Piccolo commentario della prima Epistola di Paolo ai Corinzi

Jean Koechlin

Le citazioni bibliche di questo commentario fanno riferimento alla versione Giovanni Luzzi


1 Corinzi

Capitolo 1, versetti da 1 a 16

A Corinto si era formata un’assemblea numerosa grazie al ministerio di Paolo (Atti 18:10). E lui, fedele pastore e zelante evangelista, continua a vegliare su di essa con sollecitudine (confr. 2 Corinzi 11:28). Egli scrive da Efeso questa prima lettera che si rivolge anche a «tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo» (v. 2). È dunque scritta anche per noi, se ne facciamo parte.

Paolo ha ricevuto da Corinto spiacevoli notizie. Vari disordini erano apparsi in quell’assemblea. Ma, prima di affrontare questi penosi argomenti, l’apostolo ricorda a quei credenti le loro ricchezze spirituali, attribuendole alla grazia di Dio (v. 4,5). Per misurare la nostra responsabilità e prendere più sul serio la nostra vita cristiana, cerchiamo qualche volta di valutare i nostri inestimabili privilegi. E ringraziamo il Signore come l’apostolo fa in questa occasione.

Il primo rimprovero rivolto all’assemblea di Corinto riguarda le loro discordie. Seguivano l’uomo (Paolo, Apollo, Cefa, in quanto dottori più eminenti di altri: Giovanni 3:2), invece di essere uniti nella comunione di «Gesù Cristo, nostro Signore», il Figlio di Dio (v. 9). Che questa sia sempre la nostra parte (1 Giovanni 1:3).




1 Corinzi

Capitolo 1, versetti da 17 a 31

Per «noi che siamo sulla via della salvazione», la parola della croce è la potenza di Dio. Ma per gli altri uomini non è che pazzia. Tutto ciò che la croce significa: la morte d’un Giusto necessaria alla giustizia di Dio, il perdono gratuito dei peccatori, la condanna definitiva dell’uomo naturale, sono verità che urtano la ragione umana. Si presentino miracoli e opere spettacolari, un nobile ideale accompagnato da una morale che richiede degli sforzi… ecco il genere di religione che non urta nessuno. Ebbene! tutti i sapienti, i teologi, i polemisti, insomma i grandi di questo secolo e di tutti i secoli, il v. 18 li classifica sotto una comune e spaventosa designazione: «quelli che periscono».

È un dato di fatto che tra i riscattati del Signore ci sono pochi sapienti, potenti, nobili… (v. 26); infatti è più difficile per costoro diventare «come i piccoli fanciulli» (Matteo 18:3; 11:25). Per glorificarsi Dio sceglie ciò che è debole, vile, disprezzato, e tali sono i credenti in Cristo secondo la stima del mondo. Ma cosa importa il loro valore personale, dal momento che sono in Cristo e che Lui è, per loro, potenza, sapienza, giustizia, santificazione, redenzione (v. 24,30)?




1 Corinzi

Capitolo 2, versetti da 1 a 16

Sappiamo che, nel mondo, un dono d’oratore, un certo brio, e dei «discorsi persuasivi di sapienza umana» sono sufficienti per assicurare il trionfo di qualunque causa. Ma, per comunicare la fede, Dio non ha bisogno di utilizzare queste capacità umane, né le abilità della propaganda (v. 4,5). Paolo, nonostante la sua istruzione, non si era fatto notare a Corinto per la sua sapienza, la sua cultura o la sua eloquenza. Avrebbe contraddetto il suo insegnamento, poiché la croce di Cristo che egli annunciava significa proprio la fine di tutto ciò di cui l’uomo s’inorgoglisce. Ma, senza che ciò costituisca una perdita, il credente ha ricevuto, contemporaneamente, le cose invisibili «donate da Dio» e il mezzo per discernerle e goderne: lo Spirito Santo, unico agente che Dio utilizza per trasmettere i suoi pensieri (v. 12). A cosa può servire un brano di musica senza uno strumento per interpretarlo, o un disco senza l’apparecchio che permette di ascoltarlo? Quale sarebbe l’effetto del più bel concerto su un uditorio composto da sordi? Così il linguaggio dello Spirito è incomprensibile per «l’uomo naturale». Invece «l’uomo spirituale» può adattare «parole spirituali» a «cose spirituali» (v. 13 a 15).




1 Corinzi

Capitolo 3, versetti da 1 a 15

Distratti dalle loro divisioni e dalle loro liti, i Corinzi non avevano fatto alcun progresso. Erano come dei cattivi scolari che discutessero stupidamente su chi ha il maestro più sapiente o l’aula più bella. Paolo dichiara loro che occuparsi del servitore invece che del suo insegnamento era sintomo di puerilità, significava essere ancora carnali (v. 3). Quante volte confondiamo la verità con colui che la presenta: se, ad esempio, ascoltiamo un servitore di Dio col preconcetto che non abbia niente da darci, riceveremo quello che ci eravamo aspettati.

L’apostolo ricorda poi la responsabilità di chi edifica. Nell’opera di Dio, vista come un campo da coltivare o come un edificio, ogni operaio ha una propria attività. Può portare dei materiali (cioè diversi aspetti della verità): edificare le anime presentando loro la giustizia di Dio (l’oro), la redenzione (l’argento), le glorie di Cristo (le pietre preziose). L’edificio potrebbe sembrare molto grande, ma essere costruito con del legno, del fieno, della paglia, tutto lavoro che non resisterà al fuoco. Sì, «badi ciascuno come (non quanto) edifica» su questo fondamento unico e imperituro: Gesù Cristo.




1 Corinzi
 

Capitolo 3, versetti da 16 a 23
Capitolo 4, versetti da 1 a 5

Accanto ai veri operai che possono fare un cattivo lavoro (v. 15), vi sono dei falsi servitori che corrompono il tempio di Dio (v. 17). Che nessuno si faccia delle illusioni su ciò che è o su ciò che fa (v. 18). E diffidiamo dei criteri e dei ragionamenti umani: sono strumenti di misura ingannevoli. La sapienza del mondo è pazzia per Dio, e la sapienza di Dio pazzia per il mondo (v. 19). Entrambe si valutano in funzione dello scopo perseguito. «L’uomo naturale» commisera il credente in Cristo che, a suo parere, sacrifica, a un avvenire vago ed incerto, i vantaggi e i piaceri del momento presente. Potessimo essere tutti colti da questo tipo di pazzia! D’altronde, cosa sono le miserabili vanità di cui potremmo fare sfoggio di fronte a ciò che possediamo? Tutte le cose sono nostre, afferma Paolo; sono nostre perché noi stessi siamo di Cristo, al quale appartiene ogni cosa. Alla sua dipendenza possiamo disporre di tutto per il suo servizio. Ma l’importante è che «ciascuno sia trovato fedele» (cap. 4:2), poiché ognuno di noi è un amministratore, piccolo o grande, ed ognuno a questo titolo riceverà la sua lode, non da parte del fratello, ma da parte di Colui che legge nei cuori (v. 5; vedere 2 Timoteo 2:15).




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Capitolo 4, versetti da 6 a 21

La radice dei dissidi a Corinto che cos’era se non l’orgoglio? (Proverbi 13:10). Ognuno faceva valere i suoi doni spirituali e la sua conoscenza (cap. 1:5), dimenticando solo una cosa: di aver ricevuto tutto per pura grazia. Per rimanere umili, ricordiamoci sempre della domanda del v. 7: «Che hai tu che non l’abbia ricevuto?».

Inoltre, gonfiarsi così delle arie della propria importanza, significava desiderare tutt’altro che «Gesù Cristo crocifisso» (cap. 2:2), significava «regnare» fin da ora, mentre è scritto: «Se abbiam costanza nella prova (è il presente) con lui altresì regneremo» (2 Timoteo 2:12). Paolo, da parte sua, non aveva invertito le cose; accettava volentieri di prender posto con «la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti»…, parte di cui pochissimi cristiani sanno accontentarsi. Ma, sapendo che questo sarebbe stato per loro la vera felicità, l’apostolo supplica i suoi cari di Corinto di seguirlo in un simile cammino. Egli era il loro padre spirituale (v. 15) e voleva che gli assomigliassero, come i figli assomigliano al padre. Ora, se i suoi avvertimenti non fossero stati ascoltati, Paolo era pronto, quando sarebbe andato da loro, ad usare «la verga», cioè a prendere severi provvedimenti, dovere paterno che egli avrebbe assolto per il bene dei suoi «cari figli» (v. 14).




1 Corinzi

Capitolo 5, versetti da 1 a 13

L’apostolo affronta ora un argomento penoso. Oltre alle spiacevoli divisioni, vi era nell’assemblea di Corinto un grave peccato morale che, anche se commesso da un solo individuo, infangava l’intera assemblea (confr. Giosuè 7:13…) Ora, questo «lievito», che avrebbe dovuto gettare i Corinzi nella costernazione e nella vergogna, non impediva la loro «vanteria». È un po’ come se un uomo colto dalla lebbra fingesse d’ignorare la sua malattia e nascondesse le piaghe sotto abiti sontuosi. Nel nome del Signore, l’apostolo reclama la sincerità e la verità (v. 8), e non esita a mettere allo scoperto questo male senza mezzi termini. Prima di ogni servizio e di ogni testimonianza cristiana, è necessario che la coscienza sia in ordine. E la santità esige che i credenti, non solo si astengano dal male nella loro vita, ma si tengano separati dalle persone che vivono nel peccato pur fregiandosi del titolo di figli di Dio (v. 11). Qual è il grande motivo per il quale, individualmente e come assemblea, dobbiamo guardarci da ogni comunione e da ogni leggerezza nei riguardi del male? Non certo la nostra superiorità sugli altri, ma il valore infinito del sacrificio che ha espiato i nostri peccati (v. 7).




1 Corinzi

Capitolo 6, versetti da 1 a 20

Esisteva un altro disordine a Corinto. Alcuni fratelli erano arrivati al punto di portare le loro liti davanti ai tribunali di questo mondo. Testimonianza veramente triste! L’apostolo riprende sia colui che non ha sopportato il torto che colui che l’ha commesso. Esamina poi i principali vizi diffusi tra i pagani e dichiara solennemente che non è possibile essere salvati continuando a vivere nell’iniquità. Così erano alcuni di voi, conclude; ma ecco ciò che Dio ha fatto: siete stati lavati, santificati, giustificati! E tutto questo perché vi sporchiate nuovamente?

A parte il peccato, niente mi è proibito… ma tutto può schiavizzarmi se non sto attento (v. 12). «Il male non è nelle cose, ma nell’amore per le cose» (J.N.D.).

I versetti da 13 a 20 riguardano la purezza; che possano essere scolpiti soprattutto nel cuore dei giovani credenti, più esposti alle tentazioni carnali! Il nostro corpo non ci appartiene più. Dio l’ha riscattato, e non dimentichiamo mai a quale prezzo! Lo scopo era di farne per Cristo un membro del Suo corpo (v. 15) e, per lo Spirito Santo, un tempio che deve essere santo come santo è il suo Ospite divino (v. 19).




1 Corinzi

Capitolo 7, versetti da 1 a 40

Dopo aver messo in guardia il credente contro l’impurità al capitolo 6: 13 a 20, l’apostolo parla, al capitolo 7, del sentiero nel quale ci si può incamminare con l’approvazione del Signore: quello del matrimonio. Il giovane cristiano che ha badato alla sua via secondo la Parola (Salmo 119:9), dovrà più che mai continuare a contare su Lui per questa decisione capitale.

Tutte le istruzioni che l’apostolo Paolo dà qui sono impregnate di santità. Le istituzioni di Dio previste per l’uomo innocente (Adamo) sono mantenute in tutta la loro integrità e autorità; e sono una salvaguardia contro il peccato (v. 2). Ma lo Spirito introduce una forza nuova che supera gli impulsi naturali, senza minimamente sminuire il valore del matrimonio. Vivere secondo questa forza e rinunciare a sposarsi è il meglio che ci sia: si vive al di fuori della sfera dove il peccato opera così facilmente. Ma ci vuole un dono speciale di Dio, come aveva Paolo (v. 7; vedere Matteo 19:12).

C’è comunque un modo per piacere al Signore in ogni situazione: quello indicato nei vv. 29 a 31, «perché la figura di questo mondo passa».




1 Corinzi

Capitolo 8, versetti da 1 a 13

Al capitolo 8, Paolo si occupa delle carni macellate, che spesso erano offerte sugli altari pagani prima di essere vendute sul mercato. Per molti era un problema di coscienza (confr. Romani 14). Nei nostri paesi questo problema non c’è più, ma queste esortazioni si applicano a tutti i casi in cui rischiamo di scandalizzare un altro credente.

Non dobbiamo essere d’intoppo ai deboli ma cercare l’edificazione gli uni degli altri. Né dobbiamo «giudicare» un fratello o «disprezzare» l’altro (secondo l’insegnamento di Romani 14:1-3) «poiché tutti compariremo davanti al tribunale di Dio» (Rom. 14:10).

Quante cose conoscevano i Corinzi! «Non sapete voi… ?», ripete continuamente l’apostolo (vedere cap. 6:2,3,9,15,19…). Ahimè! a che cosa serviva questa conoscenza? Solo a trarne vanità. E noi corriamo questo stesso pericolo, noi che conosciamo spesso tante verità con l’intelligenza più che col cuore. Per conoscere «come si deve conoscere», bisogna amare Dio (v. 3); e amarlo significa mettere in pratica ciò che abbiamo il privilegio di sapere (Giovanni 14:21,23).




1 Corinzi

Capitolo 9, versetti da 1 a 18

Gonfiati dai loro doni e dalla loro conoscenza, alcuni uomini si erano attribuiti un posto preponderante nell’assemblea di Corinto. E poiché innalzare se stessi porta spesso ad abbassare gli altri, costoro erano arrivati a contestare l’autorità dell’apostolo, cioè quella di Dio. Paolo si trova obbligato in questo modo a giustificare il suo ministerio e la sua condotta. Evangelizzare era il suo dovere, gliel’aveva richiesto il Signore, ed egli non aveva disubbidito alla visione celeste (Atti 26:17-19).

L’esempio del lavoratore della terra torna frequentemente nella Parola, e sottolinea, prima di tutto, la fatica legata a questo lavoro (Genesi 3:17); poi la speranza e la fede che devono animare l’agricoltore (v. 10; 2 Timoteo 2:6); infine la pazienza con cui deve aspettare «il prezioso frutto della terra» (Giacomo 5:7). Ora, i Corinzi erano «il campo di Dio» (cap. 3:9), e il fedele operaio del Signore vi proseguiva il suo lavoro, dovendo rinunciare a molte cose legittime per non creare alcun ostacolo all’Evangelo di Cristo (quante cose meno legittime ostacolano spesso il nostro servizio). Paolo effettuava ora una penosa sarchiatura strappando, in un certo qual modo, tutte le cattive erbe che erano cresciute nel campo di Corinto.




1 Corinzi

Capitolo 9, versetti da 19 a 27

L’apostolo si faceva servitore di tutti per guadagnarli all’evangelo. Bisogna allora dedurre che si prestava ad ogni tipo di compromesso? Assolutamente no! Paolo era ritenuto «seduttore» per Cristo, eppure era «verace» (2 Corinzi 6:8). Ma, come Gesù al pozzo di Sichar, sapeva trovare ogni anima sul suo proprio terreno e parlarle il linguaggio che questa poteva comprendere. Ai Giudei presentava il Dio d’Israele, la loro responsabilità nel rigetto del Salvatore, Figlio di Davide, e la remissione dei peccati (Atti 13:38). Ai Gentili idolatri annunciava il Dio unico, paziente verso la sua creatura, ordinando il pentimento (Atti 17:22). L’apostolo aveva costantemente davanti agli occhi il premio che doveva coronare i suoi sforzi: tutte le anime salvate mediante il suo ministerio (1 Tessalonicesi 2:19; Filippesi 4:1). Teso verso questo scopo, correva come l’atleta nello stadio, disciplinando rigorosamente il suo corpo, non pensando che alla vittoria. Ma il campione sportivo ha davanti a sé solo una gloria effimera, degli allori che domani saranno appassiti (v. 25). La nostra corsa cristiana, invece, ha come premio una corona molto più gloriosa ed incorruttibile. Corriamo dunque in modo da riportarla (v. 24).




1 Corinzi

Capitolo 10, versetti da 1 a 13

Mediante l’esempio d’Israele, Paolo ci fa misurare la grossa responsabilità di coloro che professano di essere cristiani. Essi hanno avuto parte, in molti casi solo esteriormente, alle più eccellenti benedizioni spirituali: Cristo, la Sua opera, il Suo Spirito, la Sua Parola… (v. 3,4). Dio non può compiacersi della maggior parte di loro perché manca la fede (v. 5; Ebrei 10:38). Mediante la storia di Israele nel deserto, il Signore ci offre un triste esempio di ciò che i nostri cuori sono capaci di produrre, anche nell’ambito cristiano: cupidigia, idolatria, mormorii… E ci avverte solennemente di ciò che meritano questi frutti della carne, benché la grazia agisca in favore del credente. Ora, questo male, che è latente in noi, il tentatore cerca di farlo venir fuori mediante le sue sollecitazioni, per farci cadere. E ciò avviene proprio nel momento in cui potremmo sentirci forti in virtù delle nostre proprie forze (v. 12). Ma «Dio è fedele»; che pensiero incoraggiante! Conoscendo la nostra debolezza, Egli non permetterà a Satana di tentarci al di là di ciò che ognuno di noi può sopportare (vedere Giobbe 1:12, 2:6), ed ha preparato in anticipo un esito vittorioso (v. 13). Appoggiamoci su queste promesse ogni volta che il Nemico si presenta. Sì, Dio è fedele!




1 Corinzi
 

Capitolo 10, versetti da 14 a 33
Capitolo 11, versetto 1

La comunione con Dio, parte benedetta del credente, esclude ogni contatto con l’idolatria, anche sotto le sue forme più mascherate. La comunione è espressa in particolar modo alla «mensa del Signore». Coloro che partecipano al calice ed al pane sono in linea di massima tutti dei riscattati del Signore, ma sono ben lontani dall’essere tutti i riscattati del Signore. Tuttavia noi li vediamo per fede rappresentati nell’unico pane, segno visibile del fatto che vi è un unico corpo. Esso esprime quell’unità della Chiesa che il mondo religioso pretende di voler realizzare mentre esiste già, anche se non esiste, purtroppo, l’unione di tutti i credenti.

Se non cerco il mio interesse, quanti momenti diventano disponibili per gli interessi degli altri, che sono poi quelli di Gesù Cristo (confr. Filippesi 2:21)! Ora, cercare l’interesse degli altri non significa solo badare al loro benessere: significa anche pensare alla loro coscienza. Significa fare certe cose per loro e astenersi dal farne altre. Anche sotto questo aspetto sarò indotto a chiedermi: Nella situazione presente, ho la libertà di rendere grazie? Ciò che faccio in questo momento, compreso semplicemente mangiare e bere (in contrasto col versetto 7), è o non è per la gloria di Dio?




1 Corinzi

Capitolo 11, versetti da 2 a 16

Poche porzioni della Bibbia sono state fatte oggetto di tante contestazioni quanto gli insegnamenti di questi capitoli (v. 16). Perché l’apostolo — o piuttosto lo Spirito Santo — si occupa di questioni apparentemente minime, come il fatto che una donna deve portare i capelli lunghi e non pregare senza avere il capo coperto? Ricordiamoci prima di tutto che il nostro cristianesimo non consiste in qualche bella azione compiuta di tanto in tanto, ma che è fatto di un insieme di dettagli che formano la nostra vita quotidiana (Luca 16:10). D’altra parte, ricordiamoci che Dio è sovrano e non è tenuto a fornirci la spiegazione di tutto ciò che richiede nella sua Parola. Ubbidire senza discutere è la sola vera ubbidienza. Così, queste istruzioni sono una specie di test per ogni ragazza o donna cristiana. È come se il Signore le domandasse: Farai questo per me? Avrai a cuore di mostrare con questo segno esteriore la tua dipendenza e la tua sottomissione, oppure farai passare in primo piano le esigenze della moda o della comodità?

Infine, non dimentichiamo questo fatto solenne: il mondo invisibile degli angeli osserva in che modo i credenti rispondono al pensiero di Dio (v. 10). Quale spettacolo offriamo loro?




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Capitolo 11, versetti da 17 a 34

A Corinto vi erano dei partiti. Anche le riunioni dell’assemblea ne risentivano. I ricchi facevano vergognare i poveri e provocavano la loro gelosia. Cosa ancor più grave, la cena del Signore, confusa con l’agape (il pasto in comune), era presa indegnamente da molti. All’apostolo si presenta l’occasione per ricordare ciò che il Signore gli ha rivelato.

La cena è il santo ricordo d’un Cristo che si è dato per noi. Un ricordo che parla certamente al cuore di ogni partecipante, ma che proclama anche questo fatto capitale: Colui che è il Signore ha dovuto morire. E, fino al Suo ritorno, noi siamo invitati ad annunciare questa morte del Signore col linguaggio così grande e semplice che ci è stato insegnato. Questo memoriale parla infine alla coscienza del credente, poiché la morte di Cristo significa la condanna del peccato. Prendere la cena senza essersi prima giudicati espone dunque (per la terra) agli effetti di questa condanna. Così si spiegava la debolezza di molti a Corinto (e forse di molti di noi), la malattia, ed anche la morte, che avevano colpito alcuni quale castigo (v. 30). Tuttavia, il timore non deve tenerci lontani (v. 28), ma può e deve accordarsi con una risposta fervente a Colui che ha detto: «Fate questo in memoria di me» (v. 24,25).




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Capitolo 12, versetti da 1 a 13

Parlando delle riunioni dell’assemblea, l’apostolo ha dato il primo posto alla celebrazione della cena (cap. 11:20-34). In seguito tratta dei doni e dei servizi che hanno in vista l’edificazione. Non trascuriamo alcuna di queste riunioni!

Paolo ricorda a questi credenti che essi erano un tempo idolatri, trascinati dagli spiriti satanici (v. 2). Che cambiamento! Ora è lo Spirito di Dio che li conduce, operando in loro «come Egli vuole» mediante i doni che distribuisce (v. 11). L’apostolo enumera questi doni, precisando che essi sono dati in vista dell’utile comune. E, per illustrare sia l’unità della Chiesa che la diversità dei servizi, prende l’esempio del corpo umano: composto da molte membra e organi che possono funzionare solo in presenza degli altri, esso costituisce tuttavia un organismo unico, condotto da una sola volontà, quella che la testa comunica ad ogni membro. Così è il corpo di Cristo. Se comprende molte membra (i credenti), è però animato da un unico Spirito per compiere un’unica volontà, quella del Signore che è «il capo» (cioè la testa: Efesini 4:15,16). Non dobbiamo dunque scegliere noi né la nostra attività (v. 11), né il luogo in cui dobbiamo esercitarla (v. 18).




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Capitolo 12, versetti da 14 a 31

Che cosa meravigliosa è il nostro corpo! «Io ti celebrerò, perché sono stato fatto in modo meraviglioso, stupendo», esclama Davide nel Salmo 139:14. Sì, che diversità e che armonia in questo complesso insieme di membra e di organi, il più piccolo dei quali ha la sua ragione d’essere e la sua specifica funzione! L’occhio e un dito, ad esempio, non possono sostituirsi l’un l’altro. Ma il dito ci permette di togliere la polvere che irrita l’occhio. Basta che un solo organo funzioni insufficientemente o in modo sregolato perché tutto il corpo risulti ben presto ammalato.

Tutto ciò trova il suo equivalente nella Chiesa, corpo di Cristo. «Le membra… che paiono essere più deboli, sono invece necessarie» (v. 22), e ognuno deve guardarsi dal disprezzare sia la propria funzione (v. 15,16) che quella degli altri (v. 21). Una cristiana anziana o inferma, con le preghiere, con una parola detta a proposito o semplicemente con un conforto materiale, potrà sostenere lo zelo d’un evangelista o d’un pastore. Così, ognuno impieghi ciò che ha ricevuto per gli altri, come un buon dispensatore della svariata grazia di Dio (1 Pietro 4:10).




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Capitolo 13, versetti da 1 a 13

Dopo le diverse membra del corpo di Cristo che troviamo al cap. 12 (piede, mano, orecchio, occhio), al capitolo 13 è come se trovassimo il cuore. Il suo ruolo è quello di far giungere la vita e il calore a tutti gli altri organi. Ricordiamo che l’amore non è un dono, come quelli del capitolo 12, ma il movente necessario all’esercizio di tutti i doni. È una «via» aperta a tutti e che conduce verso tutti (12:31). Come una strada è fatta per camminarvi sopra, così l’amore si conosce veramente solo con l’esperienza. Ecco perché questo meraviglioso capitolo non ce ne dà alcuna definizione. Vi troviamo una lista non limitativa (ma sufficiente per umiliarci profondamente), di tutto ciò che l’amore fa e soprattutto di ciò che non fa. Questa è stata la via percorsa da Cristo quaggiù; ed osserviamo che il suo Nome può essere sostituito al termine «amore» in questo capitolo senza minimamente mutarne il senso (vedere 1 Giovanni 4:8). Nella nostra conoscenza delle cose ancora invisibili, tutto è parziale, indistinto, precario. Ma presto vedremo «faccia a faccia». Allora il nostro Salvatore, che ci ha conosciuto a fondo, ci farà entrare nella completa conoscenza di Se stesso (v. 12; Salmo 139:1). Allora l’amore imperituro sarà perfettamente ed eternamente soddisfatto nel nostro cuore e nel Suo.




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Capitolo 14, versetti da 1 a 19

Molti si lamentano dell’attuale debolezza dovuta all’assenza di doni in molte assemblee. Ma, in realtà, li ricerchiamo noi come invita a fare il v. 1? Il Signore forse si è proposto di affidarvi un certo dono e, per farlo, aspetta di leggere in voi questo ardente desiderio. Chiedeteglielo… insieme all’umiltà che vi impedirà di gloriarvi di questo dono; non è per voi, ma per l’Assemblea (v. 12). I Corinzi si servivano dei doni per la loro gloria personale, e ne era derivato il più grande disordine. L’apostolo li riporta ad una giusta valutazione delle cose, mostrando loro che il dono di cui si vantavano maggiormente, quello delle lingue, era proprio uno dei meno grandi (v. 5). Il dono di profezia era invece, e resta, particolarmente desiderabile. Non è più, come un tempo, la rivelazione del futuro, ma serve ad edificare, ad esortare, a consolare.

Il v. 15 ci ricorda che, per pregare come per cantare, è necessaria una partecipazione della nostra intelligenza. Noi che siamo spesso così distratti in presenza del Signore, pensiamo a ciò che esprimiamo davanti a Dio; applichiamoci a meditarne la profondità. Ma che il nostro spirito sia condotto dallo Spirito Santo.




1 Corinzi

Capitolo 14, versetti da 20 a 40

Il dono delle lingue era accordato, all’inizio, come prova che il messaggio di salvezza era universale, e non certo per edificare l’assemblea. Ora, «l’edificazione» è la parola chiave di questo capitolo, la pietra di paragone alla quale ogni azione deve essere confrontata; ciò che mi propongo di dire o di fare è realmente per il bene dei miei fratelli (Efesini 4:29)? D’altronde, se ho in vista il loro profitto, troverò sempre allo stesso tempo una benedizione per me stesso. Se invece penso al mio interesse o alla mia gloria, alla fine ci sarà una perdita per gli altri e per me (3:15).

Altre due condizioni sono alla base della vita dell’assemblea: il decoro e l’ordine (v. 40). Sono le due dighe fra le quali deve essere contenuta la corrente dello Spirito. Esse impongono delle regole pratiche che coinvolgono il buon senso (v. 26-33) o l’ordine divino (v. 34,35). L’apostolo non voleva che i Corinzi fossero ignoranti (12:1). Tuttavia, se qualcuno trascura di istruirsi su questi soggetti concernenti l’assemblea, ebbene, dice Paolo, che resti ignorante (v. 38)! Dio è un Dio di pace (v. 33) e vuole che l’assemblea, rispondendo ai suoi caratteri, sia un luogo in cui Egli possa condurre degli inconvertiti, i quali vi riconosceranno la Sua presenza (v. 24,25).




1 Corinzi

Capitolo 15, versetti da 1 a 19

Restava da regolare una grave questione: alcune persone a Corinto negavano la risurrezione. Paolo dimostra che non si può intaccare questa dottrina senza sconvolgere tutto l’edificio della fede cristiana. Se non c’è risurrezione, neanche Cristo è risorto; la sua opera non ha ricevuto l’approvazione di Dio; la morte non è stata vinta e noi siamo ancora nei nostri peccati. Di conseguenza, l’Evangelo non ha più alcun senso, e la nostra fede ha perso ogni appoggio! La vita di rinuncia e di separazione del cristiano diventa assurda, ed egli diventa uno da compiangere, poiché perde sia la vita presente che l’eternità.

Grazie a Dio, non è così: «Il Signore è veramente risuscitato» (Luca 24:34). Ma di fronte all’importanza di questa verità, comprendiamo perché Dio ha avuto tanta cura di stabilirla. In primo luogo, mediante le Scritture (v. 3,4); poi, per mezzo di testimoni che danno garanzia sia per la loro qualità (Pietro, Giacomo, Paolo stesso benché se ne dichiari indegno), sia per il loro numero (circa cinquecento fratelli che potevano ancora essere interrogati). E, senza dubbio, più d’uno fra i nostri lettori, senza avere ancora visto il Signore Gesù coi suoi occhi, ha sperimentato personalmente che il suo Salvatore è vivente (confr. Giobbe 19:25).




1 Corinzi

Capitolo 15, versetti da 20 a 34

Cristo risorto non ha fatto che precedere i credenti che si sono «addormentati», i quali risusciteranno alla sua venuta. Per quanto riguarda gli altri morti, essi saranno «resi viventi» solo più tardi, per comparire davanti al trono del giudizio (Apocalisse 20:12). E solo allora tutto sarà definitivamente sottomesso a Cristo. Dopo di che, il pensiero si perde nelle profondità della beata eternità in cui Dio sarà infine tutto in tutti (v. 28).

Chiusa questa gloriosa parentesi (v. 20-28), l’apostolo mostra come il fatto di credere o non credere alla vita futura determini il comportamento di tutti gli uomini… a cominciare dal suo (v. 30-32). Quanti infelici vi sono, per i quali tutta la religione consiste in queste parole: «Mangiamo e beviamo, perché domani morremo»! (v. 32). Essi si convincono che non esiste niente al di là della tomba per poter godere senza freno della loro breve esistenza, «come bruti senza ragione, nati alla vita animale» (2 Pietro 2:12). Quanto al cristiano, la sua fede lo dovrebbe tenere sveglio (v. 34), preservarlo dall’associarsi a compagnie pericolose, impedirgli di mangiare e bere con gli ubriaconi di questo mondo (v. 33; Matteo 24:49). Che la compagnia del Signore e dei suoi ci basti fino al Suo ritorno!




1 Corinzi

Capitolo 15, versetti da 35 a 50

A che cosa assomiglierà il nuovo corpo di cui il credente sarà rivestito nella gloria? (v. 35). La Bibbia non soddisfa mai la nostra curiosità. A tutti gli sforzi della nostra immaginazione risponde: «Insensato». Se vi presentassi un seme sconosciuto, voi non potreste dirmi che genere di pianta ne uscirà. Così, in un bruco ripugnante e insignificante, niente lascia prevedere la farfalla che si sprigionerà multicolore con tutti i suoi giochi di luce. Ma per assistere ai piccoli miracoli della germinazione o della metamorfosi sono necessarie la morte del seme così come il sonno della crisalide (confr. Giovanni 12:24). Così, il riscattato che si è «addormentato» apparirà rivestito d’un corpo di risurrezione. Che avvenire straordinario è riservato a questo corpo di polvere, semplice involucro dell’anima! Esso risuscita «incorruttibile»: la morte non ha più alcun potere su di esso. Sarà «glorioso» e «potente», senza più infermità e debolezza; sarà «corpo spirituale», definitivamente libero dalla carne e dai suoi desideri, strumento perfetto dello Spirito Santo. Infine, sarà simile a quello di Cristo risuscitato. Non abbiamo già sufficienti e preziose informazioni sul nostro stato futuro, e motivi per glorificare Dio fin da ora nel nostro corpo? (6:14,20).




1 Corinzi
 

Capitolo 15, versetti da 51 a 58
Capitolo 16, versetti da 1 a 9

Questa magistrale esposizione della dottrina della risurrezione non sarebbe completa senza un’ultima rivelazione: non tutti i credenti passeranno attraverso il sonno della morte. I viventi non saranno dimenticati quando Gesù verrà. «In un batter d’occhio» avrà luogo la straordinaria trasformazione che renderà ognuno adatto alla presenza di Dio. Come nella parabola gli invitati alle nozze regali dovevano cambiare i loro stracci con l’abito glorioso (Matteo 22), così i morti e i viventi rivestiranno un corpo incorruttibile e immortale. Allora, la vittoria di Cristo sulla morte, di cui ha dato prova nella sua risurrezione, avrà il suo grandioso compimento nei suoi riscattati. Ebbene! come ogni verità, questo «mistero» deve avere una conseguenza pratica nella vita di ogni riscattato. La nostra speranza è «ferma» (Ebrei 6:19); restiamo saldi anche noi, «incrollabili, abbondanti sempre nell’opera del Signore». Il nostro lavoro non sarà mai vano se è fatto «nel Signore» (v. 58, risposta al v. 32). Anche se nessun frutto è visibile sulla terra, vi è un seguito in risurrezione.

Il capitolo 16 fornisce un esempio di servizio cristiano: la colletta ogni primo giorno della settimana. Essa è molto importante per il cuore dell’apostolo e per quello del Signore.




1 Corinzi

Capitolo 16, versetti da 10 a 24

Questi versetti contengono le ultime raccomandazioni dell’apostolo, alcune notizie, e i saluti che rivolge ai suoi cari Corinzi. Fra di loro, si compiace di riconoscere dei fratelli devoti e degni di rispetto: Stefana, Fortunato, Acaico, e li cita ad esempio (1 Timoteo 3:13).

Per quei credenti di Corinto che si occupavano solo degli effetti esteriori e spettacolari del cristianesimo, Paolo ha sottolineato quali motivi dovevano farli agire: «fate tutto alla gloria di Dio» (10:31); «facciasi ogni cosa per l’edificazione» (14:26); «ogni cosa sia fatta con decoro e con ordine» (14:40); ora dice: «Tutte le cose vostre sian fatte con carità» (v. 14). Ed è su questo termine carità (cioè amore) che Paolo termina quest’epistola pur così severa (confr. 2 Corinzi 7:8).

Senza tener conto dei partiti che esistevano a Corinto, egli afferma: «L’amor mio è con tutti voi in Cristo Gesù». Però, essendovi quella triste condizione, se vi era qualcuno che non amava il Signore, si escludeva da solo da questo saluto e la Sua venuta assumeva per lui un carattere solenne. «Maràn-atà»; il Signore viene! Che possiamo aspettarlo con gioia!