La gloria morale del Signore Gesù Cristo

John Gifford Bellett – Il Dispensatore, 1885

«Quando qualcuno offrirà all’Eterno un’oblazione, la sua offerta sarà di fior di farina, su cui verserà dell’olio, e vi aggiungerà dell’incenso. La porterà ai sacerdoti figli d’Aaronne; il sacerdote prenderà una manciata piena del fior di farina spruzzato d’olio, con tutto l’incenso, e farà bruciare ogni cosa sull’altare, come ricordo. Questo è un sacrificio di profumo soave, consumato dal fuoco per l’Eterno».  Levitico 2:1-2  

1. Introduzione

L’oggetto di cui si tratta in questa meditazione è la gloria morale di Gesù, od in altri termini il carattere del Signore come uomo. Tutto quello che c’era in Lui salì a Dio come un sacrificio di odor soave: ogni Sua espressione, per quanta piccola si fosse, e a qualsiasi circostanza andasse accompagnata, si mostrò sempre come un sacrificio di profumo accettevole a Dio. In Lui, ed in Lui soltanto, l’uomo fu riconciliato con Dio. Per Lui Dio trovò ancora il Suo compiacimento nell’uomo; e ciò in un modo più vantaggioso, poiché in Gesù l’uomo è di gran lunga più aggradevole a Dio di quanto lo potesse essere in un’eternità d’innocenza adamitica.

Quantunque io sia convinto che nella meditazione proposta non mi riesca di mettere al chiaro se non una piccolissima parte d’un soggetto si degno d’ammirazione, spero però di risvegliare in altre anime degli utili pensieri, il che in ogni modo sarà sempre una grande benedizione.

È dunque la persona del Signore come Dio e uomo ad un tempo in un Cristo che io desidero presentare ai miei lettori. Parlerò anche dell’opera Sua, cioè il servizio delle sofferenze e dello spargimento del Suo sangue, per il quale la riconcilazione è stata compiuta ed è adesso predicata per l’accettazione e la gioia della fede.

2. Tre aspetti della gloria del Signore Gesù

La gloria del Signore Gesù può essere considerata sotto tre aspetti : quanto alla Sua persona, quanto alla Sua dignità ufficiale, e quanto al Suo carattere. La gloria della Sua persona fu sempre tenuta nascosta, eccetto quando la fede sapeva scoprirla, o quando le circostanze ne necessitavano la rivelazione. Parimenti per quanto rifletteva alla Sua dignità ufficiale: Ei la teneva velata, poiché andava di luogo in luogo, né come il Figlio di Dio venendo dal seno del Padre, né come il figlio di Davide rivestito d’autorità reale. Questi due aspetti della Sua gloria restavano per lo più nascosti durante le Sue peregrinazioni fra le differenti circostanze della vita quotidiana; ma la Sua gloria morale non poteva giammai rimaner nascosta. Egli non poteva annullare, neanche in minima parte, questa Sua perfezione, poiché questa Lo caratterizzava in modo speciale, mostrando veramente ciò che Egli era. L’eccellenza di questa gloria si mostrava persino troppo abbagliante per l’occhio umano; e l’uomo si sentiva del continuo giudicato per essa. Ma che l’uomo potesse sopportarla o no, essa risplendeva con i suoi raggi in ogni direzione; ed ora illumina ogni pagina dei quattro Evangeli, nello stesso modo come un tempo illuminava le vie per le quali il Signore passava.

3. Ogni cosa a suo tempo

Qualcuno disse del Signore Gesù che la Sua umanità sia stata affatto naturale nel suo sviluppo; quest’osservazione è molto bella e vera, ed il secondo capitolo di Luca basterebbe per togliere ogni dubbio a tale riguardo. In Gesù non vi fu nessuno sviluppo di persona che non fosse stato naturale; Egli progredì in tutti i modi e con perfetta regolarità; la sapienza crebbe in Lui nella stessa misura con cui crebbero la Sua età e statura. Da fanciullo diventò uomo; e come tale, essendo l’uomo di Dio in questo mondo, testimoniò che le opere di esso sono malvage, ed il mondo Lo odiò; ma come fanciullo (un fanciullo secondo il cuor di Dio) Egli fu soggetto ai Suoi genitori e sottomesso alla legge in modo perfetto; così Egli crebbe ed avanzò in grazia davanti a Dio e agli uomini.

Ma quantunque, come abbiamo visto, vi fossero stati dei progressi in Lui, pure non si scorse in Lui né imperfezione di sorta, né cattiva inclinazione, né trasgressione alcuna; ed ecco ciò che Lo distingue da tutti gli altri uomini. Di Maria, Sua madre, ci viene detto che ella riteneva nel cuor suo tutte le parole che Gesù diceva; ma con tutto ciò vediamo che l’anima sua è turbata da inquietudini e circondata persino di tenebre, di modo che il Signore è costretto di dirle :«Perché mi avete cercato?» (Luca 2:49) In Gesù, invece, ogni progresso prende sempre la stessa forma di bellezza morale, ed il Suo accrescimento è regolare come deve essere in ogni uomo. Aggiungo inoltre che come la Sua umanità era in tutto naturale nel suo sviluppo, così il Suo carattere si mostrava in tutte le sue espressioni come essendo affatto umano. Tutto ciò che rivelava questo carattere era, per così esprimermi, particolare all’uomo.

Egli era «l’albero piantato vicino a ruscelli, il quale dà il suo frutto nella sua stagione» (Salmo 1:3). Tutte le cose non sono belle che nel loro proprio tempo; così la gloria morale del «fanciullo Gesù» sfoggiò nei Suoi giorni e tra la Sua generazione ed allorché il fanciullo diventò uomo, la medesima gloria si manifestò sotto altre forme. Gesù sapeva quando doveva soddisfare ad un diritto che Sua madre sosteneva; sapeva quando era il momento di opporvisi quando ella sollevava pretese ingiustificate; e sapeva inoltre sottomettersi ai bisogni delle circostanze, quand’anche la madre Sua non accampasse nessuna pretesa (Luca 2:51, 3:21, Giovanni 19:27). Ovunque noi Lo seguiamo, troviamo lo stesso tratto di perfezione nel giudicare e nell’agire. Egli ha conosciuto il Getsemane a suo tempo e secondo il suo vero valore, come innanzi aveva conosciuto il monte santo a suo tempo; conosceva il pozzo di Sichar, ed apprese la via che Lo condusse a Gerusalemme l’ultima volta. Egli passò per tutti i luoghi e non schivò nessuna via; ed il Suo cammino fu sempre in accordo con il Suo carattere, la cui equanimità si manifestava ancor più in quelle occasioni, dove si richiedeva maggior forza morale.

Allorché si trattava della profanazione della casa del Padre Suo, si adempirono in Lui le parole del Salmista: «mi divora lo zelo per la tua casa»; ed allorché si tratta d’un vituperio che Gli viene fatto dai Samaritani Egli sopporta tutto e prosegue il Suo cammino.

Tutto era perfetto in Lui, sia nelle combinazioni delle Sue virtù, come nel opportuno momento delle loro manifestazioni. Egli pianse alla tomba di Lazzaro, quantunque vi portasse con Se la vita; Colui che poteva dire: «Io sono la risurrezione e la vita», versò delle lacrime come un semplice mortale. La divina potenza che c’era in Lui non impediva lo sviluppo e la manifestazione delle simpatie umane.

4. Elevato e abbassato

La fusione di queste eccelse virtù, mette appunto alla luce la Sua gloria morale. Secondo l’espressione apostolica, Gesù sapeva «vivere nella povertà [o essere abbassato] e anche nell’abbondanza»; sapeva, se è lecito così esprimersi, usare dei tempi di abbondanza come pure di quelli di scarsità, poiché passando per questa vita, Egli prese conoscenza di tutte e due le situazioni.

Così Egli fu introdotto per un momento nella Sua stupenda gloria sulla montagna della trasfigurazione. In quel luogo Egli apparve in quella maestà e dignità che Gli erano proprie; il Suo volto risplendeva come il sole, che è 1a sorgente della luce; e stavano ai Suoi fianchi, risplendenti con Lui nella Sua gloria, gli illustri personaggi di Mosè e d’Elia. Ma allorché discendeva dal monte, comandò a coloro che furono testimoni della Sua maestà di «non raccontare a nessuno le cose che avevano viste». Ai piedi del monte, quando la moltitudine sorpresa accorse per salutarlo (Marco 9:15), Egli, che senza dubbio portava ancora sul Suo volto qualche piccola traccia della gloria che aveva or ora lasciata, non si fermò punto per ricevere gli omaggi che Gli si volevano tributare, ma continuò immediatamente il Suo servizio. L’agiatezza non Lo rese superbo; Egli non cercava una posizione tra gli uomini, ma rinnegò Sé stesso, si annichilì, e velò la Sua gloria per non essere che un servo.

Vediamo la stessa cosa nel capitolo 20 di Giovanni, dopo la Sua risurrezione. Egli è là in mezzo ai Suoi discepoli, vestito d’una gloria che nessun uomo ha mai posseduto, né mai visto. Egli è là come il vincitore della morte, come il distruttore della tomba; e quantunque possedesse queste eccellenti glorie, pure non agogna gli omaggi del Suo popolo. Qualunque altro uomo he fosse stato circondato da pericoli, che avesse incontrato grandi difficoltà, e che alla fine avesse ottenuto vittoria, per certo sarebbe ritornato fra i suoi amici e nel seno della sua famiglia per riceverne gli onori; ma il Signore Gesù non è venuto per cercare gloria dagli uomini, anzi per aiutarli nei loro bisogni. Non mai il Signore Gesù fu indifferente alle miserie altrui; anzi cercava sempre il momento opportuno per esternare la Sua compassione, e quando non poteva farlo, si sentiva privato d’una cosa che Egli desiderava. Ma ora risuscitato dai morti, Egli appare ai Suoi piuttosto come uno che li visita, e non come un vincitore. Si trattiene con loro parlando maggiormante dei loro interessi che non delle grandi cose avvenute poco fa. Questo è il fare uso della vittoria come fece Abramo dopo la sconfitta dei re alleati, il che è assai più difficile che ottenere la vittoria stessa. Per fare questo, bisogna saper essere nell’abbondanza e sapere essere saziato.

Ma Gesù seppe pure «essere nella povertà», «essere abbassato» dagli abitanti di Samaria, come vediamo in Luca 9:51 e seguito. Fin dal principio della scena che ci viene qui narrata, Egli afferra il momento propizio per la Sua accettazione, e col sentimento della Sua gloria personale, invia dei messaggeri innanzi alla Sua faccia per annunziare la Sua venuta. L’incredulità dei Samaritani, però, cambia lo stato delle cose. Essi Gli rifiutano l’ospitalità, non vogliono che il Signore della gloria passi attraverso il loro paese, e Lo costringono di cercarsi altra via, quale Egli, il rigettato, poteva trovare. Egli accetta ancora questa posizione di rigettamento senza opporsi e senza che il Suo cuore ne mormori; vedendosi sprezzato come Betlehmita, diventa nuovamento Nazareo (Matteo 2); ed allontanandosi dal paese samaritano, porta questo nuovo carattere tanto bene come lo aveva portato nei primordi della Sua storia, mostrando con ciò che Egli sapeva «essere abbassato» ogni qualvolta la malvagità dell’uomo Gli contestava la Sua autorità.

Lo troviamo presso a poco nelle stesse circostanze in Matteo 21: Egli entra in Gerusalemme come figlio di Davide, circondato da tutto quanto Lo può mettere in rilievo in questa Sua gloriosa dignità. Come sul monte santo Egli aveva messo in mostra la Sua gloria celeste, così qui appare nella Sua gloria terrestre, in quella gloria che Gli appartiene legittimamente e che quando sarà giunta l’ora, porterà in modo degno di Lui. Ma l’incredulità di Gerusalemme, come poc’anzi ha fatto quella di Samaria, cambia totalmente la scena. Egli era entrato nella città come re, ed ora è costretto d’uscire e cercare altrove un ricovero per la notte; così possiamo dire che, sia fuori di Samaria, sia fuori di Gerusalemme, Egli seppe veramente «essere abbassato», trovandosi costretto cercare un rifugio per la Sua augusta persona.

Quale perfezione! — Allorché le tenebre non possono scorgere la gloria ufficiale di Gesù, la Sua gloria morale brilla d’una luce ancor più splendida. Come principio di morale e come carattere umano non c’è cosa migliore d’una volontaria umiltà dinanzi agli uomini, unita al sentimento della gloria reale davanti a Dio. Troviamo a questo riguardo degli esempi considerevoli nella vita d’alcuni santi. Abramo si considerò sempre come straniero fra gli abitanti di Canaan, non possedendo un piede di terreno e non desiderando di possederlo; ma, se si presentava l’occasione, nel sentimento della sua dignità davanti a Dio e secondo i Suoi decreti, egli sapeva mettersi sopra i re. Giacobbe parla del suo stato di forestiere, dei suoi giorni che furono corti e cattivi, abbassandosi così agli occhi del mondo; ma nello stesso tempo benedice un uomo che era il più autorevole del paese, sapendo che nel cospetto di Dio, egli era migliore di lui. Davide chiede senza onta del pane, ed accetta ad un tempo gli omaggi dovutigli come re, prendendo dalle mani d’Abigail il tributo dei suoi sudditi. Paolo è in catene nella prigione del governatore, e parla dei suoi legami; ma intanto confessa dinanzi a tutta la corte ed ai grandi del mondo romano, che egli si riconosce l’uomo più benedetto ed il sole felice fra di loro.

Questo assieme d’umiliazione e di dignità, di abbassamento e di elevatezza, trova nel Signor Gesù la forma più chiara, più risplendente e più nobile fra quante altre che ci siano nella Scrittura. E questa capacità di sapersi condurre nelle circostanze propizie, ci mostra che il cuore di chi è ammaestrato in queste cose, si occupa piuttosto dello scopo del suo viaggio che non del viaggio stesso. Se il nostro cuore si occupa del cammino che dobbiamo fare, i travagli e le difficoltà che vediamo, le rapide salite ed i declivi scoscesi ci saranno d’impedimento; ma se riguardiamo allo scopo, al termine finale, allora ci sarà facile sormontare tutte queste cose ed ottenere l’oggetto della nostra speranza. Non c’è, forse dell’insegnamento per noi?

5. Vicino e distante

Ma nel carattere del Signore vi è inoltre un assieme di qualità che noi dobbiamo notare. Qualcuno ha detto che «Egli fu il più grazioso ed il più accessibile degli uomini»; e dalle Sue maniere, quantunque si senta che Egli fu sempre uno straniero, noi scorgiamo però una tenerezza ed una gentilezza giammai vedute in un altro uomo. Sì, Egli fu «uno straniero quaggiù», uno straniero quando l’uomo ribelle non gli accordava il posto che gli apparteneva; ed si trovava subito molto vicino quando la miseria o la necessità Lo richiedevano. La distanza che manteneva se veniva respinto, e l’intimità che manifestava se veniva accolto, erano entrambi perfette. Egli non solo riguardava alla miseria che l’attorniava, ma penetrava in essa con una simpatia tutta propria; non solo respingeva la corruzione che Lo circondava, ma serbava la vera distanza della santità da ogni contatto o macchia di essa.

Guardiamolo nel capitolo 6 di Marco e Lo troveremo che sta dandoci un saggio di questo alternarsi di separazione e di intimità; Lo vedremo in una commovente scena, allorché i discepoli si raccolgono attorno a Lui dopo molti giorni d’indefesso lavoro: Egli s’interessa del loro stato, divide il peso delle loro fatiche, si rende conto dei loro bisogni e vi provvede immediatamente dicendo: «Venitevene ora in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco…» Ma la moltitudine avendolo seguito, Egli si rivolge ad essa con la medesima premura, s’investe della sua misera condizione, e vedendo che è come una greggia senza pastore, incomincia ad insegnarle molte cose. Vediamo in tutto ciò ch’Egli è ben vicino ai molteplici e svariati bisogni che sorgono nell’atmosfera in cui si trova, sia che questi bisogni provengano dalla fatica dei Suoi discepoli, sia che derivano da una folla affamata ed ignorante. Ma i discepoli subito si risentono per le cure che il Signore volge alla multidudine, e Lo incitano a rinviarla; ciò che Egli assolutamente non fa. Da questo istante tra Lui ed essi si stabilisce moralmente una distanza, la quale viene poco dopo rivelata con il costringerli a salire sulla barca ed a passare all’altra riva verso Betsaida, mentre Egli congedia la folla tutto solo. Questa separazione è causa di nuovo difficoltà per i poveri discepoli: i venti e le onde sono contro a loro là sul lago; ed allora, mentre sono in distretta, Gesù si avvicina di nuovo ed è pronto a soccorrerli ed a rassicurarli.

Quale armonia in tutto questo assieme di santità e di grazia! Egli ci è vicino quando siamo stanchi, od affamati, od in pericolo; e se ne sta lontano dai nostri desideri naturali e dal nostro egoismo. La Sua santità fece di Lui uno straniero in un mondo impuro; e la Sua grazia Lo mantenne sempre attivo in un mondo necessitoso ed afflitto. E questo mette in rilievo, si può dire, la grande gloria morale della Sua vita; Egli che, quantunque costretto da ciò che l’intorniava a starsene come il Solitario, pure si sentiva spinto, dai bisogni e dai dolori che vedeva, ad essere Colui che operava verso ogni ceto di persone e nei più svariati modi. Avversari, moltitudini, una compagnia di discepoli cho Lo seguivano, semplici individui, tutti Lo videro in una continua e variatissima operosità; ed Egli dovette sapere, ciò che certamente fece in modo perfetto, come si conveniva rispondere ai singoli interlocutori.

6. A tavola

Inoltre Lo vediamo qualche volta alla tavola degli altri, ma ciò avviene soltanto per darci motivo di rimarcare qualche nuovo tratto di perfezione. Alla tavola dei Farisei ove Lo si vede qualche volta, Egli non ci va per adottare o sanzionare la loro vita domestica, ma essendo invitato nella qualità ch’Egli s’era già acquistata e sostenuta pubblicamente, è là che agisce rivestito di tale qualità. Egli non è soltanto un ospite, che gode della cortesia ed ospitalità del padrone di casa, ma si è recato là nel Suo proprio carattere, e quindi può rimproverare od insegnare. Egli è sempre la Luce, e vuol agire come la Luce; perciò manifesta le tenebre tanto al di dentro, come aveva fatto al di fuori (vedi Luca 7:11).

Ma se Egli entra spesso nella casa del Fariseo come dottore, e come tale riprova lo stato morale delle cose che vi si trovano, Egli entra pure nella casa del pubblicano come Salvatore. Levi fa un convito in Suo onore, ed invita alla stessa tavola dei pubblicani e dei peccatori. Naturalmente ciò fu subito notato dagli avversari, i quali trovarono a ridire su quella compagnia poco stimabile; ed allora il Signore si rivela come Salvatore, dicendo loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Ora andate e imparate che cosa significhi: “Voglio misericordia e non sacrificio“; poiché io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori» (Matteo 9:12-13). Parole semplici, ma stringenti e piene di forza. Simone il Fariseo rimproverò una peccatrice che volle entrare in casa sua per accostarsi al Signore Gesù; mentre Levi, il pubblicano, fece delle persone come essa altrettanti dei Suoi commensali; ecco perché il Signore in un luogo rimprovera, ed in un altro si mostra in grazia come Salvatore.

Ma vediamo che il Signore Gesù s’è pure seduto ad altre tavole; osserviamolo a Gerico e ad Emmaus (Luca 21 e 24). In entrambi i casi furono dei veri bisogni di cuore che Lo ricevettero; dei bisogni sentiti differentemente, a seconda delle circostanze in cui furono creati. Zaccheo non era mai stato altro che un peccatore, un uomo naturale, il quale, come sappiamo, è corrotto nelle sue aspirazioni e nel suo fare; ma in quell’istante egli si trovava appunto sotto l’influenza del Padre, e l’anima sua fece di Cristo l’unico oggetto dei suoi pensieri. Egli bramava vederlo, ed il suo desiderio essendo potente, egli si apre una via attraverso la folla, s’arrampica ad un sicomoro… purché giunga in tempo per vederlo quando passerà lì vicino! Il Signore giunge, alza gli occhi, lo vede, e subito s’invita a casa sua. Questo è proprio singolare: Gesù non è invitato, ma Egli stesso si fa ospite del pubblicano di Gerico!

I primi sintomi di vita in un povero peccatore, il desiderio che era stato risvegliato dai disegni del Padre, erano già pronti in quella casa per dargli il benvenuto; ma Egli con dolcezza e con modi molto espressivi previene la buona accoglienza che avrebbe avuto, e vi entra come Uno che risponde pienamente ai bisogni di questa vita recentemente accesa, onde infiammarla e rinforzarla, finché abbia esternato qualcuna delle sue preziose virtù, e portato qualcuno dei suoi buoni frutti. — «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; se ho frodato qualcuno di qualcosa gli rendo il quadruplo» (Luca 19:8).

Ad Emmaus il desiderio s’era ben anche fatto sentire, ma in condizioni diverse; non si trattava dei bisogni d’un’anima convertita poco fa, ma di santi ristorati. I due discepoli erano stati increduli, e se ne ritornavano a casa loro sotto la triste impressione che Gesù aveva mancato alle loro giuste aspettazioni. Il Signore appena li raggiunge sulla via, li rimprovera della loro incredulità, ma ordina le Sue parole in modo da infiammare i loro cuori; e quando sono giunti alla loro abitazione, Egli, invece d’invitarsi come ha fatto a Gerico, f’a mostra di continuare il Suo cammino. Essi non erano in uno stato morale che spingesse il Si-nore di far ciò, come ne era stato il caso con Zaccheo; ma appena viene invitato, accetta, ed entra da i Suoi ospiti per ravvivare ancor più, ed appagare pienamente quel desiderio che fu la causa del Suo invito. Quindi i due discepoli, coi cuori pieni di gioia, si sentono spinti di ritornare nella città in quella stessa notte, quantunque tardi, per dare la lieta notizia ai loro compagni.

Quale varietà di bellezze in tutte queste scene! L’ospite del Fariseo, l’ospite del pubblicano, l’ospite dei discepoli, che sia invitato o non, in Gesù occupa sempre il posto di ogni perfezione e di ogni bellezza. Potrei parlare ancor molto di Lui quale commensale alle tavole altrui, ma mi limiterò ad osservarlo ancora in un luogo… a Betania, dove Lo vediamo nel seno d’un’amata famiglia. Se Gesù avesse disapprovato l’idea d’una famiglia cristiana, non sarebbe stato a Betania; ed inoltre, quando Lo vediamo là, Lo scorgiamo sempre in qualche nuova fase di morale bellezza, Egli è un amico di casa, e trova fra loro ciò che noi troviamo ancora ai nostri giorni, un luogo dove può essere interamente libero di aprire il Suo cuore e manifestare le Sue più delicato affezioni. Vediamo che ciò è confermato da Giovanni 11:5: «Or Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro». L’amore che Egli nutriva per loro non era quello d’un Salvatore o d’un pastore, quantunque fosse l’uno e l’altro per essi; ma era l’amore intenso e sincero d’un amico di famiglia. Però quantunque fosse amico, un amico intimo, che avesse sempre la porta largamente aperta per entrarvi, Egli non s’immischiò mai negli affari domestici. Marta aveva la direzione della casa, la persona la più occupata della famiglia, ufficio utile ed importante al suo posto; e certamente Gesù la lascia dove l’ha trovata; non è per Lui di cambiare o regolare tali cose, Lazaro può ben tener compagnia a tavola agli ospiti della famiglia; Maria può essere assorta nel suo proprio regno, o nel regno di Dio in essa; Marta può ben affaccendarsi nel servizio: sia pur così; Gesù lascia tutto come ha trovato. Egli che non sarebbe entrato in casa altrui senza essere invitato, quando entrò da quei Suoi amici di Betania, non volle immischiarsi nei loro affari; ma se un membro della famiglia invece di stare al suo posto, vuol insegnare in Sua presenza, Egli deve e vuol riprendere il Suo più alto carattere, regolando le cose divinamente, quantunque non avesse mai voluto entrarci sul piano del ordine domestico (Luca 10).

7. Sopra i più onorati

Che svariata e squisita bellezza! Chi può annoverarne tutti i particolari? La moltitudine delle cose a raccontare sorpassa la capacità della mente per ritenerle. E se nessuna mente umana può appieno capire l’assieme di questo oggetto, dov’è quell’umano carattere che non abbia aiutato colle sue ombre ed imperfezioni a metterne maggiormente in rilievo lo splendore? Nessun di noi penserebbe che Giovanni, o Pietro, o qualcuno degli altri apostoli fosse duro di cuore o grossolano; sentiamo, invece, che volontieri avremmo loro confidato le nostre pene e le nostre circostanze. Ebbene, quel fatto menzionato poco fa nel capitolo 6 di Marco, ci fa vedere che tutti caddero in errore, e si allontanarono dai veri bisogni quando la moltitudine affamata si rivolgeva a loro, interrompendo il loro riposo; ma, al contrario, quello fu il vero momento, l’occasione propizia per Gesù di avvicinarsi ad essa. Tutto ciò ci mostra quel che realmente Egli è, cari fratelli!

Parlando del Signore Gesù, qualcuno disse : «Io non conosco uomo così gentile, così condiscendente, che si sia abbassato fino ai poveri peccatori come Lui. Io ho più fiducia nel Suo amore che non in quello di Maria o di qualche santo; non mi fido soltanto nella Sua potenza come Dio, ma anche nella tenerezza del Suo cuore come uomo. Non si vide mai nessuno come Lui, che facesse come Egli ha fatto, e che riuscisse così bene come Egli ha riuscito; — nessumo m’inspirò giammai tanta confidenza come Lui. Che gli altri vadano pure ai santi od agli angeli, se vogliono; per me mi confido interamente nella bontà di Gesù».

Certamente, lo ripeto, questo è vero; e la breve narrazione di Marco 6, la quale ci rivela da un lato la strettezza di cuore dei migliori fra noi, come Pietro e Giovanni, e manifest dall’altro la piena ed imperitura grazia di Gesù, ce lo conferma.

8. Nel mondo, ma non del mondo

Ma oltre a ciò, la relazione che Egli ha avuto col mondo, mentre era quaggiù, ci mostra che c’era in Lui accumulati un assieme di vari caratteri, come pure di virtù e di grazie. Egli fu ad un tempo un vincitore, un sofferente ed un benefattore; — quali glorie morali brillano in tale combinazione! Egli vinse il mondo rifiutando tutte le sue attrattive ed offerte; soffrì per esso, testimoniando di Dio contro il suo andamento ed il suo spirito; lo benedì con continue dispensazioni di amore e di potenza; restituì sempre bene per male. Le sue tentazioni fecero di Lui un vincitore; la corruzione ne fece un sofferente; e le miserie ne fecero un benefattore. Che magnifica riunione di virtù in un solo uomo!— Qual gloria morale risplende in esse!

Il Signore illustrò quel motto che si ripete tra noi «nel mondo, ma non del mondo», — una espressione che forse deriva da ciò che Egli stesso disse in Giovanni 17:15: «Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno». Egli fu la manifestazione vivente d’un tale stato, durante tutta la Sua vita; poiché fu sempre nel mondo, operando fra l’ignoranza e la miseria che Lo circondava; ma giammai appartenne ad esso, come qualcuno che partecipi i suoi progetti e le sue speranze, o che respiri la sua atmosfera.

Nel capitolo 7 di Giovanni, però, Egli si mostra più specialmente rivestito di questo carattere. La festa dei tabernacoli era vicina, l’epoca che coronava la gioia d’Israele, il saggio del regno avvenire, la stagione della ricolta, quando il popolo non aveva se non a ricordare che in altro tempo era stato errante nel deserto e dimorante in un campo. I Suoi fratelli gli propongono di cogliere questo momento propizio, quando «tutto il mondo», come si dice, era a Gerusalemme, affinché manifestasse pubblicamente chi Egli era. Essi avrebbero voluto che fosse diventato un personaggio d’importanza, che si fosse fatto «un uomo del mondo». «Se tu fai queste cose, manifèstati al mondo», ma Egli rifiutò, perché il Suo tempo non era ancor venuto per celebrare la festa dei tabernacoli. Egli avrà il Suo regno nel mondo, che si estenderà su tutta la terra, appena sarà venuto il Suo giorno; ma fino allora era sulla via dell’altare e non su quella del trono. Egli non vuole andare alla festa per prendervi parte, quantunque voglia essere in essa; quindi, appena giunto nella città, Lo vediamo intento a servire e non a procacciarsi onori; non operando miracoli, come avrebbero voluto i Suoi fratelli, per guadagnarsi la fama degli uomini; ma insegnando gli altri, e nascondendo Sé stesso col dire: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato».

9. Tenerezza e fedeltà

Tutto ciò è veramente particolare e caratteristico; e fa parte della gloria morale di Gesù, dell’uomo perfetto nelle Sue relazioni col mondo. Egli fu nel mondo come un vincitore, un uomo di dolori ed un benefattore; wa non fu del mondo. Noi lo vediamo con uguale perfezione tanto a distinguere le cose, come esporre queste magnifiche combinazioni; così, occupandosi delle afflizioni delle persone che sono di fuori, per così dire, vediamo la tenerezza, la potenza che solleva; e stando occupato delle difficoltà dei discepoli, vi troviamo alla tenerezza unita la giustizia. Il lebbroso in Matteo 8, è uno straniero che va a Gesù, gettando sopra di Lui tutte le sue afflizioni, e riceve subita guarigione; ma i discepoli che vanno pure a Lui nella difficoltà della tempesta, assieme al conforto ricevono il rimprovero: «Perché avete paura, o gente di poca fede?» Il lebbroso però non aveva maggior fede dei discepoli; se questi dissero: «Signore, salvaci, siamo perduti!», quello gridò: «Signore, se vuoi, tu puoi purificarmi»; eppure gli uni furono rimprovrrati, e l’altro no. Secondo la mente del Signore, questi due casi erano differenti l’uno dall’altro, ed il Suo modo d’agire fu con giustizia. In un caso si trattava semplicemente di afflizione, mentre nell’altro si trattava e di afflizione e dell’anima; perciò la pura tenerezza fu la risposta nell’uno, mentre nell’altro abbisognò aggiungervi la giustizia. La diversità di relazione che avevano con Lui i discepoli e gli estranei, ci spiega questo Suo modo di fare, e ci mostra che Egli sapeva distinguere perfettamente le cose, le quali, quantunque si rassomigliassero di molto, non erano le stesse.

Ma ecco la perfezione: se Egli riprende, non permetterà mai che altri lo faccia neanche leggieremente. E come Mosè fu umiliato dal Signore, senza che questi permettesse a Maria e ad Aronne di rimproverarlo (Numeri 11, 12); come Israele nel deserto fu punito ripetutamente dalla mano dell’Eterno, e giustificato da questi stesso allorché Balaam voleva accusarlo; così il Signore Gesù volle intervenire in modo solenne tra i due discepoli che s’erano attirato il biasimo, ed i dieci che li biasimavano (Matteo 20); e quantunque inviasse un avviso con una segreta ammonizione a Giovanni Battista (inviandogli un messaggio che solo la sua coscienza poteva comprendere), si volse alla moltitudine, e parlò di Lui con lode e con diletto (Matteo 11).

Abbiamo inoltre altri esempi di questa grazia che sa distinguere le cose che differiscono fra di loro. Trattando con i Suoi discepoli, giunse pure un momento in cui la giustizia si tacque, e la tenerezza soltanto fu esercitata; questo fu il momento della separazione, descritta con linguaggio commovente in Giovanni 14, 15 e 16. Allora era troppo tardi per essere severo; le circostanze del momento non l’avrebbero permesso, ed il cuore voleva che questo poco tempo appartenesse interamente ad esso. L’educazione dell’anima non sarebbe stata propizia; Egli rivela loro dei nuovi segreti, è vero, dei segreti che hanno attinenza alla più cara e più intima relazione col Padre; ma c’è nulla che si approssimi ad un un rimprovero. Non si odono simili espressioni: «O gente di poca fede», oppure: «Non capite ancora?» C’è bensì una parola che suona ad un dispresso in questo senso (Giovanni 14:9); ma è soltanto per mostrare la ferita d’un cuore che aveva sofferto, e manifestare l’amore che Egli aveva per loro.

Questo fu la santità del dolore nel momento della separazione, secondo la mente perfetta e l’affezione di Gesù; ciò che facciamo anche noi in piccola misura, ma abbastanza per poter gioire ed ammirare la piena espressione in Lui. Troviamo nell’Ecclesiaste che «c’è un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci». — Questo è una legge dell’amore che Gesù osservò.

Però Gesù non si lasciò mai trascinare dalla dolcezza quando il caso richiedeva fermezza e fedeltà, quantunque passasse per molte circostanze atte a scuotere la sensibilità del cuore umano, ed in cui il senso morale dell’uomo avrebbe giudicato bene l’esserne scosso. Egli non volle mai guadagnare i Suoi discepoli coi poveri mezzi di una natura amabile. Il miele era escluso dall’offerta fatta per fuoco, come lo era il lievito; l’offerta di panatica non ne aveva (Levitico 2:11); e nemmeno Gesù, che fu la vera offerta di panatica, non ne ebbe mai. Non fu mai quel fare semplicemente civile e cortese che i discepoli videro nel loro Maestro; e non furono mai quelle belle maniere che s’inspirano unicamente ai desideri altrui. Egli non cedette mai ai loro capricci od ai loro naturali pensieri, eppure li tenne sempre strettamente legati a Sé; questo è la vera potenza.

È sempre prova di potenza morale ogni volta che si guadagna la confidenza altrui senza cercarla, poiché allora il cuore è divenuto conscio della realtà dell’amore. «Noi tutti sappiamo», dice qualcuno, «quanta differenza vi sia tra l’amore e la cortesia, e che questa può abbondare dove quello non è mai esistito. Qualcuno può dire che la cortesia attira la nostra confidenza, ma noi stessi sappiamo che soltanto l’amore è capace di far ciò». Questo è verissimo. Quelle belle maniere esteriori, per sé stesse non sono altro che miele; e quanto ce n’è ancora fra noi! Trascinati dalla corrente, noi siamo disposti a credere che tutto questo vada bene; e forse non miriamo ad altro scopo più elevato che di purgarci dal lievito e riempirci di miele. Siamo pure amabili, compiamo pur bene la nostra parte sulla scena della ben ordinata e civile società, compiacendo gli altri, e facendo il nostro possibile perché stiano in buoni rapporto con noi; allora noi saremo soddisfatti di noi stessi, e gli altri lo saranno di noi; ma è questo il servire Dio? È questa un’offerta di panatica? Veramente non si può dire che lo sia. Ammetto che noi possiamo naturalmente giudicare esservi nulla di migliore o di più efficace; ma ciò nondimeno è un secreto del santuario che il miele non era usato per rendere gradevole l’offerta.

10. Niente che doveva essere rimproverato

Noi dunque abbiamo visto che la gloria morale e la bellezza di tutte le vie del Figlio dell’uomo sono perfette nei loro sviluppi, nelle loro opportunità, nelle loro combinazioni e nelle loro distinzioni. La vita di Gesù fu come il brillante chiarore d’una candela. Egli fu come una lampada nella casa di Dio, che non aveva bisogno né di smoccolatoi, né di piattini d’oro puro come era prescritto dalla legge (Esodo 25:38); e che stava del continuo accesa davanti al Signore, bruciando olio puro e vergine (Esodo 27:20). Egli manifestò tutto quello che Lo attorniava, mettendolo in rilievo, e se occorre, riprovandolo; ma tenne sempre il Suo posto senza biasimo.

Sia che venisse provocato dai discepoli, sia che fosse accusato dagli avversari, come spesso gli accadde, non cercò mai di scusare Sé stesso. «Maestro, non t’importa che noi moriamo?» (Marco 4:38); ma Egli non pensa di ricuperare quel sonno da cui simile domanda l’ha scosso. Altra volta invece di rispondere alla Sua domanda, gli obiettano: «Maestro, la folla ti stringe e ti preme, [e tu dici: Chi mi ha toccato?]» (Luca 8:45); ma senza bisogno di far ulteriori ricerche, Egli agisce in modo che l’oggetto di esse si manifesta pubblicamente. In altra circostanza ancora, Marta gli dice: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!» (Giovanni 11:21); Egli però non si scusa di non essere stato là, né d’aver protratto di due giorni la Sua venuta, ma insegna a Marta qual carattere meraviglioso aveva dato a quel momento il Suo ritardo. Che bella maniera fu questa di giustificare il Suo ritardo!

E così fu in ogni simile circostanza; sia che fosse accusato, sia che fosse biasimato, Egli non ritrattò mai una parola e non indietreggiò mai di un sol passo. Ogni lingua che osava pronunziar giudizio contro di Lui, veniva da Esso condannata. Sua madre Lo rimprovera in Luca 2; ma invece di sostenere la sua accusa, è costretta di convincersi che i suoi pensieri sono tenebre ed errore. Pietro, nella foga del suo zelo, osa ammonirlo dicendogli: «Dio non voglia, Signore! Questo non ti avverrà mai» (Matteo 16:22); ma subito devo apprendere che quell’ammonizione viene da Satana. Uno dei sergenti del Sommo Sacerdote va ancor più lungi, ed insieme al rimprovero, gli dà uno schiaffo; ma viene immediatamente convinto d’aver trasgredito le leggi in presenza e sul luogo stesso dove si amministrava la giustizia (Giovanni 18).

Tutto, tutto ci parla del cammino che fece il perfetto Maestro. Accadde alle volte che le apparenze gli erano contro: perché, per esempio, dormiva sulla barca, mentre il vento e le onde infuriavano ? — Perché si fermava nella la via, mentre la figlia di Iairo era morente? (Luca 8); e perché dimorò ancora due giorni dov’era, mentre il Suo amico Lazaro era ammalato nel lontano villaggio di Betania? Ma tutto questo non fu che apparenza, e durò solo per un momento. Abbiamo parlato di queste maniere di Gesù, del Suo dormire, del Suo fermarsi, del Suo ritardo, ma abbiamo anche visto che il Suo fine fu sempre perfetto. Le apparenze erano pure contro il Dio di Giobbe nei giorni dei patriarchi; messaggio dopo messaggio faceva la sua apparizione inesorabile e senza pietà; ma Egli non ebbe a scusarsi, più di quanto lo avesse il Gesù dei Vangeli, il quale non si scusò giammai.

Quindi, se consideriamo Gesù come la lampada del santuario, come la luce nella casa di Dio, vediamo subito che gli smoccolatoi ed i piattini sono inutili, e che non possono avere in Lui la realtà di ciò che rappresentano. Perciò coloro che imprendevano ad accusarlo o biasimarlo mentre era quaggiù, dovevano ritornarsene biasimati e confusi. Essi volevano adoperare gli smoccolatoi ed i piatteni per una lampada che non ne aveva bisogno, e non facevano che mostrare la loro follia; mentre la luce di questa lampada brillava ancor più, non perché si fossero adoprati gli smoccolatoi, ma per dimostrare (come fece in ogni circostanza) che essa non ne aveva bisogno.

Da tutti questi fatti noi impariamo che il meglio che noi possiamo fare, si è di starcene vicini a Gesù senza mettere degli inciampi sul Suo cammino. Noi possiamo riguardare ed adorare, ma non mai immischiarci od interrompere l’opera Sua, come usavano fare nei loro tempi i Suoi nemici, i parenti, e persino i Suoi discepoli. Essi non potevano perfezionare quella luce che brillava in mezzo a loro; ma ne avrebbero dovuto essere rallegrati, e camminare in essa senza tentare di ordinarla. Guardiamo che il nostro occhio sia netto, e siamo certi che la lampada del Signore illuminerà tutto il nostro corpo.

11. Non sollecita la pietà

Ma proseguiamo. Come Gesù non cercò mai di giustificarsi dal giudizio dell’uomo durante tutto il tempo del Suo ministero (come abbiamo or ora veduto), così nell’ora delle Sue sofferenze, quando le potenze delle tenebre gli erano contro, Egli non cercò un sollievo e non sperò nessun appoggio dall’umana pietà. Quando divenne il prigioniero dei Giudei e dei Gentili, non uscì dalla Sua bocca né supplica, né domanda; nessuno udì da Lui una parola che facesse appello alla compassione o che volesse difendere la Sua vita. Egli aveva bensì pregato il Padre in Getsemane; ma non cercò minomamente di commuovere i sacerdoti giudei od il governatore romano. Tutto quello che disse in quel momento fu solo per mostrare il peccato che l’uomo, sia Giudeo o Gentile, stava compiendo.

Quale pittura vien tracciata agli occhi nostri! — Chi ne avrebbe potuto immaginare il soggetto? — Esso, come ben fece osservare un altro, avrebbe dovuto essere esposto prima di poterlo descrivere. Esso fu l’uomo perfetto, che camminò quaggiù nella pienezza della gloria morale, i cui riflessi furono lasciati dallo Spirito Santo sulle pagine dei Vangeli. Ed assieme alla semplice e beata certezza del Suo personale amore verso di noi (che il Signore l’accresca nei nostri cuori!), c’è nulla che ci faccia tanto desiderare d’essere con Lui come la scoperta di ciò ch’Egli è. Ho sentito io d’una persona, che osservando il Suo brillante e benedetto cammino nei quattro Vangeli, fu commossa fino alle lacrime, ed esclamò: «Oh se io fossi con Lui!»

Se mi fosse lecito di parlare per gli altri, cari fratelli, direi che questo è ciò che ci manca, ma che è pure ciò che aneliamo di possedere. Noi conosciamo il nostro bisogno, ma possiamo aggiungere che il Signore conosce il nostro desiderio.

12. Un tempo per conservare e un tempo per buttare via

[Questa parte è stata pubblicata nel Messaggero Cristiano, in giugno 1980.]

Il libro dell’Ecclesiaste dice: «Per tutto c’è il suo tempo;… c’è un tempo per conservare e un tempo per buttar via» (Ecclesiaste 3:6). Il Signore Gesù sapeva perfettamente quando occoreva conservare e anche buttare via.

Tutto quello che viene impiegato per servire Dio con cuore sincero, non è sprecato. Davide diceva all’Eterno: «Tutto viene da te; e noi ti abbiamo dato quello che dalla tua mano abbiamo ricevuto» (1 Cronache 29:14).

Le bestie che popolano le migliaia di monti sono sue; è suo tutto quello che c’è sulla terra. Ma Faraone considerò un atto di «pigrizia» la domanda che faceva il popolo d’Israele di partire per andare a offrire sacrifici all’Eterno: «Siete dei pigri! Siete dei pigri! Per questo dite: Andiamo a offrire sacrifici all’Eterno» (Esodo 5:17). Anche i discepoli stimarono una «perdita» i trecento denari spesi da Maria per ungere Gesù (Matteo 26:8). Eppure, dare al Signore ciò che gli appartiene, l’onore e l’affetto del cuore, l’opera delle nostre mani e i beni della nostra casa, non è né uno sciupio né un atto di pigrizia: dare a Dio è il primo dei doveri. Mi spiegherò meglio.

Rinunciare all’«Egitto» non è trascuratezza, e rompere un vaso di profumo sul capo di Gesù non è uno spreco, sebbene tra la gente del mondo, e a volte anche tra i credenti, sia considerato così. Molti sono i credenti pii che rinunciano deliberatamente a certi vantaggi terreni o trascurano certe prospettive mondane perché hanno veramente compreso cosa significhi essere associati a un Cristo rigettato; ma agli occhi di molti tutto questo è indolenza o dissipazione. Si sarebbero potuti conservare i vantaggi, essi pensano, o perseguire e raggiungere le prospettive terrene per poi servirsene per il Signore. Chi pensa così è in grave errore, e vorrebbe che uno ci tenesse alla posizione e all’influenza umana, considerando poi queste cose come un dono da poter mettere a profitto degli altri, della loro edificazione o del loro progresso. Ma se Cristo fosse veramente conosciuto come un Signore rigettato, ben diversi sarebbero i ragionamenti. Questa posizione nella vita, questi vantaggi terreni, queste tanto ricercate occasioni di progresso materiale non sono altro che quell’Egitto che Mosè abbandonò quando rifiutò di essere chiamato figlio della figlia di Faraone. I tesori d’Egitto per lui non erano ricchezze, perché non poteva impiegarli per il Signore. Preferì allontanarsene e il Signore lo incontrò e si servì di lui non per utilizzare i tesori d’Egitto e mettere in risalto la sua posizione alla corte, ma per liberare il suo popolo dalla dura schiavitù.

Devo aggiungere ancora qualche pensiero su questo soggetto, perché io credo che sia importante per noi.

Questa rinuncia, di cui Mosè ci offre un esempio, deve però essere accompagnata dall’intelligenza della fede se non la si vuol privare della sua realtà e della sua bellezza. Se si agisce solo per un principio «religioso», per guadagnarsi qualche merito o qualche giustizia, a nulla serve; anzi, è peggio di uno spreco o di un atto di pigrizia. Satana, in questo caso, ha riportato lui una vittoria su di noi, anziché noi sul mondo. Ma se la rinuncia è stata compiuta nella fede e nell’amore per un Cristo rigettato, nella piena consapevolezza della relazione che un tale Signore ha col «presente secolo malvagio», allora è un’offerta a Dio.

Fare del bene agli uomini a spese della Verità e dei principi divini non è cristianesimo, quantunque coloro che agiscono in tal modo siano chiamati «benefattori»; il vero cristiano si preoccupa tanto della gloria di Dio quanto della felicità degli uomini. Se perdiamo questo di vista, saremo tentati di considerare come una perdita di tempo e di denaro molte cose che sono invece la reale espressione di un servizio santo, devoto, intelligente e coerente con la Parola.

Il Signore ci insegna questa lezione quando giustificò la donna che sparse sul suo capo l’olio odorifero di gran prezzo. Noi dobbiamo, in quel che facciamo, considerare prima di tutto la gloria di Dio, anche se gli uomini si rifiutano di sanzionare ciò che ritengono non contribuisca al miglioramento del mondo e al benessere terreno. Gesù ha rivendicato i diritti di Dio su questo mondo egoista pur riconoscendo, come sappiamo, i diritti del prossimo al di sopra dei propri. Egli sapeva quando si doveva «conservare» e quando «buttare via»; e così, se dice ai discepoli: «Perché date noia a questa donna? Ha fatto una buona azione verso di me», dice anche, dopo aver sfamato la folla: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché niente si perda» (Giovanni 6:12). Se il servizio prodigo del cuore o delle mani nel culto di Dio non è uno spreco, le briciole stesse del nutrimento di chi ha fame sono sacre e non devono essere gettate via. Colui che giustificò la spesa di trecento denari, non permise che i resti dei cinque pani moltiplicati restassero in terra; essi costituivano il nutrimento della vita del corpo, così come l’erba dei campi che Dio aveva dato all’uomo per la sua sussistenza. E la vita è una cosa sacra; Dio è il Dio dei viventi. Parlando di tutte le erbe e di tutti gli alberi fruttiferi che fanno seme, Dio aveva detto all’uomo: «Questo vi servirà di nutrimento». (Genesi 1:29). Perciò Gesù voleva santificare ciò che Dio aveva dato. A coloro che erano sotto la legge era prescritto ciò: «Quando farai guerra a una città per conquistarla e la cingerai d’assedio per lungo tempo, non ne distruggerai gli alberi a colpi di scure; ne mangerai il frutto, ma non li abbatterai… Potrai però distruggere e abbattere gli alberi che saprai non essere alberi da frutto» (Deuteronomio 20:19-20). Sarebbe stato uno sciupio, una profanazione, abusare di ciò che Dio aveva dato per mantenere la vita, e Gesù, nella sua ubbidienza al pensiero divino, non vuole che nemmeno una briciola vada perduta. «Raccogliete i pezzi avanzati, perché niente si perda».

Non sono che dettagli; ma tutte le circostanze della vita umana, per quanto passeggere siano, per quanto piccole, quando Gesù le attraversa sono rischiarate da un raggio di quella gloria morale che ha illuminato sempre, con una fulgida luce, il sentiero sul quale il Signore posava i suoi piedi. L’occhio umano era incapace di discernerla, ma dinanzi a Dio tutto saliva come il profumo di un incenso, come un «sacrificio di odore soave», come l’offerta dell’oblazione del santuario.

13. Non giudica secondo l’apparenze, ma secondo il valore morale

Inoltre, il Signore non giudicò mai le persone basandosi unicamente sui rapporti esteriori che avevano con Lui, ciò che è uno sbaglio comune a tutti noi. Naturalmente noi giudichiamo gli altri dal modo con cui agiscono verso di noi, e ne prendiamo interesse secondo il loro carattere ed il loro merito; ma il Signore non faceva così. Dio è un Dio di sapienza, e pesa esattamente tutte le azioni, avendo una piena conoscenza di ciascuna di esse. Egli ne vede i fini più reconditi, e le giudica in conseguenza. Durante il ministerio del Signore Gesù sopra la terra, noi vediamo ch’Egli, essendo l’immagine del Dio della sapienza, agiva in tal guisa; e ne abbiamo una prova nel capitolo 11 di Luca. Ciò che in apparenza indusse il Fariseo ad invitarlo cortesemente a pranzo fu la simpatia verso Lui; ma il Signore era «il Dio della sapienza», e come tale Egli apprezzò quest’azione nella pienezza del suo carattere morale.

Il miele della gentilezza, che è il migliore ingrediente della vita sociale in questo mondo, non giunse mai a pervertire il Suo gusto o a modificare il suo imparziale giudizio. Egli approvò sempre tutto ciò che vide di buono o di eccellente; ma le convenienze sociali che Lo invitarono alla tavola altrui, non determinarono mai il giudizio di Colui che teneva le bilancia del Santuario di Dio. In questa circostanza le maniere civili del Fariseo dovettero subire un confronto con il Dio della sapienza, e non poterono resistere. Quale rimprovero v’è anche per noi in tutto ciò!

L’invito nascondeva uno scopo premeditato; e vediamo infatti che appena il Signore ebbe varcato la soglia della casa, l’ospite non agisce come tale, ma da Fariseo, manifestando gran meraviglia perché il suo invitato non si era lavato prima di sedere a tavola. Il carattere ch’egli assume in principio, si mostra poi al fine in tutta la sua forza; ed il Signore si comporta in conseguenza, poiché lo giudica secondo il suo vero valore. Qualcuno potrebbe dire che la cortesia ricevuta avrebbe dovuto imporgli silenzio; ma Egli non considerò quest’uomo unicamente dal punto di vista della relazione che aveva con Lui; ne manifesta i segreti pensieri; li disapprova apertamente; e vediamo alla fine della scena che il suo retto giudizio Lo giustifica pienamente. «E quando fu uscito di là gli scribi e i farisei cominciarono a contrastarlo duramente e a farlo parlare su molte cose; tendendogli insidie, per cogliere qualche parola che gli uscisse di bocca» (Luca 11:53-54).

Però verso un altro Fariseo, dal quale fu pure invitato a pranzo, il Signore agisce in modo affatto differente (vedi Luca 7), poiché Simone non nascondeva nessuno scopo premeditato nel suo invito. Pare bensì che agisca anche lui da Fariseo, accusando in sé stesso la povera peccatrice della città, ed il suo invitato per aver permesso il suo contatto; ma le apparenze non bastano per formare un retto giudizio; e noi sappiamo che spesso le medesime parole pronunziate da differenti labbra hanno un ben diverso significato. Quindi il Signore, che basava ogni cosa colla divina bilancia, quantunque rimproveri Simone e lo metta a nudo davanti ai suoi propri occhi, lo chiama per nome, e lascia la sua casa come un convitato avrebbe dovuto lasciarla. Egli distingue il Fariseo del capitolo 7 di Luca dal Fariseo del capitolo 11, quantunque abbia seduto alla tavola di entrambi.

Parimenti opera il Signore nei riguardi di Pietro nel capitolo 16 di Matteo. Quando esso dice: «Dio non voglia, Signore! Questo non ti avverrà mai», manifesta bensì un appassionato e premuroso attaccamento per il suo Maestro; ma Gesù giudica le sue parole secondo il loro giusto valore morale. Bisogna ammettere che per noi è duro assai e difficile il far ciò quando siamo personalmente encomiati, ma non così per il Signore. La risposta che diede a Pietro: «Vattene via da me, Satana!» non fu suggerita da una natura semplicemente amabile, ma dal fatto che Egli non riguardò le parole del Suo discepolo come esprimenti soltanto della bontà e della benevolenza verso di Lui. Egli le giudicò alla presenza di Dio, e vide subito che erano una suggestione del nemico; perché colui che può trasformarsi in angelo di luce, spesso si nasconde dietro a parole piene di cortesia e di affetto.

Nello stesso modo il Signore tratta Tomaso nel capitolo 20 di Giovanni. Questi Lo adorò dicendo: «Signor mio e Dio mio!» ma nemmeno queste parole valsero per far scendere Gesù da quell’altezza morale alla quale si trovava e da cui udiva e vedeva ogni cosa. Senza dubbio erano parole sincere, parole prodotte da una mente che, illuminata da Dio, s’era convertita al risorto Salvatore, e che invece di continuar nel dubbio, adorava; ma Tomaso era stato lontano il più che potè, essendo andato fino all’eccesso (Giovanni 10:25). È vero che tutti i discepoli erano stati increduli quanto alla risurrezione, ma egli aveva dichiarato che avrebbe persistito nell’incredulità finché non avesse avuto prove materiali che dimostrassero il contrario. Questo era il suo vero stato morale; e Gesù lo mette a posto, come aveva fatto con Pietro, dicendogli: «Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!»

Se noi ci fossimo trovati nel caso del Signore Gesù, i nostri cuori si sarebbero lasciati cogliere per sorpresa, e non avrebbero potuto resistere né alla benevolenza del focoso Pietro, né all’adorazione dell’incredulo Tomaso; ma il nostro perfetto Maestro fu per Dio e per la Sua verità; e non badò a Sé stesso. Israele poteva benissimo onorare l’arca e portarla sul campo di battaglia (1 Samuele 4), dicendo che in sua presenza tutto sarebbe andato bene per loro; ma questo non era il pensiero di Dio; perciò esso fu battuto dai Filistei, quantunque l’arca fosse stata trasportata nella mischia. Così Pietro e Tomaso vengono rimproverati, quantunque Gesù, antitipo dell’arca e sempre il Dio d’Israele, sia onorato da loro.

14. La gioia del Salvatore

Gli angeli si rallegrano del pentimento d’un peccatore, e la Parola ci dice che: «v’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si ravvede». È bello vederci rivelato questo segreto del cielo ed averne diverso illustrazioni come troviamo in Luca 15.

La gioia, quantunque sia in cielo, è pubblica; si manifesta per sé stessa e tutta la casa ne partecipa come se fosse una gioia comune. Ma c’è qualcosa di più: come c’è la gioia del cielo, c’è ancora la gioia del cuor di Dio. Troviamo la prima in Luca 15 e la seconda in Giovanni 4:27-32. Quest’ultima, non è necessario il dirlo, è la più profonda; è perfetta, silenziosa ed personale; essa non ha bisogno d’essere risvegliata e sostenuta da altri, ma vive d’una vita propria. «Io ho un cibo da mangiare che voi non conoscete», così si esprime il cuore di Cristo nel godimento di questa gioia, la quale non può essere partecipata da nessuno. Troviamo (1 Re 8:11) che i sacerdoti non poterono stare in piè per fare il servizio, perché la gloria riempiva la casa del Signore; vediamo che il Pastore, quando ebbe trovato la pecora smarrita, se la mise sulle spallo, provando una gioia tutta propria, non avendo ancor potuto comunicare la buona notizia ai suoi amici (Luca 15:4-6); vediamo in Luca 7 che la casa del Fariseo non era ancora chiamata a partecipare alla gioia del Salvatore, quando la donna Lo lasciò, come una felice peccatrice perdonata; qui in Giovanni 4 possiamo osservare che i discepoli sentivano la solennità del momento (versetto 27), ma che nessuno osò intromettersi in ciò che taceva il loro Maestro, e che se ne stavano in disparte silenziosi, mentre il grasso, la parte riservata all’altare (Levitico 7:31), il «cibo di Dio» (cf Numeri 28:2) era preparato. Questo fu un momento meraviglioso e non comune. La profonda ed inesprimibile gioia del cuore divino viene qui tracciata, come la pubblica gioia del cielo viene manifestata nel capitolo 5 di Luca.

15. Rinfrescato e riposato

Ma Colui che poteva essere così «nutrito», si trovò pure ad essere stanco, ad aver fame ed a soffrir la sete. Vediamo ciò in questo stesso capitolo 4 di Giovanni come nel capitolo 4 di Marco, con questa differenza però: che in Marco prende sonno per avere il necessario riposo, mentre in Giovanni può farne senza. E perché ciò? In Marco Egli aveva avuto una giornata faticosa, ed alla sera era stanco, come può esserlo la natura umana dopo il lavoro. «L’uomo esce all’opera sua e al suo lavoro fino alla sera» (Salmo 104:23); quindi il sonno lui è dato, per ridornargli le forze per compiere il suo servizio nel giorno successivo; e Gesù provò tutto ciò, Egli dormì su un guanciale nella barca. In Giovanni pure Egli è stanco, affamato ed assetato; siede sul pozzo come un viaggiatore affaticato, aspettando i discepoli che erano andati a comprar cibo nel vicino villaggio. Ma quando essi arrivano, trovano che il loro Maestro s’era già rifocillato e riposato; e ciò senza mangiare, senza bere senza dormire. La sua stanchezza aveva trovato un conforto che il sonno non può dare; Egli si sentiva felice per il frutto che aveva portato il Suo lavoro nell’anima d’una povera peccatrice. La donna fu rimandata nella libertà della salvezza di Dio. Ma in Marco 4 non essendovi una Samaritana come in Giovanni, Egli si riposa dalla Sua stanchezza sul guanciale.

Come tutto questo è vero e si può capire da noi! In Giovanni 4 il cuore del Signore era allegro, per così dire; mentre in Marco 4 c’era nulla che potesse rallegrarlo. La Scrittura dice (e la nostra esperienza conferma queste parole) che «un cuore allegro è un buon rimedio, ma uno spirito abbattuto fiacca le ossa» (Proverbi 17:22); ed è perciò che il Signore in un caso poteva dire: «Io ho un cibo da mangiare che voi non conoscete» e nell’altro usare un guanciale provvisto da una sollecitudine attenta ai suoi bisogni.

Come era perfetta in tutti i suoi particolari l’umanità che il Figlio aveva rivestito! — Si può dire con certezza che era l’umanità a noi comune, eccetto il peccato.

16. Egli sa fare distinzioni fra le cose che differiscono — Non contaminato dalla sozzura

In tempi di confusione viene spesso la tentazione di rigettar tutto come se non vi fosse più alcuna speranza, e di considerare come inutile e senza scopo il distinguere le cose. Tutto è in disordine, si dice, l’aposiasia s’è impadronita dei cuori; a che giova fare delle distinzioni? Ma questo non fu il linguaggio del Signore: Egli si trovò nella confusione senza far parte di essa, come innanzi abbiamo detto che era nel mondo senza essere del mondo. Egli incontrò ogni sorta di persone che appartenevano ad ogni sorta di condizioni; schiere su schiere venivano compatte attorno a Lui, ma Egli seguì sempre la via stretta della dirittura e della santità. Le pretese dei Farisei, la mondanità degli Erodiani, la filosofia dei Sadducei, l’incostanza della moltitudine, gli attacchi degli avversari, l’ignoranza e la debolezza dei discepoli erano gli elementi morali in mezzo ai quali Egli doveva passare la Sua vita giornaliera.

Quindi tanto lo stato delle cose, come il carattere delle persone, esercitavano il cuor del Signore. Il denaro coniato da Cesare circolava nella terra di Emmanuele; il muro che separava il Giudeo dal Gentile era caduto in rovina; circonciso ed incirconciso, puro ed impuro, tutto era confuso, a meno che l’arroganza religiosa vi mettesse un ritegno secondo il suo modo particolare. Ma l’autorevole parola di Gesù manifestò la perfezione del Suo contegno in mezzo a tutto questo: «Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio».

Nell’epoca della cattività di Babilonia, che fu pure un’epoca di confusione, il Rimanente fedele si comportò lodevolmente facendo una distinzione fra le cose che differivano, e non rigettandole come se non vi fosse più stata speranza. Daniele era ben disposto a servir d’interprete al re, ma non a mangiare il suo cibo; Neemia serviva volontieri nel palazzo del Sovrano, ma non avrebbe potuto sopportare che il Moabita o l’Ammonita entrassero nella casa di Dio; Mardocheo vegliava diligentemente sulla vita del re Assuero, ma non voleva per nessun conto inchinarsi per adorare Aman; Esdra e Zorobabel accettarono i favori del re di Persia, ma rifiutarono l’aiuto dei Samaritani lor nemici e condannarono il matrimonio coi Gentili; ed i poveri prigionieri pregavano bene per la pace di Babilonia, ma non volevano cantare i dolci cantici di Sion.

Tutto ciò è magnifico, nobile ed elevato; ed il Signore, nei Suoi giorni, fu perfetto anche in questo carattere del Rimanente. Anche noi viviamo in un tempo dove la confusione non è inferiore a quella v’era nei giorni della cattività d’Israele, o nei giorni di Gesù; quindi anche noi siamo chiamati ad agire nella presente scena, non come essendo senza speranza, ma col discernimento di saper dare a Cesare quel che è di Cesare ed a Dio quel che è di Dio. — Ogni tratto della Sua bellezza morale diviene un modello per noi.

Ma Lo vediamo inoltre come Dio di fronte al male, prendendo un posto che certamente noi non potremo mai occupare. Egli toccò la lebbra, toccò la bara che serviva per trasportare un morto, e ciò senza contaminarsi, perché riguardava il peccato come lo riguarda Dio. Egli conobbe il bene ed il male ed esercitò sempre una divina supremazia su di essi, avendone una conoscenza divina. Se fosse stato altrimenti, il contatto della bara del morto e del lebbroso, Lo avrebbe contaminato, e Lo avrebbe obbligato d’abbandonare il campo per essere purificato secondo l’ordinanza della legge; ma così non fu di Lui. Egli non fu mai un Giudeo impuro; non solo non si è mai contaminato, ma non poteva contaminarsi. Ecco il mistero della Sua persona, che racchiude la perfezione dell’umanità unitamente alla divinità; e la tentazione era tanto vera, come gli era impossibile la contaminazione.

E qui fermiamoci un momento. Di fronte a simili verità, le quali, quantunque misteriose e profonde, ci sono però necessarie, il nostro dovere più che di discuterle ed analizzarle, si è di accettarle con vero cuore e di adorare Colui che ce le ha rivelate (*). È consolante il vedere delle anime semplici che lasciano l’impressione d’aver costantemente Cristo stesso davanti agli occhi loro. Spesso noi c’intratteniamo sulle verità in tal modo, che alla fine non ci resta se non un’amara convinzione che noi non corriamo verso Lui; e ci accorgiamo allora che abbiamo perduto il nostro tempo, errando sulla strada.

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(*) Prendo quest’occasione per dire che la morte di Gesù fu ciò che ha manifestato perfettamente la Sua gloria morale, di cui io parlo (Filippesi 2). Naturalmente so ch’essa fu molto di più; ma fra le altra cose, fu anche questo.
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17. Perfetta dignità — Povero, ma arricchendo molti

Il Signore fu «povero, eppure arricchendo molti» — «non avendo nulla, eppure possedendo ogni cosa»; e ciò si vide in Lui in un modo affatto particolare. Egli accettò i soccorsi di alcune donne pie che Lo sovvenivano con i loro beni, e nello stesso tempo provvide ai bisogni di tutti coloro che Lo circondavano, come essendo il padrone dei tesori della terra. Ei poteva nutrire le moltitudini in un luogo deserto, e nello stesso tempo soffrire la fame, aspettando il ritorno dei Suoi discepoli che erano andati a comprare del cibo. Ciò vuol dire «aver nulla e possedere ogni cosa».

Ma quantunque fosse così povero, così bisognoso e così esposto alle sofferenze, non si scorge mai che abbia commesso la più piccola bassezza. Ei non chiese giammai l’elemosina, benché non possedesse un soldo; e quando ne abbisognò uno (Luca 20:20-26), non per sé, ma per vedervi il conio, chiese che glielo si mostrasse. Quantunque esposto a gravi pericoli, e minacciato nella propria vita, Egli non fuggì mai, ma si ritirava dal posto dove si trovava con cautela e dignità. Così non si può trovare in tutta la Sua vita un sol atto che non convenga a quella nobiltà di sentire e di operare, che continuamente Lo distinse, quantunque la povertà ed i pericoli fossero la sua parte quotidiana.

Chi potrebbe darci l’esempio d’un uomo così perfetto, così immacolato, così sensibile, così delicato, e così puro in tutti i più minuti particolari della vita? — Paolo non ce lo diede; e nessuno potrebbe darcelo, se non Gesù, il Dio fatto uomo. Le Sue particolari virtù spiegate nelle circostanze ordinarie della vita quotidiana, ci danno un’idea della maestà della Sua Persona. Per mostrare dei tratti d’una si squisita particolarità in una posizione sì comune, bisognava che fosse una persona singolare, bisognava che fosse l’uomo divino, se posso così chiamarlo; e Paolo, ripeto, non manifestò nulla di simile. È vero che ci fu in lui una gran dignità ed un’elevatezza morale non comune; ma il suo cammino non fu quello del Signore Gesù. Egli si trova in pericolo di vita, e cerca protezione presso un suo nipote; altra volta è perseguitato, minacciato, ed egli si lascia scendere dalle mura della città in una cesta. Io non dico che elemosinasse o chiedesse denaro, ma ammette d’averne ricevuto. Tacio che Paolo si sia dichiarato Fariseo in quella assemblea mista di Farisei e Sadducei (Atti 23) per cercare un appoggio nell’uditorio; e tacio pure come abbia parlato al Sommo Sacerdote che lo giudicava, poiché una simile condotta era manifestamente riprovevole; ma voglio soltanto alludere a quei casi nei quali Paolo, senza essere immorale, o senza agire propriamente male, si mostro di gran lunga al disotto di quella personale dignità che caratterizza la via di Cristo. Nemmeno la cosidetta fuga in Egitto, non può essere un’eccezione a questa regola, seguita costantemente da Gesù, poiché quel viaggio fu intrapreso per compiere le profezie, e sotto l’autorità d’un oracolo divino.

Tutto ciò non è soltanto una gloria morale, ma è veramente una meraviglia morale; — ed è prodigioso che la penna tenuta da un uomo abbia mai potuto tracciare simili bellezze! La cosa non si può spiegare diversamente, come fu già notato da altri, se non col dire che in tutto questo si tratta della verità, di evidenti realtà; e noi siamo costretti di riconoscere questa necessità benedetta.

18. Parole sempre a proposito

Continuando a discorrere su questo splendido soggetto, ci ritornano alla mente quelle parole scritte ai Colossesi 4:6: «Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito con sale, per sapere come dovete rispondere a ciascuno»; e le nostre parole dovrebbero essere tali, per far del bene agli altri, conferiscando la grazia a chi le ascoltano. Tuttavia, questo ha luogo spesso quando esse contengano ammonizione o rimprovero, od anche severità e fermezza; così sono condite con sale. Se le nostre parole riuniscono quelle rare qualità d’essere pronunziate con grazia e condite con sale, ci faranno rendere testimonianza che noi sappiamo come si deve rispondere ad ognuno.

Fra tutte le altre forme di perfezione morale, il Signore Gesù illustrò anche questa. Egli seppe come rispondere ad ogni suo interlocutore, in modo da far del bene all’anima sua, sia che le Sue parole fossero ascoltate, sia che si cercasse di evitarle; ma spesso avevano del sale, e ne avevano molto. Perciò alle domande che gli venivano fatte, Egli si proponeva non tanto di rispondere alla domanda stessa, quanto di colpire la coscienza e manifestare lo stato di colui che interrogava.

Nel Suo silenzio, o meglio nel rifiutarsi affatto di rispondere, quando si trovò innanzi ai Giudei ed ai Gentili alla fine della Sua carriera, sia di fronte ai sacerdoti come alla presenza di Pilato e di Erode, vi scorgiamo lo stesso contegno perfettamente conveniente, come abbiamo visto nelle Sue parole; testimoniando così, che tra i figli degli uomini ve n’era almeno Uno il quale sapeva discernere quando era «tempo per tacere» e quando era «tempo per parlare».

In tutto ciò il Signore Gesù presenta anche una grande varietà di modi o di maniere, le quali tutte fan parte di quella fragranza che saliva a Dio. Il Suo parlare ora era gentile, ed ora assumeva un aspetto severo ed uno stile dottrinale; talvolta Egli si metteva a ragionare volontieri, talvolta subitamente rimproverava; ed talvolta agì con calma, pur ragionando su certi punti da cui appariva una solenne condannazione, poiché era per il lato morale che Egli riguardava e pesava tutto.

Il capitolo 15 di Matteo mi ha colpito in un modo particolare, essenda quello in cui si può meglio vedere questa perfezione in tutte le sue svariate bellezze. Qui il Signore deve rispondere ai Farisei, alla moltitudine, alla povera donna cananea, ai Suoi discepoli ripetutamente, e mentre sono nel loro stato di ignoranza o di egoismo; e noi vi possiamo scorgere il Suo differente stile con cui rimprovera o ragiona, o mostra la calma, od insegna con pazienza, oppure ancora cerca di attirare a Sé con grazia, con fedeltà e con saggezza una povera anima che soffre. E nel leggere questi fatti noi non possiamo fare a meno di sentire che tutte queste varietà sono disposte per ordine secondo il richiedevano le circostanze.

Tale fu pure la bellezza del contegno che tenne in Luca 2, ove né insegna, né viene insegnato; ma ci viene semplicemente detto che Egli era là ascoltando e facendo domande. L’insegnare allora non sarebbe stato a proposito, poiché era come un ragazzo in mezzo ai suoi anziani; né il ricevere insegnamento sarebbe stato in armonia colla pura e gloriosa luce che Egli era conscio di portare in Sé, poiché noi possiamo dire di Lui che Egli aveva più conoscenza di tutti i suoi maestri, e più saggezza dei vecchi (Salmo 119:99-100). Non parlo qui di ciò che Egli era come Dio, ma di Colui che era «pieno di sapienza», e che seppe usarla secondo la perfezione della grazia. Ed è perciò che l’evangelista non ce Lo presenta fra i dottori nel tempio, all’età di dodici anni, né insegnando, nè imparando; ma ci dice semplicemente che era là ascoltando e facendo delle domande. Parlando della Sua adolescenza, la Scrittura ci dice: «E il bambino cresceva e si fortificava; era pieno di sapienza e la grazia di Dio era su di lui»; e quando fu uomo compiuto, camminando attraverso questo mondo, il Suo parlare fu sempre con grazia, condito con sale, come Uno che seppe come si doveva rispondere ad ogni Suo interlocutore. Quale armonia di perfezione e di bellezza ci fu mai nei Suoi diversi stati di giovinezza e di età virile!

19. Perfetto nei piccolissimi dettagli

Ma oltre a ciò, noi troviamo il Signore Gesù in varie altre circostanze: — Talvolta Egli è sprezzato e schernito, spiato ed odiato dai Suoi nemici, fino ad essere costretto di ritirarsi per salvare la Sua vita dai loro tentativi e perfidi proponimenti. Altre volte noi Lo scorgiamo che è debole, seguito soltanto dai più poveri fra il popolo, spossato, affranto dalla fame e dalla sete; e debitore di cure di alcune donne pie, le quali sentono di dovergli ogni cosa. Ora Egli sta compiangendo la moltitudine con una bontà piena di tenerezza e di benevolenza; ed ora accompagna i Suoi discepoli nelle loro refezioni o nei loro viaggi, conversando con essi come un uomo farebbe con i suoi intimi amici. Qualche volta Lo vediamo ancora, comparire sulla scena con potenza ed onore, operando miracoli e manifestando qualche raggio della Sua gloria; e quantunque, sia nella Sua persona, sia nella Sua posizione, non avesse nulla al mondo, ma fosse il figlio d’un falegname, senza fortuna e senza istruzione, pure ottenne una tale agitazione tra gli uomini (e persino sulle idee dei grandi della terra), che nessun altro aveva ottenuta fino allora.

Ecco come passò l’adolescenza, la virilità e la intera vita umana del Signore Gesù!… — Oh se almeno il nostro cuore potesse comprenderlo meglio e dargli il primo posto! — V’è una tale perfezione nel tratteggiarne persino i minuti particolari, che ci mostra l’intervento d’una mano divina. E quale mano, se non quella guidata dallo Spirito Santo, avrebbe potuto dipingere il quadro di certe circostanze sì delicate e sì importanti, se lo Spirito Santo non avesse guidato la sua penna? — Chi, per esempio, per assicurarci che il Signore non possedeva un denaro, avrebbe parlato del tributo dovuto a Cesare, e della necessità per Gesù di doverne chiedere uno agli astanti? — E come l’importante questione del censo ci fa entrare nelle circostanze Suo speciali, così vediamo che la bellezza morale delle Sue azioni scaturisce dalla morale perfezione del Suo interno.

Nell’ora del Getsemane Egli disse ai Suoi discepoli di vegliare con Lui, ma non di pregare per Lui. Trovandosi nel momento della distretta, Egli desiderava ed apprezzava la simpatia dei Suoi compagni; ed avrebbe voluto che il loro cuore fosse stato strettamente legato al Suo. Un tale desiderio emanava da quella gloria morale della Sua perfetta umanità; ma nello stesso tempo che sentiva ciò; Egli non chiese loro che stessero alla presenza di Dio in Suo favore. Nella foga della Sua tenerezza ed amore, Egli avrebbe voluto che essi si fossero dati a Lui, ma non avrebbe preteso che essi si fossero dati per Lui a Dio: ecco perché li richiese che vegliassero in Sua compagnia, e non domandò le loro preghiere! È bensì vero che subito dopo unisce la preghiera al vegliare, ma allora parla in vista dei loro bisogni: «Vegliate e pregate», Egli dice, «per non cadere in tentazione». Paolo poteva ben scrivere ai suoi fratelli: «Cooperate anche voi con la preghiera [per noi]» (2 Corinzi 7:11). — «Pregate per noi; infatti siamo convinti di avere una buona coscienza» (Ebrei 13:18); questo però non fu il linguaggio di Gesù. Non è necessario che io dica che non avrebbe potuto esserlo; ma tutto ciò dimostra che la penna, la quale ci descrisse una simile vita e ci delineò un simile carattere, fu guidata dallo Spirito di Dio; e che nessuno, se non lo Spirito, avrebbe potuto scrivere così.

20. Egli dà gratuitamente

Gesù fece del bene ed imprestò senza speranza di riavere; la Sua destra non seppe mai cosa diede colla sinistra. Egli non sollevò mai delle pretese né sulla persona, né sul servizio di coloro che Egli aveva liberato o guarito; non riguardò mai il bene che operò come un titolo all’altrui gratitudine, ma, senza pensare ad altro, Egli amò delle persone umanamente spregevoli, guarì degli infermi cronici e salvò dei peccatori perduti. Egli non permise che l’indemoniato del paese dei Geraseni detto «Legione » lo seguitasse (Marco 5:18-19); guarì il fanciullo che era ai piedi del monte santo, e lo restituì a suo padre (Luca 9:42); lasciò la figlia di Iairo nel seno della sua famiglia; ridonò il figlio alla povera vedova di Nain; e tutto ciò senza pretendere nulla da essi. Forse che Cristo diede qualcosa affinché glielo si restituisse? Egli (il perfetto Maestro!) non illustrò forse lo Sue proprie parole: «Fate del bene, prestate senza sperarne nulla» (Luca 6:35). La natura della grazia è di dare agli altri, e non di arricchire sé stessa; e Gesù venne, affinché in Lui e nel Suo cammino la grazia potesse brillare in tutto lo splendore della gloria e delle ricchezze che le appartengono. Egli trovò dei servitori in questo mondo; ma non li guarì per poi tenerli soggetti; anzi li chiamò e diede loro dei doni. Essi erano il frutto dell’energia del Suo Spirito e delle affezioni accese in cuori vinti dal Suo amore; e mandandoli a predicare dice loro: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Matteo 10:8).

Certamente nei tratti d’un tale carattere vi sono delle cose superiori alla concezione dello spirito umano; ed ognuno ama ripetersi colla mento quegli aneddoti commoventi da cui fu penetrato, serbando un pensiero di ammirazione per quelle cose che gli appaiono splendide, ma che non sa spiegarsi. È consolante però aggiungere che alle volte questa gloria morale del Signore Gesù brilla sotto la più semplice forma, in modo che si rende intelligibile ad ogni sentimento e ad ogni simpatia del cuore umano.

21. Davanti alla fede debole e davanti alla fede ardita

Parimenti Egli non respinse mai la fede più debole, quantunque accettasse e rispondesse con diletto alle questioni della più alta importanza. La fede potente che gli si accostava con piena ed immediata certezza, senza fare tante cerimonie, era sempre la benvenuta; mentre quelle anime timide che si avvicinavano a Lui quasi con vergogna e come se avessero voluto scusarsi, erano incoraggiate e benedette. Le Sue labbra dileguavano in un istante quella nube che pesava sul cuore del povero lebbroso; «Signore,» dice questi, «se vuoi, tu puoi purificarmi». — «Lo voglio, sii purificato» rispose Gesù, e la lebbra si diparti da lui. Subito dopo le stesse labbra mostrarono la pienezza che c’era nel Suo cuore quando vide la testimonianza della fede chiara ed esplicita che c’era nel centurione Gentile, e quando la fede ferma e piena di zelo d’una famiglia in Israele scopre il tetto della casa dove Egli era per scendere il suo ammalato dinanzi a Lui.

Ogni volta che s’indirizzò a Lui una fede debole, Egli concesse sempre la benedizione richiesta, ma biasimò colui che la richiedeva in tal modo. Però anche questo rimprovero è pieno di consolazione per noi, poiché sembra voglia dire: «Perché non faceste uso di me con maggior libertà e con una più grande felicità?» Se noi valutassimo tanto il donatore quanto il dono ricevuto, il cuore di Cristo come la Sua mano, questo rimprovero d’una debole fede ci sarebbe così prezioso come lo fu la risposta che diede ad essa.

E se una fede debole venne così rimproverata, una fede robusta gli fu molto gradita. Quindi possiamo farci un’idea quale graziosa vista fosse per il Signore il vedere quella comitiva, già innanzi menzionata, che scuopre il tetto della casa per avvicinarsi a Lui. Io sono certo che fu proprio un grande spettacolo agli occhi del divino e generoso Gesù; sono certo che il Suo cuore fu penetrato da una simile azione, come la casa di Capernaum fu penetrata da gli autori di essa.

22. In contatto con la miseria del cuor umano

Vediamo nel nostro Redentore che la gloria è mista all’umiltà; e noi abbiamo bisogno e dell’una e dell’altra. Colui che sedette sul pozzo di Sichar è quello stesso che ora siede lassù nel cielo; Colui che salì in alto è anche quello che scese nel più basso della terra; in Lui c’è la dignità mista alla condiscendenza; Egli è là che siede alla destra di Dio, mentre un giorno ora qui chino verso terra per lavare i piedi dei Suoi discepoli. Quantunque vestito della nostra povertà, non perdè nulla della Sua grandezza; e benché fosse glorioso, immacolato e perfetto in Sé stesso, pure non gli mancava niente per servirci.

L’egoismo viene vinto dallo sforzo e dall’importunità, come leggiamo in Luca 11:8: «Io vi dico che se anche non si alzasse a darglieli perché gli è amico, tuttavia, per la sua importunità, si alzerà e gli darà tutti i pani che gli occorrono». Così avviene fra gli uomini, ove l’egoismo predomina; ma non è così con Dio o con l’amore; ed una prova di ciò l’abbiamo, appunto in Isaia 7, ove Dio è in opposizione all’uomo presentatoci nel capitolo 11 di Luca. Là c’è l’incredulità che stanca Dio rifiutandosi di chiedere una benedizione e di riceverla col suggello d’una testimonianza esteriore; in Luca invece è l’insistenza nel chiedere che stanca l’egoismo e l’indifferenza dell’uomo. Qui c’è l’importunità; in Isaia invece, ciò che stanca è, per così dire, la mancanza di essa. E tutta questa divina bontà che vediamo nell’Eterno verso la casa di Davide, si ripete nel Signore Gesù Cristo negli Evangeli e nelle sue molteplici forme, sia nei riguardi d’una fede debole come nei confronti d’una fede compiuta.

Tutte queste cose che noi siamo capaci di scoprire, ci parlano delle Sue perfezioni; ma in che piccola proporziono noi ci arriviamo a farlo!

Noi sappiamo bene tutti in quanti modi diversi i nostri fratelli ci provano e ci tentano, come, senza dubbio, noi facciamo verso loro; ed ogni volta che ciò avviene, ci sembra sempre di vedere delle cattive qualità in loro, dei pessimi difetti da rendere impossibile il camminare insieme. Ma in tutto ciò, o per lo meno in gran parte, il torto è sempre dalla nostra, poiché generalmente non usiamo verso noi lo stesso discernimento che si usa nel giudicare qualcosa che è riprovevole in loro.

Ma il Signore Gesù non s’ingannò mai in tal moclo, né poteva ingannarsi; quindi non fu mai «vinto dal male, » ma «vinse sempre il male con il bene». — Egli vinse sempre il male che v’era nei Suoi discepoli col bene che v’era in Lui. La vanità, il cattivo carattere, l’indifferenza per gli altri ed ogni cura per loro stessi, l’ignoranza che mostravano dopo tante fatiche per istruirli, erano tutte cose in mezzo alle quali il Signore dovette continuamente soffrire.

Il Suo cammino quaggiù fu un tempo d’«irritazione» come lo furono i quarant’anni nel deserto. Israele tentò l’Eterno di bel nuovo, per così esprimersi; ma di bel nuovo esperimentò ciò che Egli era. Consolante a dirsi: essi lo provocarono e lo tentarono, e per la loro provocazione, metterano in evidenza ciò che Egli era. Egli soffrì, ma lo fece con pazienza, e non gli abbandonò mai; gli esortava, gli insegnava, li rimproverava e li condannava, ma non si dipartiva da loro; anzi, alla fine del loro cammino, Egli è più vicino che mai.

Come è bello ed incoraggiante per noi tutto questo! — L’azione che esercita il Signore sulla coscienza non offende mai il cuore; e non si perde mai nulla dai Suoi rimproveri. Ed Egli, che non si allontana da noi mentre mette in esercizio la nostra coscienza, è pronto a ristorare le nostre anime, e far sì che i nostri cuori possano godere di nuovo di quella beata libertà di cui si gode alla Sua presenza.

Vorrei notare inoltre che nel manifestare i diversi caratteri che durante il Suo ministero fu chiamato a rivestire (fosse anche per un sol momento), vi troviamo la stessa perfezione, la stessa gloria morale, come nella Sua vita giornaliera. Vediamo ciò, per esempio quando Egli appare come Giudice in Matteo 23, o come Avvocato in Matteo 12; ma non faccio che indicare un tale soggetto, poiché il tema è troppo vasto. Ogni passo, ogni parola ed ogni azione trae con se un raggio di questa gloria; e l’occhio di Dio trovò maggior soddisfazione nella vita di Gesù, di quello che avrebbe potuto avere in una eternita d’innocenza adamitica. Fu nel mezzo della nostra morale ruina che Gesù camminò; ed è da una simile posizione che Egli fece salire a Dio un più ricco sacrificio di odor soave, di quello che avrebbe potuto salire dall’Eden, e che l’Adamo dell’Eden, fosse ben rimasto innocente per sempre, avrebbe potuto offrire.

23. Egli è lo stesso prima e dopo la risurrezione

Il tempo non opera nessun cambiamento nel Signore. Gli stessi esempi di grazia e di carattere, prima e dopo la Sua risurrezione, dimostrano l’esistenza di questa verità, che è così importante per noi. Sappiamo ciò che Egli è in questo momento, e ciò che sarà per sempre, da quello che fu già; sia in carattere, come in natura — in relazione a noi come a Sé stesso — «Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno» (Ebrei 13:8). Soltanto il menzionare una tal cosa è già atto a confortarci; noi che alle volto siamo afflitti dai cambiamenti, ed altre volte li desideriamo, facendo così l’esperienza in varie guisa dell’incostanza di quella natura che costituisce la vita umana. Non sono soltanto le circostanze che variano ad ogni piè sospinto, ma le relazioni, le amicizie, le affezioni ed i caratteri sono soggetti a continui cambiamenti che ci sorprendono e ci affliggono.

Corriamo a precipizio da uno stadio della vita ad un altro, ma è rarissimo che le nostre affezioni non perdano quell’intensità o quella purezza che avevano una volta; sia che si tratti di noi, come dei nostri compagni di pellegrinaggio. Ma Gesù dopo la risurrezione fu il medesimo di prima, quantunque gli ultimi avvenimenti abbiano posto i discepoli ad una tal distanza da Lui, che non fu mai conosciuta tra compagni, o che non potrebbe esserlo. I discepoli avevano mostrato apertamente l’infedeltà e l’incostanza dei loro cuori, abbandonando e fuggendo il loro Maestro nell’ora della sua debolezza e della sua angoscia; mentre Egli per l’amore che nutriva verso di loro andò fino alla morte, a quella morte che non avrebbe potuto essere affrontata da nessun’altro, senza essere annientato. Dopo questa morte, i discepoli continuavano ad essere dei poveri e deboli Galilei, mentre Egli stava per essere glorificato con gran potenza nel cielo e sulla terra!

Ma tutto ciò non produsse il minimo cambiamento — «né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura», dice l’Apostolo, «potranno separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore». L’amore affronta tutto, ed Egli ritornò ai Suoi discepoli come quel Gesù che essi avevano conosciuto prima. Egli continua ad essere il loro compagno d’opera dopo la Sua risurrezione, anzi, dopo la Sua ascensione al cielo, come lo fu nei giorni del Suo ministero durante il Suo soggiorno quaggiù con loro: questo si vede negli ultimi versetti di Marco.

Là, in sul lago (Matteo 14), i discepoli credettero di vedere un fantasma e gridarono dallo spavento; ma il Signore fece loro subito conoscere che era Egli stesso che era là vicino; e ciò in grazia, quantunque fornito della forza divina e della sovranità sopra la natura. Così in Luca 24, dopo che Egli fu risorto, prese il fiale di miele col pesce arrostito, e mangiò in loro presenza, affinché potessero convincersi con piena certezza di cuore che Egli era Lui in persona. Inoltre avrebbe voluto che lo guardassero e lo toccassero, dicendo loro che uno spirito non aveva carne, né ossa come aveva Lui, e del che essi potevano facilmente persuadersi.

Nel capitolo 3 di Giovanni introduce nella via della verità un dottore d’Israele, che era tutto quanto avviluppato dalle tenebre, mostrando verso lui una gran pazienza e grazia. Così fece pure in Luca 24, dopo la Sua risurrezione, con quei due discepoli tardi di cuore mentre andavano ad Emmaus.

In Marco 4 volendo rimproverare l’incredulità dei Suoi, ha cura di calmarne prima i timori; Egli sgrida il vento ed ordina al mare di star cheto, poi dice loro : «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?» Così fa in Giovanni 21 dopo che fu risuscitato dai morti: Egli siede a mangiare con Pietro in piena e libera comunione come se nulla fosso avvenuto in quella terribile sera, là nel cortile del sommo Sacerdote; poi tocca un argomento delicato per il Suo discepolo e atto a risvegliare la sua coscienza, dicendogli per ben tre volte : «Simone di Giovanni, mi ami?»

Quando viene raccontata l’appariziono di Gesù risuscitato a Maria Maddalena, l’evangelista non dimentica di dirci che era il medesimo che aveva scacciato da essa i sette demoni; e Maria conobbe subito quella voce che la chiamò per nome, avendo l’orecchio familiare ad essa già da lungo tempo. — Quale identità vi è tra il Cristo umiliato e glorificato, il Salvatore dei peccatori, ed il Signore del mondo avvenire! — Tutto ci dice che, sia nel carattere come nella gloria personale e divina, Colui che discese è il lo stesso che salì al cielo. Anche Giovanni, trovandosi col Signore risuscitato, ci vien presentato per il discepolo che durante la cena era coricato sul seno del suo Maestro (Giovanni 21:20).

E quando Saulo di Tarso, tutto sbigottito nel vedere quella luce a sfolgorargli d’intorno, domandò: «Chi sei, Signore?» Colui che era nell’alto dei cieli, alla destra del trono della maestà, rispose semplicemente: «Io sono Gesù… » (Atti 9).

Questo è anche applicabile a noi personalmente e c’interessa davvicino. Pietro riconobbe, in quanto a lui, che il Suo Maestro era lo stesso, tanto prima come dopo la risurrezione: in Matteo 16 egli è rimproverato dal Signore; ma subito dopo viene condotto con Lui sul monte santo in piena libertà di cuore, come se avesse fatto nulla di riprovevole. E così avvenne allo stesso Pietro in Giovanni 21, dov’è nuovamente censurato: secondo la sua abitudine, egli volle immischiarsi in cose alle quali doveva rimaner estraneo; e vedendo Giovanni, disse a Gesù: «Signore, e di lui che sarà?». Ma il Maestro lo rimproverò di nuovo col dirgli: «Che t’importa?» Però ad onta di questo rimprovero, per duro e perentorio che fosse, vediamo che egli è unito a Giovanni nell’accompagnare il Signore che stava per salire al cielo. Di modo che fu Pietro rimproverato che un giorno salì col Signore sul monte santo; ed è Pietro rimproverato, lo stesso Pietro, che ora va col Signore al cielo; o so volete, una seconda volta al monte della gloria, al monte della trasfigurazione.

Che potente consolazione vi troviamo in ciò! Noi abbiamo Gesù, il nostro Signore; che è lo stesso ieri, oggi ed in eterno! — lo stesso nei giorni del Suo ministero, dopo la Sua risurrezione, ora che è salito nei cieli; e ciò per sempre! — E siccome Egli ha lo stesso carattere e si manifesta sempre con la stessa grazia, tanto prima come dopo la risurrezione, così Egli adempierà tutte le promesse che ha fatto ai Suoi discepoli.

Che sia detto da Lui o dai Suoi angeli, il motto: «Non temere» vale tanto adesso come allora, tanto dopo la risurrezione come prima della Sua morte. Prima di morire promise ai Suoi discepoli di dar loro la Sua pace; e vediamo infatti che la diede di poi nel modo più splendido e solenne. Egli adempi la Sua promessa in Giovanni 20 dopo che fu risorto, dicendo: «Pace a voi!» e detto questo mostrò le Sue mani ed il Suo costato, ove con simbolico linguaggio essi potevano leggere che questa pace fu loro comprata da Lui stesso, che era la Sua pace, veramente la Sua, acquistata unicamente da Lui, e che era divenuta la loro proprietà per un irrevocabile ed indiscutibile diritto.

Nei giorni trascorsi il Signore aveva loro detto: «voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete» (Giovanni 14:19); ed ora nei giorni della Sua risurrezione, nei giorni dell’Uomo risuscitato, che è vittorioso della morte ed in possesso della vita, Egli comunica loro questa vita nella più ampia misura, soffiando su di loro e dicendo: «Ricevete lo Spirito Santo» (Giovanni 20:22).

Aveva detto che il mondo non l’avrebbe più veduto, ma che essi l’avrebbero veduto ancora; e così avvenne. Essi lo videro ancora per quaranta giorni, e l’udirono a parlare delle cose che riguardavano il regno di Dio; ma tutto ciò fu in segreto: il mondo non lo vide più dal momento che lo crocifisse sul Calvario, e non lo vedrà più finché venga nel giorno del giudizio.

Una testimonianza semplice ed umile ad un tempo della fedeltà alle Sue promesse l’abbiamo nel convegno che Egli dà ai Suoi discepoli in Galilea, in adempimento di ciò che aveva detto prima; ed un’espressione ancor più viva della stessa fedeltà l’abbiamo nel fatto che Egli li conduce fino al Padre nel cielo, come aveva anche promesso, mandando loro il messaggio che Egli saliva al Padre Suo ed al Padre loro, al Dio Suo ed al Dio loro. Quindi, sia che si si trattasse della Galilea sulla terra, o della Sua propria casa nel cielo, ove disse che l’avrebbero veduto, in entrambi i casi la Sua promessa fu compiuta. Quanto a noi, meditiamo un poco sulla condiscendenza, sulla perfezione, sulla semplicità e sulla grandezza di tutto ciò che traccia il Suo cammino quaggiù; ed inchiniamoci dinanzi a tanta nobiltà di sentire ed a tanta fedeltà nell’operare.

Il Signore ebbe molto a fare con Pietro mentre ministrava tra i Suoi discepoli; e vediamo la stessa cosa dopo che Egli è risorto dai morti. Pietro occupa da solo, per così esprimermi, l’intero capitolo 21 dell’evangelo di Giovanni, dove il Signore continua in lui l’opera della grazia che aveva incominciata prima che lo lasciasse, e la riprende esattamente nel punto in cui era rimasto. Pietro aveva mostrato d’avere una gran confidenza in sé stesso, quando disse : «Quand’anche tu fossi per tutti un’occasione di caduta, non lo sarai mai per me… Quand’anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò». Ma il Signore gli aveva parlato della vanità del suo vanto, dicendogli anche che Egli avrebbe pregato per lui affinché la sua fede non venisse meno; e quando i fatti ebbero dimostrato che questo suo modo di parlare non era altro se non vanità, e che Pietro rinnegò il suo Signore perfino con un giuramento, allora il Signore lo guardò, e questo sguardo produsse il suo benefico effetto. La preghiera e lo sguardo valsero molto per l’infelice discepolo: la preghiera impedì che la sua fede venisse meno, e lo sguardo ruppe il suo cuore in pianto. Pietro non fuggì, ma pianse, e «pianse amaramente».

Ebbene, come abbiamo detto, in principio del capitolo 21 di Giovanni, troviamo Pietro nella stessa condizione, dove fu posto da quella preghiera e da quello sguardo. Che la sua fede non sia venuta meno viene provato dal fatto che appena sente che il Signore è sulla riva del lago, si precipita nell’acqua por correre al Suo incontro. Però non agisce come penitente, o come qualcuno che non abbia ancora versato delle lacrime, ma come uno che poteva andare a Gesù in piena confidenza e libertà di cuore; e come tale il Suo benedetto Signore lo riceve, ed entrambi mangiano sulla riva. La preghiera e lo sguardo avevano già avuto il loro effetto su Pietro, e non dovevano ripetersi. Ciò che fa ora il Signore si è di continuare l’opera che aveva cominciata e condurla alla perfezione; quindi alla preghiera ed allo sguardo fa seguire la parola. La riabilitazione viene sempre dopo la convinzione d’aver peccato e dopo il relativo pentimento. Pietro aveva versato delle lacrime, ed ora vien posto nella posizione di fortificare i suoi fratelli, come il Signore gli aveva innanzi promesso; ed ora gli vien annunziato che egli dovrà glorificare Dio con la sua morte, privilegio che egli aveva perduto per la sua incredulità e per il suo rinnegamento.

Questo è la parola di ristoro che fa seguito alla preghiera che già sostenne la fede di Pietro, ed allo sguardo che già ruppe il suo cuore. In Giovanni 13 il Signore aveva detto a questo suo amato discepolo, che chi è lavato, non ha bisogno se non di lavare i piedi; ed ora agisce con lui perfettamente come aveva insegnato. Non lo lascia fare una seconda volta l’ esperienza del capitolo 5 di Luca, dove per la pesca miracolosa egli conosce che è un peccatore, ma quivi gli lava i piedi, lo ristora e lo mette di nuovo nella posizione voluta (Giovanni 21:15-17).

Maestro perfetto! — sempre lo stesso per noi ieri, oggi ed in eterno; lo stesso in grazia, perfetto nel Suo immenso amore. Egli continua l’opera che aveva già cominciata, e come Signore risuscitato, riprende il servizio che aveva lasciato incompleto quando fu tolto d’infra i Suoi; e lo riprende al medesimo punto dov’era rimasto, riannodando così il passato col presente nella pienezza della Sua grazia e capacità!

Andando un po’ più innanzi, noi vediamo ancora come Egli adempiva alle Sue promesse; voglio alludere specialmente ad una che fece dopo la Sua risurrezione, quella che chiamò «la promessa del Padre» e «la potenza dall’alto». Essa fu fatta in Luca 24 dopo la Sua risurrezione, e fu adempita negli Atti 2 dopo che fu salito al cielo e glorificato. Ciò continua la storia mai interrotta e la testimonianza della Sua fedeltà. Tutto testimonia di Lui : la vita che passò in sofferenze, le relazioni che ebbe con i Suoi dopo la Sua risurrezione, e quel che ha fatto dopo che è salito al cielo — tutto dice che presso di Lui non c’è alcun mutamento né ombra di rivolgimento (Giacomo 1:17).

Non vorrei lasciar passare inosservata un’altra prova di questo fatto che abbiamo nel già citato capitolo 24 di Luca, dove il Signore riconosce che i Suoi discepoli occupano lo stesso posto che avevano allorché ricevettero le prime istruzioni. «Queste sono le cose» Egli dice, «che io vi dicevo quand’ero ancora con voi: che si dovevano compiere tutte le cose scritte di me nella legge di Mosè, nei profeti e nei Salmi». Egli ricorda loro che fin d’allora aveva loro detto che la Scrittura era la gran testimonianza dei pensieri di Dio, e che tutto quello che stava scritto in essa doveva per certo avere il suo adempimento. Ed ora che fa Egli? Continua in modo semplice e naturale i Suoi ammaestramenti. — «Allora aprì loro la mente per capire le Scritture». La Sua potenza presente si unisce ai Suoi anteriori insegnamenti, e così compie in loro ciò che aveva già cominciato a comunicare (*).

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(*) Dirò a nostra consolazione che, dopo la Sua risurrezione, Egli non ricordò mai ai Suoi discepoli che l’àvevano abbandonato nel momento della distretta.
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Percorrendo gli evangeli, noi vediamo che la natura e lo spirito della Sua relazione con i Suoi discepoli durante i quaranta giorni dopo la Sua risurrezione sono, in un certo senso, quelli che aveva prima della Sua morte. Egli li chiama per nome come aveva fatto prima; si manifesta a loro negli stessi modi; siede a tavola come padrone di casa, quantunque sia soltanto un invitato, come aveva già fatto altre volte (Giovanni 2; Luca 24); e nell’interno dei loro pensieri e l’intelligenza del momento, i Suoi discepoli consideravano la Sua presenza come già fecero in Giovanni 4 al pozzo di Sichar. Là, non osavano parlare, e se ne stavano in disparte silenziosi; così vediamo in Giovanni 21 che, dopo la pesca miracolosa, nessun di loro ardisce parlare, giudicando più conveniente di dire soltanto poche parole, quantunque i loro cuori siano pieni di gioia e di stupore.

Quali legami teneri e potenti nello stesso tempo ci sono mai tra Colui che abbiamo conosciuto nelle comuni circostanze della vita, e Colui che conosceremo per tutta l’eternità! — Egli venne quaggiù nelle nostre circostanze, per quindi introdurci nelle Sue; ma è qui, nelle nostre circostanze, dove abbiamo imparato a conoscerlo, a conoscerlo per sempre. Questo è una preziosa verità a cui Pietro rende testimonianza. Io ho considerato questa scena di Giovanni 21 avendo già un altro scopo, passo ora a considerarla una seconda volta.

Nella pesca che vediamo prima della risurrezione in Luca 5, Pietro fu convinto di peccato: Pietro il pescatore diventò ai propri occhi Pietro il peccatore. Il miracolo veduto, dimostrandogli che lo straniero che era salito nella sua barca era il Signore di tutti i mari, lo condusse in spirito alla presenza di Dio, e là avendo conosciuto sé stesso, disse: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore!» Ed invero nessuno di noi ha imparato questa lezione in un altro modo. Ma il Signore immediatamente lo confortò dicendogli: «Non temere», e Pietro fu rassicurato. La presenza di Dio, che prima l’aveva convinto di peccato, ora è divenuta un luogo di rifugio per lui, ed egli vi sta in perfetta sicurezza di cuore. Così vediamo nella seconda pesca miracolosa (Giovanni 21), dopo la risurrezione, che Pietro era sempre tranquillo, e non gli rimaneva se non di mettere in pratica la lezione che avi di già appresa, il che fece esperimentando che la presenza del Signore della gloria era per lui un ricovero sicuro. Egli prova per sé stesso e testimonia a noi, che ciò che ha imparato da Gesù, l’ha imparato per sempre. Egli non aveva riconosciuto quello straniero che stava sulla riva del mare; ma appena Giovanni gli dice che è Gesù, lo straniero cessò immediatamente d’essergli tale e gli si avvicinò il più che poté ed il più presto possibile.

Quale consolazione c’è in questo! — Se è incoraggiante per noi il sapere che Gesù è sempre lo stesso, tanto qui come lassù nel cielo, tanto nel nostro mondo come nel Suo, tanto nelle nostre misere circostanze come nella Sua gloria, qual gioia sarebbe mai se qualcuno di noi esperimentasse, come fece Pietro, la beatitudine di un tal fatto nel suo proprio spirito!

Sì, Gesù è veramente sempre lo stesso — fedele e veritiero! Tutto le promesse che fece allorché soffriva, le adempì dopo essero risorto; ed i diversi caratteri che rivestì quaggiù, li riveste ora nel cielo.

24. Conoscerlo come colui che dà

Il Signore dava del continuo, ma raramente approvava; ovunque Egli trovasse che una debole comunione, faceva grandi comunicazioni, il che serve ad illustrare magnificamente la Sua bontà. C’era nulla che Lo attraesse, eppure Egli impartiva continuamente del bene. Egli fece come il Padre che è nel cielo, il quale fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi; e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Questo c’insegna ciò che Egli è, alla Sua lode; e c’insegna pure ciò che noi siamo, a nostra onta.

Gesù però non fu solo la manifestazione del Padre per mezzo delle Sue opere, ma fu pure «il Dio sconosciuto», del quale Paolo parlò agli Ateniesi. Le tenebre non Lo compresero; ed il mondo, né per la sua religione, né per la sua sapienza, non Lo conobbe. L’abbondante ricchezza della Sua grazia, la purezza del Suo regno, le basi su cui doveva unicamente poggiare la gloria che Egli cercò invano in questo mondo, tutto era strano ai pensieri dei figli degli uomini, il che si vede nei grandi orrori morali che commettevano continuamente. Quando, per esempio, la moltitudine salutava con entusiasmo il Re nella Sua persona, e l’avvenimento del regno (Luca 19), i Farisei gli dicono subito: «Maestro, sgrida i tuoi discepoli!» Essi non avrebbero potuto sopportare il pensiero che il trono di Davide appartenesse ad un tal Uomo; ed era una presunzione, secondo loro, che questo Gesù di Nazaret permettesse che l’aureola reale venisse a circondarlo. Essi non conoscevano, non avevano voluto conoscere il segreto del vero onore in mezzo a questo mondo bugiardo e decaduto. Essi non avevano imparato a distinguere il mistero della «radice che esce da un arido suolo», né i loro spiriti avevano percepito «il braccio dell’Eterno» (Isaia 53). È soltanto dove il Suo Spirito conduce il cuore che si impara a scoprire le cose che vennero dette di Lui — cose dolci e varie secondo la loro misura.

25. Conoscerlo e comprenderlo

Nel capitolo 1 di Marco, molti approfittano del Suo ministero di grazia e di potenza; gente con ogni sorta di malanni viene a Lui; la folla lo ascolta e confessa la Sua antorità: ed un lebbroso si reca a Lui con la sua lebbra riconoscendolo come il Dio d’Israele. C’era dunque, in diversi gradi, una certa qual conoscenza di Gesù, sia intorno a quel che era, come intorno a ciò che possedeva; ma entrando nel capitolo 2 vi troviamo una conoscenza più estesa e che si esprime in un modo più ampio e più brillante: vi troviamo esempi di quella fede che Lo comprese, e ciò è quanto vi ha di più profondo.

Quegli uomini di Capernaum che portano il loro paralitico fino a Gesù, lo capiscono e si valgono della Sua virtù; lo capiscono in Sé stesso, nel Suo carattere, nelle abitudini o nei sentimenti della Sua mente. Il modo con cui essi cercano di avvicinarlo ce lo dimostra: non si vede né quella riservatezza, ni quel dubbio, né quel timore che c’era generalmente in coloro che andavano per chiedergli qualche benedizione; ma c’è piuttosto ciò che vi fu in Giacobbe allorché disse all’Angelo col quale lottava: «Non ti lascerò andare prima che tu mi abbia benedetto!» (Genesi 32:26). Un tal modo di fare è sempre più gradevole al Signore che la titubanza, e corrisponde maggiormente a ciò che l’amore ci ha recato. Essi non chiedono permesso alcuno, non fanno cerimonie di sorta, ma scoprono il tetto della casa, e scendono a Lui. Mostrano con ciò di conoscerlo e d’essere penetrati da quel sentimento che Egli si diletta nel vedere qualcuno che ha confidenza nella Sua grazia e che ricorre alla Sua potenza ogni volta che si trova nel bisogno. Così fa Levi pochi momenti dopo, come si vede dallo stesso capitolo: dà un pranzo, e fa sedere dei pubblicani e dei peccatori in compagnia di Gesù. Si vede da ciò che Levi conosceva il Signore; sapeva chi ospitava, nello stesso modo che Paolo sapeva a chi aveva creduto (2 Timoteo 1:12).

Questa conoscenza del Signore Gesù ha veramente un gran pregio — essa procede da Dio! La carne ed il sangue non possono darla, ed i Suoi parenti stessi non la possedevano, poiché mentre Egli era tutto intento al servizio, essi dicevano: «Egli è fuori di sé» (Marco 3:21). Ma la fede scopriva in Lui un tesoro inesauribile ed agiva in conseguenza della sua scoperta. Può sembrare alle volte che essa ci conduca oltre i limiti convenevoli spingendoci a far cose che comunemente non si fanno; ma secondo il pensiero di Dio questo non avviene giammai. La moltitudine disse ben a Bartimeo di tacere, ma egli non tacque perché conosceva Gesù come lo conosceva Levi il pubblicano (Marco 10).

26. Il bene dell’uomo e la gloria di Dio

La pienezza dell’opera di Cristo oltrepassa ogni umano concetto; eppure è là che consiste la Sua gloria. Egli viene a noi nella nostra profonda miseria, ma nello stesso tempo vi introduce Dio; Egli guarisce gl’infermi ma predica anche il regno; e ciò non conviene all’uomo. Strano a dirsi! — l’uomo sa benissimo apprezzare i suoi propri vantaggi; sente a parlare con piacere della gioia della nuova natura, ma è tanta l’inimicizia della mente carnale contro a Dio, che se la benedizione viene accompagnata dalla Sua presenza, non è accettata. Ma lo scopo di Cristo essendo tanto la gloria di Dio come la salvezza del povero peccatore, questa benedizione non può giungere all’uomo in altra forma. Dio è stato disonorato in questo mondo nello stesso modo che l’uomo fu rovinato — rovinato da sé stesso; ed il Signore che vuol riparare la breccia, compie un’opera perfetta che vendica il nome e la verità di Dio, annunziando il regno ed i Suoi diritti; e manifesta la Sua gloria col redimere e vivificare un povero peccatore morto nei suoi falli e nei suoi peccati.

Questo non piace all’uomo: egli vorrebbe occuparsi di sé stesso, e lasciare la gloria di Dio il più lontano che sia possibile. Ma è consolante invece quando si vede un peccatore qualsiasi essere rinnovato per la fede, e reso capace di rallegrarsi in questa gloria trascurata dalla maggior parte degli uomini: ne abbiamo un esempio nella donna Sirofenice. La gloria del ministero di Cristo agì potentemente sull’anima sua; ma, apparentemente, malgrado l’afflizione di questa donna, il Signore Gesù mantiene i principi di Dio e la rimanda come una straniera. «Io non sono stato mandato», dice Egli, «che alle pecore perdute della casa d’Israele… Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini» (Matteo 15:24,26). Ma essa si sottomette a questo linguaggio duro, riconosce il Signore per il dispensatore della verità divina, e non vuol supporre per un solo istante che egli abbandoni un simile incarico (la verità e i principi di Dio) per lei e per le sue necessità. Anzi essa vuole che Dio sia glorificato secondo i Suoi propri consigli, che Gesù ne continui la fedele testimonianza, e che Egli sia sempre il servitore della benevolenza di Dio. «Dici bene, Signore», essa risponde, approvando tutto ciò che Egli le aveva detto; ma come naturale conseguenza aggiunge: «eppure anche i cagnolini mangiano delle brìciole che cadono dalla tavola dei loro padroni» (Matteo 15:27).

Tutto ciò è molto bello; è il frutto della luce divina nell’anima sua; e la madre di Gesù nel capitolo 2 di Luca è interamente al disotto di questa povera Gentile. Maria non seppe distinguere che Gesù attendeva alle cose del Padre Suo; mentre questa straniera conobbe che Egli se ne occupava continuamente, ed avrebbe voluto che le vie di Dio fossero esaltate per la fedeltà di Gesù, quantunque essa stessa fosse stata messa a parte in un momento di distretta.

Questo è una vera conoscenza di Cristo nella pienezza dell’opera Sua, vedendo in Lui quello che è venuto tanto per mantenere i diritti di Dio in un mondo ribelle, come per rispondere ai bisogni d’un povero peccatore perduto.

27. Straniero in questo mondo

Non è bene d’essere sempre compresi. La nostra condotta e le nostre abitudini dovrebbero essere quelle di gente straniera, di cittadini d’un lontano paese, la lingua, le leggi ed i costumi dei dei quali sono ben poco conosciuti quaggiù. La carne ed il sangue non possono apprezzarli, quindi non è indizio di prosperità spirituale per i santi di Dio ogni volta che il mondo li capisce.

I parenti stessi di Gesù non Lo conoscevano. Ed infatti: Lo conobbe forse Sua madre quando gli chiese di spiegar la Sua potenza nel procurare vino per continuare la festa delle nozze in Cana di Galilea (Giovanni 2)? Lo conobbero forse i Suoi fratelli quando gli dissero: «Se tu fai queste cose, manifèstati al mondo» (Giovanni 7:4)? Quale pensiero!

Essi si sforzavano per indurre il Signore Gesù ad essere, come si suol dire, «un uomo del mondo»! In cuori che avevano simili pensieri vi poteva mai essere una vera conoscenza della Sua augusta Persona? — Essi ne erano lontani le mille miglia, e perciò l’evangelista vi aggiunge immediatamente: «Poiché neppure i suoi fratelli credevano in lui» (Giovanni 7:5). Conoscevano la Sua potenza, ma non i Suoi principi; poiché uniformandosi alla consuetudine umana, essi univano la potenza e la capacità intelletuale con l’idea di doversene servire per l’interesse dell’uomo in questo mondo.

Non è però necessario il dire che Gesù era l’opposto di tutto questo, e che quindi i Suoi parenti secondo la carne, guidati dallo spirito di questo mondo, non potevano comprenderlo. I suoi principi erano estranei ad un tal mondo, e venivano sprezzati come lo venne Davide dalla figlia di Saul, quando ballava dinanzi all’arca del patto.

Ma quale attrattiva c’era in Lui per ogni occhio ed ogni cuore che fosse stato aperto dallo Spirito Santo! — Ne abbiamo un esempio negli apostoli: essi dottrinalmente Lo conoscevano pochissimo, e guadagnavano nulla di stare con Lui, nulla, cioè, di questo mondo. La loro condizione sociale non fu migliorata dalla Sua compagnia, e non si può dire che essi si valessero della Sua miracolosa potenza; ne dubitavano piuttosto, ma non ne usavano; e con tutto ciò erano attaccati a Lui. Essi non Lo seguivano già perché vedessero in Lui una fonte inesauribile che provvedeva a tutti i loro bisogni: anzi si può dire non si servirono mai della Sua potenza per loro stessi. E sì che erano con Lui, che si contristavano quando parlava di abbandonarli e che piansero quando pensarono d’averlo veramente perduto.

Sì, lo ripetiamo: quale attrattiva vi doveva essere in Lui per ogni occhio e per ogni cuore che fosse stato aperto dallo Spirito o condotto dal Padre! E con quale autorità certe volte uno sguardo od un motto produsse l’effetto desiderato! Lo vediamo in Matteo, ove bastò che il Signore pronunziasse una sola parola: «Seguimi!» E tale autorità ed attrattiva erano sentite da caratteri affatto opposti; tanto dal pusillanimo Tomaso, che desiderava sempre ragionare, come dall’ardente Pietro, che agiva di primo impulso e spesso con imprudenza. Tomaso poi nel trovarsi in un ambiente così meravigliosa, respira, direi quasi, quello spirito di zelo che distingueva Pietro, e spinto dalla forza di questa attrazione, è costretto a dire: «Andiamo anche noi, per morire con lui!» (Giovanni 11:16).

Cosa sarà quando anche noi vedremo e sentiremo tutto ciò nella sua perfezione? — Quando tutta l’umana famiglia, quando popoli d’ogni clima, d’ogni colore, d’ogni carattere, d’ogni nazione, d’ogni lingua, saranno riuniti attorno al Signore in un mondo degno di Lui? Noi dobbiamo ricordarci di questi saggi della sua preziosità verso dei cuori simili al nostro, e ritenerli come un’arra sicura di ciò che forma l’oggetto continuo della nostra speranza.

28. Fonte di luce

La luce di Dio brilla alle volte dinanzi a noi, guidandoci, secondo la forza che abbiamo, onde noi possiamo discernerla, gioirne, usarla e seguirla. Essa non soltanto ci scruta od esige qualcosa da noi; ma, come dissi, brilla agli occhi nostri, acciocché noi possiamo rifletterla, secondo la grazia che ci è stata data. Vediamo che compie l’opera sua nella primitiva Chiesa di Gerusalemme in questo modo; in quel luogo la luce di Dio non esigeva nulla, ma brillava potente nel suo magnifico splendore; e questo è tutto. Pietro parlò il linguaggio di questa luce quando disse ad Anania :«Se questo non si vendeva, non restava tuo? E una volta venduto, il ricavato non era a tua disposizione?» (Atti 5:4). Essa non chiese nulla ad Anania, ma brillò semplicemente nella sua bellezza accanto a lui o dinanzi, affinché potesse camminare nel suo splendore secondo la sua misura. Tale è, in un senso più vasto, la gloria morale del Signore Gesù; ed il nostro primo dovere riguardo a questa gloria è d’imparare da essa cosa Cristo sia. Non dobbiamo cominciare con ansiosità o timore a misurarci di fronte al suo abbagliante splendore, ma con calma, con grazia, e con rendimenti di grazie dobbiamo studiare tutte le perfezioni morali della Sua umanità. È vero che questa gloria ci ha lasciati, ora non vi è più la Sua immagine vivente sulla terra; ne abbiamo bensì le tracce negli Evangeli, però in nessun luogo noi vi troviamo la sua luce!

Ma quantunque Egli non sia più qui, pure è rimasto precisamente ciò che Egli era. Noi dobbiamo conoscerlo, per così dire, dalla storia; e la storia non è capace di tesserci delle favole, ma si trattiene su cose viventi e vere, e così noi conosciamo Cristo per l’eternità.

29. Centro di attrativa

I discepoli conoscevano personalmente il Signore in un modo eminente; era la Sua persona, la Sua presenza, Lui stesso che li attraeva; è appunto di questo che abbiamo maggiormente bisogno. Noi abbiamo un bel mostrarci affaccendati per istruirci riguardo alle Sue verità, e possiamo benissimo far dei progressi in ciò; ma con tutta la nostra conoscenza, se si tratta della potenza d’una vera affezione verso di Lui, i discepoli con tutta la loro ignoranza ci lasciano di gran lunga indietro. Certamente, cari fratelli, non dobbiamo tacere che è sol quando il nostro cuore sorpassa in affezione la conoscenza, che noi possiamo renderci conto di Lui; è soltanto allora che impariamo veramente a conoscerlo. V’è ben ancora qualche anima semplice che mostra di possedere una tal cosa; ma generalmente non è così. Nei nostri tempi la luce che possediamo e la conoscenza che abbiamo della verità sorpassano di molto l’affezione che dimostriamo per il Signore; e ciò è doloroso per chiunque abbia ancora un po’ di sensibilità a tal riguardo.

«Il privilegio della nostra fede cristiana,» dice qualcuno, «ed il segreto della sua forza sta in ciò: che tutto quello che ha, e tutto quello che offre, è concentrato in una persona. Ecco ciò che le ha dato forza, mentre molte altre cose hanno mostrato la loro debolezza: che essa, cioè, ha Cristo come perno, che non ha circonferenza senza avere un centro; che essa non ha soltanto la liberazione, ma che possiede il Liberatore; non solo la redenzione, ma anche il Redentore. Questo è quanto la rende appropriata per dei pellegrini come noi; questo è ciò che la rende chiara come la luce del sole, e che fa apparire ogni altra paragonata ad essa come una luce riflessa, la quale può esser bella, ma fredda ed inefficace, mentre qua la luce e la vita sono una medesima cosa». Ed altrove lo stesso autore dice: «Oh qual’immensa differenza vi è tra il sottometterci ad un codice di regole e l’abbandonarci liberamente in un cuore che palpita per noi, fra l’accettare un sistema ed attaccarci ad una persona! La nostra benedizione — e non dimentichiamolo — sta nell’avere tutti i nostri tesori accumulati in una persona, la quale non è soltanto il maestro ed il Signore vivente per una generazione, restando morto per quelle che seguono, ma che è presente e vivente per tutte le generazioni». Secondo me, queste parole sono buone e degne di ogni considerazione.

30. Il suo ministero dinanzi a Dio

Oltre al Suo carattere, possiamo anche notare nel Signore delle glorie morali quanto al Suo ministero, il quale si può considerare nella sua relazione con Dio, con Satana e con l’uomo. Verso Dio, il Signore Gesù nella Sua persona e nelle Sue vie rappresentò sempre l’uomo dinanzi a Lui, come Egli l’avrebbe voluto. Ristorò l’umana natura presentando Sé stesso come un sacrificio di riposo o di odor soave, come un puro incenso d’una squisita fragranza, come un cesto di frutte primaticce maturate sul terreno umano; ristabilì il compiacimento di Dio nell’uomo che era stato tolto dal peccato di Adamo; e mutò il pentimento di Dio d’aver fatto l’uomo (Genesi 6:6) in diletto ed in gloria. E quest’offerta fu fatta a Dio fra ogni sorta di contrarietà, ogni sorta di circostanze avverse, di dolori, di fatiche, di necessità ed avversità che rompevano il cuore. Meraviglioso altare! Meravigliosa offerta! — Essa fu un sacrificio infinitamente più ricco di quello che avrebbe potuto essere un’eternità d’innocenza adamitica; e nel modo che Gesù rappresentò l’uomo a Dio, rappresentò pure Dio all’uomo.

Per la caduta di Adamo, non c’era più sulla terra l’immagine (*) di Dio; ma in Cristo troviamo l’immagine più piena e più risplendente di Dio che Adamo avrebbe mai potuto presentare. Gesù fece sì che, non un’ordinata creazione, ma un mondo rovinato ed indegno conoscesse ciò che era Dio, manifestandolo in grazia e dicendo: « Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Giovanni 14:9). In una parola, Egli rivelò Dio. Tutto ciò che è divino, tutto ciò che si può sapere intorno «alla luce», che nessun uomo può avvicinare, fu manifestato da Gesù agli occhi nostri.

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(*) Cioè la rappresentazione o il rappresentante.
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Inoltre, nel Suo ministero, considerato in relazione con Dio, vediamo che Cristo è sempre zelante e fedele nel mantenere i diritti ed i divini principi, mentre non cessa di prodigare le Sue tenere cure per lenire i bisogni dell’umanità. Per quanto molteplici e differenti fossero le miserie dell’uomo, Egli non vi sacrificò giammai qualcosa che avesse attinenza con la santità e sovranità di Dio. Alla Sua nascita il cantico di : «Gloria a Dio nei luoghi altissimi» si udì unitamente a: «Pace in terra agli uomini ch’egli gradisce! » (Luca 2:14); ed Egli rese gelosamente omaggio a questa divina gloria, durante tutto il Suo ministero, nello stesso modo che servì diligentemente ai bisogni dei poveri peccatori. L’eco di queste due voci: «Gloria a Dio» e «Pace in terra» si fece sentire, per così esprimermi, in tutte le occasioni. Il caso della donna Sirofenice, che abbiamo già menzionato più sopra, ne è un esempio palpabile: finché essa non prese il posto che le competeva in relazione con i consigli e con le dispensazioni di Dio, Egli potè far nulla per lei; ma appena prese il suo posto, le accorda tutto quello che richiedeva. Ecco alcune delle glorie del Signore Gesù quanto al Suo ministero verso Dio.

31. Il suo ministero riguardo a Satana

Ora parliamo del Suo ministero in rapporto con Satana. In primo luogo, e ciò molto a proposito, il Signore lo incontrò quale tentatore. Satana cercò nel deserto di sedurre Gesù con quelle corruzioni morali con le quali era sì ben riuscito di penetrare in Adamo e nella natura umana. Ma la vittoria riportata sopra il seduttore fu la vera e necessaria introduzione di ogni opera o fatto del Signore Gesù. Quindi fu lo Spirito che lo condusse all’adempimento di quest’azione, come leggiamo in Matteo 4: «Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo». Prima che il Figlio dell’uomo potesse entrare nella casa dell’uomo forte, e rapirgli la sua roba, bisognava che lo legasse (Matteo 12:29); e prima che Egli potesse denunciare le opere infruttuose delle tenebre, bisognava che mostrasse che non vi partecipava (Efesini 5:11). Egli dovette resistere al nemico, e tenerlo a distanza, prima di poter entrare nel suo regno e distruggere le sue opere.

In tal modo Gesù ridusse Satana al silenzio; lo legò; e questi dovette ritirarsi come un tentatore interamente sconfitto. Esso non potè introdurre nulla del suo in Lui; anzi vide che tutto quello che vi era veniva da Dio. Cristo rifiutò ciò che Adamo sotto una simile tentazione aveva accettato; ed in tal modo essendosi mantenuto puro, ha acquistato il titolo perfettamente morale di rimproverare l’impurità.

L’accusatore potè dire in riguardo a Giobbe: «Pelle per pelle» (Giobbe 2:4), usando parole che insultano e provocano la comune natura rovinata; ma quale accusatore di Gesù davanti al trono di Dio, esso ebbe nulla a dire e dovette tacere.

Ecco come comincia la Sua relazione con Satana; e su una tal base Egli entra nella sua casa e lo spoglia dei suoi beni. Questo mondo è la casa di cui parliamo, ove il Signore nel Suo ministero si vede che distrugge varie profonde tracce della potenza nemica. Ogni sordo o cieco che fu guarito, ogni lebbroso nettato, ogni opera compiuta dalla Sua mano ristoratrice, qualunque essa fosse, era precisamente lo spogliare dei suoi beni l’uomo forte nella sua propria casa. Avendolo innanzi legato, gli rapisce la sua roba; ed alla fine però si dà a lui come a quello che ha «il potere sulla morte» (Ebrei 2:14). Il Calvario infatti fu l’ora della potenza delle tenebre (Luca 22:53); là Satana spiegò tutte le sue forze, mise in giuoco tutte le sue astuzie, usò di tutte le sue finezze; ma fu vinto. Il suo prigioniero divenne il suo vincitore, il quale per la morte distrusse colui che aveva l’imperio su di essa, e tolse il peccato per il sacrificio di Sé stesso. Il capo del serpente è pur là che venne schiacciato, come ben disse un altro, che «la morte e non 1’uomo fu senza forza».

Così Gesù il Figlio di Dio fu colui che schiacciò Satana, dopo averlo legato e spogliato dei suoi beni. Ma c’è un’altra gloria morale che si vede a brillare nel ministero di Cristo in relazione con Satana; e questa consiste nel fatto che gli permise mai di rendere testimonianza di Lui. La testimonianza poteva essere vera e concepita in termini molti seducenti come, per esempio: «Io so chi sei: Il Santo di Dio!» (Marco 1:24); ma Gesù non permise che egli parlasse, poiché il Suo ministero doveva essere puro come la Sua grazia. Egli non accettò giammai la cooperazione di ciò che era venuto per distruggere, e nel suo servizio non potè mai avere comunione con le tenebre, come non ne ebbe mai nella Sua natura. Egli non agì mai dietro le convenienze, quindi il rifiuto e l’intimazione del silenzio fu la risposta che diede alla testimonianza che il nemico voleva rendergli (*).

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(*) In quanto che il ministero di Cristo, descritto nei Vangeli, ci vien presentato in relazione a Satana, noi vediamo che Egli è semplicemente colui che lo lega, che lo spoglia e che lo schiaccia. Nell’Apocalisse, invece, vediamo qualcosa di più: Satana vien gettato giù dal cielo; e poi, giunto il suo tempo, è legato per mille anni; quindi vien gettato nello stagno del fuoco e dello zolfo (Apocalisse 12 e 20). Così noi vediamo la completa vittoria, riportata dal Signore Gesù sopra Satana dalla prima tentazione nel deserto fino al lago di fuoco che durerà eternamente.
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32. Il suo ministero verso l’uomo

Finalmente il ministero del Signore Gesù, in rapporto con l’uomo, brilla anch’esso di glorie pure ed eccellenti. Leggendo i Vangeli, Lo si vede costantemente in attitudine di consolare e servire l’uomo secondo le sue molteplici miserie, ma dimostrandogli contemporaneamente ch’esso ha una natura interamente lontana da Dio ed in preda alla rivolta ed all’apostasia. Inoltre vediamo che Egli lo mette alla prova; e ciò è degno d’essere particolarmente considerato, quantunque generalmente gli si dia poca importanza. Nei Suoi insegnamenti Egli prova i Suoi interlocutori, qualunque sia il genere di relazione che hanno con Lui; tanto i discepoli come la moltitudine; tanto coloro che venivano a Lui amichevolmente portando le loro angustie, come coloro che si opponevano con manifesta inimicizia. Quando Egli si trovava con i discepoli, li faceva passare continuamente per esercizi di cuore o di coscienza così comuni, che è inutile il ripeterli. Così agiva con le moltitudini che lo seguivano: «Ascoltate ed intendete», diceva loro, esercitando in tal modo le loro menti.

A molti che vennero a Lui per essere liberati dalle loro pene, disse: «Credete voi che io possa far questo?» o qualcosa di simile; e la donna Sirofenice è una chiara testimonianza del modo con cui Egli abbia provato questa classe di persone.

Parlando affabilmente con Simone in Luca 7, dopo avergli raccontato la storia dell’uomo che aveva due debitori, per metterlo alla prova gli chiese: «Chi di loro dunque lo amerà di più?», mostrandoci con ciò che anche i Farisei, i Suoi instancabili nemici, erano costantemente provati. Questo ci dice e ci testimonia ciò che Gesù era; ci dice che Egli non voleva eseguire un giudizio sommario sopra di essi, ma piuttosto condurli al pentimento. E così volendo provare i Suoi discepoli, c’insegna che noi impariamo per bene le Sue lezioni sol quando il nostro cuore o la nostra coscienza esprimono qualche attività d’intendimento sopra di esse.

Questo modo di esercitare coloro che Egli dirigeva ed insegnava è per certo un’altra delle tante glorie morali che caratterizzano il Suo ministero.

Inoltre, nel Suo ministero verso l’uomo, vediamo che il Signore Gesù rimproverava frequentemente, essendo ciò indispensabile in mezzo all’umana famiglia; ma il Suo modo di rimproverare è degno d’ammirazione. Quando Egli biasimava i Farisei, i quali per la mondanità dei loro cuori gli facevano opposizione, usava un linguaggio severo e solenne, dicendo: «Chi non è con me è contro di me» (Matteo 12:30); e quando voleva alludere a coloro che Lo confessavano e Lo amavano, ma che abbisognavano maggior potenza di fede o maggior luce per godere meglio della Sua comunione, Egli si esprimeva in altri termini dicendo: «Chi non è contro di voi è per voi» (Luca 9:50). Lo vediamo pure agire con questo carattere in Matteo 20, quando si tratta dei dieci e dei due fratelli, figli di Zebedeo. Come egli addolcisce il Suo rimprovero, dovendolo rivolgere ad individui presso i quali c’erano molte cose buone e giuste! Ed in ciò Egli non condivise la collera dei Suoi discepoli, i quali non avrebbero risparmiato per nessun conto i due fratelli. Egli esamina pazientemente ogni cosa, e separa ciò che è prezioso da ciò che è vile.

Similmente lo vediamo muovere rimprovero a Giovanni, allorché questi proibì uno di scacciare demoni nel nome di Gesù, perché non camminava con loro. Ma in quel momento lo spirito di Giovanni era stato disciplinato; ed alla luce delle parole pronunziate precedentemente dal Signore (vedi Luca 9:46-50), egli aveva scoperto lo sbaglio commesso, e lo racconta, quantunque il Signore non vi avesse fatto la più piccola allusione. Così Giovanni, conscio dello sbaglio commesso, avendolo confessato ingenuamente, il Signore agisce verso di lui con grande dolcezza.

Troviamo ancora un caso simile in Matteo 11, quando Gesù censura il Battista, pure rendendogli una bella testimonianza. Questi era in prigione, il che, in quel momento, aveva un gran pregio agli occhi del Signore, ma bisognava censurarlo per aver mandato un’ambasciata al Suo Signore che accludeva un acerbo rimprovero. Però la delicatezza di questa censura è magnifica; Egli rimanda il messaggio a Giovanni aggiungendovi poche parole, che soltanto lui poteva comprendere: «Beato colui che non si sarà scandalizzato di me» (Matteo 11:6). Persino gli stessi discepoli del Battista che erano i messaggieri, non erano al caso di capire la portata di queste parole. Gesù voleva che Giovanni scoprisse a sé stesso la mancanza di fede, ma non mai esporlo al biasimo dei Suoi discepoli od ai motteggi del mondo.

Così dicasi della censura che inflisse ai due discepoli di Emmaus ed a Tomaso dopo la risurrezione. Pietro pure dovette essere rimproverato in Matteo 16 e 17; ma il rimprovero gli vien diretto differentemente a seconda dell’occasione.

Tutte queste differenze però formano un insieme di morale bellezza che è veramente edificante. Possiamo dire che il Suo stile sia esso stato perentorio o delicato, pungente o mite; che la Sua ammonizione sia essa stata ridotta ad essere appena percettibile, o concepita in termini che s’accostarono alla ripulsa; pure, quando tutto viene ben pesato secondo le circostanze, si troverà certamente che queste varietà non sono altro che la rivelazione di nuove perfezioni. Tutti questi rimproveri erano « un anello d’oro, un ornamento d’oro fino», che fossero appesi o non ad «un orecchio docile» (Proverbi 25:12). «Mi percuota pure il giusto; sarà un favore; mi riprenda pure; sarà come olio sul capo; il mio capo non lo rifiuterà» (Salmo 141:5); ed il Signore fece provare ciò ai Suoi amati discepoli.

33. Conclusione

a) La gloria della croce

In questo modo ho tracciato alcuni tratti della gloria morale del Signore Gesù Cristo. Egli rappresentò l’uomo davanti a Dio secondo che esso avrebbe dovuto essere, ed Dio si riposò in Lui.

Questa perfezione morale di Cristo come uomo e la Sua accettazione presso Dio erano raffigurate nell’offerta di panatica, fatta con fior di farina e cotta nel forno o nella padella col suo olio e col suo incenso (Levitico 2).

Quando il Signore Gesù era sulla terra in mezzo agli uomini e manifestato a Dio come uomo, Dio esprimeva continuamente in Lui il Suo compiacimento. Egli crebbe al Suo cospetto nella natura umana e nell’esposizione di tutte le umane virtù; talché non aveva bisogno in qualsiasi momento avesse voluto raccomandarsi, che di Sé stesso, appunto come Egli era. L’uomo fu moralmente glorificato tanto nella Sua persona come nelle Sue vie, di modo che quando giunse la fine della sua carriera, Egli potè andare «direttamente» a Dio, come l’antica fascio delle primizie veniva tolta dal campo tal quale essa era, e senza subire nessun processo preparatorio veniva direttamente ed immediatamente presentata ed accettata da Dio (Levitico 23:10).

Le ragioni di Gesù sulla gloria furono delle ragioni morali. Egli ebbe moralmente diritto d’essere glorificato; e questo diritto risiedeva in Lui stesso. I versetti 31-32 del capitolo 13 di Giovanni mettono ciò chiaramente in rilievo e nella connessione voluta. Là il Signore, appena Giuda è uscito da tavola, dice: «Ora il Figlio dell’uomo è glorificato»; poiché questo atto di Giuda era il sicuro precursore dell’arresto del Signore da parte dei Giudei, e questo era a sua volta il sicuro precursore della sua crocifissione da parte dei Gentili. E la croce essendo il compimento e la perfezione dell’intiera forma di gloria morale in Lui, era il momento di pronunciare queste parole: «Ora il Figlio dell’uomo è glorificato », aggiungendovi: «e Dio è glorificato in lui».

Ma Dio fu pure perfettamente glorificato come lo fu il Figlio dell’uomo, quantunque la Sua gloria fosse differente. Allora il Figlio dell’uomo fu glorificato per aver completato quella piena forma di bellezza morale che brillò del continuo durante tutta la Sua vita. Nemmeno la più piccola particella di essa vi poteva mancare in quel sublime momento, nello stesso modo che dal principio fino a quest’ultimo istante non fu mai congiunta con qualcosa che ne fosse stata indegna; e quella era l’ora definitiva nella quale doveva brillare l’ultimo suo raggio per manifestarne il suo pieno splendore. Ma anche Dio fu glorificato allora, poiché tutto ciò che aveva attinenza col Suo Essere fu mantenuto e manifestato. Furono mantenuti i Suoi diritti e manifestata la Sua bontà. La grazia e la verità, la giustizia e la pace furono similmente ed egualmente soddisfatte e compiaciute. La verità di Dio, la Sua Santità, il Suo amore, la Sua maestà, tutto insomma fu magnificato in un modo ed illustrato così chiaramente, che non se ne avrebbe potuto saper di più altrimenti. La croce, come ben disse uno, è la meraviglia morale dell’universo.

b) L’uomo glorificato nel cielo

Ma il Signore aggiunse ancora: « Se Dio è glorificato in lui, Dio lo glorificherà anche in sé stesso e lo glorificherà presto». Questo è il riconoscimento del proprio diritto ad una gloria personale. Egli ha sempre completato con perfezione l’intiera forma di gloria morale, sia durante la Sua vita che nella Sua morte; ha inoltre rivendicato la gloria di Dio, come abbiamo veduto; quindi fu cosa giusta che Egli abbia potuto entrare nella Sua propria gloria, il che fece quando salì prontamente al cielo alla destra della Maestà, trovandosi ad un tratto in compagnia con Dio.

L’opera di Dio come Creatore fu ben tosto guastata dall’uomo, il quale essendosi rovinato col peccato, Dio «si pentì d’averlo fatto» (Genesi 6:6). Qual terribile cambiamento si operò nel pensiero di Dio da quel giorno in cui Egli aveva trovato che la creazione era molto buona! (Genesi 1:31); ma nel Signore Gesù venne ristabilito il divino compiacimento nell’uomo, il che è una benedizione ancor più aggradevole dopo quel precedente Suo pentimento di averlo creato. Ciò fu più che la Sua primitiva grazia quando vide che «tutto era molto buono», ma fu il riacquisto dopo una perdita ed un disinganno. E come il primo uomo, quando peccò, fu posto fuori da quello stato di benedizione inerente alla creazione, così il secondo uomo (essendo il Signore venuto dal cielo) quando glorificò Dio, fu elevato alla destra della Maestà nei luoghi celesti quale capo su tutto il creato. Gesù è nel cielo quale uomo glorificato, perché quaggiù Dio fu glorificato in Lui essendo stato ubbidiente in vita ed in morte. È bensì vero ch’Egli è là rivestito di altri caratteri che noi conosciamo: Egli è là come Vincitore, come Colui che aspetta, come Sommo Sacerdote nel tabernacolo eretto da Dio, come Precursore, e come Colui che ha fatto la purificazione dei nostri peccati; ma è anche là glorificato, nel più alto dei cieli, perché Dio fu glorificato in Lui qui sulla terra.

c) La gloria dell’uomo perfetto

Vita e gloria gli appartenevano, sia per diritto personale, come per ragioni morali; ed il dimorare in simile verità, ricordandocelo ripetute volte, rallegra veramente il cuore. Egli non perdette il giardino di Eden; ma, com’è ben vero, camminò sempre fuori di esso, tra le spine ed i triboli, i dolori e le privazioni di un mondo rovinato. Questo però lo fece in grazia; scelse una simile condizione, ma non fu esposto ad essa. Egli non fu, come Adamo, e come noi tutti, messi da una parte dei cherubini e guardati con la spada fiammeggiante, mentre dall’altro v’erano l’albero della vita ed il giardino dell’Eden; anzi vediamo dalla Sua storia che invece di angeli per tenerlo lontano, quando Egli vinse la Sua tentazione, essi si avvicinarono a lui e lo servivano. Egli stette ritto dove Adamo cadda; ed essendo uomo, veramente uomo, Egli venne distinto da tutti gli altri uomini. Dio fu glorificato in Lui nello stesso modo che in tutti quelli che lo precedettero fu disonorato e disilluso.

In un certo senso, questa perfezione del Figlio dell’uomo, questa perfezione morale è tutta per noi. Essa dà, per così dire, il suo sapore al sangue versato in espiazione dei nostri peccati. Essa fu come la nuvola d’incenso che veniva posta alla presenza del Signore insieme al sangue nel giorno dell’espiazione (Levitico 16).

Ma, in un altro senso, questa perfezione è troppo per noi; essa è troppo elevata perché noi la possiamo afferrare. Ci schiaccia se pensiamo a ciò che noi siamo, mentre invece ci riempie d’ammirazione se la riguardiamo come dicendoci ciò che Egli è. La gloria personale del giudicio anticamente si manifestava sempre incutendo un grande timore. I più favoriti fra i figli degli uomini, come Isaia, Ezechiele e Daniele, non poterono resistere alla sua presenza; e la stessa cosa esperimentarono Pietro e Giovanni. Così ogni volta che noi consideriamo questa gloria morale, ci sentiamo come schiacciati dalla sua elevatezza.

d) La sua gloria incompresa in questo mondo

Però la fede, trovandosi nella sua presenza, è affatto nel suo elemento. Il dio di questo mondo acceca le menti al punto d’impedirne non solo la gioia, ma persino la concezione; la fede però le dà il benvenuto e si compiace in essa. Ecco ciò che succede quaggiù fra gli uomini su simile materia! Alla presenza di questa gloria i Farisei ed i Sadducei domandarono un segno; Sua madre, per causa della vanità, non la comprese; neppure la compresero i fratelli del Signore per causa della loro mondanità (Giovanni 2 e 7); ed i discepoli stessi ne erano costantemente rimproverati. L’olio d’oliva preparato per questa luce forse era troppo puro per molti, ma esso bruciava sempre nel santuario alla «presenza dell’Eterno». La sinagoga di Nazaret ci mostra in un modo sorprendente che l’uomo non ha disposizione per questo. Tutti riconobbero l’assennato parlare che procedeva dalla bocca del Signore; ne sentirono la potenza; ma subito una forte corrente di corruzione della natura incominciò ad opporsi a questo movimento dei loro cuori e li vinse. Bene scopersero la testimonianza di Dio in mezzo a questo mondo in rivolta e presuntuoso; ma ciò non fece per loro. Il «figlio di Giuseppe» parli pure come vuole, dica pure delle buone e consolanti parole, ciò non monta, esse non sono accettate, perché è figlio d’un falegname (Luca 4). Qual meravigliosa testimonianza d’una corruzione profonda ed incurabile! L’uomo ha le sue amabilità, i suoi gusti, le sue virtù, le sue sensibilità, come vediamo in questa scena di Nazaret, raccontataci nel capitolo 4 di Luca; le buone parole di Gesù fanno nascere una corrente di buoni pensieri che dura per un momento; ma che ne avvenne di tutto ciò quando Dio volle provarlo? Ah! cari fratelli, noi dobbiamo pur sempre dire che nella nostra amabilità e nelle nostre doti rispettabili, nel nostro gusto e nelle nostre emozioni, che in noi stessi insomma (cioè nella nostra carne) «non abita alcun bene» (Romani 7:18).

e) La gloria del Figlio di Dio

La fede, ripeto, si trova al largo con Cristo. Possiamo noi trattare un Tale con timore o con sospetto? — Possiamo noi dubitare di Lui? — Possiamo noi stare lontano da Colui che sedette sul pozzo di Sichar con la donna Samaritana? — Stette essa lungi da Lui? — Per certo, cari fratelli, noi dovremmo piuttosto cercare la Sua intimità. I discepoli che Lo seguivano avevano anch’essi da imparare ripetutamente le loro lezioni, e noi ne vediamo qualche cosa leggendo i Vangeli. Invece di fermarsi leggermente su quanto avevano già scoperto in Lui, essi dovevano far nuove scoperte e cercar di conoscerlo sempre più. Nel capitolo 14 di Matteo essi dovettero confessare: «Veramente tu sei Figlio di Dio», il che fu per loro una nuova scoperta. Se avessero avuto una fede semplice, essi avrebbero dormito sulla barca tranquillamente; ma quale scena vi fu mai a loro onta ed alla Sua gloria! Essi parlarono con arroganza quando rimproverarono il Signore, come se Egli fosse stato indifferente al loro pericolo: «Maestro, non t’importa che noi moriamo?» Egli si svegliò al suono della loro voce, e subito li pose in sicurezza; ma in seguito li rimproverò, non tanto per l’ingiustizia delle loro parole a Suo riguardo, ma per la loro mancanza di fede.

Come fu perfetto ciò! Come fu perfetta ogni cosa, e ciascuna nel suo genere: le umane virtù, i frutti dell’unzione che c’era sopra Lui, e le Sue glorie divine. Le due nature non sono confuse nell’Unica Persona del Signore Gesù; se non che lo splendore della divina natura è velato e la bassezza dell’umana natura è elevata. Non v’è nulla, e non vi potrebbe essere nulla di simile in tutta la creazione: la natura umana fu perfettamente umana, e la divina fu perfettamente divina. Gesù dormiva nella barca — Egli era uomo. Gesù acquetò il vento e le onde del mare — Egli era Dio.

f) La sua gloria reale

Questa gloria morale deve brillare anch’essa, e le altre le lasceranno posto finché ciò sia avvenuto. I Greci che vennero alla festa di Gerusalemme per adorare, domandarono di Gesù, desiderando di vederlo. Ciò fu un saggio della gloria reale del Messia, quando le nazioni si recheranno alla città dei Giudei per adorare, e che Egli, quale Re in Sion, sarà il Signore di tutti e il Dio di tutta la terra.

Ma c’era qualcosa di più profondo che questo; e per scorgerlo bisognava avere un sentimento più giusto delle vie di Dio che non la semplice aspettativa d’un regno. I Farisei abbisognavano di ciò quando chiedevano al Signore quando verrebbe il regno di Dio (Luca 17:20). Egli dovette parlar loro d’un altro regno che essi non compresero — un regno in mezzo a loro, un regno presente che sarebbe venuto e conosciuto prima che il glorioso regno manifestato apparisse. I discepoli pure avevano bisogno di ciò quando domandarono al Signore se avrebbe restituito allora il regno ad Israele (Atto 1). Egli invece dovette parlar loro di un’altra cosa prima che la ristorazione potesse aver luogo; dovette annunziar loro che avrebbero ricevuto lo Spirito per testimoniare di Lui a tutto il mondo.

g) La sua gloria morale

Così qui, in Giovanni 12, il Signore c’insegna che la gloria morale deve precedere il regno. Certamente Egli brillerà quanto prima nella gloria del trono, ed i Gentili andranno allora a Sion per vedere il Re in tutta la Sua bellezza; ma prima che questo avvenga, la gloria morale deve essere manifestata nella sua pienezza e purezza. Questo fu il Suo pensiero, quando disse ai Gentili che avevano voluto vederlo: «L’ora è venuta, che il Figlio dell’uomo dev’essere glorificato» (Giovanni 12:23). Questa fu la Sua gloria morale, come abbiamo già detto in Giovanni 13:31-32. Essa brillò tutto il lungo del Suo cammino, dalla Sua nascita fin qui; la Sua morte doveva servire per completarla; e quindi era appunto giunto il momento in cui essa doveva gettare il suo ultimo raggio che la conducesse alla perfezione. Perciò il Signore, in questa circostanza, introduce (come fece, e come noi abbiamo veduto in Luca 17 ed in Atti 1) una verità addizionale, che, per comprendere, richiedeva una conoscenza più ricca e più esatto delle vie di Dio: la gloria morale deve essere pienamente manifestata prima che il Messia possa mostrarsi nella Sua gloria reale a tutta quanta la terra.

Però questa gloria è Sua, escludendo la partecipazione di chicchessia. Come è lungi dal Suo cuore ogni altro pensiero! Quando i cieli si apersero in Atti 10, il lenzuolo fu visto discendere prima che Pietro ricevesse il comando di avere comunione con esso, e prima che esso risalisse e fosse perduto nuovamente in alto: il suo contenuto doveva essere purificato o santificato. Ma quando i cieli si apersero in Matteo 3, Gesù sulla terra non ebbe bisogno d’essere rapito per ricevere l’approvazione lassù, ma delle voci e delle visioni dal cielo suggellarono e gli attestarono appunto chi Egli era: «Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto».

E quando i cieli furono nuovamente aperti in Matteo 27, cioè quando il velo del tempio si fendè in due, tutto era finito, non si aveva più bisogno di nulla, l’opera di Gesù era compiuta. Il cielo, aperto in principio, mostrò la piena accettazione della Sua persona; ed il cielo aperto alla fine mostrò la piena accettazione della Sua opera.

Permettetemi che io chiuda dicendo che è una benedizione ed una felicità, come pure è parte del nostro culto il notare il carattere delle vie del Signore e del Suo ministero qui sulla terra, come ho cercato di fare in qualche misura con questo breve scritto; poiché tutto quello che Egli fece e che Egli disse, tutto il Suo servizio, tanto nella sostanza come nella forma, è la testimonianza di ciò che Egli era, e testimonia a noi ciò che Dio è. Così noi, seguendo i passi del Signore Gesù, tracciati nei Vangeli, ci avviciniamo al Dio benedetto. Ogni passo su questa via acquista importanza per noi. Tutto quello che fece e che disse era la pura realtà, la vera espressione di Sé stesso; ed era realmente la vera espressione di Dio. E se noi possiamo comprendere il carattere del Suo ministero, vedere quella gloria morale che è legata ad ogni momento e ad ogni particolare del Suo cammino e del Suo servizio qui sulla terra, ed imparare così ciò che Egli è, e ciò che è Dio, noi ci accostiamo a Dio con una certa e chiara conoscenza di Lui per mezzo dell’ordinario cammino ed attività della vita di questo divino Figlio dell’uomo.

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