Isaia
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Capitolo 1, versetti da 1 a 17
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Come ce lo mostrano le parole stesse del Signore, l’Antico Testamento comprende tre grandi parti: la legge di Mosè (detta il Pentateuco), i profeti (comprendenti inoltre i libri storici) e i Salmi con i libri poetici (Luca 24:44 e 27). Iniziamo per conseguenza con la profezia una parte importante della Bibbia, benché sia tante volte trascurata per le sue difficoltà. Chiediamo al Signore di aiutarci a scoprirvi «le cose che Lo riguardano».
Un profeta è il portavoce dell’Eterno verso il popolo per riprenderlo, avvertirlo, ricondurlo, consolarlo. Al cap. 1, come introduzione, la prima missione di Isaia è quella d’un medico incaricato di dare il suo consiglio su un malato il cui stato è disperato. Terribile diagnosi quella dei vers. 5 e 6! È tanto valida per l’uomo d’oggi quanto per l’Israelita d’un tempo. «Tutto il capo è malato e tutto il cuore è languente». L’intelligenza s’è corrotta distogliendosi da Dio (Romani 1:21), gli affetti per Lui hanno totalmente fallito. Fino alla pianta del piede — il camminare — non c’è nulla di sano. In tali condizioni, lo spiegamento di forme esteriori non è che una vana ipocrisia e persino un’abominazione (vers. 13; parag. Proverbi 21:27).
Isaia
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Capitolo 1, versetti da 18 a 31
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Ed ecco tutta la grazia divina che brilla verso il suo povero popolo (ma anche verso ogni peccatore che si riconosce perduto). Ieri l’abbiamo lasciato coperto di ferite e di piaghe aperte, simile a quell’uomo della parabola, caduto fra le mani dei ladri (Luca 10:30). Ora l’Eterno lo invita a discutere con Lui. Discutere? A che serve? Che dire a sua difesa? Il colpevole ha la bocca chiusa. Ma allora, invece della sua condanna, ecco, può udire dalla bocca del proprio giudice la meravigliosa promessa del vers. 18. Essa ha recato la pace in tanti cuori: «Se anche i vostri peccati fossero come lo scarlatto, diventeranno bianchi come la neve…». Sappiamo che soltanto per mezzo del sangue di Gesù Cristo questa purificazione può compiersi (1 Giovanni 1:7). Al contrario, il castigo si eseguirà su quelli che rifiutano il perdono offerto. I versetti 21 e seguenti ci descrivono quel che Gerusalemme, la città fedele è diventata: un ricetto d’assassini. È necessario che l’Eterno la purifichi. Non sarà, purtroppo, per mezzo del sangue redentore — poiché non ha voluto saperne — ma per mezzo del giudizio che cadrà sui trasgressori dopo tutta la pazienza di cui Dio ha dato prova verso un popolo ribelle.
Isaia
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Capitolo 2, versetti da 1 a 22
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Ahimè! chi l’avrebbe pensato? Nonostante la loro rovina e la loro miseria accecanti, Gerusalemme e Giuda erano gonfie d’orgoglio e di pretesa. Ma in quel giorno di cui parlano i vers. 12 a 21 «l’orgoglio dei grandi sarà umiliato e l’Eterno solo sarà esaltato in quel giorno…» (vers. 11 e 17). Dio farà sapere pubblicamente quel che pensa della gloria e del genio umani (con tutti i suoi oggetti d’arte piacevoli — vers. 16). Tuttavia il vers. 22 va ancora molto più lungi. Costituisce la conclusione, non solo dei nostri due capitoli, ma anche, possiamo dirlo, di tutto l’Antico Testamento: «Cessate di confidarvi nell’uomo…». È l’irrevocabile sentenza dell’Eterno in presenza dello spaventoso quadro dell’iniquità d’Israele, popolo campione dell’umanità intera. Presto la croce metterà il punto finale a quest’esperienza umana. Ormai Dio non fa più nessun caso dell’uomo in Adamo, ma, d’accordo con Lui, abbiamo il privilegio di fare conto «di essere morti al peccato, ma viventi a Dio, in Cristo Gesù» (Romani 6:11).
Questo libro di Isaia comincia come la lettera ai Romani di cui i tre primi capitoli stabiliscono in modo irrefutabile la colpevolezza dell’uomo, quindi il suo bisogno di giustificazione. La salvezza dell’Eterno (significato del nome Isaia) può allora essere rivelato più avanti nella persona di Cristo il Salvatore (cap. 40 e seg.).
Isaia
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Capitolo 3, versetti da 1 a 15
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Fino al capitolo 12, si tratta in primo luogo del giudizio di Israele e di Giuda. Poi dal capitolo 13 al capitolo 27 di quello delle nazioni. Dio comincia questo giudizio sempre dalla sua casa — la sfera più responsabile. Sarà anche il caso della cristianità professante (Romani 2:9; 1 Pietro 4:17). Il completo fallimento dell’uomo si nota specialmente in quelli che hanno delle responsabilità, e occupano una posizione elevata. Inoltre, nonostante gli insegnamenti formali di Dio, l’«indovino» e «l’abile incantatore» hanno un posto in mezzo al popolo (vers. 3). In quale profondità di corruzione è caduto Israele!
Ma Dio sa fare la differenza tra il giusto e il malvagio (vers. 10 e 11) e rende ad ognuno secondo le proprie opere. «Quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà», conferma Galati 6:7 (parag. Giobbe 4:8; Osea 8:7; Osea 10:12-13). Avete mai veduto qualcuno seminare del frumento e mietere avena o granturco? L’insensato che gettasse in terra dei semi di erbacce potrebbe aspettarsi di veder germogliare dei fiori magnifici? Ora è lo stesso relativamente alle opere che facciamo. Lo vogliamo o no, ciascuno di noi, al presente sulla terra, vi semina… qualche cosa. Vedremo un giorno la mietitura! Ma, non inganniamoci: essa sarà inevitabilmente della stessa natura del seme che spargiamo oggi. Che sorta di opere seminiamo noi, voi e io?
Uno dei cattivi frutti raccolti dal popolo è il disordine sociale, il rovesciamento dell’ordine stabilito. Non c’è più disciplina, i figli contestano l’autorità dei genitori; «il giovane è arrogante con il vecchio» (vers. 5), le valori morali e gli obblighi sono rigettati. Quante analogie tra questa profonda decadenza d’Israele e quella che constatiamo oggi nei nostri paesi cristianizzati!
Isaia
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Capitolo 3, versetti da 16 a 26 Capitolo 4, versetti da 1 a 6
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I versetti 18 a 23 vi insegnano, ragazze (e anche ragazzi!), che le raffinatezze della moda non datano dal nostro secolo. Vi è forse qualcosa di più insopportabile — e ad un tempo di più ridicolo (vedete fine del vers. 16) — di questa grande preoccupazione della propria persona, questa ricerca dell’attenzione e dell’ammirazione altrui? Tutti quegli accessori di abbigliamento e quei fronzoli, Dio sembra riunirli senza riguardo sotto una stessa etichetta: «la bruttura delle figliuole di Sion» (cap. 4:4). Si vuol forse dire che una cristiana non debba vegliare sul suo abbigliamento? Al contrario! e la Parola le insegna anche il modo di farlo (vedere 1 Timoteo 2:9 e 10; 1 Pietro 3:2 a 6).
Ciò che l’Eterno dà al suo popolo alla fine della sua storia ricorda le cure del principio (parag. vers. 5 con Esodo 13:21 e 22). Come per affermargli: Non ho mai cessato d’aver gli occhi su te!
Qui termina la prefazione del libro. Essa ci ha mostrato la rovina morale di Giuda e di Gerusalemme, i giudizi che le colpiranno, ma anche il loro ristoramento e la gloria di Cristo (il Germoglio dell’Eterno, sorgente e potenza di vita: vers. 2) quando quella dell’uomo avrà avuto fine.
Isaia
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Capitolo 5, versetti da 1 a 17
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Una commovente parabola illustra le cure dell’Eterno verso il suo popolo. Israele è la vigna del Diletto dell’Eterno. Piantata, sistemata e mantenuta con la più tenera sollecitudine, non ha prodotto in conclusione che delle lambrusche, immangiabili e senza pregio. Nella parabola dei cattivi lavoratori, il Signore esprimerà la totale delusione provata nella sua vigna d’Israele, dal Diletto che aveva ogni diritto su di essa (Luca 20:9 a 16).
Ma questi versetti ci fanno pure toccare col dito la nostra propria ingratitudine. È come se il Signore, dopo averci fatto fare il conto di tutte le grazie ricevute dalla nostra infanzia, chiedesse con tristezza a uno di noi: Che più avrei potuto fare per te di quello che ho fatto? Non ero forse in diritto di aspettarmi qualche buon frutto da parte tua? E tuttavia non hai prodotto nulla per me!
Noi conosciamo il mezzo di portare frutto. È di dimorare attaccato alla «vera vite». Ora che Israele, vigna improduttiva, è stato tolto, Cristo è diventato quella vera vite e suo Padre è il vignaiolo (Giovanni 15:1…).
Al vers. 8, Isaia comincia la serie dei «guai…» su cui ci proponiamo di ritornare domani.
Isaia
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Capitolo 5, versetti da 18 a 30
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Le passioni degli uomini e gli scopi che inseguono variano a seconda della loro condizione sociale o del loro temperamento. Gli uni affaccendati ad aggiungere campo a campo, casa a casa (senza poter abitarne più di una per volta — vers. 8). Guai a loro, perché bisognerà lasciare sulla terra queste cose della terra… per presentarsi davanti a Dio a mani vuote. Altri cercano il loro piacere nelle feste del mondo e nell’eccitazione ingannevole dell’alcool (vers. 11, 12, 22). Guai a loro quando si risveglieranno, troppo tardi, alle realtà eterne! Vi sono pure quelli che si vantano del peccato e provocano apertamente l’Eterno (vers. 18 e 19); quelli la cui coscienza indurita ha perso la nozione del bene e del male (vers. 20), quelli che si compiacciono nella propria sapienza (vers. 21; vedere Proverbi 3:7). Tutti gli uomini, dal misero ubriacone al più grande filosofo, sono rappresentati in una comune e vana ricerca della felicità (Ecclesiate 8:13). Ma la parola di Dio, e la fine di tutti i pensieri e di tutte le concupiscenze degli uomini, siano distinti o volgari, è: guai, guai, guai!
Vedremo nei prossimi capitoli in che modo Dio si serve d’una nazione (l’Assiria) come verga per castigare il suo popolo.
Isaia
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Capitolo 6, versetti da 1 a 13
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In una gloriosa visione, il giovane Isaia si trova ad un tratto posto in presenza del Dio santissimo. Effetto solenne di questa presenza! Non è più: guai a questi, guai a quelli! Colto da timore, convinto di peccato, egli esclama ora: «Guai a me, ch’io son perduto» (parag. Luca 5:8). Ma allora, la grazia di Dio viene a rispondere alla Sua santità. Essa provvede alla purificazione del profeta a partire dall’altare che è una figura del sacrificio di Cristo. E notate con quale prontezza Isaia si presenta subito dopo per servire Colui che ha tolto il suo peccato. Siamo noi pronti a rispondere così all’appello del Signore: «Eccomi, manda me»?
È una missione ben strana che il giovane profeta riceve in primo luogo! Poiché si tratta d’impedire al popolo di capire il suo messaggio! Indurimento sovente ricordato (Matteo 13:14…; Atti 28:25…). Egli è mandato soltanto dopo che questo popolo ha lui stesso «sprezzata la parola del Santo d’Israele» (cap. 5:24). E Dio lo permette affinché «le nazioni», di cui facciamo parte, possano pure partecipare alla salvezza (Romani 11:25).
Quell’anno della morte del re Uzzia fu decisivo per il giovane Isaia. Vi è forse anche nella vostra vita una data particolare: quella del vostro incontro con il Signore Gesù Cristo?
Isaia
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Capitolo 7, versetti da 1 a 25
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Dopo aver risposto all’appello di Dio, Isaia pare sia stato obbligato di aspettare a lungo (almeno 16 anni: durata del regno di Jotham) prima d’incominciare il suo servizio pubblico. Se dobbiamo seguire una simile scuola di pazienza, non scoraggiamoci. Lasciamo che il Signore scelga il momento e il modo che gli converranno per adoperarci. La nostra sola responsabilità è d’essere disponibile e obbediente (conf. Matteo 8:9)
Isaia è anzitutto mandato al malvagio Achaz, re di Giuda. L’ora è grave per il piccolo regno. Esso è minacciato da Retsin, re di Siria, e, cosa triste a dire, per mezzo di Pekah, re d’Israele. Ma il profeta è incaricato di una buona notizia: i due aggressori non potranno compiere i loro «malvagi disegni».
Poi Achaz, nonostante la sua integrità e la sua falsa umiltà, è invitato ad udire una rivelazione tanto più grande e più gloriosa: la nascita di Emmanuele. Essa recherà la salvezza alla casa di Davide, ad Israele e al mondo. Bel nome Emmanuele: Dio con noi (Matteo 1:23). Lo troviamo qui come un primo raggio di luce proiettato dalla lampada profetica in mezzo alle tenebre morali più profonde (2 Pietro 1:19).
Isaia
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Capitolo 8, versetti da 1 a 22
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Due figure, due grandi soggetti dominano tutta la profezia d’Isaia. L’uno infinitamente prezioso e consolante, è il Messia stesso. L’altro invece è terrificante: è l’Assiro, il potente nemico d’Israele negli ultimi giorni. Poiché il popolo ha rifiutato il primo, avrà da fare col secondo. Poiché ha rigettato le acque della grazia di Colui che gli era mandato (Siloe significa «mandato»: Giovanni 9:7), si troverà sommerso in giudizio da «le potenti e grandi acque» del temibile re d’Assiria. Tuttavia, ricordandosi che si tratta del paese d’Emmanuele, Dio frantumerà finalmente quelli che s’associano per invaderlo. Questo vers. 9 ci ricorda pure quale sarà presto la sorte delle associazioni delle nazioni che oggi sono all’ordine del giorno (Isaia 54:15).
Per conservare il filo conduttore in queste parole profetiche, non dimentichiamo che esse riguardano ora il popolo ribelle ed apostata nel suo insieme (vers. 11, 14, 15, 19…), ora il residuo fedele a cui l’Eterno s’indirizza qui.
La citazione del vers. 18 in Ebrei 2:13 ci permette di vedere nel profeta e nei suoi figli (cap. 7:3; 8:3) Cristo che si presenta davanti a Dio coi suoi «discepoli» (cap. 8:16). Egli non si vergogna di riconoscerli e chiamarli suoi fratelli (vedere Giovanni 17:6; 20:17),
Isaia
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Capitolo 9, versetti da 1 a 21
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Il cap. 8 si chiudeva su «fitta tenebra». Israele vi camminava da cieco, a tastoni (vers. 1). Ma ecco che, dinanzi ai suoi passi «una gran luce» risplenderà. La citazione fatta dal Signore in Matteo 4:15 e 16 ci trasporta al tempo dell’Evangelo per vedervi brillare Colui che è la luce del mondo (Giovanni 9:5). È proprio in quella Galilea disprezzata (ma quanto privilegiata) che Gesù ha compiuto la più gran parte del suo ministero.
Tuttavia la vera luce non è soltanto per una regione o per un popolo. Essa «illumina ogni uomo». Purtroppo, «gli uomini hanno amato le tenebre più che la luce, perché le loro opere erano malvage» (Giovanni 1:9; 3:19). I nostri versetti tacciono sul tempo del rigettamento del Signore e su tutto il periodo attuale della Chiesa di cui non è mai parlato nei profeti. Ci mostrano di botto la gioia di Israele (vers. 2) al momento in cui, dopo secoli di oscurità, si leverà per il Regno millenario il glorioso sole di Giustizia. Il bel versetto 5 ci rivela alcuni dei nomi che sono attribuiti al Figlio. Tanti nomi, altrettanti soggetti benedetti di meditazione per le anime nostre!
Isaia
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Capitolo 10, versetti da 1 a 23
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I tre ultimi paragrafi del cap. 9 e il primo del cap. 10 ci mostrano tutti i motivi per cui l’ira di Dio «non si calma» verso Israele «e la sua mano rimane distesa» (cap. 9:11, 16, 20; 10:4). Or questa mano tiene una verga temibile per castigare il popolo colpevole: è l’Assiria già nominata. Egli ha incitato un Assiro storico (Sennacherib ed i suoi eserciti; vedere cap. 36:1). Ma egli non è stato che una figura del terribile Assiro profetico, che invaderà il paese di Israele poco prima del regno di Cristo. Nella sua indignazione, Dio ordinerà quest’attacco contro il suo popolo. Ma l’aggressore ne prenderà pretesto per attribuirsi i suoi successi ed elevarsi persino contro Dio (vers. 13 e 15; parag. 2 Re 19:23…). Che follia! L’attrezzo non è nulla senza la mano che lo maneggia. Perciò, quando avrà finito di servirsi di questa verga, Dio vi metterà il fuoco come si brucia un semplice bastone (vers. 16; cap. 30:31-33).
Approfittiamo di questo esempio estremo per ricordarci modestamente di ciò che siamo, anche come cristiani: dei semplici strumenti senza forza e senza sapienza propria (parag. vers. 13), che il Signore può metter da parte o sostituire come Gli piace.
Il pensato finale di Dio non è il giudizio, ma la grazia:… «un residuo tornerà» (vers. 21-22, citato in Romani 9:27).
Isaia
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Capitolo 11, versetti da 1 a 16 Capitolo 12, versetti da 1 a 6
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I versetti 18 e 19, 33 e 34 del cap. 10 paragonano Israele ad una orgogliosa foresta in cui la scure e la sega (l’Assiria nella mano dell’Eterno, vers. 15) tagliando faranno vaste radure. E l’albero regale di Giuda sarà anch’esso abbattuto, poiché non vi sarà presto più nessun discendente di Davide sul trono. Ma, l’avete già osservato nella natura: accade che teneri rampolli pieni di linfa rispuntino su un ceppo tagliato. Del pari, sul «tronco d’Isai», morto in apparenza, è apparso un rampollo nuovo! È cresciuto e ha portato in abbondanza il frutto dello Spirito di Dio (cap. 11:2).
Il rampollo, la radice e la progenie di Davide (vers. 1 e 10; Apocalisse 22:16), sono nomi che il Signore Gesù porta in rapporto con la benedizione d’Israele e del mondo. Allora la giustizia e la pace regneranno sulla terra, anche fra gli animali. Che contrasto con questo meraviglioso quadro del regno di mille anni e lo stato attuale della creazione che «geme ed è in travaglio», aspettando il riposo e la gloria future! (Romani 8:19 a 22). Tutti gli esiliati d’Israele vi parteciperanno. Essi ritorneranno dalla loro dispersione, come un tempo il popolo dalla sua cattività d’Egitto. E il cap. 12 mette nella loro bocca la lode finale, che ricorda il primo cantico cantato da Israele (parag. vers. 2 e Esodo 15:2).
Isaia
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Capitolo 13, versetti da 1 a 22
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Dio ha incominciato il giudizio da Israele che era allora «la sua propria casa» (1 Pietro 4:17). È il principale soggetto dei primi dodici capitoli. Ora, in una nuova divisione che ci condurrà fino al cap. 27, ci parlerà del suo giudizio sulle nazioni. Sono chiamati «oracoli», letteralmente «carichi» (vedere la versione Diodati). Questa parola è significativa. Se l’uomo di Dio, oggi come ieri, è costretto a annunciare il giudizio futuro, ne ha sempre il cuore gravato.
Storicamente, si tratta dapprima dei popoli contemporanei d’Isaia. E a questo titolo, le diverse profezie che leggeremo successivamente si sono già adempiute alla lettera. Narrazioni di viaggi ci confermano che ancora oggi, il luogo dove sorgeva Babilonia è un terreno desolato e temibile, ove hanno soltanto dimora le bestie del deserto (vers. 17 a 22). Tuttavia «nessuna profezia della Scrittura è d’un’interpretazione particolare», cioè non si spiega isolatamente né a cose fatte per mezzo della storia (2 Pietro 1:20). Ciò che bisogna sempre cercarvi con l’intelligenza che lo Spirito Santo dà, è un rapporto col pensiero centrale e finale di Dio, cioè Cristo e il suo regno futuro. Vi sarà così una Babilonia profetica, la falsa Chiesa apostata (vedere Apocalisse cap. 17:5 e cap. 18). Essa cadrà prima dello stabilimento del regno per la gioia dei santi, di quelli che si rallegrano nella grandezza di Dio (vers. 3; Apocalisse 18:20; parag. Salmo 35:15 e 26).
Isaia
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Capitolo 14, versetti da 1 a 27
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A causa delle sue compassioni per il piccolo residuo del suo popolo, Dio abbatterà i più grandi imperi (cap. 43:3-5). Nulla è difficile per Lui quando si tratta di liberare quelli ch’Egli ama. Non temiamo dunque! Ha in mano tutti i mezzi per soccorrere i suoi figli, non a causa della nostra fedeltà ma della sua.
Dopo Babilonia è il turno del suo re. E ci troviamo dinanzi ad una scena particolarmente impressionante. Isaia ci trasporta col pensiero nel soggiorno dei morti e immagina la commozione causata dall’arrivo di quel gran personaggio. Ma come! anche tu qui! — esclamano quelli che l’avranno conosciuto all’apice della sua potenza! In questo re di Babilonia riconosciamo il capo del quarto Impero (romano) chiamato anche «la Bestia». Tuttavia a partire dal vers. 12, il pensiero dello Spirito sorpassa questo agente di Satana per evocare costui stesso. «Come mai sei caduto dal cielo…?» Profondo mistero, quest’apparizione dell’orgoglio in Lucifero, il cherubino di luce! Diventato il principe delle tenebre, sa ancora, per sedurre, travestirsi da angelo di luce (2 Corinzi 11:14). Egli fa oggi tremare la terra per mezzo del potere delle tenebre e non rimanda mai liberi i suoi prigioni (vers. 17 e cap. 49:24 e 25). Ma, secondo la Sua promessa, Dio lo triterà presto sotto i nostri piedi (Romani 16:20; Ezechiele 28:16-19).
Isaia
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Capitolo 14, versetti da 28 a 32 Capitolo 15, versetti da 1 a 9 Capitolo 16, versetti da 1 a 14
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Dopo il giudizio contro Babilonia e l’Assiria, viene quello delle nazioni vicine ad Israele. Come degli accusati che si avvicendano alla sbarra d’un tribunale, questi nemici tradizionali del popolo giudeo udranno l’un dopo l’altro un solenne «oracolo». La Filistia, soggiogata da Uzzia, padre d’Achaz (2 Cronache 26:6) non aveva motivo di rallegrarsi della morte di quest’ultimo (vers. 28 e 29). Poiché Ezechia, suo figlio, l’avrebbe pure colpita (2 Re 18:8).
Moab è chiamata «l’orgogliosissima» (cap. 16:6). Quello che caratterizza questo popolo è la superbia, di cui l’Eterno dichiara: «Io odio la superbia, l’arroganza», e annuncia: «La superbia precede la rovina, e lo spirito altero precede la caduta» (Proverbi 8:13; 16:18). Assistiamo a questa rovina di Moab. La sua desolazione indescrivibile. I suoi urli di spavento e disperazione riempiono i cap. 15 e 16.
I versetti 2 a 4 ci dicono che i fedeli, fuggenti per la persecuzione dell’Anticristo in Giuda, troveranno rifugio sul territorio di Moab. Infine, dopo l’enumerazione dei giudizi, «vi sarà uno» che regnerà in bontà, in verità, in dirittura e in giustizia (cap. 16:5). Il Salmo 72:1-4 annuncia questi beati tempi quando Cristo, il vero Salomone, giudicherà il popolo in giustizia e con equità.
Isaia
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Capitolo 17, versetti da 1 a 14 Capitolo 18, versetti da 1 a 7
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Al cap. 7 vers. 1, abbiamo visto Retsin, re di Siria, attaccare Giuda con la complicità di Pekah, figlio di Remalia. 2 Re 16:5 a 9 completa questa narrazione col suo risultato: la presa di Damasco da parte di TiglathPileser, re degli Assiri e la morte di Retsin. Tuttavia «l’oracolo» contro Damasco si riferisce al futuro come i giudizi precedenti. La Siria moderna farà apparentemente parte di quella «moltitudine di popoli numerosi» (vers. 12; Apocalisse 17:15) la quale, come un mare tumultuoso tenterà di sommergere Israele… ma, «prima del mattino», essa non sarà più (Salmo 37:36).
In contrasto, il cap. 18 ci presenta una nazione marittima lontana che stende la sua potenza protettrice (l’ombra delle sue ali) per venire in aiuto al popolo eletto. Così Dio distingue fra i paesi del mondo secondo se sono o no favorevoli ad Israele. E notate quel che Egli pensa del suo povero popolo terrestre mentre il mondo lo disprezza e lo calpesta. Ai suoi occhi Israele è «meraviglioso» (versione corretta) da questo tempo e al di là… Non è forse il popolo di Colui che è chiamato «Meravigliosa»…? (cap. 9:6). — Una nazione che aspetta, aspetta…
E noi, cari amici credenti, l’aspettiamo noi, Colui che non soltanto è il nostro Re, ma lo Sposo celeste della Chiesa?
Isaia
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Capitolo 19, versetti da 1 a 25
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È la volta dell’Egitto di udire un oracolo minaccioso: Guerra civile, tirannia d’un despota crudele, come anticamente il Faraone, prosciugamento del Nilo che è l’arteria vitale, la ricchezza e l’orgoglio del paese (Ezechiele 29:3), ecco principalmente ciò che colpirà questo nemico d’Israele.
Questi principi di Tsoan e di Nof ci offrono la fedele figura degli uomini del mondo. Si credono savi e non sono che degli stolti (vers. 11; parag. Romani 1:22). Poiché rifiutano di ascoltare Dio che si è rivelato. E nello stesso tempo prestano fede a ogni forma possibile di superstizione (parag. vers. 3). È da notare d’altronde che paradossalmente, i peggiori increduli sono sovente i più creduli! È naturale: essi sono, senza rendersene conto, accecati e sedotti da Satana, il padrone duro e il re crudele (vers. 4; 2 Timoteo 3:13) che domina su loro ingannandoli. Ma la grazia di Dio avrà ancora da dire la sua parola, persino verso l’Egitto. A lato di Israele, particolare eredità dell’Eterno, vi sarà posto nella benedizione millenaria per l’Egitto e per l’Assiria, un tempo nemico del popolo di Dio, ma figura del mondo che allora sarà tutto sottomesso al Figlio dell’uomo (Genesi 22:18).
Isaia
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Capitolo 20, versetti da 1 a 6 Capitolo 21, versetti da 1 a 10
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Il cap. 20 completa «l’oracolo contro l’Egitto». Camminando seminudo e scalzo, il profeta annunzia il lugubre passaggio dei prigionieri egiziani ed etiopi deportati dal re d’Assiria, il quale era esperto in questi trasferimenti di popolazioni. Allora Israele (l’abitante di questa costa) vedrà con terrore e costernazione com’era vano confidarsi nel popolo del Faraone per esser liberato dal temibile Assiro (Salmo 60:11 fine).
Il cap. 21 comincia con «l’oracolo contro il deserto marittimo…» (cap. 21:1). Si tratta nuovamente di Babilonia. Durante ciò che essa chiama «la notte del mio piacere» (versione corretta), i Medi ed i Persi (Elam) hanno già una volta messo fine brutalmente al suo impero e alla sua opulenza (vers. 4; vedere Daniele 5:28 a 31). Ma questa profezia ha una applicazione futura come quella del cap. 13 (Luca 21:35).
Al vers. 6 il profeta è invitato a mettere una sentinella, con la consegna di ascoltare diligentemente e gridare! La sentinella in un esercito occupa un posto di fiducia. La sua responsabilità è considerevole. Le incombono due doveri: vegliare e avvertire (vedere Ezechiele 3:17-18 e in contrasto Isaia 56:10). Ogni credente non ha forse le sue responsabilità? Siamo noi fedeli nell’assolverle a riguardo degli uomini di questo mondo e a riguardo dei nostri fratelli?
Isaia
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Capitolo 21, versetti da 11 a 17 Capitolo 22, versetti da 1 a 11
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Nella lista dei nemici d’Israele dovevamo aspettarci di trovare Edom (qui Duma o l’Idumeo). L’oracolo che lo concerne è breve quanto solenne. La fedele sentinella posta secondo l’ordine dell’Eterno (cap. 21:6) è interpellata dagli schernitori di Seir: «A che punto è la notte?» (vers. 11; parag. 2 Pietro 3:3 e 4). Ma la risposta è ad un tempo seria e urgente: «Vien la mattina…» Essa viene per quelli che l’aspettano (vedere Romani 13:12). «E viene anche la notte», la notte eterna di quelli che son perduti! Amici cristiani, siamo delle sentinelle vigilanti, coscienti del nostro servizio verso i peccatori per esortarli: «Ritornate, venite». Andiamo incontro all’assettato per portargli acqua (vers. 14).
Dopo l’oracolo contro l’Arabia, paese la cui gloria avrà pure fine, il cap. 22 s’indirizza alla «Valle della Visione». In essa riconosciamo Gerusalemme nel suo stato d’incredulità. Descrizione tragica e impressionante! Tutta la città è in effervescenza, ammassata sulle terrazze dei tetti per assistere al suo disastro. Non erano forse state prese tutte le precauzioni immaginabili? (vers. 8 a 11). Sì, veramente, eccetto la sola che sarebbe stata necessaria: volgere lo sguardo verso «Colui che ha fatto queste cose», verso l’Eterno, loro Dio.
Isaia
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Capitolo 22, versetti da 12 a 25
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Una delle reazioni della gente del mondo quando una calamità la minaccia consiste, come abbiamo visto ieri, nel circondarsi di tutte le precauzioni umane (vers. 8 a 11). Ma vi è un’altra attitudine peggiore: è la completa noncuranza. Qui, per mezzo d’una prova, l’Eterno ha invitato Israele a piangere e umiliarsi; gli ha, in certo qual modo, «cantato dei lamenti» (Matteo 11:17). Ora, non soltanto il popolo non s’è lamentato, ma, cosa strana, eccolo che s’abbandona all’allegrezza e alla gioia! Ebbene, questa filosofia detta materialista ha molti seguaci nel nostro secolo tormentato! Poiché l’esistenza è così breve — dicono quegli stolti — e che siamo in balia d’una catastrofe, approfittiamo del momento presente più allegramente possibile. È il riassunto della breve frase: «Mangiamo e beviamo, poiché domani morremo». L’apostolo la cita ai Corinzi come per dir loro: Se non dovesse esservi risurrezione, allora infatti potremmo vivere come le bestie, nell’unico godimento dell’istante che passa (1 Corinzi 15:32; Luca 17:27).
I vers. 15 a 25 mettono da parte l’intendente infedele, immagine dell’Anticristo, per introdurre il figlio di Hilkiah, Eliakim (il suo nome significa: «colui che Dio stabilisce»), bella figura del Signore Gesù (vers. 22-24; parag. Apocalisse 3:7).
Isaia
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Capitolo 25, versetti da 1 a 12
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Tiro, la fiorente metropoli commerciale del mondo antico, è stata l’oggetto al cap. 23 dell’ultimo degli «oracoli». Ognuno di questi ha condannato l’uomo sotto un lato morale differente:
- Babilonia, la potenza della corruzione organizzata, dove il popolo di Dio è prigioniero (cap. 13 e 14 vers. 1-23);
- L’Assiro, il nemico pubblico e dichiarato di Dio (cap. 13 vers. 24-27);
- I Filistei, il nemico interiore (cap. 14 vers. 28-32);
- Moab, la superbia dell’uomo (cap. 15 e 16);
- Damasco (la Siria), che è stata nemica del popolo di Dio, ma che si è alleata con la parte apostata di questo popolo, contro la parte fedele (cap. 17);
- L’Egitto, il mondo nel suo stato naturale, di cui la saggezza sparisce nella confusione (cap. 19);
- Babilonia, adesso deserta in mezzo ai popoli (cap. 21 vers. 1-10);
- Duma, la libertà, l’indipendenza dell’uomo (cap. 21 vers. 11-12);
- Gerusalemme, il popolo professante (cap. 22);
- Tiro, la gloria del mondo (cap. 23);
- Infine, tutto quello che è sulla terra, le potenze spirituali nei luoghi celesti, e i re della terra giù sulla terra (cap. 24 vers. 21). (vedere negli Studi sulla Parola di J.N.Darby, il libro del profeta Isaia).
Al cap. 24, i giudizi apocalittici, che devono por fine alla potenza del male, si sono spiegati sulla terra. L’hanno sconvolta da cima a fondo. Ma al cap. 25, dal mezzo stesso di queste rovine (vers. 2), ascoltate!… ecco elevarsi una melodia commovente. Il «misero» residuo d’Israele, meravigliosamente risparmiato dalla distruzione, celebra quel che l’Eterno è stato per lui durante il tempo dell’uragano. «Il tempo del canto è giunto» (Cantico dei Cantici 2:12 — parag. 24:13-14). Il vers. 4 è stato il conforto — e l’esperienza — di innumerevoli credenti nella prova. Ma il vers. 8 ci fa intravvedere le manifestazioni di una potenza ancor maggiore: «Sommergerà la morte nella vittoria»… Cosa notevole, questa parola è al futuro mentre la sua citazione in 1 Corinzi 15:54 ci parla del momento in cui essa sarà realizzata per i credenti: «La morte è stata sommersa…» poiché fra questi due versetti è intervenuta la croce e la risurrezione trionfante del vincitore di Golgota. Infine, dopo la risurrezione dei malvagi, la morte sarà definitivamente abolita (1 Corinzi 15:26).
Isaia
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Capitolo 26, versetti da 1 a 13 Capitolo 27, versetti da 1 a 5
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I cap. 1 a 12, aventi come soggetto il giudizio d’Israele, terminavano con una splendida visione del regno di mille anni. E questa seconda parte (cap. 13 a 27), che tratta del giudizio delle nazioni, termina nello stesso modo. È cantato un cantico, di cui alcuni versetti meritano specialmente d’essere sottolineati nelle nostre Bibbie: i vers. 3 e 4 del cap. 26 che hanno sostenuto molti figli di Dio scoraggiati (parag. Salmo 16:1); i vers. 8 e 9 che esprimono i sospiri ferventi del fedele; il vers. 13 che ricorda i legami di schiavitù del passato. Sì, li conosciamo purtroppo questi altri signori: Satana, il mondo, le nostre concupiscenze. Essi hanno dominato su noi fino al nostro affrancamento per mezzo del Signore al quale ormai apparteniamo!
Al cap. 27, il Leviathan, figura del diavolo (il serpente antico), è messo fuori grado di nuocere (Salmo 74:14; Apocalisse 20:1 a 3). Poi Israele è paragonato ad una vigna nuova (parag. cap. 5). Questa volta essa produce, non più lambrusche, ma il vino puro d’una gioia intera e riempie il mondo di frutti alla gloria di Dio. Poiché non è più in mano di malvagi lavoratori. L’Eterno stesso ne ha cura notte e giorno.
Isaia
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Capitolo 28, versetti da 1 a 22
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Con questo cap. 28 comincia una terza suddivisione del libro. Ritorna indietro per spiegare minutamente l’invasione di Efraim (le dieci tribù), poi di Giuda da parte del terribile Assiro profetico. L’orgoglio agirà come l’ubriachezza per traviare lo sciagurato popolo giudeo. Esso crederà proteggersi efficacemente facendo alleanza con la morte (cioè con il capo dell’Impero romano). Ma questo sarà la sua perdita. Come un ciclone devasta tutto al suo passaggio, così l’Assiro devasterà Gerusalemme. L’Eterno si servirà di questo «flagello inondante» per compiere la «sua opera strana… il suo lavoro insolito»: cioè il giudizio. Poiché la sua opera abituale è di salvare e benedire (Giovanni 3:17).
Ma il crollo di tutti i valori e di tutti i punti d’appoggio umani è l’occasione di rivelare il solido fondamento ch’Egli ha posto in Sion. Notate con quale amore Egli lo considera, fermandosi con soddisfazione su ogni espressione: «una pietra, una pietra provata, una pietra angolare preziosa, un fondamento solido». Sì, questa pietra, figura di Cristo, «rifiutata dagli uomini» è «preziosa» davanti a Dio, e anche per noi che crediamo essa è preziosa (leggere 1 Pietro 2:4,6,7). Per ciascuno, il Signore Gesù diviene letteralmente la pietra di paragone: sarà per noi una pietra preziosa o una pietra d’inciampo? Per i nostri cuori, è Cristo prezioso o no?
Isaia
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Capitolo 29, versetti da 1 a 24
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Dopo l’invasione riferita nel cap. 28, Gerusalemme non è ancora libera (vedere cap. 40:2). Essa subirà un nuovo assalto da una formidabile coalizione di popoli. Ma questa volta tutti i suoi nemici svaniranno come un sogno perché si sono diretti contro «Ariel» (il leone di Dio), la città del vero Davide. Assieme alla liberazione, Dio compirà un’altr’opera meravigliosa nella coscienza stessa del suo popolo (vers. 18 a 24): le orecchie turate e gli occhi oscurati secondo la profezia del cap. 6 vers. 10 saranno aperti. L’intelligenza gli sarà resa e le parole del libro in precedenza sigillato (vers. 11) saranno capite e ricevute. Ricordiamoci che la Bibbia è un libro chiuso all’intelligenza naturale. Occorre lo Spirito Santo per capirla.
Il vers. 13 sarà citato dal Signore agli scribi e ai farisei poiché rispecchia il loro stato (Matteo 15:7 e 8). Cari amici, non ci accade forse mai di onorare il Signore con le labbra, pur avendo un cuore molto lontano da Lui? Purtroppo! Quest’ipocrisia può trarre in inganno altri, facendoci passare per più pii di quel che siamo, ma non potrebbe ingannare Colui che legge nei nostri cuori! (Ezechiele 33:31-32).
Isaia
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Capitolo 30, versetti da 15 a 22 Capitolo 31, versetti da 4 a 9
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I cap. 30 e 31 richiamano un doppio guaio sul popolo ribelle perché ha cercato protezione nell’Egitto. Non lo ripeteremo mai abbastanza con la Parola di Dio: mettere la propria fiducia negli uomini è anzitutto una follia. Poiché non potrebbe essere collocata in modo peggiore! È anche dell’incredulità perché all’inizio di questo libro Dio ha stabilito che non possiamo più far caso dell’uomo (cap. 2:22). Infine è un oltraggio a Dio, un disprezzo della sua potenza e del suo amore. Come se Egli fosse incapace di proteggerci, e come se non fosse il suo piacere farlo! Il sentiero della liberazione e della forza è tracciato dal bel vers. 15 del cap. 30: ritornare al Signore, invece di andare verso il mondo (l’Egitto). E tenersi in riposo invece di agitarsi. Inoltre «la calma e… la fiducia» sono condizioni necessarie per scorgere le direzioni del Signore: «E quando andrete a destra o quando andrete a sinistra, le tue orecchie (è personale) udranno dietro a te una voce che dirà: Questa è la via, camminate per essa» (vers. 21). Voce fedele, voce familiare, quante volte ci siamo sviati — a destra o a sinistra — per aver trascurato di farvi attenzione col nostro cuore! (Proverbi 5:13-14).
Isaia
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Capitolo 32, versetti da 1 a 8 Capitolo 33, versetti da 17 a 24
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Non dobbiamo cercare in questi capitoli una storia seguita degli avvenimenti futuri. Essi son presentati invece come tante visioni distinte proiettate ad una ad una sopra lo schermo profetico. Isolati o raggruppati, gli stessi fatti possono apparire a più riprese sotto prospettive diverse. Così per la terza volta, l’alba radiosa del regno millenario si offre alla nostra ammirazione (cap. 32 e 33).
Dopo la terribile distruzione dell’Assiro e quella del falso «re» o Anticristo (cap. 30:31 a 33), è fatto posto al vero re, Cristo, che regnerà in giustizia. L’accento è messo ora su questa giustizia (cap. 32:16 e 17; 33:5 e 15).
Allora, con occhi per vedere (cap. 32:3), gli scampati del popolo contempleranno «il re nella sua bellezza». Inoltre, troveranno in Lui «un uomo» che sarà per loro protezione, riposo, vita dell’anima (cap. 32:2). Come sono preziose anche per i nostri cuori, cari figli di Dio, queste promesse indirizzate ad Israele! Poiché anche noi viviamo nello stesso mondo ingiusto. E aspettiamo lo stesso Signore. Egli è «più bello di tutti i figliuoli degli uomini» (Salmo 45:2).
Sottolineiamo anche il vers. 8 di questo capitolo 32, pensando alla nobiltà morale che dovrebbe caratterizzare la condotta di quelli che Dio ha posto tra i nobili.
Isaia
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Capitolo 34, versetti da 9 a 17 Capitolo 35, versetti da 1 a 10
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Il cap. 34 si riferisce al castigo di Edom, quel popolo maledetto, discendente da Esaù. Esso sarà completamente cancellato, e il suo paese, il monte di Seir, ridotto ad una desolazione perpetua. Dei predicatori moderni osano affermare che Dio nel suo amore non può condannare nessuno. Questi versetti portano loro una smentita solenne.
In contrasto il cap. 35 ci dà un prospetto di ciò che sarà l’eredità d’Israele (fratello di Esaù). Anche il deserto diventerà come un meraviglioso giardino ove brillerà senza nube «la gloria dell’Eterno, la magnificenza del nostro Dio» (vers. 2). Vedete l’allegrezza e la gioia che traboccano in questo breve capitolo 35. Ebbene, una tale prospettiva non è forse atta a rianimare i cuori più scoraggiati? (vers. 3). Ne è così a ben più forte ragione della speranza cristiana per eccellenza: la venuta del Signore per rapire la sua Chiesa. Non dimentichiamola mai e parliamone agli altri credenti. Non c’è mezzo più efficace per fortificare le mani infiacchite dal servizio come pure le ginocchia che han cessato di piegarsi per la preghiera (vers. 3; parag. Ebrei 12:12). «Consolatevi dunque gli uni gli altri con queste parole», raccomanda anche l’apostolo (1 Tessalonicesi 4:18).
Isaia
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Capitolo 36, versetti da 1 a 10 e 22 Capitolo 37, versetti da 1 a 4
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I cap. 36 a 39 intercalano fra le due grandi divisioni profetiche del libro di Isaia, un episodio storico. È una narrazione che conosciamo già dai libri 2 Re 18:13 al cap. 20:21 e 2 Cronache 32. Dio ce lo riferisce una terza volta come una vivente illustrazione: da un lato, della fiducia in Lui; e dall’altro delle sue misericordiose risposte a questa fiducia. Inattesa, in questa parte del libro, la bella storia d’Ezechia è giustamente destinata a fortificare «le mani infiacchite» e a «raffermare le ginocchia vacillanti» (cap. 35 vers. 3). Essa è infine una figura della situazione in cui il residuo d’Israele si troverà al tempo dell’invasione assira.
Il nemico si presenta «presso l’acquedotto dello stagno superiore, sulla strada del campo del qualchieraio», allo stesso luogo ove, al tempo dell’invasione di Retsin, il profeta e suo figlio Scear-Jashub erano stati mandati incontro ad Achaz n un messaggio di grazia (cap. 7:3 e 4). Dinanzi alle provocazioni di questo nuovo invasore, Ezechia può così ricordarsi della promessa fatta al padre suo nello stesso luogo: «Guarda di startene calmo e tranquillo, non temere e non ti s’avvilisca il cuore…».
Isaia
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Capitolo 37, versetti da 5 a 20
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I servitori d’Ezechia hanno obbedito al loro re per tacere dinanzi al nemico. Gli hanno in seguito riferito fedelmente le parole di quest’ultimo (cap. 36:21 e 22). Ora, essi compiono presso Isaia la missione di cui sono stati incaricati, mettendo in pratica il proverbio che essi stessi hanno trascritto (vedere Proverbi 25:1 e 13). Notiamo che essi sono condotti da Eliakim, figlio d’Hilkia, l’intendente fedele stabilito da Dio, e che è una figura del Signore Gesù (cap. 22:20).
Rassicurato una prima volta dalla risposta del profeta, ecco che Ezechia riceve dal re d’Assiria una lettera carica di minacce per lui e ad un tempo di disprezzo per l’Eterno. Nel sentimento della propria impotenza e dell’offesa fatta al Dio d’Israele, il re si reca di nuovo al Tempio ove spiega dinanzi all’Eterno l’arrogante missiva. Questa volta non si accontenta d’una preghiera d’Isaia (vers. 4). S’indirizza lui stesso all’Eterno. Notate i suoi argomenti. Non fa menzione né di sé né del popolo. L’importante è la gloria di Colui che è «seduto fra i cherubini». Non si dovevano confondere gli «dèi delle nazioni» soggiogate dall’Assiria con «l’Eterno di tutti i regni della terra» (vers. 12 e 16 — parag. Anche vers. 17 con Salmo 74:10 e 18).
Isaia
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Capitolo 37, versetti da 21 a 38
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Ezechia ha realizzato il vers. 15 del cap. 30: «Nella calma e nella fiducia starà la vostra forza». E non è stato confuso. La sua fede onora l’Eterno, e in risposta, l’Eterno onora la sua fede. Ebbene, Dio è «il Medesimo» (cap. 37:16). Egli non può non rispondere alla più debole fiducia del più piccolo dei suoi figli. Poiché ci va di mezzo la sua propria gloria.
Poiché Ezechia ha rinunciato a quest’affare, è l’Eterno stesso che s’incarica di rispondere alla lettera del re d’Assiria in un modo che quest’ultimo era ben lungi d’aspettarsi! Stimava che l’Eterno non era capace di liberare Gerusalemme (cap. 36:20). Eppure un solo angelo basta a colpire 185’000 uomini del suo esercito. Obbligato di rinunziare alla sua campagna Sennacherib se ne ritorna a Ninive pieno di vergogna e dispetto. Poi cade a sua volta sotto i colpi dei propri figli. Che contrasto fra il conquistatore fiero ed altero che incontra la sua perdita nel tempio stesso del suo idolo, e l’umile re di Giuda, coperto d’un sacco, che entra nella Casa del suo Dio, per ottenervi la liberazione (vedere Salmo 118:5)!
Ammiriamo la grazia di Dio che, a questa liberazione, aggiunge anche un segno. Egli conosce i bisogni dei suoi e promette di provvedere alla loro sussistenza (vers. 30).
Isaia
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Capitolo 38, versetti da 1 a 16
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La fede d’Ezechia ottiene qui da parte dell’Eterno una risposta ancor più grande di quella del capitolo precedente. La morte si presenta, visitatrice importuna. La disperazione che l’infelice re prova dinanzi ad essa sembra mostrare una cosa: Egli non conosce la promessa che Dio aveva fatta per bocca di Isaia: «Annienterà per sempre la morte; e il Signore, l’Eterno, asciugherà le lacrime da ogni viso» (cap. 25 vers. 8). Ezechia che visse al tempo delle promesse per la terra (Salmo 116:9) non vede al di là d’un prolungamento dei suoi giorni. Non ha dinanzi a sé la radiosa certezza della risurrezione che i credenti posseggono oggi. Non sa, come l’apostolo, che «morire è un guadagno», poiché partire ed «essere con Cristo, è di gran lunga migliore» (Filippesi 1:21 e 23). Tuttavia Dio ode la sua preghiera, vede le sue lacrime… si lascia piegare (Salmo 34:6). E, anche questa volta, aggiunge alla sua risposta un segno di grazia: l’ombra che retrocede sul quadrante solare, figura del giudizio rinviato.
Il vers. 3 fa pensare a Ebrei 5:7 e alle lacrime di Getsemani. Nessun altro che Gesù poteva pienamente realizzare queste parole.
Questa bella narrazione ci è già stata riferita in 2 Re 20:1 a 11. Ma quel che troviamo soltanto qui è il commovente «scritto di Ezechia» che accompagna la sua guarigione.
Isaia
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Capitolo 38, versetti da 17 a 22 Capitolo 39, versetti da 1 a 8
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«Lo scritto di Ezechia» termina con un rendimento di grazie. Egli ha pregato per essere salvato dalla morte. Egli prega ora per ringraziare Colui che l’ha esaudito.
La parte degl’inconvertiti quaggiù si riferisce ad una sola parola: «amarezza su amarezza» (parag. Ecclesiaste 2:23). Anche se riescono nella vita, hanno sempre una angoscia segreta. «Ma tu, — può dire il riscattato rivolgendosi al suo Salvatore — tu, nel tuo amore, hai liberata l’anima mia dalla fossa della corruzione, perché ti sei gettato dietro alle spalle tutti i miei peccati». «L’Eterno ha voluto salvarmi» (versione corretta). Se questa è la nostra storia, allora non manchiamo di realizzare anche il versetto 19: «Il vivente è quel che ti loderà, come fo io quest’oggi».
In modo più generale, è la storia d’Israele il quale rivivrà come popolo di Dio all’ultimo giorno, dopo il perdono di tutti i suoi peccati.
Il cap. 39 riferisce l’astuta tentazione di cui Ezechia è l’oggetto da parte degli ambasciatori del re di Babilonia. Egli vi soccombe… e noi pure, ogni volta che facciamo servire alla nostra propria gloria ciò che Dio ci ha affidato per la Sua gloria. «Che hai tu che non l’abbia ricevuto? — chiede 1 Corinzi 4:7 — E se pur l’hai ricevuto, perché ti glori?». — «Sono ricco, mi sono arricchito…», è nient’altro dell’insopportabile pretesa di Laodicea (Apocalisse 3:17).
Isaia
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Capitolo 40, versetti da 1 a 17
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I cap. 40 a 66 formano un insieme ben distinto, di modo che furono detti talvolta «il 2° libro d’Isaia». La prima parte aveva per soggetto principale la storia passata e futura d’Israele, e anche quella delle nazioni con cui ha avuto (ed avrà) da fare. Nella divisione che affrontiamo, si tratta essenzialmente dell’opera di Dio nei cuori per volgerli verso Lui. La nostra preghiera incominciando questa lettura è che una tale opera si compia in ognuno dei nostri cuori. Solo la grazia divina può compierla, e per questo motivo Dio comincia col parlare di consolazione e di perdono.
Fra i «gridi» che echeggiano al principio di questo capitolo (vers. 2, 3, 6, 9), vi è una voce che riconosciamo: quella di Giovanni Battista (Giovanni 1:23). Gli Evangeli ci informeranno in che modo egli ha preparato la via del Signore Gesù. L’appello seguente (citato in 1 Pietro 1:24 e 25) paragona il carattere fragile e passeggero della carne, compreso ciò che essa può produrre di più bello (il suo fiore) con la vivente e permanente parola di Dio» (parag. Matteo 24:35). Infine Gerusalemme è invitata ad annunziare a tutti: «Ecco il vostro Dio…» Siamo noi pure dei «messaggeri di buone novelle?» (parag. 2 Re 7:9).
Isaia
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Capitolo 40, versetti da 18 a 31
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Una grande questione sarà discussa nei cap. 40 a 48 che iniziamo: quella dell’idolatria del popolo. Naturalmente questo soggetto comincia con lo stabilire: Chi è il Dio della creazione? (vers. 12…). Prima di parlare dei falsi dèi, il profeta stabilisce l’esistenza e la grandezza del Dio incomparabile (vers. 18 e 25; Salmo 147:5). Tale è anche il miglior modo di annunziare l’Evangelo. Cominciamo col presentare Gesù. Poche parole basteranno in seguito per dimostrare la vanità degli idoli del mondo. Un paragone: quando un bambino si è impadronito di un arnese pericoloso, invece di strapparglielo con forza a rischio di ferirlo, i genitori gli presenteranno anzitutto un oggetto più bello che gli farà lasciare il primo.
Non soltanto Dio possiede la potenza in Se stesso, ma Egli è la sorgente di ogni vera potenza. Per voi pure, ragazzi, che forse credete ancora di possedere delle forze e delle capacità personali! Ritenete questi versetti 29 a 31; hanno manifestato la loro efficacia rianimando innumerevoli credenti scoraggiati. Serrateli nel vostro cuore come un corridore prudente tiene in serbo una provvista speciale per il momento della stanchezza. L’apostolo non si perdeva d’animo perché il suo sguardo rimaneva fissato sulle realtà invisibili (2 Corinzi 4:1, 16-18).
Isaia
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Capitolo 41, versetti da 1 a 16
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Dio non si è soltanto fatto conoscere nella sua creazione. Ha ugualmente mostrato che Egli s’occupava dell’uomo. Alle nazioni si è rivelato in giustizia e in giudizio (vers. 1 a 4). A Israele si è manifestato in grazia. Non si tratta forse dei discendenti di Giacobbe suo servitore e d’Abrahamo suo amico? «Essi sono diletti a causa dei padri. Poiché i doni di grazia e l’appello di Dio sono senza pentimento» (Romani 11:28 e 29; Salmo 105:6-10).
La debolezza di questo povero popolo — un misero verme — non è ostacolo alla sua benedizione. Al contrario, è la condizione stessa per godere delle promesse magnifiche (del vers. 10 in particolare), promesse che sono anche per noi: «Non temere, poiché sono con te; non ti smarrire poiché sono il tuo Dio. Io ti fortificherò; sì, io ti aiuterò; sì, io ti sosterrò…». «Non temere», è la piccola frase familiare (vers; 10, 13, 14; cap. 43:1; cap. 44:2…) per cui Colui che discerne i nostri turbamenti, le nostre inquietudini, viene teneramente a rassicurarci.
La fine del capitolo continua a stabilire ciò che è Dio in rapporto con gli idoli. Questi sono messi a sfida. Hanno essi la minima conoscenza delle cose del passato, o di «quelle avvenire»? (vers. 22 e 23). Allora lo provino! Il Creatore, il Dio che s’interessa dell’uomo è pure il Dio di ogni conoscenza.
Isaia
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Capitolo 42, versetti da 1 a 18
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La rivelazione progressiva che Dio fa di sé si completerà ora meravigliosamente. Il cap. 42 comincia col presentarci una Persona: «Ecco il mio Servo…» In Isaia si parla in modo così evidente del Signore Gesù che questo libro è stato chiamato «l’Evangelo dell’Antico Testamento». Abbiamo già trovato dei versetti annunzianti la sua nascita, poi la sua manifestazione in Galilea (cap. 7:14; cap. 9:1,2,6). Siamo ora trasportati sulle rive del Giordano. La potente voce di Giovanni Battista ha echeggiato nel deserto (cap. 40:3). Allora appare il perfetto Servitore. E subito, secondo la promessa che abbiamo qui, Dio mette il suo «Spirito su Lui». Sotto le apparenze d’una colomba, lo Spirito Santo viene a dimorare sul Diletto in cui il Padre «trova il suo compiacimento» (vers. 1; Matteo 3:16-17). Unto di Spirito Santo e di potenza, Egli comincia allora il suo instancabile ministero di grazia e di verità (vers. 1 a 4 citato in Matteo 12:18 a 21).
«Io non darò la mia gloria a un altro» dichiara l’Eterno. Questo vers. 8 permette di comprendere molti castighi e umiliazioni non soltanto per Israele (vers. 12…), ma anche per i cristiani oggi (vedere anche cap. 48:11).
Isaia
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Capitolo 42, versetti da 19 a 25 Capitolo 43, versetti da 1 a 7
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È importante comprendere a chi si rivolge lo Spirito di Dio in ogni parte delle Sacre Scritture. Molte persone si son smarrite, in particolare nell’interpretazione delle profezie, applicando alla Chiesa ciò che si riferisce al popolo giudeo. In tutti i nostri capitoli, non si tratta che d’Israele e del suo Messia. Ma inversamente, non trascuriamo questi passi, col pretesto che non si applicano direttamente ai cristiani. Quante parole commoventi contengono, parole che i riscattati riconoscono e s’appropriano, perché le hanno più volte udite nel segreto del loro cuore: «Non temere, perché io t’ho riscattato; ti ho chiamato per nome; tu sei mio…io sarò teco;… Quando camminerai nel fuoco, non ne sarai arso, e la fiamma non ti consumerà» (cap. 43:1 e 2). È stata l’esperienza dei tre amici di Daniele (Daniele 3). E se anche noi dobbiamo passare nel fuoco della prova, non saremo mai soli; il Signore ci ha promesso espressamente la sua compagnia; la fornace è un luogo prediletto di appuntamento di Cristo con i suoi (2 Timoteo 4:17).
«Quando passerai per delle acque…» Il fuoco e l’acqua: bisogna l’uno e l’altra per ottenere un buon acciaio, in altre parole per forgiarci una fede ben temprata.
Isaia
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Capitolo 43, versetti da 8 a 28
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Consideriamo i magnifici nomi di Dio nei vers. 11 a 15: L’Eterno, il Medesimo… il vostro Redentore, il vostro Santo, il Creatore d’Israele, il vostro Re. «Fuori di me non v’è salvatore». «In nessun altro è la salvezza», riprenderà l’apostolo Pietro in Atti 4:12.
Ma la vita cristiana non si limita alla salvezza. Dio ha dei diritti su noi, come sul suo popolo terrestre. «Il popolo che mi sono formato pubblicherà le mie lodi» (vers. 21). Israele non ha riconosciuto questi diritti (vers. 22…). Ma purtroppo, nell’attuale cristianità, l’importanza della lode e del culto è altrettanto misconosciuta!
«Che mi sono formato»! È pure a causa di se stesso che Dio cancella le trasgressioni (vers. 25). La sua gloria esige la nostra santità. Egli ci provvede personalmente, benché sia il Dio offeso: «Io, io son quegli che per amor di me stesso cancello le tue trasgressioni». E non soltanto Egli le toglie, ma promette: «non mi ricorderò più dei tuoi peccati», compresi i più orribili. Quale grazia! Tuttavia Egli aggiunge: «Risveglia la mia memoria… parla tu stesso». A noi, discendenti d’Adamo peccatore, Egli lascia la cura di confessare il nostro stato, i nostri propri falli, per far risaltare pienamente l’opera compiuta per espiarli. Questo fa parte delle sue lodi che dobbiamo raccontare.
Isaia
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Capitolo 44, versetti da 1 a 13
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Questi capitoli ci riportano all’inizio della storia d’Israele, nel libro dell’Esodo. L’Eterno aveva formato e separato questo popolo per sé (cap. 43:21; 44:2). Essi erano suoi e Lui di loro (vers. 5). In seguito aveva dato la legge che cominciava così: «Io sono l’Eterno, il tuo Dio… non avrai altri dii nel mio cospetto… Non ti fare scultura alcuna…» (Esodo 20:1 a 4). La storia del popolo ci impara a che punto questi comandamenti sono stati trasgrediti! Ma gli idoli non sono il peccato esclusivo d’Israele, neppure la particolarità dei popoli pagani (1 Corinzi 10:14). Facendo l’inventario degli oggetti che possediamo — e quello dei nostri pensieri segreti — forse scopriremo più d’un idolo solidamente stabilito. Ebbene, per questo motivo lo Spirito di Dio è così sovente attristato e la benedizione impedita (parag. vers. 3).
Meditiamo pure le due ultime espressioni della nostra lettura a riguardo dell’idolo. Esso è fatto secondo «una bella forma d’uomo» (parag. cap. 1:6). Quest’ultimo si compiace di se stesso, adorando e servendo la creatura invece del Creatore. In secondo luogo è fatto «perché abiti nella casa» (vers. 13). Vegliamo molto da vicino sul nostro cuore e anche sulla nostra casa (vedere Deuteronomio 27:15).
Isaia
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Capitolo 44, versetti da 14 a 28
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Per darsi una buona coscienza, il mondo mescola facilmente la religione con la ricerca dei suoi agi e delle sue soddisfazioni (parag. Esodo 32:6). Come quell’uomo che, con lo stesso legno, accende il forno, cuoce il pane, si scalda… e si scolpisce un idolo. Questa descrizione beffarda basta a provare la follia d’un tale culto. Invece di adorare Colui che l’ha creato, lo stolto si prostra davanti ad un volgare ceppo, un oggetto inerte uscito dalle proprie mani! I vers. 9 a 20 sono pieni dell’attività dell’uomo. Egli fa questo, egli fa quello. Si prodiga senza calcolare la sua fatica, e tutto ciò in una tragica illusione, poiché si «pasce di cenere… e non può liberare l’anima sua» (vers. 20). Ma dal vers. 21 troviamo ciò che Dio fa… «Io ho fatto sparire le tue trasgressioni come una densa nube, e i tuoi peccati, come una nuvola… io ti ho riscattato.» Come il vento spazza in un momento il cielo più nuvoloso, Dio col suo soffio potente scaccia tutto quel che s’è accumulato fra Lui — che è luce — e l’anima nostra che ha bisogna di questa luce come la terra ha bisogna di quella del sole. Chi ha «spiegato i cieli… distesa la terra», formato l’uomo, farà anche il necessario per la restaurazione del suo popolo,… e la salvezza di chiunque crede.
Isaia
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Capitolo 45, versetti da 1 a 13
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L’Eterno ha annunziato che si sarebbe servito di Ciro per adempiere tutto il suo compiacimento (rileggere cap. 44:28). Questo re, che doveva por fine alla cattività del popolo a Babilonia, è chiamato per nome molto tempo prima dell’inizio di questa cattività! La grazia divina teneva così questo salvatore come «in riserva» durante tutta la durata del castigo. Sotto forma d’una rivelazione personale a Ciro, si presenta l’occasione per l’Eterno di confermare che fuori di Lui non c’è altro Dio (vers. 5; parag. con 1 Corinzi 8:4 a 6 e Efesini 4:6). Non è dunque soltanto ai Giudei che Dio si è fatto conoscere, ma anche alle nazioni di cui facciamo parte. Molto tempo prima della nostra nascita, prima dell’origine del mondo, fin dai tempi eterni, il vostro nome e il mio sono stati nella sua mente. Egli si proponeva anche di adempiere per noi «tutto il suo compiacimento» al momento convenevole… che è il momento presente (Efesini 3:8-10). Rispondiamo noi, ognuno al suo posto e nella sua misura a ciò che Dio ha così atteso da noi? (parag. Atti 13:36 riguardo a Davide).
I vers. 9 e 10, a cui ha certamente pensato l’apostolo scrivendo Romani 9:20, stabiliscono la follia di quelli che contestano con quel Dio creatore e sovrano.
Isaia
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Capitolo 45, versetti da 14 a 25
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Ciò che l’Eterno adempirà per il ristabilimento del suo popolo lo farà conoscere a tutti come «l’Iddio d’Israele, il Salvatore…» (vers. 15). In contrasto con gli dèi che non salvano (fine del vers. 20), Egli stesso dichiara con gran forza: «Non v’è altro Dio fuori di me, un Dio giusto e non v’è Salvatore fuori di me». E si rivolge non soltanto alla discendenza d’Israele, ma a tutti gli uomini: «Volgetevi a me e siate salvati, voi tutte le estremità della terra!…» (vers. 21 e 22). Quest’appello risuona nel mondo oggi; ognuno di noi vi ha risposto? Riconosciamo la voce del «nostro Dio salvatore che vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità…» (1 Timoteo 2:4 e 5; leggere anche Tito 2:11). Ma affinché Dio potesse mostrarsi ad un tempo «giusto e salvatore» sappiamo quel che fu necessario. Il castigo che doveva soddisfare la sua giustizia a riguardo del peccato ha colpito Colui che il seguito dello stesso passo in Timoteo chiama «il mediatore fra Dio e gli uomini,… l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso come prezzo di riscatto per tutti». A buon diritto ogni ginocchio si piegherà davanti a questo gran Dio salvatore ed ogni lingua confesserà altamente Dio (vers. 23 citato in Romani 14:11).
Isaia
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Capitolo 46, versetti da 1 a 13
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Il profeta prosegue il suo paragone con un nuovo quadro molto impressionante. Da un lato, idoli pesanti che sono fardelli gravosi per quelli che li portano! Dall’altro, un Dio potente e fedele che si è invece caricato del suo popolo dal principio alla fine della sua storia «come un uomo porta il suo figliuolo» (vers. 3; Deuteronomio 1:31). A questa posizione privilegiata, Israele ha preferito il servizio ingrato di falsi dèi impotenti e ridicoli (vers. 6 e 7). Ma questi l’hanno fatto vacillare pesantemente, schiacciandolo sotto il loro peso, e saranno alla fine la causa della sua cattività. Moralmente è sempre così. Gli idoli più nobili secondo il mondo (questi sono d’oro e d’argento, mentre quelli del cap. 44 erano solo di legno) conducono infallibilmente quelli che li servono alla loro rovina finale. Ma invece, che cosa ci propone il Signore Gesù? Confidarci in Lui fin dalla giovinezza; continuare ad appoggiarci su lui anno dopo anno durante tutta la nostra vita; infine, se dobbiamo pervenire all’età in cui le forze declinano, godere ancora della bella promessa: «Fino alla vostra vecchiaia io sarò lo stesso, fino alla vostra canizie io vi porterò» (vers. 4).
Isaia
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Capitolo 47, versetti da 1 a 15
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Si tratta ora di Babilonia. La sua caduta si trova annunziata già prima della sua entrata nella storia. Adoperata dall’Eterno per disciplinare il suo popolo, essa non ha avuto per esso alcuna pietà; non prese «queste cose a cuore», infine, non si è ricordata «la fine di tutto questo» (vers. 7; Deuteronomio 32:29). Per mezzo di Daniele, Dio le aveva fatto conoscere questa fine (vedere Daniele 2:45). E nonostante ciò l’orgogliosa città ha dichiarato: «Io sarò signora in perpetuo» (vers. 7). E conosciamo la sua fine, solenne e subitanea, durante la notte tragica del convito di Belsatsar (Daniele 5:30).
Babilonia è, nel Nuovo Testamento, la figura della cristianità come Chiesa responsabile. Questa si è stancata d’essere straniera quaggiù e di soffrire. Ha preferito un trono alle croce. Ha dimenticato la misericordia, ha dominato sulle anime, ha disconosciuto i diritti del Signore e perduto di vista il suo ritorno. Si è accordata con una moltitudine d’idoli e di superstizioni (vers. 12 e 13). Ma il momento della sua rovina giungerà (Apocalisse 18). Allora Cristo presenterà al cielo e alla terra la sua vera Sposa: la Chiesa, composta di tutti i suoi cari riscattati, rapita presso di Lui prima di questi avvenimenti. Ne farete parte?
Isaia
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Capitolo 48, versetti da 1 a 8
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Gli «interpreti dei cieli, gli osservatori delle stelle» (cap. 47:13) ed altri astrologi, hanno in ogni tempo pronosticato alle spese della credulità popolare. Ad onta delle loro pretese, non è in potere di nessuno predire l’avvenire. Dio solo ne ha conoscenza e ci rivela nella sua Parola le cose che abbiamo bisogno di conoscere (cap. 46:10; Atti 1:7). L’adempimento nel passato degli avvenimenti che furono annunziati in anticipo per mezzo dei profeti, è una prova di più dell’esistenza e della onnipotenza di Dio (vers. 5; vedere Giovanni 13:19). Le prime cose dichiarate da lungo tempo sono avvenute (vers. 3). Questo prova che le cose nuove sono e saranno anche l’opera di Dio (vers. 6; Matteo 13:52). Oggi è alla portata di tutti, e particolarmente dei Giudei, investigare le Scritture per assicurarsene. Molti secoli prima, il rigettamento del loro Messia è stato chiaramente annunziato dal più grande dei profeti, precisamente nei capitoli che leggiamo. Purtroppo, non solo Israele, ma l’uomo, in generale è veramente «ostinato»; il suo collo ha muscoli di ferro; la sua fronte è di rame (vers. 4); il suo orecchio è chiuso (vers. 8). E soprattutto, il suo cuore è duro (ostinato; cap. 46:12).
Isaia
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Capitolo 48, versetti da 9 a 22
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«Per amor del mio nome… e per amor di me stesso!» Noi dimentichiamo molto sovente questo gran motivo degli interventi di Dio. Adottando Israele come suo popolo — e noi cristiani come suoi figli e sue figlie — Dio si è in certo modo impegnato personalmente, proprio come un padre è impegnata di fronte ad estranei per mezzo degli atti dei suoi figli! Noi siamo, secondo il caso, liberati, purificati… o castigati, a causa della gloria del Padre di cui siamo i figli (vedere Giosuè 7 fine del vers. 9). Ma Dio ha pure un altro motivo per insegnarci e disciplinarci: il nostro bene (vers. 17; Ebrei 12:10).
La pace del cuore, «come un fiume» calmo e potente, deriva dall’obbedienza del credente (vers. 18). Si comprende: nella corrente della volontà di Dio non si conosce né l’agitazione né il ribollimento del torrente nei monti. Si realizza il vers. 3 del cap. 26: «Tu manterrai in una pace perfetta colui che s’appoggia su te» (versione corretta). Notiamo che il Signore dà la sua pace ai suoi dopo aver ordinato loro di osservare i suoi comandamenti e la sua Parola (Giovanni 14:15, 21, 23, 27). Preziosa pace dei riscattati del Signore! Essa è sconosciuta ai malvagi (vers. 22).
Isaia
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Capitolo 49, versetti da 1 a 13
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A questo punto del libro, segnato da un’importante divisione, viene provato che Israele è stato un servitore infedele. Così l’Eterno gli sostituisce Cristo, il vero Israele (vers. 3), servitore obbediente, nel quale si glorierà. Ora, a tutta prima, il lavoro del Signore poteva sembrarGli esser stato inutile (vers. 4). Non soltanto Israele non è stato radunato, ma ha rigettato il suo Messia. E tuttavia i vers. 5 e 6, come pure il cap. 53:11, ci assicurano che, malgrado questo fallimento apparente, Cristo «vedrà il frutto del travaglio dell’anima sua». I figli di Dio dispersi sono oggi radunati per costituire la famiglia celeste (Giovanni 11:51 e 52). Il rigettamento del Signore da parte del suo popolo ha permesso a Dio di estendere la sua salvezza «fino alle estremità della terra».
Non è forse meraviglioso questo colloquio fra l’Eterno e il suo «santo servitore Gesù»? (Atti 4:27). Rivolgendosi a «Colui che è disprezzato dagli uomini (parag. cap. 53:3), a Colui che è detestato dalla nazione, al servitore dei potenti» (ma che ha un prezzo infinito per il proprio cuore), Dio gli promette che presto le cose saranno capovolte: Dei re «si leveranno» davanti a Lui, come ci si alza all’arrivo d’uno più grande di noi; «dei principi pure, e si prostreranno» (parag. Filippesi 2:6 a 11).
Isaia
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Capitolo 49, versetti da 14 a 26
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Al tempo della prima venuta del Signore, Israele non è stato radunato (vers. 5). Ma l’ora di questo radunamento suonerà. Non soltanto Giuda e Beniamino, ma le dieci tribù oggi disperse prenderanno la strada del ritorno. Convergeranno da tutti i punti cardinali, sì, anche dalla lontana Cina (il paese di Sinim? — vers. 12), poiché Dio ha saputo, durante più di 20 secoli, preservare miracolosamente la loro unità razziale.
Visione gloriosa: Gerusalemme raduna infine i suoi figli sotto la sua ala, quello che il Signore aveva molto desiderato fare quando era quaggiù. Ma erano loro che non l’avevano voluto (Luca 13:34). Come per un’immensa riunione di famiglia, i figli e le figlie di Giacobbe, da tanto tempo separati, accorrono, si riconoscono, si rallegrano assieme. Sarà il compimento profetico del Salmo 133.
Da questa scena terrestre, il nostro pensiero si eleva alla grande riunione celeste. Di tutti i riscattati del Signore, di quelli che Egli ha ricevuti dal padre suo, non ne mancherà nessuno. Ogni pecora è fin d’ora al riparo nella Sua mano, ed ha il suo nome come scolpito sulle palme di quelle mani che furono forate (vers. 16; Giovanni 10:28; 17:12). I prigionieri dell’uomo forte gli sono stati strappati per sempre per mezzo della vittoria della croce (vers. 25; Luca 11:21 e 22).
Isaia
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Capitolo 50, versetti da 1 a 11
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Invano hanno echeggiato gli appelli dell’Eterno. «Ascoltatemi», non ha cessato di ripetere (cap. 44:1; 46:3 e 12; 48:1 e 12; 49:1). Purtroppo, sia alla voce di Giovanni (cap. 40:3) o a quella del Messia stesso… «nessuno ha risposto» (vers. 2). Si può pensare a quel che è stata per il Signore Gesù quest’indifferenza. Egli veniva con «la lingua dei sapienti (esercitata)»: quella dell’amore. Ma nessuno ha voluto comprenderla. «Tu non hai udito… nulla in passato te n’è mai venuto agli orecchi» (cap. 48:8). Tuttavia che esempio dava loro! Ogni mattino trovava quest’Uomo obbediente, prestando orecchio alle parole del Padre suo, attento all’espressione della sua volontà per la giornata (se Egli sentiva questo bisogno, a più forte ragione dovremmo noi sentirlo).
Poi l’indifferenza verso Gesù s’è cambiata in odio. Il vers. 6 ci ricorda gli oltraggi ch’Egli ha subìto. Ma pur sapendo quel che l’aspettava, non s’è tratto indietro; ha reso la sua faccia simile ad un macigno (vers. 5 e 7; Luca 9:51).
In quel che ci concerne ascoltiamo l’appello del vers. 10. Noi che siamo figli di luce non lasciamoci abbagliare dalle fugaci scintille con cui il mondo cerca di farsi luce (vers. 11).
Isaia
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Capitolo 51, versetti da 1 a 11
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Al cap. 46:12 l’Eterno s’era rivolto a quelli che erano lontani dalla giustizia. La sua grazia parla ora a quelli che procacciano la giustizia (vers. 1) e che la conoscono (vers. 7). In un mondo ingiusto, essi sono esposti a soffrire per questa giustizia e hanno bisogno d’un incoraggiamento: «Non temete l’obbrobrio degli uomini, né siate sgomenti per i loro oltraggi» (vers. 7). Cristo per primo ha sopportato quest’obbrobrio e questi oltraggi da parte dell’uomo» (cap. 50:6). Così ci è dato di modello, onde seguiamo le sue tracce (1 Pietro 2:20 a 24; 3:14).
All’esempio del Signore Gesù (vedere Salmo 40:8), Dio può parlare qui d’un popolo nel cui cuore dimora la sua legge! Cari amici, abita la Parola di Cristo in noi riccamente? (Colossesi 3:16; Giovanni 15:7).
La preghiera del vers. 9 fa appello al potente braccio dell’Eterno (vedere 53:1). Questi aveva dianzi abbattuto l’Egitto e spartito «le acque magnifiche». Una volta ancora, strapperà Israele dalla sua cattività. Come sulle rive del mar Rosso, lo Spirito metterà allora dei canti di trionfo nella bocca «dei riscattati» e porrà sul loro capo un’allegrezza eterna (vers. 11; parag. cap. 35:10).
Isaia
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Capitolo 51, versetti da 12 a 23
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«Io, io son colui che vi consola» (vers. 12). Quanti credenti nella prova han fatto l’esperienza che solo in Cristo vi sono vere consolazioni. Infatti è «il Dio di ogni consolazione» (1 Corinzi 1:3). Ma noi siamo talvolta come il salmista che dichiara: «L’anima mia ha rifiutato d’essere consolata» (Salmo 77:2). I commoventi appelli dell’Eterno al suo popolo son rimasti senza eco. «Non s’è trovato alcuno che rispondesse», ad eccezione di un debole residuo che procacciava la giustizia (cap. 50:2; 66:4) Ora un grido terribile e urgente si fa udire: «Risvegliati; risvegliati, levati… rivestiti delle tue più splendide vesti» (vers. 17 e cap. 52:1). Si tratta di scuotere Gerusalemme dal suo sonno. Poiché il Messia apparirà. Il cap. 53 ci mostrerà l’accoglienza riserbatagli alla sua prima venuta. Cristo, rigettato, è risalito nella gloria. Ma oggi siamo alla vigilia del suo ritorno. E Gesù ci annunzia: «Ecco, io vengo tosto». Egli stesso si presenta: «Io sono… la stella lucente del mattino» (Apocalisse 22:12,16,17). Risvegliata e piena di speranza, la Sposa dice con lo Spirito: «Vieni!» Ognuno vi faccia eco nel suo cuore e Gli risponda pure: «Amen; vieni, Signor Gesù!»
Isaia
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Capitolo 52, versetti da 1 a 15
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Fino al versetto 6, si tratta dei riscattati. Dal versetto 7, il Redentore ci è presentato.
Lo Spirito Santo ha sulla terra un compito di prim’ordine: dirigere gli sguardi dei credenti su Cristo e sulle sue sofferenze. Tutte le esortazioni ad ascoltare, a risvegliarsi, a separarsi, convergono anche qui verso la presentazione d’una persona: Cristo, il Messia d’Israele. Egli è il Messaggero che reca buone novelle di pace, di salvezza, di felicità (vers. 7). Egli è pure il Servitore che agisce saviamente (vers. 13). Abbiamo così in riassunto davanti a noi le sue parole e le sue opere. Il cap. 53 ci farà conoscere le sue sofferenze.
Veramente c’è di che essere sbigottiti e confusi di stupore meditando sull’inesprimibile abbassamento del Figliuol di Dio (vers. 14 completato dal cap. 53:3). «Il suo viso disfatto» testimoniava contro il mondo empio di quel che poteva costare all’Uomo perfetto attraversarlo. Così, è in giustizia che Dio l’ha ora esaltato, elevato e posto molto in alto, in attesa ch’Egli appaia in gloria. Allora dei re chiuderanno la bocca vedendolo. Ma i riscattati non taceranno mai. Come quelle sentinelle del vers. 8, dopo le fatiche della lunga veglia, dopo l’attesa interminabile evocata dal Salmo 130:6, leveranno la voce con canto di trionfo, poiché essi lo vedranno a faccia a faccia.
Isaia
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Capitolo 53, versetti da 1 a 12
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È la pagina misteriosa che il ministro di Candace, regina degli Etiopi, leggeva nel suo carro. «E Filippo, … cominciando da questo passo della Scrittura, gli annunziò Gesù» (Atti 8:27…). In quel punto anche per noi sta il principio di ogni conoscenza: Gesù il Salvatore. Ognuno di noi seguiva la sua propria via di disobbedienza (vers. 6). Ma l’Agnello di Dio ha seguito per salvarci la via della perfetta obbedienza e della completa sottomissione. In questo sentiero, Egli è stato disprezzato, abbandonato, oppresso, afflitto, infine soppresso dagli uomini (vers. 3, 7, 8). Ma è stato trafitto, fiaccato, sottoposto alla sofferenza da Dio stesso (vers. 4, 5, 10). Chi potrà mai investigare l’infinito di quest’espressione: «Piacque all’Eterno di fiaccarlo»? I nostri languori e i nostri dolori (vers. 4), le nostre trasgressioni e le nostre iniquità (vers. 5), il nostro peccato sotto tutte le sue forme — dalle più sottili alle più grossolane — con le loro terribili conseguenze, tale è stato il carico indicibilmente pesante di cui si è caricato quest’«Uomo di dolore».
In questo sta il travaglio dell’anima tua, o nostro Salvatore! Ma, aldilà della morte a cui hai dato te stesso, tu godi d’ora innanzi e per sempre, nel frutto stesso della tua sofferenza, l’inesprimibile gioia dell’amore soddisfatto (Ebrei 12:2).
Isaia
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Capitolo 54, versetti da 1 a 17
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L’opera descritta nel cap. 53 essendo compiuta, i credenti sono invitati a rallegrarsi e a cantare. Il vers. 10 del cap. 53 annunziava: «Se dà l’anima sua in sacrifizio per la colpa, Egli vedrà una progenie». E Gesù stesso l’ha confermato: «Se il granello di frumento caduto in terra non muore, riman solo; ma se muore produce molto frutto» (Giovanni 12:24). Il cap. 54 ci fa intravvedere questa ricca messe. Si tratta di Israele, seme terrestre; ma il Nuovo Testamento parla anche dei figli della famiglia celeste: «la Gerusalemme di sopra» (vedere Galati 4:26 e 27). Siete anche voi che leggete queste righe, uno di quei «frutti» del travaglio dell’anima Sua?
Per accogliere i suoi figli e le sue figlie, Gerusalemme, a lungo vedova e sterile, è invitata ad allargarsi, a estendersi. A causa dell’opera compiuta Dio può aver compassione di lei e raccoglierla. L’ira è durata un momento, ma la sua bontà sarà eterna (vers. 7 e 8; Salmo 30:5).
«Tutti i tuoi figliuoli saranno ammaestrati dall’Eterno», promette il vers. 13 citato in Giovanni 6:45. L’opera del Signore verso noi comprende due grandi parti: Egli ha portato le nostre iniquità e insegna la giustizia a molti (cap. 53:11). Non dimentichiamo questa seconda parte e, se gli abbiamo portato il fardello dei nostri peccati, lasciamoci ora insegnare da Lui. Così potremo portare il frutto della giustizia alla Sua gloria (2 Corinzi 9:10).
Isaia
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Capitolo 55, versetti da 1 a 13
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Come dalla roccia colpita nel deserto (cap. 48:21), un fiume di benedizione scorre dall’opera della croce. Sorgente inesauribile offerta a chiunque ha sete! Qui è l’appello del profeta, ma il Signore Gesù si esprime nello stesso modo: «Se alcuno ha sete venga a me e beva» (Giovanni 7:37; vedete anche quel «chiunque» della grazia al cap. 3:15 e 16; 11:26; 12:46). Due cose caratterizzano la grande salvezza di Dio: essa è gratuita. Gli uomini si affaticano considerevolmente e spendono dei capitali «per quel che non sazia», allorché il più prezioso bene fra tutti si può ottenere «senza denaro e senza prezzo». Dio ne ha fatto tutte le spese.
In secondo luogo, la salvezza deve essere accettata ora. Cercate l’Eterno mentre lo si trova» (vers. 6). Dio è vicino, Egli perdona abbondantemente… ma affrettatevi! Viene il momento in cui non è più accessibile (Giovanni 7:34 e 8:21).
Considerate ancora in questo bel capitolo ciò che è detto dei pensieri d’amore e delle vie inscrutabili di Dio (vers. 8 e 9; vedere anche Romani 11:33 a 36). E della sua Parola: essa non tornerà a me a vuoto, promette il versetto 11. — Ha essa prodotto quest’effetto sul vostro cuore?
Isaia
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Capitolo 56, versetti da 1 a 12 Capitolo 57, versetti 2, e da 15 a 21
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Questi due capitoli ricordano un oscuro momento della storia futura d’Israele. La maggior parte del popolo, sviata dalle sentinelle cieche (vers. 10…), seguirà l’Anticristo (il re: cap. 57:9). Durante questo tempo Dio segue ed incoraggia con le sue promesse i fedeli che rispettano i suoi sabati. Il tempio è al presente distrutto dopo esser stato profanato. Ma riprenderà il suo nome e il suo carattere di «casa di preghiera» per la gioia di quel residuo. E inoltre, sarà aperto a tutti i popoli (cap. 56:7). Quanto a noi, cristiani, abbiamo accesso ad ogni momento presso Dio per la preghiera e la lode. Ne approfittiamo noi?
I versetti 1 e 2 del cap. 57 ci rivelano il vero significato della morte d’un giusto e degli «uomini pii». Dio li mette al riparo dei castighi che prepara per gli altri uomini (parag. 1 Re 14:12-14).
«Io creo la lode ch’esce dalle labbra», dice Egli (vers. 19). Il capitolo 13:15 agli Ebrei ci mostra che si tratta dei «sacrifici di lode». Essi sono indirizzati a Dio, ma è Lui stesso che li produce per mezzo del suo Spirito nel cuore dei suoi. Offriamoglieli incessantemente nel nome di Gesù Cristo.
Infine il vers. 20 dipinge un rapido quadro dell’agitazione malsana dei malvagi con le sue conseguenze. L’apostolo Giuda lo completa paragonando questi alle «furiose onde del mare, schiumanti la lor bruttura» (Giuda 13).
Isaia
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Capitolo 58, versetti da 1 a 14
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Questa nuova grande divisione del libro comincia mostrando il popolo che digiuna e s’affligge. Poiché l’Eterno guarda precisamente a chi è abbattuto e di spirito contrito (cap. 57:15; 66:2), ci si può chiedere ciò che Egli vi trovi da ridire. I vers. 3 a 7 ce lo insegnano: Dio non si accontenta di semplici forme religiose esteriori, né di pie dichiarazioni; non hanno nulla a che fare con il frutto delle labbra che Egli stesso produce. Per bocca d’un altro profeta, fa a tutti una domanda diretta: «Avete voi digiunato per me, proprio per me?» (Zaccaria 7:5). Purtroppo, dietro una bella facciata di pietà, quante cose possono dimorare: la ricerca del nostro piacere, la durezza e l’egoismo, le contestazioni e le discordie (vers. 3 e 4), i giudizi e le critiche (additare) come pure il gesto minaccioso e le vane parole (vers. 9 e 13). Eccole le vere esigenze di Dio:
- Innanzi tutto che rompiamo con le abitudini del peccato, quelle catene che ci tengono nel potere del Nemico (vers. 6; Daniele 4:27). Proverbi 28:13 ci ricorda che la misericordia è promessa per colui che confessa e abbandona le sue trasgressioni.
- In seguito che pratichiamo l’amore in tutte le occasioni (vers. 7 e 10).
Notate che belle promesse sono fatte ad un tale cammino!
Isaia
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Capitolo 59, versetti da 1 a 21
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Le iniquità del popolo costituiscono un paravento impenetrabile fra l’Eterno e lui. Impediscono a Dio di accettare qualsiasi servizio religioso. Ma in senso inverso, Egli non può intervenire in favore dei suoi finché questo muro sussiste. Forse è anche il motivo per cui le nostre preghiere restano talvolta senza risposta (Proverbi 15:8 e 29).
La lista opprimente di tutti i peccati accumulati dal popolo è dinanzi a Lui ai vers. 3 a 8, onde aiutarli ad averne coscienza. Romani 3:10 a 18 ne nomina alcuni per stabilire la malvagità di tutta la razza umana.
Al vers. 9 sono i fedeli del residuo che prendono la parola. Riconoscono con umiliazione la verità del quadro che è stato fatto. «Le nostre iniquità le conosciamo», dichiarano essi, aggiungendo persino una nuova lista di fatti a quelli che il profeta aveva enumerati (vers. 13 a 15). In breve, questo residuo mostra quanto sia «contrito e umile di spirito (cap. 57:15). Così, secondo la Sua promessa, l’Eterno potrà ora consolarlo, «rivivificarlo» e fargli giustizia per mezzo del Messia, suo Redentore e suo Liberatore che sarà anche quello delle nazioni (vers. 20; Romani 11:26).
Isaia
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Capitolo 60, versetti da 1 a 14
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Nella citazione del vers. 1 in Efesini 4:14 l’espressione «la gloria dell’Eterno s’è levata su te» diventa: «Cristo risplenderà su te». La gloria di Dio s’identifica con la persona del suo Figlio (vedere anche 2 Corinzi 4:6). Ed essa è unita al luogo ove Egli dimora: «Io renderò glorioso il luogo ove posano i miei piedi» (vers. 13). «La Sion del Santo d’Israele» (vers. 14) ha il suo riscontro nella Gerusalemme celeste, al cap. 21 dell’Apocalisse. Paragonate rispettivamente i vers. 19, 3 e 11 del nostro capitolo con Apocalisse 21:23 a 26.
Come al cap. 49, il grande radunamento d’Israele è ricordato in una descrizione commovente e splendida. Questa visione, questa promessa sosterrà i credenti del residuo in mezzo alle loro tribolazioni! Quanto a noi cristiani, talvolta scoraggiati, alziamo i nostri occhi e consideriamo per la fede il popolo di Dio, come dianzi Abrahamo fu invitato a farlo (Genesi 15:5). Noi non siamo soli. Una folla innumerevole di pellegrini cammina con noi verso la città celeste. La stanchezza, la sofferenza hanno sovente rallentato i loro passi. Ma guardateli: i loro visi sono raggianti. Il loro cuore freme e si espande per affetti eterni (vers. 5).
Isaia
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Capitolo 61, versetti da 1 a 11
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Il principio di questo capitolo è d’interesse particolare. È il passo scelto dal Signore Gesù quando, nella sinagoga di Nazaret, si è alzato per leggere e meditare (Luca 4:16 a 21). Ma notiamo un particolare della maggior importanza: Gesù ha interrotto la sua lettura a metà della frase, prima della menzione del giorno della vendetta. Soltanto la prima parte del suo ministero (quello della grazia), era adempiuta, ed essi l’udivano. Ciò che segue, cioè il giudizio, era sospeso e lo è oggi ancora. Ora, il testo non comporta neppure una virgola, Dio ha trovato il mezzo d’intercalare già quasi 2000 anni di pazienza.
Tuttavia questa vendetta non è neppure l’ultima parola della frase. Essa è seguita da consolazione e gioia per i fedeli del residuo. Come Giobbe alla fine essi riceveranno il doppio. «E avranno un’allegrezza eterna» (vers. 7).
In risposta a queste promesse, si leva la voce del residuo: «Io mi rallegrerò grandemente nell’Eterno, l’anima mia festeggerà nel mio Dio; poich’Egli m’ha rivestito delle vesti della salvezza, m’ha avvolto nel manto della giustizia…» (vers. 10). Il cristiano non ha forse oggi i stessi motivi per lodare il Signore e rallegrarsi in Lui?
Isaia
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Capitolo 62, versetti da 1 a 12
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Gerusalemme, la derelitta, la donna sterile e desolata, la vedova del cap. 54, diverrà colei che ha marito (vers. 4), la ricercata, la città non abbandonata (vers. 12). L’Eterno, il suo Sposo potrà di nuovo rallegrarsi in lei. Intanto, delle sentinelle vigilanti sono poste sulle mura con una consegna: «O voi che destate il ricordo dell’Eterno, non abbiate requie». Fedeli a questa parola d’ordine, i credenti giudei al tempo della fine grideranno a Dio: «Ricordati della tua raunanza che acquistasti in antico, che redimesti…» (Salmo 74:2).
Amici cristiani, ognuno di noi è ugualmente stato posto dal Signore in tale o tal altro luogo, ed ha ricevuto una missione simile compresa in due parole: «Vegliate e pregate» (Matteo 26:41; 1 Pietro 4:7). Le nostre preghiere sono attese lassù e son loro preparati ricchi esaudimenti. Non abbiamo forse importanti soggetti da ricordare al cuore del nostro Padre celeste? Per esempio la sua Assemblea universale — con quelli che ne fanno parte nella nostra città o nel nostro villaggio. Non abbiamo requie, poiché abbiamo il privilegio oggi d’essere quelli che destano il ricordo dell’Eterno. Cosa ben commovente, Dio parla come se le nostre preghiere gli abbisognassero per ricordarsi delle sue promesse. Quale grazia!
Isaia
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Capitolo 63, versetti da 1 a 14
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Chi è, donde viene, colui che giunge così splendido e temibile? Perché questo sangue ai suoi vestiti? Ah! Egli è l’esecutore di quel terribile «giorno di vendetta» (Luca 21:22), che ritorna dopo aver adempiuto il suo compito! (vers. 4; cap. 61:2). I popoli nella loro suprema rivolta si saranno radunati sul territorio d’Edom per l’assalto finale contro Dio e contro il suoi (vedere cap. 34:6). Ma sarà par venir schiacciati, nello stesso modo per che i vendemmiatori calcavano un tempo l’uva nei tini.
Forse ci sarà difficile riconoscere in quel Giustiziere implacabile il nostro Salvatore mansueto. Ma il servizio per la gloria di Dio comprende questi due caratteri. Egli fu solo sulla croce; è solo qui per il giudizio (vers. 3). Magnifico (vers. 1), Egli agisce col suo braccio glorioso (vers. 12), e si acquista una rinomanza magnifica (vers. 14), dimora nella magnificenza (vers. 15 versione corretta). «Prosperando nella tua magnificenza, avanza sul carro…» com’è detto nel Salmo 45:4 a proposito di questo giudizio.
Una nuova ed ultima divisione del libro comincia al vers. 7 ricordando le benignità e le lodi dell’Eterno. Non tralasciamo questo compito ognuno per proprio conto.
Isaia
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Capitolo 63, versetti da 15 a 19 Capitolo 64, versetti da 1 a 12
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I fedeli del residuo hanno ricordato «l’abbondanza delle sue grazie», di cui l’Eterno era anticamente stato largo verso il suo popolo (cap. 63:7). Dopo aver loro dato tali prove d’amore, potrebbe oggi abbandonarli? Essi dunque fanno appello al cuore di questo Dio soccorritore che è loro Padre. «Guarda dal cielo…». Ma questo non basta loro. «Oh! squarciassi tu pure i cieli e scendessi…» essi esclamano. È quel che Cristo ha fatto una prima volta per la nostra salvezza. Ma più tardi scenderà di nuovo per liberare i suoi nella prova consumando i loro nemici (Salmo 18:9; 144:5).
Il vers. 6 paragona «tutta la nostra giustizia» ad un abito lordato. Comprendiamo ciò dei nostri peccati. Ma della nostra giustizia? E veramente ne è così! Tutto quel che abbiam potuto fare di bene e di giusto prima della nostra conversione, assomiglia a stracci che confermano la nostra miseria invece di coprirla. Ma il Signore sostituisce questi abiti lordati con le vesti della salvezza e col manto della giustizia (cap. 61:10; Zaccaria 3:1 a 5).
Formati come l’argilla sul tornio del vasaio (vers. 8) non abbiamo nulla da far valere riguardo alla vile materia di dove siam stati tratti (Salmo 100:3). Conta soltanto il lavoro del divino Operaio che si impegna a fare di noi «un vaso ad onore»… (2 Timoteo 2:21).
Isaia
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Capitolo 65, versetti da 1 a 12
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«Io sono stato trovato da quelli che prima non mi cercavano…» — scrive Isaia facendosi ardito. È l’espressione adoperata da Paolo citando ai Romani il nostro versetto 1 (cap. 10:20). Sotto la dettatura dello Spirito, il profeta apre qui chiaramente la porta alle nazioni, che non cercavano Dio e non erano chiamate col suo nome (cap. 49:6). Dichiarazione ardita, veramente, per non dire rivoluzionaria agli orecchi degli Israeliti così gelosi dei loro privilegi! Essa faceva parte di quelle cose mai udite menzionate al capitolo precedente.
La confessione e le suppliche del povero residuo terminavano con l’angosciosa domanda: «Tacerai tu e ci affliggerai fino all’estremo?» (cap. 64:12). No, non è mai invano che un cuore pentito si volge verso il Signore (Salmo 51:17). Lo sapiamo per esperienza?
Dio non tacerà dunque. Prende la parola e la conserverà praticamente sino alla fine del libro. Tuttavia, prima di rivelare ciò ch’Egli ha preparato per quelli che si confidano in Lui (i suoi eletti e i suoi servitori: vers. 9 e 10; cap. 64:4), bisogna che pronunci la condanna definitiva, non soltanto delle nazioni nemiche d’Israele, ma anche della massa del «popolo ribelle» e apostata.
Isaia
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Capitolo 65, versetti da 13 a 25
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Gl’Israeliti fedeli saranno stati per molto tempo confusi con la massa del popolo che avrà seguito l’Anticristo. Ma, giunto il momento, Dio saprà distinguere e ricompensare i suoi servitori. Allora essi dimenticheranno le loro afflizioni e «canteranno per la gioia del loro cuore» (vers. 14).
E noi, figli di Dio che presentemente il mondo non conosce come non ha conosciuto Lui, saremo pure manifestati dal Signore alla sua gloriosa venuta (1 Giovanni 3:1 e 2). Sarebbe forse la nostra gioia inferiore alla loro?
Dio creerà nuovi cieli e nuova terra. Non si tratta ancora di sostituire l’universo attuale con nuovi elementi, secondo 2 Pietro 3:13 e Apocalisse 21:1. Ma durante il regno di mille anni, tanto il cielo, sbarazzato dalla presenza di Satana, quanto la terra, sottomessa al Signore, saranno in uno stato nuovo. La creazione conoscerà la liberazione (Romani 8:22). La vita umana sarà prolungata; l’età di cent’anni diverrà quella della piena giovinezza, e la morte non sarà più che un castigo eccezionale (Proverbi 2:22; Salmo 37:9). Anche negli animali gl’istinti crudeli saranno spariti (vers. 25). La natura sarà nel pieno rigoglio della bellezza e risponderà al disegno iniziale di Dio per la sua splendida creazione.
Isaia
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Capitolo 66, versetti da 10 a 24
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Gerusalemme sarà un soggetto di allegrezza per i fedeli del popolo. «Rallegratevi… e festeggiate a motivo di lei, o voi tutti che l’amate» (vers. 10). A loro s’indirizza il Salmo 122: «Pregate per la pace di Gerusalemme! Prosperino quelli che t’amano!…» (vers. 6). Come risposta a questa preghiera, la pace è estesa sulla città, punto di partenza della conoscenza della gloria di Dio per tutte le nazioni della terra.
Il Signore non è meno attento oggi alle preghiere di quelli che amano la sua Assemblea (2 Corinzi 11:28). Domandiamo ch’essa sia conservata nella pace e che manifesti la gloria di Cristo quaggiù.
Anche in mezzo alla felicità millenaria, bisogna che sussista una testimonianza visibile del castigo terrestre degli iniqui. Un solenne spettacolo vi sarà là per ricordarlo, come il mucchio di pietre sulla tomba d’Absalom (2 Samuele 18:17). Così finisce questo bel libro d’Isaia. È là più vasta di tutte le profezie, la più sovente citata (circa 60 volte), quella pure che dà il maggior posto al Signore Gesù nelle sue sofferenze e nelle sue glorie.
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