Piccolo commentario della Prima Epistola di Paolo a Timoteo

Jean Koechlin

Le citazioni bibliche di questo commentario fanno riferimento alla versione Giovanni Luzzi


1 Timoteo

Capitolo 1, versetti da 1 a 11

Abbiamo fatto la conoscenza di Timoteo al cap. 16 degli Atti. I legami di Paolo col suo «vero figliuolo in fede» erano preziosi. Tuttavia qui gli scrive in qualità d’apostolo per sottolineare l’autorità che questo titolo gli conferisce. Questo giovane discepolo era investito d’un compito difficile: ordinare ad ognuno come doveva comportarsi nell’assemblea (3:15). Gli era stato affidato un mandato il cui fine era l’amore. Come i tribunali non sono per la gente onesta, così la legge non riguarda più coloro che sono giustificati (v. 9). Ormai per loro c’è solo l’amore, la cui fonte è in Dio, il quale è sparso dallo Spirito nel nostro cuore (Romani 5:5). Ma, affinché non sia in noi come acqua stagnante, perché ci «attraversi» e sgorghi a profitto degli altri, nessun «condotto» deve essere ostruito. L’amore proviene da un cuore puro, libero da ogni «idolo»; da una buona coscienza, che non ha nulla da rimproverarsi (Atti 24:16); da una fede sincera, esente da ogni forma d’ipocrisia (2 Timoteo 1:5). Se non possediamo questi requisiti, il nostro cristianesimo non sarà che un vano parlare (v. 6). Com’è brillante il contrasto fra «la legge che maledice il peccatore e la grazia che lo trasporta nel godimento della gloria e della felicità di Dio» (H.R.)!




1 Timoteo

Capitolo 1, versetti da 12 a 20

Se qualcuno poteva paragonare la schiavitù della legge con l’evangelo della grazia, questo era proprio il fariseo Saulo da Tarso, divenuto l’apostolo Paolo. La sua fedeltà alla legge non gli aveva assolutamente evitato di essere il primo dei peccatori. Non aveva forse perseguitato Gesù, perseguitando i suoi? Senza falsa umiltà, egli si dichiara peggiore di tutti i peccatori elencati ai versetti 9 e 10. Ma sono proprio i colpevoli, e non i giusti, che Gesù Cristo è venuto a salvare (Matteo 9:13). E poiché il primo di loro ha potuto essere salvato, nessuno può definirsi troppo peccatore per essere posto al beneficio della grazia. «Misericordia mi è stata fatta», esclama l’apostolo a due riprese (v. 13, 16). Egli misura la grandezza di questa misericordia con la grandezza della sua miseria, e spontaneamente l’adorazione si eleva dal suo cuore (v. 17). Se godiamo così poco della grazia, è perché la nostra convinzione di peccato non è stata sufficientemente profonda. «Colui a cui poco è rimesso — o che, per lo meno, lo pensa — poco ama» (Luca 7:47). E tu, se sei ancora indifferente, sappi che la pazienza del Signore si è esercitata anche verso di te, fino ad ora. Non farlo attendere ancora: domani, forse, sarà troppo tardi.




1 Timoteo

Capitolo 2, versetti da 1 a 15

Prima di tutte «queste cose» di cui parlerà a Timoteo (3:14; 4:6,11), l’apostolo nomina la preghiera sotto le sue diverse forme. È così che comincia ogni servizio cristiano. La volontà di salvezza di Dio, l’opera di Cristo e la nostra preghiera abbracciano tutti gli uomini. Il nostro dovere è di pregare per tutti, senza restrizione, perché Dio vuole che tutti siano salvati, e perché Gesù Cristo si è dato quale prezzo di riscatto per tutti. Ed è nostro privilegio poter pregare per tutti quelli che non sanno farlo.

Dipende da «coloro che stanno in alto» se noi possiamo condurre una vita serena e tranquilla. Chiediamo a Dio di assicurarcela per mezzo loro, non per sprecarla dietro alle nostre concupiscenze, ma per essere più liberi di occuparci della salvezza dei peccatori (Esdra 6:10).

I fratelli, ivi compresi i più giovani, sono chiamati a pregare in ogni luogo, pubblicamente nell’assemblea. Le sorelle, invece, devono mantenere il silenzio; ma, col loro comportamento e il loro abbigliamento modesto, possono rendere una testimonianza più potente delle parole. Le conseguenze della caduta di Eva restano per la donna (Genesi 3:16); ma la fede, l’amore, la santità e la modestia sono, anche per la vita terrena, pegni di liberazione e di benedizione.




1 Timoteo

Capitolo 3, versetti da 1 a 16

Aspirare all’ufficio di vescovo deve essere considerato come una prova di attaccamento all’assemblea. Esercitare le funzioni di vescovo (o sorvegliante) e di diacono (o servitore), non richiede studi o esami, ma condizioni morali. Esse sono di due ordini:

  1. una buona testimonianza nell’assemblea e al di fuori;
  2. un’esperienza acquisita nella vita cristiana.

 

In ogni casa esiste una regola di condotta, una disciplina collettiva alla quale ognuno si sottomette. Così è nella casa dell’Iddio vivente, l’assemblea (1 Corinzi 14:40). Noi non siamo liberi di comportarci a nostro piacere. Essa è «la colonna sulla quale è scritto il nome di Cristo, la Verità, per farlo conoscere a tutto il mondo» (H.R.). Grande è il mistero della pietà perché grande è la Persona su cui sono fondate le nostre relazioni con Dio. La venuta di Gesù come uomo sulla terra, la perfetta giustizia di tutto il suo cammino nella potenza dello Spirito Santo e sotto lo sguardo degli angeli, il suo Nome predicato e creduto quaggiù, e infine il suo innalzamento nella gloria, costituiscono gli elementi inseparabili di questo mistero intangibile affidato all’assemblea. Essa è responsabile davanti al Signore, di «sostenere» e di mantenere tutta la verità (fine del v. 15).




1 Timoteo

Capitolo 4, versetti da 1 a 16

Il grande mistero della pietà è stato disprezzato da molti. Alcuni hanno tolto ciò che li disturbava; altri hanno aggiunto delle pratiche legali o delle superstizioni. Il «buon ministro» si nutre della «buona dottrina» (v. 6; vedere 1:10; 6:3). Allora sarà in grado d’insegnare agli altri (v. 11 e 13). La pietà (il timor di Dio, l’attaccamento alle Sue cose) è una virtù alla quale ci si esercita — in greco «gymnazó», da cui deriva il nostro termine ginnastica. Ci si allena. L’esercizio corporale, lo sport, è utile alla salute del nostro corpo, ma è poca cosa in confronto ai progressi dell’anima che fa pratica quotidiana di pietà. Notiamo bene che bisogna esercitarsi personalmente, poiché nessuno può vivere della pietà degli altri. A questa condizione, il giovane Timoteo potrà essere un «allenatore» per gli altri (Tito 2:7) e un modello sia in parola, sia in opere, essendo la pietà confermata dalla condotta, ispirata dall’amore illuminato a sua volta dalla fede, e preservata dalla purezza (v. 12). E come ci si esercita alla pietà? Essendo occupati delle cose divine e dedicandosi interamente ad esse. La debolezza della nostra testimonianza dipende dal fatto che ci disperdiamo in troppe direzioni. Che possiamo essere i campioni d’una sola causa, quella di Cristo (2 Corinzi 8:5)! Faremo così dei progressi visibili a tutti (v. 15).




1 Timoteo

Capitolo 5, versetti da 1 a 16

Nelle relazioni con gli altri cristiani, sono i legami familiari che devono servirci da modello: «Come un padre,… come fratelli,… come madri,… come sorelle» (v. 1,2). Non perdiamo mai di vista che noi formiamo una medesima famiglia, la famiglia di Dio.

Ognuno è invitato a mostrare la sua pietà, ma in primo luogo nei confronti della sua casa (v. 4). I Farisei predicavano il contrario. Pur facendo sfoggio di devozione, essi annullavano il comandamento di Dio, distogliendo i figli dai loro doveri più elementari nei riguardi dei loro genitori (Marco 7:12,13).

Un solo versetto, il v. 10. riassume tutta una vita di servizio per il Signore. Che ogni cristiano possa non desiderare altro!

Questi 14 versetti (3-16), dedicati alle vedove, ci ricordano che Dio veglia su loro in modo particolare (Salmo 68:5). L’evangelo di Luca menziona quattro vedove: Anna, la cui attività in preghiera notte e giorno illustra il v. 5 (Luca 2:36-38); la vedova di Nain, alla quale Gesù rese il figlio (Luca 7:12…); quella che chiedeva giustizia (nella parabola del capitolo 18) e infine la povera vedova che, sotto gli occhi del Signore, e per la Sua gioia, offrì al tesoro del Tempio tutto quello che aveva per vivere (Luca 21). Una completa fede in Lui, ecco ciò che piace a Dio (Ebrei 11:6) più di ogni altra cosa.




1 Timoteo
 

Capitolo 5, versetti da 17 a 25
Capitolo 6, versetti da 1 a 10

Paolo continua ad esporre a Timoteo «come bisogna comportarsi nella casa di Dio» (3:15). Questione capitale, alla quale sono interessati Dio stesso — si tratta della sua casa —, il Cristo Gesù, ed anche gli angeli eletti, chiamati a contemplare la saggezza di Dio nella Chiesa (v. 21; Efesini 3:10). Ora, questa saggezza «così diversa» e varia nei suoi molteplici aspetti, deve apparire anche in ogni dettaglio della vita dell’assemblea: doveri del gregge nei riguardi dei suoi anziani, comportamento del servitore di Dio per regolare i casi difficili, istruzioni impartite ai servitori… (6:1,2). Quanti disordini s’introducono dal momento in cui non si è più sottomessi alle sane parole, che sono quelle, non di Paolo o Timoteo, ma del Signor nostro Gesù Cristo (v. 3; 1 Tessalonicesi 4:2,8)!

La pietà unita ad un animo contento è in se stessa un guadagno, un gran guadagno alla portata di tutti (vedere 4:8). La nostra società è basata sulla creazione di sempre nuovi bisogni e sulla loro soddisfazione. Nonostante tutto, il cuore avido dell’uomo resta insaziabile (confr. v. 9 e 10 col Salmo 49:16-20). Ringraziamo il Signore che ci assicura il necessario (v. 8). Saremo sempre soddisfatti di quello che ci dà, se Egli stesso, il Donatore (che è il grande soggetto della pietà) soddisfa pienamente il nostro cuore.




1 Timoteo

Capitolo 6, versetti da 11 a 21

«Ma tu…!» L’uomo di Dio, e ogni figlio di Dio, deve continuamente camminare controcorrente quaggiù. Egli fugge ciò che il mondo ama e ricerca: il denaro e le passioni che il denaro soddisfa (v. 10), e persegue ciò che piace al Signore: giustizia, pietà, fede, amore, costanza, dolcezza (v. 11), aspettando la Sua apparizione, il momento in cui tutto sarà manifestato (v. 14).

L’apostolo non confonde «quelli che sono ricchi» (v. 17) con «quelli che vogliono arricchire» (v. 9), ma proietta sui beni del «presente secolo» la luce dell’eternità. L’oggetto della nostra fiducia non è costituito dai «doni», ma da Colui che dà (fine del v. 17). Il vero guadagno è la pietà; le vere ricchezze sono le buone opere (v. 18); il vero tesoro è un buon fondamento per l’avvenire (v. 19). Cerchiamo di saper discernere e di conseguire «la vera vita».

Fuggi…, procaccia…, combatti…, afferra…, abbiamo trovato nella nostra lettura (v. 11,12). Il v. 20 fa udire un ultimo imperativo particolarmente solenne: «O Timoteo, custodisci il deposito» (vedere anche v. 14 e 2 Timoteo 1:14). Tale è l’esortazione finale, nella quale invitiamo ognuno dei nostri lettori a sostituire col proprio nome quello di Timoteo.