di Ferruccio Cucchi
Articolo tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 01-2012
Tutti noi che abbiamo riconosciuto di essere schiavi del peccato che è insito nella nostra natura di uomini e abbiamo afferrato per mezzo della fede l’opera che Cristo ha compiuto per noi alla croce, siamo stati liberati da questa schiavitù per vivere una vita completamente nuova, una vita di libertà.
“Quando eravate schiavi del peccato…” (Romani 6:20)
Non ci siamo liberati da soli, ma siamo stati liberati. Da chi? È Dio stesso che ha agito per compiere questa liberazione: “Dio ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio” (Colossesi 1:13). Dio, che è amore, ha avuto pietà di noi; non ha voluto che rimanessimo in quella penosa situazione, che comporta sofferenza e pena che andrebbero ben al di là del breve periodo della vita terrena.
Chi ci teneva prigionieri? Certamente il peccato tramite il quale Satana era riuscito ad allontanarci da Dio e a indurci a fare la sua volontà, opposta a quella di Dio. Ma “come può uno entrare nella casa dell’uomo forte e rubargli la sua roba, se prima non lega l’uomo forte? Allora soltanto gli saccheggerà la casa” (Matteo 12:29). Questo è avvenuto quando il Signore, dopo aver superato vittoriosamente la tentazione, ha iniziato a liberare quelli che erano posseduti da demoni. Ed è sempre grazie a Lui che Dio può liberare, coloro che credono, “dal potere delle tenebre” e trasportarli nel regno del Suo amato Figlio; Lui che, col Suo sacrificio volontario, “ha spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro per mezzo della croce” (Colossesi 2:15).
E allora, noi tutti che abbiamo creduto nel Signore Gesù e nella Sua opera di liberazione abbiamo ben motivo di esclamare con riconoscenza e gioia insieme all’apostolo Giovanni: “A Lui che ci ama, e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, … a Lui sia la gloria e la potenza nei secoli dei secoli” (Apocalisse 1:5-6).
Da che cosa siamo stati liberati? Lo abbiamo appena letto: “… liberati dai nostri peccati”, quei peccati che non avevamo l’energia di evitare perché Satana ci induceva a commetterli. E l’apostolo Paolo usa un’espressione analoga, che però mette in evidenza un altro aspetto, ancora più profondo, della nostra liberazione: “Liberati dal peccato” (Romani 6:18, 22), dal “peccato che abita in me” (Romani 7:17, 20) come in tutti gli uomini, da Adamo in poi, e dal quale eravamo dominati.
Abbiamo anche letto: “Dio ci ha liberati dal potere delle tenebre” (Colossesi 1:13). L’immagine delle tenebre rappresenta efficacemente la nostra condizione sotto il potere di Satana, il principe di “questo mondo di tenebre” Efesini 6:12). Dio ci “ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa” (1 Pietro 2:9). “Il Dio che disse: «Splenda la luce fra le tenebre» è quello che risplendé nei nostri cuori” (2 Corinzi 4:6).
“Ma ora, liberati dal peccato e fatti servi di Dio…” (Romani 6:22)
Chi si è appropriato mediante la fede dell’opera liberatrice di Cristo non diventa padrone di se stesso: “Non appartenete a voi stessi. Poiché siete stati comprati a caro prezzo” (1 Corinzi 6:19-20). Questo “caro prezzo” che il Signore Gesù ha pagato a Dio col Suo sacrificio, dà al nostro Liberatore tutti i diritti su di noi, e conferisce a noi l’onore di essere Suoi servi. Noi consideriamo un grande privilegio il fatto di appartenere all’unico Padrone amorevole e giusto.
Quelli che ancora sono schiavi di Satana, e che Dio definisce “stolti” (Salmo 14:1), forse ironizzeranno: Siete passati da un padrone all’altro… Ma la Sua Parola ha una risposta anche a questo proposito:“Questa è la volontà di Dio: che, facendo il bene, turiate la bocca all’ignoranza degli uomini stolti”. E, prevenendo un’altra possibile contestazione degli stolti, precisa che i credenti potranno e dovranno farlo “come uomini liberi, che non si servono della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servi di Dio” (1 Pietro 2:16).
La libertà di cui godiamo non è la libertà come la intende chi è lontano da Dio, non è la libertà di fare la propria volontà che inevitabilmente spinge a fare il male. Anzi, come abbiamo letto nel citato passo di Romani 6:22, “… avete per frutto la vostra santificazione” (Romani 6:22). Il primo frutto di chi è fatto servo di Dio è il bene che il credente è in grado di fare grazie alla nuova natura “divina” di cui è stato “fatto partecipe” (2 Pietro 1:4): “Liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia” (Romani 6:18).
Alcune persone affermano di essere al servizio della giustizia, così com’è intesa dagli uomini, ma solo chi è stato liberato dalla potenza del peccato può tradurre in realtà le caratteristiche del servitore della giustizia secondo il pensiero di Dio. È vero che non siamo ancora stati liberati dalla presenza del peccato, che talvolta si manifesta anche nella nostra vita di credenti, ma siamo messi nelle condizioni di vivere in modo giusto, secondo il pensiero di Dio e in ubbidienza alla Sua volontà. “Praticare la giustizia e l’equità è cosa che il SIGNORE preferisce ai sacrifici” (Proverbi 21:3).
Dunque, finalmente liberi di fare il bene! Guai se noi che siamo stati liberati dalla potenza del peccato facessimo uso della libertà nella quale siamo stati messi “come di un velo per coprire la malizia”! Significherebbe stravolgerne il significato, oltre che essere un’ipocrisia. Infatti lo stesso apostolo Paolo conferma questo concetto scrivendo ai credenti della Galazia: “Fratelli, voi siete stati chiamati a libertà; soltanto non fate della libertà un’occasione per vivere secondo la carne…” (Galati 5:13), cioè seguendo le nostre tendenze naturali che pongono al centro di ogni cura e interesse l’ “io” (egocentrismo) e ne ricercano la soddisfazione anche a scapito degli altri.
“… ma per mezzo dell’amore servite gli uni agli altri” (Galati 5:13).
Il Signore lo serviamo specialmente quando ci mettiamo al servizio degli altri: “Finché ne abbiamo l’opportunità, facciamo del bene a tutti, ma specialmente ai fratelli in fede” (Galati 6:10). Di fronte a un campo così vasto (“a tutti”), abbiamo bisogno dell’aiuto del Signore, che non ce lo farà mancare se glielo chiediamo con fede, per discernere quelle “opere buone che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo” (Efesini 2:10). “Ciascuno, secondo il dono che ha ricevuto, lo metta al servizio degli altri” (1 Pietro 4:10).
Il servizio del credente non dev’essere considerato un peso da portare, non dev’essere compiuto con riluttanza, come fece a suo tempo il profeta Giona, ma con fervore e con gioia. “Siate ferventi nello spirito, servite il Signore” (Romani 12:11); “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (Atti 20:35), una frase del Signore che non è scritta nei Vangeli ma che l’apostolo Paolo ha rivelato nel suo discorso agli anziani della chiesa di Efeso.
In quello stesso discorso Paolo ha anche detto: “Voi sapete in quale maniera… mi sono sempre comportato con voi, servendo il Signore con ogni umiltà” (v. 18-19). Paolo, così ricco di doti naturali e di cultura, avrebbe avuto mille motivi per vantarsi di ciò che aveva fatto; invece, poteva affermare: “La nostra capacità viene da Dio”; “questa grande potenza sia attribuita a Dio e non a noi” (2 Corinzi 3:5; 4:7). Non attribuiamo a noi stessi la capacità di compiere un servizio gradito al Signore, e non stimiamoci superiori ad altri se abbiamo il privilegio di essere utili a qualcuno.
Un’altra caratteristica di un vero servizio al Signore è la fedeltà. Paolo raccomandava al suo giovane discepolo Timoteo: “Adempi fedelmente il tuo servizio” (2 Timoteo 4:5). Nei Proverbi leggiamo: “Il messaggero fedele, per quelli che lo mandano, è come il fresco della neve al tempo della mietitura; esso ristora il suo padrone” (Proverbi 25:13); una fedeltà quindi non soltanto nel senso di scrupolo e zelo, ma in vista della gloria e della gioia del Signore.
Ecco cosa significa vivere liberi!
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