1 a 14

Il versetto 11 distingue le prime azioni d’Asa, piacevoli a Dio, dalle ultime, ahimè, molto diverse.

Baasa, re d’Israele, geloso di vedere molti dei suoi sudditi passare al paese di Giuda (cap. 15:9), edifica una città per impedirli. Allora Asa, invece di rivolgersi all’Eterno per fermare il re nella sua impresa, conclude un’alleanza profana con la Siria. Abile politica, in apparenza, poiché essa comincia a produrre l’effetto desiderato! Ma Dio non giudica così, e biasima il re per mezzo d’un profeta. La sua mancanza di fiducia — e di memoria (vers. 8) — lo priverà d’una vittoria sui Siri. Irritato per aver lasciato sfuggire una così buona occasione e ferito nel suo amor proprio, Asa imprigiona colui che è diventato il suo nemico dicendogli la verità (Galati 4:16). Dio lo disciplina con una dolorosa malattia. Invano! Continua a confidarsi negli uomini piuttosto che in Dio e muore senza aver imparato quest’ultima lezione. Asa aveva camminato con Dio durante trentacinque anni su quaranta. Ha mancato per pochi anni. Chiediamo al Signore di guardarci fino al nostro ultimo giorno (2 Timoteo 1:12; 4:18).




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Capitolo 17, versetti da 1 a 19

Ritroviamo ora Giosafat, re pio, di cui il Libro dei Re ci ha già parlato molto. Ricordiamo che dalla morte di Salomone, le Cronache tracciano di nuovo la storia dei re di Giuda, mentre nel libro dei Re si trattava di quelli d’Israele. Perché allora la vita di Giosafat vi occupava tanto posto? Purtroppo, perché era strettamente frammischiata a quella di Achab e di Joram, re d’Israele! Ma il nostro capitolo 17 non ha da dire di questo re che delle cose buone. Egli si fortifica (vers. 1); cammina «nelle vie che Davide suo padre aveva seguite da principio»… egli cerca il Dio di suo padre, si conduce secondo i suoi comandamenti, il suo coraggio cresce… fa sparire gli idoli (vers. 1 a 6). E non soltanto si separa dal male come l’ha fatto Asa suo padre, ma stabilisce il bene (vers. 7 a 11). Due lati inseparabili dell’attività cristiana! (Romani 12:9; 1 Pietro 3:11).

Fra gli ufficiali superiori, Amasia si era volontariamente consacrato all’Eterno, come un vero Nazireo (Numeri 6:1; vedere anche 2 Corinzi 8:5). È possibile — e questo è un appello rivolto ad ogni credente — essere consacrato al Signore, pur compiendo fedelmente il proprio mestiere o il proprio compito quotidiano. «Qualunque cosa facciate, operate di buon animo, come per il Signore» (Colossesi 3:23).




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Capitolo 18, versetti da 1 a 3
versetti da 28 a 34

La storia di Giosafat prosegue. Ciò che ha fatto cadere quest’uomo fedele, sono le sue cattive compagnie. Le relazioni mondane, gli scambi d’amabilità fra gente dello stesso ambiente sociale; esse sono state un laccio per molti credenti. Vedete per Giosafat quali ne sono state le conseguenze!

1° Ha fatto concludere al figlio una unione regale con una figlia della casa reale d’Israele. Una figlia che non è altro che Athalia! Brillante matrimonio senza dubbio agli occhi degli uomini! In realtà punto di partenza d’una rovina immancabile di tutta la sua famiglia.

2° Egli rinnega la sua testimonianza mettendosi allo stesso livello del malvagio re d’Israele: «Fa’ conto di me come di te stesso…» (vers. 3).

3° Infine, per il timore di spiacere al suo regale amico, si lascia trascinare nel pericoloso ricupero di Ramoth di Galaad. Oh! meditiamo e riteniamo Galati 1:10! L’alleanza che Giosafat conclude con Israele, contro i Siri, non era migliore di quella che il padre suo Asa aveva concluso con i Siri, contro Israele. Essa finisce col porre il disgraziato re in una drammatica situazione, la stessa di Saul sul monte Ghilboa. Situazione donde Dio solo, in risposta al suo grido, potè, per miracolo farlo sfuggire! (vedere Salmo 120:1).




2 Cronache

Capitolo 19, versetti da 1 a 11

La sua funesta alleanza con Israele valse a Giosafat un severo biasimo dall’Eterno. Jehu fa al re una domanda che lo scruta, e ad un tempo gli insegna ciò che Dio pensa di Achab: «Dovevi tu dare aiuto ad un empio, e amar quelli che odiano l’Eterno?» (vers. 2).

Cristiani, non dimentichiamo che terribile nome dà la Parola a quelli che amano il mondo: «Chi… vuol essere amico del mondo si rende nemico di Dio» (Giacomo 4:4).

Jehu non ha mancato di coraggio, poiché sotto il regno d’Asa, una simile missione era costata la prigione al padre suo Hanani (cap. 16:7 a 10). Ma Giosafat ascolta la riprensione. È il mezzo per diventare «accorto», per acquistare «senno» (Proverbi 13:18; 15:5 e 32). Accettiamo noi pure le riprensioni e le osservazioni che possono esserci fatte, poiché esse hanno un così prezioso risultato.

Mentre suo padre Asa non era stato ristorato, Giosafat può riprendere dopo quell’eclissi la sua bella attività del cap. 17. Non contento questa volta di mandare degli emissari, fa un giro fra il popolo. Da vero pastore d’Israele, si occupa di ricondurlo all’Eterno (vers. 4). Dopo di che, stabilisce dei giudici, ai quali fa insistenti raccomandazioni.




2 Cronache

Capitolo 20, versetti da 1 a 13

Tre avversari ad un tempo si avanzano contro il piccolo regno di Giuda. Sono i suoi soliti nemici: Moab, Ammon e i Maoniti che facevano parte di Edom. Di fronte alla minaccia di quest’invasione, Giosafat ricerca l’Eterno e proclama un digiuno. Il popolo si raduna. Riferendosi alla preghiera di Salomone (cap. 6:34-35) il re sta in piè dinanzi alla santa Casa ed invoca Colui che ha promesso d’ascoltare e di fare giustizia (vers. 8-9).

Addizionando l’effettivo militare di cui Giosafat disponeva (cap. 17:14 a 18) si giunge alla cifra impressionante di un milione centosessantamila soldati. Ebbene, in questo lungo capitolo non sarà praticamente parlato di loro! Giosafat ha capito quella parola del Salmo 33: «Il re non è salvato per grandezza d’esercito, il prode non scampa per la sua gran forza… L’anima nostra aspetta l’Eterno; Egli è il nostro aiuto e il nostro scudo» (Salmo 33:16 e 20). Così il re riconosce di essere senza forza e senza saggezza (vers. 12). Ma, aggiunge egli, «gli occhi nostri sono su te». E, inversamente, «L’Eterno infatti con i suoi occhi scorre avanti e indietro per tutta la terra per mostrare la sua forza verso quelli che hanno il cuore integro verso di lui» (cap. 16:9, versione Nuova Diodati).




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Capitolo 20, versetti da 14 a 24

La fiduciosa preghiera di Giosafat riceve una risposta immediata e pubblica. Nel nome dell’Eterno, Jahaziel rassicura il popolo e il suo re. Divini incoraggiamenti, la cui lettura è stata profittevole da allora a tanti credenti nel pericolo! Paragonate il vers. 17 con la parola che Mosè rivolge ad Israele al momento del passaggio del mar Rosso: «Non temete; state fermi, e mirate la liberazione dell’Eterno…» (Esodo 14:13).

Senza aspettare che Dio abbia agito, Giosafat, con tutto il popolo, rende grazie e adora. Come onora Dio, la fede che in anticipo può, non solo sbarazzarsi da ogni inquietudine, ma anche ringraziarLo per la risposta di cui ci ha dato l’assoluta certezza! È fare come il divino Modello. Gesù, pronto a risuscitare Lazzaro in virtù della potenza di Dio suo Padre, comincia col rivolgersi a Lui: «Padre, — dice Egli — ti ringrazio che m’hai esaudito» (Giovanni 11:41).

Com’è bello questo culto celebrato alla presenza stessa dei nemici! (vedere Salmo 23:5). Quelli che lodano passano davanti alle truppe in assetto di battaglia. E il canto di trionfo, intonato ad un tratto, dà il segnale d’una straordinaria vittoria… riportata senza combattere.




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Capitolo 20, versetti da 25 a 37

Agli accenti stessi del cantico della liberazione i nemici di Giuda si sono distrutti a vicenda! Il popolo ha ora soltanto da constatare il loro annientamento e impadronirsi dell’abbondante bottino. Quante volte Dio ha, nello stesso modo fatto sparire dal nostro sentiero delle difficoltà che ci sembravano insormontabili!

Poi il popolo si raduna nuovamente per celebrare l’Eterno nella valle di Beraca — o della benedizione (leggere Salmo 107:21-22).

Pensiamo al trionfo della croce riportato da Gesù senza la minima partecipazione dei credenti. Che cosa resta loro da fare, se non godere i frutti di questa vittoria? E, col cuore pieno di riconoscenza, celebrarla in mezzo alla valle terrestre, prima di farlo eternamente nella santa Città (paragonate vers. 28).

L’ultimo paragrafo ritorna indietro sul regno di Giosafat. Ricorda che, dopo la disastrosa alleanza militare con Achab, il re di Giuda ne ha concluso un’altra non meno incresciosa, col suo figlio Achazia, con uno scopo commerciale. Dio non ne permette la riuscita e ci insegna per bocca di Eliezer, ciò che Egli pensa di questo genere d’associazione con un mondano con lo scopo di arricchirsi.




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Capitolo 21, versetti da 1 a 20

Ecco che il libro delle Cronache sembra abbandoni d’un tratto il suo carattere di libro della grazia! Salvo qualche eccezione, esso aveva sistematicamente coperto i falli del popolo e del suo re, per sottolineare invece tutto il bene che poteva esservi. Ecco una cosa che dovremmo sempre fare! (leggere 1 Pietro 4:8).

Ora le pagine che scorreremo contrastano ben tristemente con le «buone cose» che Dio si era compiaciuto di rilevare fin qui (cap. 12:12 e 19:3). Ma veramente non è più possibile ora coprire la malvagità di Jehoram e dei suoi successori. Questo re, genero di Achab e di Izebel, micidiale e idolatra, spinge Giuda ad adorare i falsi dèi. Terribile stato,… che fa tuttavia risaltare la meravigliosa pazienza di Dio verso il suo povero popolo! Talché la grazia continuerà a brillare in questo libro, tanto più magnifica in quanto le tenebre s’infittiscono sul regno di Giuda. Essa soprabbonderà di mano in mano che il peccato abbonderà (Romani 5:20).

Uno scritto di Elia perviene a Jehoram per ricapitolare i suoi delitti e avvertirlo del castigo divino, che non manca di compiersi.




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Capitolo 22, versetti da 1 a 12

Triste capitolo! Achazia, consigliato dalla madre e dai suoi parenti dal lato di Achab, si allea con Jehoram re d’Israele, e intraprende con lui una nuova spedizione contro i Siri. Questa fatale associazione lo conduce alla sua «rovina» (vers. 7). Egli perisce di morte violenta.

Ritorniamo ora indietro: I sette fratelli di Jehoram sono stati da lui assassinati (cap. 21:4). Poi tutti i suoi figli sono stati messi a morte dagli Arabi, ad eccezione del più giovane, Achazia (vers. 1). Infine, alla terza generazione, un nuovo massacro della stirpe reale non risparmia anche questa volta che un solo discendente: Joas, un piccolo bambino. Come spiegare questi stermini successivi? Con l’accanimento di Satana, che si sforzava d’interrompere la stirpe di Davide che doveva giungere fino a Cristo.

E come spiegare che sussista, nonostante tutto, ogni volta un membro — unico, e il più debole — ma nondimeno un discendente della famiglia reale? Con la fedele grazia di Dio! Egli mantiene la promessa fatta a Davide di conservargli una lampada (2 Re 8:19). Una lampada che non era più allora che un ben debole lucignolo! (Vedere Matteo 12:20).




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Capitolo 23, versetti da 1 a 11

In mezzo alla notte morale che regna in Giuda, un faro sembra venga a concentrare il suo fascio di luce su Joas, il prezioso principino. Tutti i consigli di Dio riposano ormai su questo debole fanciullo, l’ultimo «figlio di Davide» (Salmo 89:29, 36).

Quante analogie con un altro tempo, ancor più fosco, quello in cui Erode occuperà ingiustamente il trono di Gerusalemme! Il vero re dei Giudei, nato a Betlemme, sarà preservato, come qui Joas, dal massacro ordinato dall’usurpatore. Durante tutta la sua vita Egli resterà nascosto sotto l’umile «forma di servo» che Egli ha voluto rivestire. E, anche al presente, Egli è nascosto agli occhi del mondo, nel cielo, ove soltanto la fede Lo discerne e Lo conosce. In questo capitolo abbiamo in figura il giorno della sua gloriosa manifestazione. Quelli che oggi Lo servono e L’aspettano, gli saranno associati in quel giorno, come quei Leviti e quei capi del popolo. Essi appariranno con Lui in gloria (vedere Colossesi 3:4; 1 Tessalonicesi 3:13). Che privilegio! Far parte di quella gloriosa falange! Essere «col re quando entrerà e quando uscirà» (vers. 7). Teniamoci dunque fin d’ora vicino a Lui per la fede, mentre Egli è ancora, per poco tempo, invisibile nei cieli.




2 Cronache

Capitolo 23, versetti da 12 a 21

L’incoronamento di Joas e la sua apparizione pubblica hanno sventato tutti i calcoli della malvagia Athalia. Nello stesso modo la risurrezione del Signore Gesù ha annullato i complotti del Nemico.

La falsa regina è passata a fil di spada. Il suo castigo prefigura quello dell’Anticristo all’apparizione del Signore. Questo «uomo del peccato» sarà precipitato vivo nello stagno di fuoco nello stesso tempo del capo del impero romano.

E come sua madre Izebel, Athalia, questa donna esecrabile, l’assassina dei suoi propri nipoti, ci fa anche pensare alla falsa Chiesa, la grande cristianità professante. Essa ha voluto regnare, sacrificando per questo le anime di cui era responsabile. Qual è il giudicio del Signore? «Poiché ella dice in cuor suo: Io seggo regina e non son vedova e non vedrò mai cordoglio, — perciò in uno stesso giorno verranno le sue piaghe, mortalità e cordoglio e fame e sarà consumata col fuoco; poiché potente è il Signore Dio che l’ha giudicata!» (Apocalisse 18:7-8). La morte d’Athalia è seguita da quella di Mattan, sacerdote di Baal, poi dall’introduzione solenne del regno di Joas.




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Capitolo 24, versetti da 1 a 27

Finché Jehoiada fu presente per dirigerlo, tutto lasciava sperare che Joas sarebbe stato contato fra i migliori re. Purtroppo, la morte del sommo sacerdote Jehoiada segna nella sua vita una svolta fatale. Come spiegarla? Invece di appoggiarsi direttamente su Dio — ciò che è la particolarità della fede — Joas si confidava sul suo padre adottivo. E quando questi venne a mancare, di repente la sua fedeltà venne meno. Non aveva una fede personale.

Non vi ingannate, cari giovani lettori che avete dei genitori cristiani: l’educazione, le buone abitudini, le più felici disposizioni, tutte queste cose non sono la fede. E la fede dei vostri genitori non è neppure la vostra fede. Quando vi avranno lasciati, vi resterà il Signore?

I capi del popolo vengono e lusingano Joas. «Allora il re dié loro ascolto…» (vers. 17). Che cosa farà sotto la loro influenza? Delle cose che ci fanno fremere: egli ordina l’uccisione del figlio del suo benefattore. Il Signore ricorderà ai Farisei ipocriti la morte di Zaccaria (il cui nome significa: colui di cui l’Eterno si ricorda) al momento in cui staranno per commettere un delitto ben più terribile (Matteo 23:34-35; vedere anche Matteo 21:33 a 39).




2 Cronache
 

Capitolo 25, versetti da 1 a 11
versetti da 25 a 28

Amatsia succede al padre Joas. Egli comincia col fare ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno, «ma non di cuore perfetto», è aggiunto! Un cuore perfetto non significa che il peccato ne sia assente, ma che contiene una ferma volontà di non fare che una cosa: piacere a Dio obbedendoGli (paragonate questo vocabolo in Filippesi 3:15 col versetto che lo precede).

Primo sbaglio: Amatsia sorge in guerra contro Edom e assolda centomila uomini d’Israele per rinforzare il suo esercito. Rimproverato da un uomo di Dio, si sottomette e trionfa sui suoi nemici. Ma in seguito quale decadimento! Nel cuore diviso d’Amatsia, gli idoli degli Edomiti trovano posto (vedere vers. 14). E poiché non è possibile servire ad un tempo Dio e Mammona (Matteo 6:24; Luca 16:13) da quel momento l’Eterno sparisce dal suo pensiero. Amatsia lo abbandona (vers. 27). Se Gesù non riempie tutto il nostro cuore, il Nemico saprà che cosa mettere nel posto vuoto.

Avendo subìto una terribile sconfitta da parte del re d’Israele, il povero Amatsia vive ancora quindici anni, dopo di che è messo a morte senza aver manifestato alcun segno di pentimento.




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Capitolo 26, versetti da 1 a 15

Il re Uzzia chi è presentato come un uomo con apertura di spirito eccezionale. Il suo regno eccezionalmente lungo (cinquantadue anni) è pieno d’una straordinaria attività. Il re veglia affinché il popolo non manchi di nulla: cisterne per abbeverare il bestiame, torri; aveva lavoranti, vignaioli… il tutto accompagnato da una forte protezione militare. In breve, egli assicura al suo regno prosperità e sicurezza. Non è forse verso questi due scopi che tendono tutti gli sforzi degli uomini? E in generale a che cosa li conduce tutto ciò? Forse alla riconoscenza verso Dio? Ad adoperare i loro beni per il servizio del Signore? Ahimè! piuttosto ad attribuirsene tutto il merito, a confidarsi nelle cose acquistate, ed a goderne egoisticamente! Questi pericoli esistono pure per il credente agiato. Egli corre il rischio di appoggiarsi sulle proprie risorse, di sentirsi forte. Ma allora non può più contare sull’aiuto meraviglioso di Dio (vers. 15). E la caduta non tarderà.

Uzzia aveva preparato ogni cosa per resistere ad un assalto esterno. Ma aveva trascurato di vegliare sul fronte interno, vale a dire sul proprio cuore. E insensibilmente l’orgoglio si era stabilito in questo cuore.




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Capitolo 26, versetti da 16 a 23

Cinque re: Asa, Giosafat, Joas, Amatsia, Uzzia! Cinque storie che hanno fra loro una tragica somiglianza! Per cinque volte tutto era incominciato bene. E per cinque volte, un laccio diverso, teso dal mondo, ha prodotto una fatale caduta.

Non dimentichiamo il nome di ognuno di questi lacci. Poiché il Nemico astuto non ha cessato di adoperarli per far inciampare i figli di Dio. Per Asa, si trattava, come l’abbiam visto, dell’appoggio del mondo. Per Giosafat, della sua alleanza e della sua amicizia. Joas è caduto a causa delle lusinghe di esso, mentre Amatsia si è sviato verso i suoi idoli. E qui vediamo infine l’orgoglio spirituale (1 Giovanni 2:16) che fa incespicare Uzzia.

Il nome di questo re significa «forza di Dio»; però è arrivato il momento in cui egli ha tratto la sua forza in se stesso; è stato la sua perdita (vers. 16). In presenza dei sacerdoti, che ha egli l’audacia di voler sostituire nelle loro sante funzioni, il re è solennemente colpito, davanti a tutti, dalla mano dell’Eterno. L’orgoglio è in fondo al cuore di ciascuno di noi molto tempo prima di fare la sua apparizione esterna come una lebbra sulla nostra fronte. E se noi lo giudichiamo prima che si mostri agli occhi degli altri, eviteremo che Dio sia costretto di giudicarlo… infliggendoci forse un’umiliazione pubblica.




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Capitolo 27, versetti da 1 a 9

Di Jotham, figlio e successore di Uzzia, questo corto capitolo non ha da dire che delle buone cose. Benché anch’egli sia divenuto potente (vers. 6), ha saputo ricavare ammaestramento dalla terribile lezione ricevuta dal padre, come lo sottolinea il vers. 2. È un segno di saggezza! Se sapessimo lasciarci insegnare dall’esperienza degli altri, eviteremmo di dover passare personalmente dalla stessa scuola dolorosa. Jotham vince gli Ammoniti; diventa potente. Qual è il suo segreto? Riteniamolo, se desideriamo noi pure acquistare questa forza divina: «Egli camminò con costanza nel cospetto dell’Eterno, il suo Dio» (versione francese: regolò le sue vie…» (vers. 6). Regolare le proprie vie, vuol dire metter d’accordo il proprio cammino con gl’insegnamenti della Parola. «Che tutte le tue vie siano ben regolate. Non piegare né a destra, né a sinistra; ritira il tuo piede dal male» (Proverbi 4:26-27).

Sventuratamente non vediamo che il popolo segua l’esempio di quel re fedele! Esso continua a corrompersi (vers. 2). Il tempo di Jotham non corrisponde dunque ad un risveglio come quello che lo Spirito di Dio produrrà sotto i regni di Ezechia e di Giosia.




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Capitolo 28, versetti da 1 a 15

In constrasto con Jotham, di cui non è stato riferito che del bene, non una parola può essere detta in favore del figlio suo, il perverso Achaz. Orribile regno, ove nulla manca di ciò che può oltraggiare l’Eterno! In che stato è caduto il popolo di Giuda! Dio adopera per castigarlo successivamente il re di Siria e quello d’Israele. Quest’ultimo uccide in un giorno centoventimila uomini e s’impadronisce di duecentomila prigionieri. Ma la lezione, come lo dichiara il profeta Oded, è tanto per il vincitore quanto per il vinto. Ed è anche per noi. Prima di occuparci degli altri per giudicarli, domandiamoci, in ciò che concerne noi soli, se non abbiamo dei peccati contro il nostro Dio (vers. 10; Matteo 7:2-4). Oded ha parlato in questo senso agli uomini d’Israele. Quattro di loro, citati per nome, sono profondamente colpiti e intercedono in favore dei poveri prigionieri. Poi, non contenti di aver ottenuto la loro liberazione, moltiplicano le cure verso loro e li riconducono in Giuda. Essi mettono in pratica Romani 12:20-21. Bell’esempio d’amore e di devozione! Non ci fanno forse pensare al modo in cui agisce il Samaritano della parabola? (Luca 10:33-34).




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Capitolo 28, versetti da 16 a 27

Insensibile alla grazia, che gli aveva reso i prigionieri del suo popolo, Achaz s’immerge sempre più nel male. Ora egli cerca soccorso presso il re d’Assiria. Sta scritto: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo e fa della carne il suo braccio» (Geremia 17:5). Nonostante le ricchezze che dà a TilgathPilneser, re d’Assiria, spogliando il Tempio, questi non gli è di nessun aiuto (vers. 21). Allora l’empio Achaz aggiunge ancora un altro peccato. Cerca l’aiuto, che gli uomini non gli danno, presso gli idoli, che è come dire i demoni (1 Corinzi 10:20)! Ora, non soltanto non l’ottiene, ma quel che fa è il segnale della sua rovina.

Nello stesso tempo, per colmar la misura, Achaz chiude le porte del Tempio, come si fa quando una casa è in vendita o abbandonata. Vieta l’accesso al santo santuario dopo averlo riempito di contaminazione e di impurità (cap. 29:5, 16). La dichiarazione della Parola è formale: «Se uno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui» (1 Corinzi 3:17). Sì, la misura è colma! Achaz muore, e non è neppure giudicato degno di condividere la tomba dei suoi antenati.




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Capitolo 29, versetti da 1 a 19

Benché le Cronache non ne facciano menzione, siamo giunti al momento in cui l’Eterno trasporta le dieci tribù d’Israele per mezzo del re d’Assiria. Achaz ha dato a Dio tutti i motivi per fare altrettanto col regno di Giuda. Ma la grazia ha ancora una risorsa che nulla lasciava prevedere. Questa risorsa è un re fedele: Ezechia. La provvidenza di Dio lo ha risparmiato dai sacrifici che hanno consumato i suoi fratelli (cap. 28:3; 2 Re 23:10). È«un tizzone strappato dal fuoco» (Zaccaria 3:2).

Si sente come questo giovane dovette soffrire sotto il regno infame del padre. Infatti, appena sul trono, senza perdere tempo, intraprende con l’aiuto dei sacerdoti e dei Leviti, l’opera della purificazione. Il primo giorno del primo mese del primo anno! (vers. 3 e 17)! Cari amici, se non l’avete ancora fatto, cominciate senza indugio a riordinare il vostro cuore. Aprite largamente le sue porte a Colui che vuol penetrarvi. Gettate fuori la lordura tollerata sotto il regno precedente del principe delle tenebre. Santificate questo cuore per Gesù Cristo. Egli vuole farvi la sua dimora fin da oggi e per sempre.




2 Cronache

Capitolo 29, versetti da 20 a 36

Occorsero non meno di sedici giorni ai dodici Leviti per procedere alla completa ripulitura della casa dell’Eterno e per metterla in ordine. Ma non basta che sia «vuota, spazzata e adorna» (Matteo 12:44). Il culto dell’Eterno deve ora essere ristabilito. Appena realizzata la santificazione del santuario, Ezechia non indugia un istante. Si alza di buon’ora per offrire i sacrifici con i capi della città ed i sacerdoti (senza prendere tuttavia come Uzzia il posto di costoro).

Notate che l’olocausto ed il sacrificio per il peccato sono offerti per tutto Israele. Non dimentichiamolo mai: i credenti che si ricordano del Signore attorno alla Sua tavola non sono che una debole «espressione» di tutto il popolo di Dio. Il pane e il calice ricordano il sacrificio offerto, non soltanto per il piccolo numero di quelli che sono presenti, ma per la moltitudine dei riscattati che compongono la Chiesa universale.

Infine il cantico accompagna l’olocausto. Non poteva precederlo. Nessuna lode, nessuna gioia son possibili prima dell’opera di Golgota. Ma ora che essa è compiuta una volta per sempre, il servizio dei veri adoratori può incominciare… e non finirà mai (Salmo 84:4).




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Capitolo 30, versetti da 1 a 14

Il cuore intelligente di Ezechia comprende che bisogna ora ripristinare la Pasqua. Avrà luogo al secondo mese come l’autorizza Numeri 9:11. Il cuore largo di Ezechia abbraccia tutto Israele, e manda loro dei messaggeri… nello stesso modo che il Signore oggi fa pubblicare ovunque gli appelli della sua grazia. Trova in voi e in me dei servitori che può incaricare del prezioso messaggio? Che cosa contiene esso?

  1. «Tornate all’Eterno»: è il pentimento.
  2. «Date la mano all’Eterno»; cioè, fate come il fanciullo che mette la sua mano fiduciosa in quella del padre. È la fede.
  3. «Venite al suo Santuario»: Cercate il luogo della sua presenza.
  4. «Servite l’Eterno».
  5. Infine ch’Egli è clemente e misericordioso (vers. 9).

 

Un tale messaggio di grazia incontra, ieri come oggi, molte beffe come pure l’incredulità e l’indifferenza. Ma ne ha anche condotti molti ad umiliarsi ed a ritornare. Una grande congregazione s’aduna a Gerusalemme.

Essa vi prosegue la purificazione cominciata dai Leviti. Gli altari che Achaz si era fatti «a tutte le cantonate di Gerusalemme» (cap. 28:24) saranno gettati con tutte le impurità del tempio in fondo al torrente Kidron (cap. 29:16).




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Capitolo 30, versetti da 15 a 27

Come il re della parabola, Ezechia ha fatto proclamare per tutto il paese l’invito della grazia: «Ecco, io ho preparato il mio pranzo;… tutto è pronto: venite…» (Matteo 22:4). Molti non ne han tenuto conto. E fra quelli che son venuti, una gran parte non si è santificata (vers. 17). Che fare? Si devono rimandare a casa? No! Come i convitati al gran banchetto ricevono dal re un abito da nozze, la grazia divina si occupa di purificare quegli Israeliti, onde renderli atti alla Sua santa presenza. E questa purificazione è compiuta precisamente per mezzo della Pasqua che essi son venuti a celebrare. Il sangue delle vittime immolate provvede alla loro santificazione.

Noi pensiamo al sangue di Gesù, il santo Agnello di Dio. Egli purifica da ogni peccato (1 Giovanni 1:7).

Riguardo ai deboli e agli ignoranti, Ezechia, tipo di Cristo, intercede in loro favore presso al Dio che perdona.

In seguito viene la festa dei pani azzimi. Essa parla di santificazione pratica. Una gran gioia l’accompagna (prova che la separazione per Dio non è affatto sinonimo di tristezza) e trabocca in certo qual modo in tutta la fine di questo capitolo. La gioia trabocca forse anche dal nostro cuore, noi che siamo gli oggetti d’una così grande salvezza? (Filippesi 4:4).




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Capitolo 31, versetti da 1 a 8

Gl’Israeliti che hanno risposto all’appello d’Ezechia han fatto l’esperienza della presenza dell’Eterno e della gioia che essa procura. Se ne vanno ora, pieni di zelo, attraverso il paese, distruggendo ogni traccia della religione degli idoli. Avendo personalmente provato il valore del vero culto d’Israele, misurano ora quanto se n’erano allontanati precedentemente.

Verità di grande importanza! Per essere atti a giudicare il male, bisogna anzitutto aver incontrato il Signore. È tempo perso esortare semplicemente qualcuno a rigettare il mondo ed i suoi idoli. Cominciamo col condurlo a Gesù; ne risulteranno dei frutti. Tale è la lezione che Ezechia ci dà qui.

La beneficenza non è separata dagli altri sacrifici (vedere Ebrei 13:15-16). Le primizie e le decime sono ammucchiate in occasione delle due grandi feste annuali che venivano dopo la Pasqua: la Pentecoste al 3° mese, e i Tabernacoli al 7° (vers. 7). Il re preleva dai suoi beni ciò che occorre per gli olocausti. E il popolo lo imita, come già l’aveva imitato per distruggere i falsi dei. La forza dell’esempio è più grande di quella delle parole. Non lo dimentichiamo per quanto ci concerne! (vedere 2 Tessalonicesi 3:7 a 9).




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Capitolo 31, versetti da 9 a 21

Il re interroga i sacerdoti e i Leviti a riguardo dei «mucchi». Nello stesso modo il Signore prende conoscenza di tutto quel che diamo (o non diamo) per Lui. Sarà sempre poca cosa: cinque pani d’orzo e due pesci, ma Egli saprà farne risultare una grande abbondanza. E ve ne sarà di resto dopo che ognuno sarà stato saziato (vers. 10; vedere Giovanni 6:12 e anche Malachia 3:10). Nulla di ciò che Dio ci dà dev’essere perduto o sprecato.

Vengono nominati dei sovrintendenti e degli amministratori. Le loro funzioni consistono per gli uni a vigilare sulle provviste, per gli altri a «fare le distribuzioni ai loro fratelli con fedeltà» (vers. 15 versione francese). «Del resto, — dice l’apostolo — quel che si richiede dagli amministratori, è che ciascuno sia trovato fedele» (1 Corinzi 4:2). Paolo stesso ne era un esempio quando andava personalmente a Gerusalemme per consegnare il prodotto d’una colletta (Romani 15:25-26; 1 Corinzi 16:3-4). Ma questa fedeltà non è meno necessaria quando si tratta del cibo spirituale del popolo di Dio.

Ezechia ha fatto ciò che è buono, retto e vero. Egli mise tutto il cuore nell’opera sua. Bel riassunto della sua attività. Possa il Signore dirne altrettanto di voi e di me alla fine della nostra carriera!




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Capitolo 32, versetti da 1 a 15

Ci si poteva aspettare che «queste cose e questi atti di fedeltà», graditi a Dio, fossero al contrario insopportabili al grande Nemico. Non han mancato di eccitarlo contro Israele e contro il suo re. La gioia che possiamo godere nel Signore non deve farci dimenticare la presenza di quest’avversario che «va attorno a guisa di leon ruggente, cercando chi possa divorare» (1 Pietro 5:8). Satana passerà dunque all’attacco. Spinge contro Gerusalemme il potente re d’Assiria, il quale comincia col rivolgere al popolo un discorso minacciante e perfido: Ezechia — dice loro — vi riduce a morir di fame e di sete (vers. 11). Vera menzogna! Le stanze del santuario non erano forse provviste abbondantemente di viveri, messi in riserva nel giorno dell’abbondanza? (cap. 31:10-11). E, grazie all’acquedotto che il re aveva fatto costruire l’acqua fresca scaturiva nell’interno stesso della città (parag. vers. 4 e 2 Re 18:17; 20:20).

Così parla oggi ancora il Mentitore. Secondo lui, rimanere presso Gesù equivale ad esporsi alla penuria e alle privazioni. Ma noi sappiamo che è proprio il contrario! Cristo è il pane di vita (Giovanni 6:48,51) e la sorgente delle acque vive (Giovanni 7:37), quando al di fuori regna la sete (vers. 4).




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Capitolo 32, versetti da 16 a 33

Nel 2° libro dei Re (cap. 18 e 19) abbiamo letto i discorsi orgogliosi ed oltraggiosi di Rab Shaké, seguiti dalla lettera del re d’Assiria. Come risponderà Ezechia? Isaia e lui, entrambi insieme, gridano a Dio a questo riguardo. È la riunione di preghiera più ridotta. Ma il Signore la prevede ed essa ha un potere irresistibile in conformità alla Sua promessa: «Se due di voi sulla terra s’accordano a domandare una cosa qualsiasi, quella sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli» (Matteo 18:19). Da un lato: due uomini in preghiera; dall’altro: un esercito formidabile. Ebbene, quest’ultimo è stato schiacciato senza neppure saper come! Il suo capo supremo se ne ritorna «svergognato» al suo paese, per perire a sua volta, assassinato dai suoi due figli.

Dopo il re d’Assiria, ecco il re degli spaventi: la Morte (Giobbe 18:14), nemico ancora più terrorizzante, che si presenta per inghiottire Ezechia. Ma contro essa pure, la sua preghiera è potente, e Dio lo libera di nuovo.

Purtroppo, questo regno così felice non terminerà senza un’eclissi: una grave mancanza dovuta all’orgoglio, seguita felicemente dall’umiliazione e dal ristoramento.




2 Cronache

Capitolo 33, versetti da 1 a 13

Il regno di Manasse ha due particolarità: quella della durata (55 anni) e quella della malvagità. Che cosa spiega una durata così eccezionale, proprio quando l’iniquità era particolarmente insopportabile agli occhi dell’Eterno? È la pazienza della grazia, cosa meravigliosa. Non dimentichiamo che essa caratterizza da un capo all’altro questi due libri delle Cronache.

Dopo aver parlato a Manasse e al suo popolo — ma non prestarono attenzione (v. 10), l’Eterno usa il linguaggio delle catene e della cattività, e questo è finalmente ascoltato. L’esempio di Manasse ci insegna che non c’è un peccatore tanto iniquo di cui Dio non possa cambiare il cuore. E questa narrazione è, nella Scrittura, una delle più atte ad incoraggiarci. Non pensiamo mai che una persona sia troppo immersa nel male per essere salvata.

Nel regno empio di Manasse troviamo anche la storia profetica d’Israele in succinto. Il nome di questo re significa: «oblio», e ci ricorda la dichiarazione dell’Eterno: «Il mio popolo ha dimenticato me da giorni innumerevoli» (Geremia 2:32). L’esilio attuale d’Israele sotto il giogo delle nazioni è stata la conseguenza di quest’abbandono; ma essa sarà ugualmente, come per Manasse, il mezzo di risvegliare infine la sua coscienza e il suo cuore.




2 Cronache

Capitolo 33, versetti da 14 a 25

Non soltanto la grazia di Dio s’è lasciata arrendere alla supplicazione di Manasse, ma gli ha pure fornito l’occasione di riparare in una certa misura il male che aveva precedentemente commesso. Infatti, vi sono delle conversioni che avvengono soltanto al letto di morte. E se allora è ancora tempo per l’anima di essere salvata, è invece troppo tardi per servire il Signore quaggiù. Perdita irreparabile per l’eternità! (2 Corinzi 5:10; 1 Corinzi 3:15)

Una conversione si manifesta con dei frutti. Tutto Giuda è testimonio di quella di Manasse. I falsi déi che aveva tanto servito, sono rigettati; il culto dell’Eterno sostituisce quello degli idoli. È proprio questo il segno di una vera conversione (1 Tessalonicesi 1:9). Questa parola significa un dietrofront, un cambiamento completo di direzione. Gesù diventa lo scopo della vita, e tutta l’energia impiegata fino allora a servire il mondo e il peccato, è sostituita dalla devozione al Signore.

Amon non ha ricavato nessun profitto dall’esempio del padre (Geremia 16:12). Nel suo cuore non è prodotta nessuna umiliazione. Così egli passa «come il fiore dell’erba»; secondo l’espressione del profeta: «Il soffio dell’Eterno vi è passato sopra» (Isaia 40:6-7).




2 Cronache
 

Capitolo 34, versetti da 1 a 7
versetti da 29 a 33

Giosia significa: «Colui di cui Dio ha cura». Noi tutti avremmo il diritto di portare questo bel nome. Oggetto fin dalla nascita di quelle cure dell’Eterno, all’età di sedici anni Giosia comincia a cercare Dio. Allora intraprende la grande opera di risveglio già considerata in 2 Re 22 e 23.

Sedici anni! Forse l’età di alcuni di nostri lettori. Non sono più fanciulli; dinanzi a loro la vita s’apre con tutte le sue possibilità. La giovinezza è un prezioso capitale che Dio dà loro. In che modo l’adoperano? Alcuni la sprecano follemente … e più tardi ne raccolgono i frutti amari. Altri, più prudenti a vista umana, la consacrano a prepararsi nella vita un posto vantaggioso. Altri infine, i più savi di tutti, fanno come Giosia. Cercano anzitutto il Signore, poi mettono ogni cosa d’accordo con la sua volontà (vedere Matteo 6:33).

La legge è stata trovata nel tempio durante dei lavori; Giosia ne fa approfittare tutto il popolo, però li deve obbligare a servire l’Eterno (vers. 33). È cattivo segno! L’obbedienza al Signore non dovrebbe sempre derivare dal nostro amore per Lui? «Questi comandamenti, che oggi ti do, ti staranno nel cuore», diceva Mosè quando dava loro questo libro (Deuteronomio 6:6).




2 Cronache

Capitolo 35, versetti da 1 a 14

La celebrazione della Pasqua da parte di Giosia e del popolo occupa qui quasi un capitolo, mentre il 2° Libro dei Re non le dedicava che tre versetti (cap. 23:21 a 23). Essa è il risultato del ritorno alla Parola a cui abbiamo assistito al capitolo precedente. La Pasqua era per Israele la prima istituzione divina. L’Eterno gliel’aveva data prima dell’uscita dall’Egitto. Corrispondeva al ricordo della sua grande liberazione. Per i figli di Dio esiste pure un tale «memoriale» (1 Corinzi 11:24-25). Attorno alla Tavola del Signore, ogni primo giorno della settimana, i riscattati si ricordano della loro grande salvezza e di Colui che l’ha compiuta. Che cosa caratterizza questa Pasqua, come anche il culto cristiano? Anzitutto la presenza dell’arca: Cristo (vers. 3). Poi necessariamente la santità: poiché l’arca era santa, bisognava che i Leviti si santificassero onde essere propri per questa presenza. Infine il motivo stesso della festa era l’offerta dei sacrifici. Ci ricordano quello che ogni credente è invitato ad offrire, non soltanto alla domenica, ma incessantemente a Dio: «Un sacrificio di lodi, cioè il frutto delle labbra che confessano il suo nome» (Ebrei 13:15).




2 Cronache

Capitolo 35, versetti da 15 a 27

La situazione sta per essere mutata. I regni terribili di Manasse e Amon hanno condotto l’Eterno a prendere, a riguardo di Giuda, una decisione irrevocabile. Ma com’è bello vedere la grazia produrre ancora in questo periodo finale un risveglio come quello di Giosia!

Anche il giudicio del mondo attuale è alla porta. Tutto ce lo fa prevedere. Tuttavia, anche in simili tempi, lo Spirito di Dio si compiace di suscitare qua e là dei risvegli. E il suo desiderio è di produrne uno anzitutto nel cuore di ciascuno di noi.

Vedete questa Pasqua che rievoca i tempi di una volta; non soltanto quelli di Salomone e di Davide, ma gli antichi tempi di Samuele! Tutto vi è ben ordinato; ognuno è al proprio posto; l’amore fraterno è esercitato. Scena che brilla tanto più in quanto si trova intercalata fra i regni empi dei re precedenti e la decadenza finale che seguirà!

La fine di Giosia non è all’altezza del rimanente della sua carriera. Come Ezechia, egli fa dei passi falsi nelle sue relazioni con le potenze politiche del suo tempo. Nonostante gli avvertimenti che Dio gli dà direttamente, prende posizione contro Faraone e trova la morte in una battaglia che avrebbe dovuto evitare.




2 Cronache

Capitolo 36, versetti da 1 a 14

Nel suo insieme il popolo di Giuda non aveva seguito l’esempio di Giosia. Molti segni lo indicavano. L’obbedienza alla legge gli era stata imposta. Al momento della Pasqua, esso non aveva certamente mostrato la stessa gioia e la stessa spontaneità che al tempo della Pasqua di Ezechia. Il re ed i capi avevano dovuto provvedere per i sacrifici (cap. 35:7 a 9). Ora che il fedele Giosia è stato ritirato, che il giusto è stato «tolto via per sottrarlo al male» (Isaia 57:1), nulla più impedisce all’Eterno di eseguire il suo giudizio contro Giuda. E gli avvenimenti precipitano: quattro sovrani si susseguono: Joachaz, Joiakim, Joiakin e Sedekia; l’uno più malvagio dell’altro. Il loro spirito di rivolta è stato l’occasione, perché l’Egitto dapprima, e Babilonia in seguito, intervenissero negli affari del piccolo regno. L’avversario e il nemico entrano nelle porte di Gerusalemme (Lamentazioni 4:12) e a tre riprese avranno luogo delle deportazioni parziali a Babilonia, e gli oggetti del Tempio subiranno la stessa sorte delle persone. I versetti 14 e seguenti sottolineano che i capi dei sacerdoti ed il popolo partecipano alla responsabilità dei loro re nel giudicio che li colpisce.




2 Cronache

Capitolo 36, versetti da 15 a 23

Benché le «Cronache» siano i libri della grazia, esse sono tuttavia obbligate di concludere: «Non ci fu più rimedio». La parola del vers. 15: «L’Eterno… voleva risparmiare il suo popolo», diventa al vers. 17: «Egli non risparmiò…»

Nello stesso modo Colui che era «mosso a compassione» per le moltitudini… dovrà pronunziare poco dopo una terribile sentenza contro le città donde provenivano quelle moltitudini: «Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida!… E tu, o Capernaum…» (Matteo 9:36; 11:21, 23). Nonostante ciò troviamo anche qui la divina misericordia. Le «Cronache», contrariamente ai «Re», passano molto rapidamente su questo triste periodo finale. E questi libri non terminano sulla deportazione stessa, ma sull’editto di Ciro che vi ha messo fine settant’anni dopo! L’inscrutabile grazia di Dio ha così, malgrado tutto, l’ultima parola.

Noi vediamo, queste cose non ci sono narrate come i nostri libri di storia lo farebbero. Dio non ci riferisce dei fatti semplicemente per interessare la nostra mente e ammobiliare la nostra memoria. La sua intenzione è di parlare alla nostra coscienza e di colpire il nostro cuore. Ha Egli raggiunto questo scopo rivolgendosi a voi?

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