di S. Isenberg
Vi siete mai chiesti perché al giorno d’oggi è così difficile parlare in modo semplice fra noi e perché è molto più facile discutere dei problemi con chi non è direttamente interessato? È un segno dei tempi, o è sempre stato così? Non rappresenta più un problema perché ci siamo semplicemente adattati a questa situazione?
Si tratta di domande che dovremmo porci perché tutto quello che diciamo deve essere vero e la Parola dice: “Non spargere voci calunniose” (Esodo 23:1) e “Non attestare il falso contro il tuo prossimo.” (20:16). Perché questo problema si presenta così spesso, anche tra i cristiani?
Se parliamo di questo argomento, è ovvio che non è possibile prendere in considerazione tutti i casi particolari, perché ci sono, ad esempio, situazioni che non permettono una discussione personale, in quanto i cuori sono induriti o il disaccordo è troppo grande. Altre volte può capitare di dover parlare prima con una terza persona per ottenere un sano consiglio spirituale prima di discutere i problemi e le difficoltà con la persona interessata. Se ci pensiamo, possiamo renderci conto che più di una falsità è stata diffusa, anche involontariamente, perché non abbiamo pensato alle conseguenze di non dire tutta la verità. Possiamo essere infatti colpevoli se riportiamo solo metà di qualcosa. “Hai sentito cosa ha detto quel tale?” o “Ma è possibile?”: può esserci capitato di aver usato queste espressioni o di averle sentite spesso.
Un vecchio problema
Parlare degli altri era già un problema al tempo del Signore Gesù. Una cosa è certa: i problemi che affrontiamo oggi sono vecchi come la caduta dell’uomo, tuttavia vorremmo considerare soprattutto il tempo in cui il Signore Gesù era sulla terra. In Marco 2:13-28, questo atteggiamento è addirittura riportato tre volte nello stesso capitolo. La prima volta, gli scribi e i farisei, vedendo il Signore Gesù a tavola con pubblicani e i peccatori, si rivolgono ai discepoli invece che al Signore: “Come mai mangia e beve con i pubblicani e i peccatori?”. Poi al versetto 18 i farisei e i discepoli di Giovanni si indirizzano al Signore invece che ai discepoli, riguardo al digiuno: “Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano e i tuoi discepoli non digiunano?”. Ancora al versetto 24, quando si parla del sabato, i farisei chiedono: “Vedi! Perché fanno di sabato quel che non è lecito?”
La prima volta, i farisei si lamentano del Maestro con i discepoli. Il Signore si presenta come il grande Medico che si è preoccupato più dell’uomo nella sua miseria, rispetto a quanto previsto dalla tradizione degli uomini. La seconda e la terza volta, coloro che fanno domande per criticare si rivolgono al Signore per lamentarsi dei discepoli. Ovviamente non avevano abbastanza coraggio per discuterne apertamente. Un fratello scriveva: “Questo metodo ipocrita di cercare i difetti (negli altri) è molto comune. Non comportiamoci così”. In entrambe le occasioni il Signore si presenta una volta come lo sposo e una volta come il Signore del sabato e protegge sempre i suoi discepoli; questo è un grande incoraggiamento per noi. Qualcuno può evidenziare i difetti in un fratello (o in una sorella) e ignorare che, per quanto possa essere debole, è comunque “colui per il quale Cristo è morto” (Romani 14:15). Siamo pertanto esortati a riconoscere il bene e a dirigere i nostri pensieri verso il Signore, che è morto anche per il nostro fratello.
Varie cause
Ora analizzeremo alcune cause di questo problema e cercheremo di capire come possiamo premunirci contro questo pericolo, specialmente nei nostri cuori. Se non siamo vicini al Signore, rischiamo che ci colga all’improvviso.
Tradizionalismo
La responsabilità dei farisei è ben nota; essi mettono “fardelli pesanti…sulle spalle della gente” (Matteo 23:4). Non si limitavano alla Parola di Dio, ma aggiungevano tradizione su tradizione. Inoltre, avevano una conoscenza approfondita delle Scritture, ma non ne traevano energia spirituale. La loro conoscenza era così ampia che risposero senza esitazione quando gli chiesero dove sarebbe nato il Cristo: “In Betlemme di Giudea” (Matteo 2:5). Un computer probabilmente non sarebbe stato altrettanto veloce a rispondere come gli scribi!
Anche noi possiamo avere queste mancanze. Rischiamo di dire: “Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di niente…”. Oppure pensiamo di padroneggiare un argomento e insistiamo su certi aspetti che sono solo tradizioni – “Tu non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo” (Apocalisse 3:17). Questi sono errori che possiamo commettere quando abbiamo una propensione al legalismo farisaico – che secondo la Scrittura è un modo di conformarsi ai caratteri del mondo (vedi Colossesi 2:20).
Mancanza d’amore
Parlare con gli altri di qualcuno invece di parlare direttamente con l’interessato è spesso il risultato di una mancanza di amore fraterno, che molte volte deriva dai problemi citati sopra. Possiamo, infatti, avere una conoscenza approfondita della Bibbia (come i farisei), ma non avere amore. Rischiamo quindi di trarre conclusioni sulla base di lettere, voci, supposizioni… senza aver cercato un colloquio personale. Se inoltre comunichiamo le nostre conclusioni, potremmo non agire più (forse involontariamente) secondo il principio dell’amore fraterno, perché è scritto: “L’amore…non addebita il male, non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa.” (1 Cor. 13:5-7). Questo dovrebbe essere il nostro primo pensiero quando veniamo a sapere qualcosa da fonti incerte, spesso distorte. Occorre accertarci della verità! È quindi sempre meglio chiedere un colloquio con la persona interessata, per evitare qualsiasi malinteso. In questo modo, i cuori possono essere uniti per mezzo dell’amore e nell’amore. L’amore richiede sempre la verità; se non è basato sulla verità, non è secondo Dio e ricordiamo inoltre che non voler vedere un male evidente non ha niente a che vedere con l’amore.
“Imparate da me…”
Per concludere, vorremmo affrontare un aspetto positivo: come posso condurre una conversazione con una persona riguardo a problemi che devono essere discussi e cercare di ottenere un risultato e di guarire i cuori? Non basta conoscere la causa dei problemi, ma abbiamo anche bisogno dell’incoraggiamento del nostro grande modello, il Signore Gesù. Quando il Signore Gesù parlava con un peccatore, cercava sempre di conquistare il suo cuore. Ha toccato il lebbroso in Marco 1 ed è stato mosso da compassione, quando lo ha visto buttarsi in ginocchio davanti a Lui. Ha toccato quello che tutti evitavano per non essere contaminati. Possiamo essere certi che il Signore, con il suo tocco, ha attirato quel povero cuore disperato.
Quando il Signore ha visto la donna seduta al pozzo di Sicar, ha trovato un’anima assetata di vita vera, di cose eterne, ma anche un’anima carica di molti peccati. Il Signore sapeva che non poteva offrirle dell’acqua viva finché il problema dei peccati non fosse stato affrontato. E vediamo che il Signore ha detto alla donna: “Và a chiamar tuo marito e vieni qua” (Giovanni 4:16). Non le ha detto che non poteva darle l’acqua perché era conosciuta come una donna di dubbia moralità. Il nostro Redentore manifesta in questa circostanza ciò che l’apostolo Giovanni scrive nel primo capitolo del suo Vangelo: “… abbiamo contemplato la Sua gloria, una gloria… piena di grazia e di verità” (v. 14). Il Signore manifesta questi due aspetti utilizzando del tatto per portare la donna a confessarsi – questa è la grazia -, occupandosi dei suoi peccati – questa è la verità. Possiamo lodare il Signore: “la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo” (v. 17).
Anche Giuseppe, che è una meravigliosa figura del Signore Gesù, rappresenta un bellissimo esempio per noi. Il modo in cui agisce verso i suoi fratelli in Egitto corrisponde alla grazia e alla verità mostrate dal Signore Gesù. Quando Giuseppe si è presentato ai suoi fratelli, ha detto in lacrime: “Io sono Giuseppe.” (Gen. 45:3). Ma non ha terminato qui e ha aggiunto: “mio padre vive ancora?”. Ha rivolto lo sguardo di tutti verso l’oggetto comune del loro amore: il padre. È così che il Signore Gesù dopo la sua risurrezione dirige lo sguardo di Maria al Dio e Padre che abbiamo in comune “Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro” (Giovanni 20:17). È importante comportarsi così quando si tratta di un colloquio relativo alla disciplina. Se vogliamo sollevare e rinforzare i cuori, occorre focalizzare l’attenzione sull’oggetto comune dell’amore. Non è possibile affrontare dialoghi difficili senza la comunione con il Padre e il Figlio. Il mio interlocutore deve percepire chiaramente che io cerco e desidero con tutto il mio cuore, nonostante la mia debolezza, la gloria di Dio Padre. Riflettiamo sul fatto che dovremmo cercare più spesso questa comunione ed essere più impregnati di amore e di verità. Questo ridurrebbe l’importanza di molti problemi apparentemente grandi e potrebbe farli addirittura scomparire.
Impegniamoci, quindi, a parlare con i diretti interessati e a smettere di parlare delle questioni che riguardano altri.
Tradotto da bible-notes.org
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