Commentario lettera a Filemone

di F.B. Hole

E’ consigliabile leggere questa breve epistola assieme agli ultimi versetti della lettera ai Colossesi (4:7-17) dove sono citati alcuni personaggi menzionati qui da Paolo. Almeno otto nomi che troviamo nell’epistola a Filemone si ritrovano nell’epistola ai Colossesi e per molti di loro abbiamo dei dettagli sulla loro storia.

Filemone, amico diletto e compagno d’opera dell’apostolo Paolo, abitava a Colosse. Apfia, probabilmente era sua moglie e Archippo suo figlio. Quest’ultimo era un uomo con un dono particolare, al quale il Signore gli aveva affidato un servizio ben definito. La casa di Filemone era un luogo di riunione per i credenti così che Paolo può dire: “alla chiesa che si riunisce in casa tua”.

Onesimo, riguardo al quale Paolo scrive questa epistola, era stato uno schiavo di Filemone (v.16). Aveva fatto un torto al suo padrone ed era fuggito (v.15,18) ma, per grazia di Dio, lo schiavo fuggitivo era entrato in contatto con Paolo mentre era in prigione a Roma e per mezzo suo, si era convertito (v.10). Questa conversione era così reale che, poco dopo, Paolo poteva parlare di lui come di un fratello “fedele e caro” (Colossesi 4:9).

In quel momento, Tichico lasciava Roma per andare a Colosse con la lettera di Paolo destinata a quell’assemblea e l’apostolo approfitta di quest’occasione per rimandare Onesimo in compagnia di Tichico, per ritrovare il padrone dal quale era fuggito. Non era una cosa facile per Onesimo ritrovarsi di nuovo alla presenza di Filemone, anche se, dal tempo del torto fatto e della fuga, la grazia di Dio aveva operato la sua conversione. Con molte attenzioni Paolo scrive a Filemone una lettera di spiegazioni e d’intercessione e sarà Onesimo stesso ad esserne il portatore. Dio ha giudicato bene d’inserire questa breve epistola nella Sua Parola come scritto ispirato che ha il suo posto e la sua utilità nell’insieme della verità rivelata nelle Scritture.

Prima di tutto, essa ci mostra che il cammino di un peccatore convertito è quello della giustizia pratica. Quando Onesimo aveva fatto torto al suo padrone Filemone era ancora inconvertito, ma ora era diventato “un fratello caro” (v.16). Tuttavia, questo non lo liberava dagli obblighi che risultavano dal suo errore. Quanto a Dio questo peccato era perdonato come tutti gli altri perché Onesimo, credendo, era stato “giustificato di tutte le cose”. Rispetto alla relazione con Filemone però, occorreva che vi fosse confessione del male commesso e, in qualche misura, una restituzione. Come ciò avvenne ce lo mostra l’epistola stessa, dalla quale ricaviamo una  lezione importante. Se abbiamo fatto un torto a qualcuno, non c’è prova più efficace del nostro pentimento che confessare e riparare, ovviamente per quanto questo sia in nostro potere farlo. È sempre difficile, ma è questo il cammino della giustizia pratica che rende buona testimonianza e glorifica veramente Dio.

L’epistola enfatizza e raccomanda il rispetto reciproco e la benevolenza quali elementi caratteristici della grazia cristiana. È evidente che il cristiano deve essere caratterizzato da onestà, sincerità e trasparenza che sono l’opposto dell’ipocrisia e l’adulazione che caratterizzano il mondo. Tuttavia, la sincerità non deve degenerare in rigidità senza riguardo. Il credente deve prendere in considerazione i diritti degli altri e aver cura di esprimersi sempre con tatto e delicatezza. Considerate come Paolo esprime la sua approvazione a proposito della grazia e della bontà che caratterizzano Filemone (v.7).

Osservate anche il tatto e la delicatezza con le quali Paolo introduce la questione di Onesimo nei versetti da 8 a 10, “facendo appello all’amore” di Filemone piuttosto che fare uso della sua autorità apostolica dando degli ordini. Paolo presenta Onesimo come suo figlio spirituale che gli è stato donato durante il tempo della sua prova e della sua prigionia. Tutto era molto adatto a smuovere il cuore di Filemone. Tatto e cortesia che provengono da Dio emergono anche dal versetto 13 in poi. Paolo avrebbe tenuto volentieri Onesimo con sé per essergli d’aiuto in quella dolorosa situazione ma farlo senza consultare Filemone sarebbe stato inappropriato. Il vecchio padrone di Onesimo aveva dei diritti e Paolo voleva rispettarli pienamente. Se l’apostolo Paolo poteva beneficiare dell’aiuto di Onesimo, questo sarebbe stato un privilegio accordatogli da Filemone. Paolo non voleva appropriarsene prematuramente mettendo Filemone davanti al fatto compiuto senza altra possibilità che sottomettersi. Perciò Egli rimanda Onesimo volendo che ogni azione utile da parte di Filemone (v.20) sia il frutto di una sua azione volontaria.

Era anche possibile che, ritornando nel luogo in cui era stato precedentemente infedele ed aveva fatto torto al suo padrone, Onesimo potesse essere ripreso pienamente e per sempre a servizio da Filemone come dice il versetto 15: “perché tu lo riavessi per sempre”. Comunque sia, tutto sarebbe avvenuto su un’altra base. È utile considerare ancora la bellezza e la delicatezza con il quale Paolo parla a Filemone. Questi avrebbe considerato Onesimo “non più come schiavo, ma molto più che schiavo, come un fratello caro” (v.16). In tali condizioni Filemone avrebbe ottenuto da Onesimo un servizio di qualità migliore anche se forse minore in quantità nel caso in cui lo avesse ceduto volontariamente all’apostolo per servirlo a Roma o per andare altrove al servizio di Cristo.

Non ancora convertito, Onesimo aveva fatto torto a Filemone causandogli così una perdita. Conscio di ciò, Paolo si assume la piena responsabilità di una restituzione adeguata. Il torto che era stato fatto poteva essere messo in conto all’apostolo stesso, il quale si preoccupò di scrivere questo impegno di sua propria mano: “pagherò io” (v.19). Tuttavia, Paolo aggiunge con molta dolcezza e saggezza: “per non dirti che tu mi sei debitore perfino di te stesso” (v.19).

Anche Filemone era stato convertito per mezzo dell’apostolo Paolo. Pertanto, se avesse voluto addebitargli la perdita subita a causa di Onesimo, avrebbe dovuto anche accreditare il valore della dedizione al servizio compiuto dall’apostolo in mezzo all’opposizione e alle sofferenze,  grazie al quale aveva ricevuto la vita e la salvezza eterna.

L’effetto di queste parole sarà stato irresistibile! Se forse fino ad allora Filemone, era incline alla durezza e a voler punire Onesimo, quanto si sarà commosso! Che cos’era, dopotutto, la sua perdita? Sicuramente qualcosa di insignificante, anche se pari a una forte somma, di fronte all’immenso debito d’amore che aveva nei confronti di Paolo.

Paolo sapeva che Filemone avrebbe ricevuto pienamente il suo messaggio come lo dimostrano i versetti 20 e 21. Infatti, la sua fiducia in Filemone era tale che si aspettava che lui sarebbe andato ben al di là di quello che chiedeva. Questa è una bella testimonianza che l’apostolo rende a Filemone e non stupisce che lo chiami “caro” (v.1).

Conoscendo i terribili danni causati al nome di Cristo da faccende di questo genere in mezzo al popolo di Dio, è utile insistere sull’importanza di questa epistola. Essa ci insegna:

  • Quanto a colui che ha agito male: ritorno in tutta umiltà verso colui al quale si è fatto torto, confessando l’errore e riconoscendo la necessità di riparare;
  • Quanto a colui al quale è stato fatto il torto: il ricevimento del colpevole pentito, la grazia ed il riconoscimento di tutto quello che Dio ha operato in lui, sia che Dio abbia operato per mezzo della conversione, come in Onesimo nel nostro caso, o per la restaurazione dopo una caduta, come può essere in molti casi per noi oggi;
  • Quanto a colui che svolge il ruolo del mediatore: l’assenza di tutto quello che potrebbe sembrare uno spirito dittatoriale, un amore fervente sia per colui che è offeso come per colui che ha offeso, dei consigli e delle suppliche piene di dolcezza, riguardo e tatto.

Non possiamo lasciare l’esame di questa epistola senza rimarcare il modo toccante in cui essa tratteggia, la mediazione operata dal Signore Gesù.  È una illustrazione del passo di 2 Timoteo 2:5: “Infatti c’è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo”. Dio è quello che è stato offeso dal peccato, l’uomo è quello che Lo ha offeso, “Gesù Cristo uomo” è il mediatore.

All’inizio della storia di Onesimo, possiamo vedere un quadro di quello che siamo stati anche noi: siamo inutili; abbiamo fatto torto a Dio e siamo Suoi debitori di un debito che non possiamo pagare; anche noi ci siamo allontanati da Lui e desideriamo esserGli il più lontano possibile perché abbiamo paura di Lui. Questo è il frutto del peccato.

La mediazione di Paolo tra Filemone e Onesimo illustra, anche se debolmente, quello che Cristo ha fatto. Sulla croce si è caricato delle nostre iniquità ed ha subito il giudizio che meritavamo. Quanto a tutto quello che era dovuto a causa dei nostri peccati Egli ha detto a Dio: “Addebitalo a Me”.

Ma c’è una differenza: mentre Paolo doveva scrivere: “Pagherò io” l’opera del nostro Salvatore non è al futuro. Egli ha pagato, “Il quale è stato dato a causa delle nostre offese ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione” (Romani 4:25) e così, essendo “giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio” (Romani 5:1). La figura arriva lontanamente al livello della realtà.

Inoltre, Dio non ha bisogno di essere incoraggiato ad esercitare la grazia come lo fu Filemone, Dio stesso è la sorgente della grazia che Egli sparge in accordo con la Sua perfetta giustizia. Assumendosi tutti gli obblighi di Onesimo, Paolo forniva a Filemone una buona ragione per agire in grazia. “La grazia regni mediante la giustizia a vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore” (Romani 5:21).

Che Dio sia lodato per l’efficace mediazione del nostro Signore Gesù Cristo i cui risultati sono eterni! A questo riguardo la figura di questa epistola ci evidenzia ancora qualche elemento:

  1. Il messaggio di Paolo riguardo ad Onesimo era: “Accoglilo” (v.17). Lo schiavo che era fuggito non doveva essere ignorato ed ancor meno rifiutato doveva essere ricevuto. Dio ci ha ricevuto quando abbiamo creduto, in maniera piena e completa.
  2. Il messaggio includeva anche: “perché tu lo riavessi per sempre” (v.15). Precedentemente, le relazioni tra Onesimo ed il suo padrone erano soggette ad essere rotte ed effettivamente lo sono state a causa della cattiva condotta dello schiavo. Ma ora c’erano delle relazioni di un nuovo ordine che non possono mai più essere rotte. È lo stesso delle nostre relazioni con Dio fondate sulla Sua grazia: come frutto dell’opera di Cristo noi siamo davanti a Dio in una relazione definitiva ed eterna.
  3. Paolo fa a Filemone una domanda che sembra sorpassare le sue possibilità: “Se dunque tu mi consideri in comunione con te, accoglilo come me stesso” (v.17). Filemone avrebbe potuto rispondere che anche con la migliore volontà del mondo non avrebbe potuto farlo: riceverlo sì, ma riceverlo come avrebbe fatto con l’apostolo Paolo, come sarebbe stato possibile? Quello che Filemone forse non poteva fare, Dio lo ha fatto. Tutti i credenti, da Paolo stesso fino a noi, dal più debole di noi e fino all’ultimo convertito, sono ricevuti davanti a Dio come fossero Cristo. In effetti, “Egli ci ha resi graditi a sé, in colui che è l’amato” (Efesini 1:6 – Vers. Diodati). Noi siamo accolti e graditi come Cristo stesso. È una cosa straordinaria, inesprimibile e che sarebbe assolutamente incredibile se non ce lo dichiarasse la Parola di Dio.

Il legame tra il mediatore e Onesimo, colui che aveva fatto il torto, era l’amore; il legame tra il mediatore e colui che era stato offeso era quello che si può chiamare unione o comunione.

Riguardando per fede all’Uomo Gesù Cristo glorificato, il solo Mediatore, riconosciamo con adorazione quello che è il Suo legame con Dio, essendo Lui stesso è Dio (Giovanni 1:1).. Egli ci ha messi nella Sua stessa posizione e nella Sua stessa relazione, legandoci a Sé nella forza del Suo amore eterno.