Piccolo commentario dell’Evangelo secondo Giovanni

Jean Koechlin

Le citazioni bibliche di questo commentario fanno riferimento alla versione Giovanni Luzzi


Giovanni

Capitolo 1, versetti da 1 a 18

«L’unigenito Figlio», il Signore Gesù Cristo, ha fatto conoscere il Padre. Ecco il riassunto di questo evangelo (v. 18, leggere anche 1 Giovanni 4:9).

Già il primo versetto (ogni termine del quale merita di essere meditato) che lo presenta come la Parola, una Persona eterna, distinta da Dio pur essendo Dio. Per quanto indietro nel tempo possiamo andare col nostro pensiero, essa era (Salmo 90:2). Ma questa Parola creatrice, sorgente unica di vita e di luce, non si è rivolta a noi dall’alto del cielo; no, essa è venuta nel mondo, sottomettendosi alle nostre limitazioni nel tempo e nello spazio. Mistero insondabile! La Parola è stata fatta carne (v. 14; 1 Timoteo 3:16). E non è venuta come un veloce messaggero che subito torna a chi l’ha mandato; essa ha abitato in mezzo a noi, pur continuando ad essere nel seno del Padre («che è nel seno del Padre» v. 18).

Tutto ciò che Dio è nella sua natura, amore e luce (grazia per il cuore e verità per la coscienza del peccatore) si è avvicinato a noi e ha brillato in questa adorabile Persona. Ma le tenebre morali dell’uomo non hanno ricevuto la vera luce (v. 5). Il mondo non ha conosciuto il suo Creatore. I suoi (i Giudei) non hanno ricevuto il loro Messia (v. 11). E voi, lettori, avete ricevuto Gesù come vostro Salvatore? Se così è, siete un figlio di Dio (v. 12; Galati 3:26).




Giovanni

Capitolo 1, versetti da 19 a 34

I delegati dei Giudei andarono da Giovanni Battista non tanto perché sentivano il peso dei loro peccati quanto per curiosità, per il desiderio di farsi un’idea; o forse anche per risolvere qualche loro inquietudine. La loro intervista offrì comunque a Giovanni l’occasione di dare il suo messaggio (leggere 1 Pietro 3:15, alla fine). Ma non è di sé che Giovanni ha da parlare (v. 22); lui non è che una voce, un «uomo mandato da Dio… per render testimonianza alla luce» (v. 6 a 8). Non dimentichiamo che ogni vero credente, riscattato dal Signore, è chiamato a rendere testimonianza alla luce e a condursi come figlio di luce (Efesini 5:8); in se stesso non è nulla, ma è uno strumento per mezzo del quale Cristo, la luce morale del mondo, deve essere manifestato.

Dio ha indicato al suo servitore Giovanni come riconoscere Colui che ha da designare; «Ecco l’Agnello di Dio» grida allora Giovanni quando vede venire Gesù. Dio ha provveduto una vittima santa, un «agnello», per togliere il peccato del mondo. Essa era attesa fin dalla caduta dell’uomo in Eden e preannunciata dai profeti e dalle varie figure e simboli dell’Antico Testamento (Isaia 53; Esodo 12:3). E che vittima! L’Agnello di Dio è nientemento che il suo Figlio diletto (v. 34).




Giovanni

Capitolo 1, versetti da 35 a 52

Il cammino di Gesù (e non più soltanto lo Spirito che scende in modo visibile su di lui, v. 33) riempie il cuore di Giovanni di convinzione e di gioia (v. 36); e questi due sentimenti parlano agli altri, tanto che due dei suoi discepoli che lo sentono parlare si affezionano a Gesù; e lo seguono, e godono della sua presenza, come noi la possiamo ora realizzare secondo la sua promessa (Matteo 18:20). Andrea ci dà ancora un altro esempio da seguire: porta a Gesù il proprio fratello, Simone. Prima di pensare a grandi attività missionarie, pensiamo ai nostri parenti più prossimi che ancora non conoscono il Signore. Andrea è un discepolo che non emerge, ma il suo servizio di quel giorno ebbe grandi conseguenze perché Simone diventò l’apostolo Pietro. Filippo sente la chiamata del Signore e a sua volta parla a Natanaele di questo «Nazareno» che è il Messia promesso. Nessun argomento ha il peso di questo semplice invito: «vieni a vedere».

Quanti nomi e titoli magnifici esaltano, in questo capitolo, le glorie eterne, attuali e future, del Signore Gesù Cristo; Parola, Vita, Luce, Figlio unigenito che è nel seno del Padre, Agnello di Dio, Maestro che insegna, Messia (o Cristo), Re d’Israele, Figlio dell’uomo.




Giovanni

Capitolo 2, versetti da 1 a 12

Gesù è invitato a un matrimonio. Notiamo, però, che tutta la scena qui descritta si svolge fuori dalla sala della festa e che nulla ci è detto degli sposi. La sola cosa che sappiamo di loro è che hanno avuto la bell’idea di invitare Gesù e i suoi discepoli. Cari amici, facciamo entrare il Signore in tutte le nostre circostanze! Ma potrà Egli sempre prendere parte a certe nostre feste di famiglia e a certi nostri divertimenti? Facciamo in modo che lo possa?

Lui solo può dare la vera gioia, di cui il vino è immagine nella Parola. Tuttavia, è l’acqua (destinata alla purificazione) che produce il «vino» della gioia. Così sarà di Israele nel tempo del suo ristabilimento, e così è di noi. Non gusteremo le gioie spirituali se non nella misura in cui praticheremo il giudizio di noi stessi, per mezzo della Parola di Dio.

L’uomo usa servire prima il vino buono (v. 10). Fin dalla sua giovane età si affretta a godere di tutto ciò che la vita può offrirgli; col passare del tempo, poco a poco, verranno le pene, le preoccupazioni, l’invecchiamento, la morte. Il vino migliore è stato servito per primo! Ma Gesù fa l’opposto: ha riservato ai suoi delle gioie eterne, impossibili da paragonare con le effimere gioie di quaggiù. Non desideriamo altro che quelle!




Giovanni

Capitolo 2, versetti da 13 a 25

Da Capernaum, Gesù sale a Gerusalemme. La Pasqua «dei Giudei» è vicina. è chiamato «dei Giudei» perché, a causa dell’infedeltà di quel popolo, non ha ormai più il carattere di una solennità «dell’Eterno» né di una «santa convocazione» (Levitico 23; vedere Giovanni 7:2). Un vergognoso commercio si svolge nel Tempio in quell’occasione. Alla vista dei commercianti che vendono gli animali necessari ai sacrifici e dei cambiavaluta, il Signore indignato purifica la casa del Padre suo (v. 16).

Amici cristiani, il nostro corpo è il tempio dello Spirito Santo (1 Corinzi 6:19). Se ci siamo lasciati dominare da abitudini o da pensieri impuri, lasciamo che il Signore metta ordine in noi e ci santifichi. Egli è geloso delle nostre affezioni e vuole che siano tutte per il suo Padre.

Le persone dei vv. 23-25 credevano in Gesù con la mente senza che il loro cuore fosse veramente toccato. Essi riconoscevano la sua potenza per fare i miracoli, ma non c’era la fede in loro, e Gesù non si fidava di loro. «La fede viene dall’udire… per mezzo della Parola di Cristo» (v. 22 e Romani 10:17). La perfetta conoscenza che Gesù ha del cuore umano è una dimostrazione della sua divinità (v. 25; leggere Geremia 17:9-10). Ma non per questo il suo amore si raffredda, poiché i suoi motivi per amare gli uomini il Signore li trova in se stesso e non in noi, poveri e miseri peccatori!




Giovanni

Capitolo 3, versetti da 1 a 21

Timoroso, ma spinto da un bisogno dell’anima, Nicodemo incontra Colui che è la vita e la luce (1:4,5). Questo capo dei Giudei, eminente dottore di Israele, apprende dal divino Dottore una verità per lui strana e umiliante; né le sue conoscenze, né le sue qualità umane gli danno diritto di entrare nel regno di Dio. Poiché, come si entra nel mondo degli uomini con la nascita naturale, così un’altra nascita è necessaria per entrare nella sfera spirituale.

Qui troviamo due «bisogna» nella risposta del Signore. Una si applica all’uomo; «Bisogna che nasciate di nuovo», l’altra, che è la controparte, terribile per lui, concerne il nostro adorabile Salvatore: «Bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato…». L’elevazione di Gesù Cristo sulla croce mi salva dalla perdizione eterna (v. 14,15; vedere Numeri 21:8,9). Contemplandolo, imparo a conoscere l’amore di Dio per il mondo (quindi per me, personalmente) e vedo la dimostrazione suprema ch’Egli ha dato di quest’amore. Il mondo sarà giudicato, ma non senza essere stato prima amato. Tutto l’Evangelo è contenuto in questo meraviglioso versetto 16, mezzo di salvezza di innumerevoli peccatori e che ancora oggi rende stupefatte le nostre anime e ci spinge ad adorare Dio.




Giovanni

Capitolo 3, versetti da 22 a 36

I discepoli di Giovanni Battista sono un po’ gelosi vedendo il loro maestro perdere importanza a favore di Gesù (v. 26, cap. 4:1). Questi uomini (eccetto due, fra cui Andrea, che avevano lasciato Giovanni per seguire Gesù, 1:37) non avevano capito quale fosse la vera missione di Giovanni, il «precursore». Egli era l’amico dello Sposo; e proprio ciò che provocava lo scontento dei discepoli rendeva la sua allegrezza completa (v. 29). Giovanni era felice di diminuire davanti al Signore. La sua bella risposta dovrebbe scolpirsi nei nostri cuori: «Bisogna ch’Egli cresca, e che io diminuisca» (v. 30)!

Queste parole danno occasione a Giovanni di esaltare il Signore Gesù: Egli è al di sopra di tutti, non per l’autorità che le folle gli riconoscono, ma in quanto venuto dal cielo (v. 31); venuto non come un angelo, ma come oggetto di tutte le affezioni del Padre e suo erede (Ebrei 1:2). Una simile visita mette l’umanità intera alla prova e la divide in due grandi categorie: quelli che credono al Figlio, i quali hanno già fin d’ora la vita eterna, e quelli che non credono, sui quali rimane l’ira di Dio. Cosa terribile! Voi, in quale delle due categorie siete? (20:31).




Giovanni

Capitolo 4, versetti da 1 a 18

Non è soltanto per gente stimata, come Nicodemo, che Dio ha dato il suo unico Figlio. Questo meraviglioso «dono di Dio» (v. 10) è stato fatto, gratuitamente, ai più miserabili peccatori.

Che quadro abbiamo qui! Nel suo umile abbassamento, il Figlio di Dio è ora seduto, come un vero uomo, stanco e assetato, sull’orlo di quel pozzo. Eppure Egli non pensa ad altro che alla salvezza della sua creatura. Una donna si avvicina, e vedete come s’adopera Gesù per guadagnare la sua fiducia! Le chiede un servizio, e si mette a parlarle di cose che lei ben conosce. Avida di trovare la felicità, questa donna aveva bevuto tante acque deludenti di questo mondo. Aveva cercato la felicità con cinque mariti; ma ancora aveva sete! Il Salvatore conosce per lei un’acqua viva di cui egli stesso è la sorgente (v. 10,13,14; vedere Geremia 2:13,18 e 17:13).

Senza sapere di che natura è quell’acqua, la Samaritana aspetta di ricevere dal Signore questo dono straordinario. Però bisogna prima che il Signore metta il dito sulla sua piaga, su ciò che non è in regola nella vita di questa donna (v. 16,18). Perché non si può essere felici finché la luce di Dio non è penetrata nella coscienza. La grazia, in Gesù Cristo, è inseparabile dalla verità (1:17).




Giovanni

Capitolo 4, versetti da 19 a 38

Cosa sorprendente, il primo insegnamento del Signore a questa povera Samaritana verte non sulla sua condotta ma sull’adorazione, compito sublime di tutti i credenti. Dove, quando e come la lode deve essere presentata a Dio? Messa da parte la religione delle forme e delle cerimonie israelitiche, è venuta l’ora del culto in spirito e verità. A chi e per mezzo di chi deve essere offerto? A Dio, ma non più come «l’Eterno», il Dio d’Israele, ma come Padre, sulla base della nuova relazione che il credente ha di figlio di Dio per la fede. Da allora in poi, è a loro che spetta il compito di presentare la lode. Essi sono chiamati i veri adoratori. Voi che Dio ha cercato con questo scopo, priverete il Signore del frutto del suo lavoro?

Udite queste cose, la donna abbandona in fretta la sua secchia e corre in città a far conoscere Colui che ha incontrato. I discepoli, invece, non sono capaci d’entrare nei pensieri del loro Maestro. Le sue forze e la sua gioia Gesù le traeva dalla comunione col Padre suo (v. 34) e dalle prospettive che gli stavano davanti. Già Egli vedeva la messe futura: la moltitudine di coloro ch’Egli avrebbe riscattato (v. 35; vedere Salmo 126:6) col suo sangue versato alla croce.




Giovanni

Capitolo 4, versetti da 39 a 54

Gesù passa due giorni fra questi Samaritani, popolo disprezzato come Egli stesso lo era (vedere cap. 8:48). E molti credono in Lui non più soltanto per le parole della donna e per la sua testimonianza, ma in seguito al contatto personale che hanno avuto col «Salvatore del mondo» (v. 42; 1 Giovanni 4:14). Cari amici, non vi accontentate dell’esperienza di altri per conoscere il Signore; abbiate con Lui un incontro personale, decisivo.

Gesù va poi in Galilea. Qui incontra un signore della corte, il quale, in pena per il figlio gravemente ammalato, insiste perché il Maestro vada e lo guarisca. Quest’uomo non ha certo la fede di quel centurione romano della stessa Città di Capernaum che non si stimava degno della visita del Signore e si accontentava di una sola parola per la guarigione del suo servo (Luca 7:7)!

Gesù, per prima cosa, insegna a questo padre angosciato che la fede consiste nel credere alla Sua parola senza aver bisogno di vedere (v. 48; vedere cap. 2:23). è per mettere quest’uomo alla prova che il Signore non va con lui. E la potenza della morte è vinta dalla potenza di vita venuta dall’alto (1 Giovanni 5:12).




Giovanni

Capitolo 5, versetti da 1 a 14

Questa piscina di Betesda (che significa «casa di misericordia») era un’immagine dell’antico patto fatto da Dio con Israele. Ci voleva forza perché i malati potessero gettarsi nell’acqua guaritrice; ma per avere questa forza, avrebbero dovuto… essere guariti! Così è della legge data da Dio tramite Mosé: essa fa vivere solo chi la osserva, ma nessuno è capace d’osservarla. A meno d’aver ricevuto la vita divina.

Ci si può chiedere come mai, fra tutta questa folla di zoppi, di ciechi, di malati, Gesù sembra occuparsi soltanto del paralitico. Per essere al beneficio della sua grazia, due condizioni sono indispensabili: bisogna provarne il desiderio e il bisogno. Questi sentimenti sono messi in risalto dalla domanda del Signore: «Vuoi esser risanato?» e dalla risposta dello sventurato: «Signore, io non ho alcuno che… ».

Sempre davanti a questa piscina, tutta la sua vita non era stata altro che delusione su delusione. Forse nel tempo aveva contato sui suoi o su amici fedeli, ma questi s’erano stancati. Ben trentott’anni c’erano voluti per fargli perdere le ultime illusioni! Adesso non ha più nessuno; però può avere Gesù.

Amico ancora incredulo, non aspettare per credere che Gesù solo può salvarti. Ma desideri veramente essere salvato?




Giovanni

Capitolo 5, versetti da 15 a 30

L’odio dei Giudei è l’occasione per Gesù di rivelare ancora qualcuna delle sue glorie:

  1. Il suo lavoro d’amore per togliere il peccato del mondo (v. 17; cap. 1:29). In presenza della rovina della sua creazione a causa del peccato dell’uomo, il Figlio, come anche il Padre, non poteva riposarsi.
  2. L’affetto infinito del Padre per questo Figlio col quale condivide tutti i disegni (v. 20; cap. 3:35).
  3. La potenza di vita che è in lui (v. 21 e 26) per la quale egli dà ora la vita eterna a quelli che credono in Lui (v. 24). Egli eserciterà questa potenza in un’ora ancora futura per la risurrezione dei morti (v. 28 e 29).
  4. Il giudizio che gli è stato affidato nella sua qualità di Figlio dell’uomo (v. 22 e 27).
  5. Infine (v. 19 e 30), la sua ubbidienza. Che valore essa assume quando è realizzato proprio da Colui che ha diritto di esigere l’ubbidienza da ogni sua creatura (v. 23)!

 

Se il Signore parla delle sue glorie personali è perché sono strettamente legate a quelle del Padre suo. Non onorare il Figlio è offendere Colui che l’ha mandato (v. 23, vedere 1 Giovanni 2:23).

Cari amici, di fronte a tutte le perfezioni del nostro Salvatore, anche noi possiamo essere in ammirazione (v. 20, fine) e adorare!




Giovanni

Capitolo 5, versetti da 31 a 47

Gesù risponde all’incredulità dei Giudei rilevando quattro testomonianze a suo favore: quella di Giovanni Battista (v. 32 a 35), quella delle sue proprie opere (v. 36), quella del Padre che al Giordano l’aveva designato suo diletto Figlio (v. 37), quella delle Scritture (v. 39). è parlato spesso di Messia nei libri di Mosè (v. 46; vedere Genesi 49:10,25 e Numeri 24:17). Ma i Giudei, pur pretendendo di venerare Mosè, non credevano alle sue parole in quanto respingevano il Cristo che egli aveva annunciato (v. 46; Deuteronomio 18:15). Per contro, essi saranno pronti a ricevere l’Anticristo (v. 43)!

«Voi investigate le Scritture», dice il Signore Gesù, «eppure non volete venire a me». Soltanto per mezzo di esse noi possiamo progredire nella conoscenza della sua persona infinita.

Ricevere la gloria degli uomini e cercare la loro approvazione è una forma d’incredulità (v. 44). Dio dichiara che noi non siamo nulla (Galati 6:3) e che non c’è nulla di cui possiamo gloriarci (2 Corinzi 10:17). Ma piuttosto di credere a Lui, quanta gente preferisce compiacersi nella stima che altri possono avere di loro!

Gesù non cercava la gloria degli uomini (v. 41; vedere Paolo in 1 Tessalonicesi 2:6). E noi potremo imitarlo se abbiamo in noi l’amore di Dio e il desiderio di piacergli (v. 42).




Giovanni

Capitolo 6, versetti da 1 a 21

Le folle hanno seguito il Signore Gesù. Ma, come molti anche oggi nella cristianità, erano attratte più dalla sua potenza che dalla sua grazia e da tutte le sue perfezioni morali. Ora, l’una non va senza le altre; una volta di più, Gesù sta per manifestarle tutte assieme in questa scena della moltiplicazione dei pani. Il ragazzo menzionato al v. 9 ci ricorda che ad ogni età possiamo fare qualcosa per il Signore e per il bene degli altri. Pare sia stato il solo ad essersi preoccupato del proprio nutrimento. Accettando di mettre quel poco a disposizione del Signore diventa il mezzo per provvedere ai bisogni dei cinquemila uomini. Quando il Signore vuole servirsi di noi, non prendiamo a pretesto la nostra giovane età o l’insufficienza delle nostre risorse; sa lui come utilizzarle (Geremia 1:6-7).

Dopo questo miracolo vogliono prendere Gesù per farlo re. Ma Egli non può ricevere il regno dalla mano degli uomini (5:41), e tanto meno dalle mani di Satana (Matteo 4:8-10). è Dio che lo fa re (Salmo 2:6).

Infine, in un’altra scena tutta illuminata essa pure della sua grazia e dalla sua potenza, lo vediamo venire incontro ai suoi discepoli sul mare in burrasca a dissipare la loro paura.




Giovanni

Capitolo 6, versetti da 22 a 36

Il Signore non sbaglia. Quelle folle gli andavano dietro per un motivo molto materialistico: speravano che Gesù continuasse a dar loro del pane. Così Egli li invita a lavorare per il cielo (v. 27). Domandiamoci se il nostro lavoro ha in vista prima di tutto le cose del cielo che nutrono l’anima nostra e che durano, piuttosto che quelle di quaggiù destinate a perire.

Ma allora, dobbiamo fare delle opere per essere salvati e guadagnarci il cielo? Molti cristiani ancora oggi pensano così (vedere v. 28). Ma la Parola di Dio afferma: «è per grazia che voi siete stati salvati, mediante la fede… Non è in virtù d’opere» (Efesini 2:8-9). Dio non tiene conto che di un’opera sola: credere al Salvatore ch’Egli ci ha dato (v. 29). Tutto viene da Lui: l’acqua viva (lo Spirito Santo; cap. 4:10) e il Pane di vita (Cristo stesso; v. 35).

Come mai, allora, molte anime non sono mai soddisfatte? è il Signore che viene meno alle promesse che fa? (v. 35; cap. 4:14). No di certo! Sono loro che non rispettano la condizione: «Chi crede in me — dice Gesù — non avrà mai più sete». Bisogna credere, vale a dire ci vuole la fede, per essere salvati; ci vuole la fede anche ogni giorno per poterci abbeverare di tutta la Sua pienezza.




Giovanni

Capitolo 6, versetti da 37 a 50

«Colui che viene a me, io non lo caccerò fuori» (v. 37). Andate a Lui, se ancora non l’avete fatto; Egli non vi respingerà. Ma per andare a Gesù bisogna che un’opera dello Spirito si compia nel cuore. L’uomo non può fare un solo passo verso Dio, è Lui che lo attira (v. 44). — Non è dunque colpa mia se non sono ancora convertito — dirà qualcuno. Tocca invece proprio a voi lasciare che questo lavoro divino si compia in voi. In questo preciso momento Dio vi attira a sé. Non resistetegli.

La grazia che Gesù usa verso il peccatore è l’espressione del suo amore. Ma anche fa parte del volere di Dio che è di dare la vita alla sua creatura (v. 40). Ora, Gesù era venuto per compiere questa volontà (v. 38; vedere Ebrei 10:9: «Ecco, io vengo per fare la tua volontà»).

L’uomo ha corpo, anima e spirito. Per questo non può vivere solo di pane, nutrimento del suo corpo. Anche la sua anima ha bisogno di un alimento e il solo che le si addice è la Parola divina, il Pane del cielo, che è poi Cristo stesso (Luca 4:4).




Giovanni

Capitolo 6, versetti da 51 a 71

Malgrado la promessa che Dio aveva fatto loro, i figli di Israele, scoprendo la manna nel deserto, s’erano chiesti l’un l’altro: «Che cos’è?» (Esodo 16:15). La stessa incredulità si mostra nei loro discendenti. Essi discutono su questo strano alimento di cui ha parlato loro Gesù: la sua carne e il suo sangue; cioè il suo corpo dato alla morte.

Un Cristo vivente sulla terra non sarebbe bastato per dare la vita all’anima nostra. Bisogna che crediamo e ci appropriamo della sua morte (in figura, mangiare la sua carne e bere il suo sangue) per avere la vita eterna. Poi, dobbiamo ogni giorno identificarci con Lui nella sua morte. Noi credenti siamo morti con Lui al mondo e al peccato. L’uomo incredulo (che la Parola chiama «uomo naturale») non lo può capire. Gli piace un modello, ma gli è troppo duro riconoscere il proprio stato di condanna di cui la morte di Cristo è una prova evidente.

Invece di interrogare il Signore, molti che avevano professato di essere suoi discepoli se ne vanno scioccati dalle sue parole. Egli non cerca di trattenerli «addolcendo» la verità. Ma sonda il cuore di quelli che restano: «Non ve ne volete andare anche voi?». — «Signore, a chi ce ne andremo noi?», è la bella risposta di Pietro. Possa essere anche la nostra! (v. 68 e 69; leggere Ebrei 10:38 e 39).




Giovanni

Capitolo 7, versetti da 1 a 24

I fratelli di Gesù erano di quelli che non credevano perché cercavano la gloria degli uomini (v. 4 e 5; vedere 5:44). Essi forse speravano che la Sua popolarità avrebbe giovato alla loro famiglia, mentre se avessero creduto che Egli era Figlio di Dio avrebbero misurato la distanza che li separava da Lui (Luca 8:21 e 2 Corinzi 5:16). Qualche tempo dopo i fratelli del Signore hanno creduto in Lui e si sono trovati fra i discepoli (Atti 1:14).

Il loro principio di vita è qui quello di ogni uomo: far valere i propri doni e le proprie capacità per l’utile proprio, per farsi conoscere e onorare (v. 4). Il Signore, invece, non ha mai smesso di ricercare «la gloria di Colui che l’ha mandato» (v. 18). Così, non sale alla festa se non all’ora voluta da Dio. Quanto siamo lontani da questo perfetto modello! Molti dei nostri dolori provengono sia dalla nostra precipitazione nell’agire, sia dal ritardo ad ubbidire all’ordine di Dio. Il v. 17 ci ricorda anche che la sottomissione a questa volontà di Dio è il mezzo per conoscere la verità.

A Gerusalemme, Gesù incontra dei Giudei pieni di odio che cercano di farlo morire dopo la guarigione del paralitico di Betesda perché compiuta in giorno di sabato (v. 1; cap. 5:16).




Giovanni

Capitolo 7, versetti da 25 a 36

Il v. 25 confrontato col v. 20 mette in rilievo l’ipocrisia di questi Giudei. Come anche oggi, dei falsi ragionamenti sono tenuti sul conto di Gesù. Ognuno dà il suo parere; l’opinione dei capi è messa in discussione. In realtà, se la presenza e le parole del Signore provocano un tale subbuglio, è perché questa gente è interiormente turbata da quella voce che essi sentono essere la voce di Dio (vedere v. 28). Cercano di sfuggirvi persuadendosi che quel Galileo non può essere il Cristo, poiché ne conoscono la famiglia e il luogo d’origine. Voi mi conoscete, dice il Signore; e ancor più di quanto pensate; la vostra coscienza vi dice chi io sono, e vi accusa.

è molto solenne sentire il Signore che grida a queste folle (v. 28 e 37; vedere Proverbi 8:1 e 9:3). Nessuno può dire, anche oggi, di non aver udito.

«Voi mi cercherete e non mi troverete; e dove io sarò, voi non potete venire» dichiara il Signore a tutti gli increduli (v. 34). Ma i suoi hanno una promessa di un valore immenso: «V’accoglierò presso di me, affinché dove son io siate anche voi» (Capitolo 14:3).

Lettore, quali delle due parole può esservi rivolta? Dove sarete durante l’eternità?




Giovanni

Capitolo 7, versetti da 37 a 53

Questi capitoli 6 e 7 fanno pensare ai cap. 16 e 17 dell’Esodo. Nel cap. 6 Gesù sì è presentato come il vero pane venuto dal cielo, di cui la manna è una figura. Ora, è davanti a noi come la roccia di Esodo 17, dalla quale l’acqua della vita sgorga in abbondanza. Isaia, nel cap. 55, invitava «voi tutti che siete assetati» a venire alle acque della grazia. Ma qui è il Salvatore stesso che grida. «Se alcuno ha sete, venga a me e beva» (v. 37). E il credente, riempito di Spirito Santo, diventa un canale per la benedizione degli altri (v. 38).

Ahimè! Per tutta risposta ci sono nuove contestazioni. è come se gente assetata, messa davanti a una sorgente pura, si mettesse, invece di bere, a discutere sulla composizione chimica dell’acqua o sulla sua origine!

La fine del capitolo ci mostra ancora due testimonianze rese al Signore davanti ai Farisei. Quelle delle guardie mandate per prenderlo che sono costrette a riconoscere che le sue parole non sono parole umane: «Nessun uomo parlò mai come quest’uomo». è poi quella di Nicodemo che interviene timidamente in favore di Gesù col quale aveva avuto una conversazione personale e indimenticabile (cap. 3).




Giovanni

Capitolo 8, versetti da 1 a 20

è un tranello particolarmente astuto quello nel quale gli scribi e i farisei pensano di far cadere il Signore Gesù. Per mezzo di lui sono venute, insieme, la grazia e la verità (cap. 1:17). Ora, se Gesù condannasse questa donna colpevole, dove sarebbe la grazia che tutti conoscono (Luca 4:22)? Se la risparmiasse sarebbe a detrimento della verità, perché in contraddizione con la legge di Mosè… Nella sua saggezza infallibile, Gesù mostra loro che questa legge li colpisce tutti. La si è paragonata a una spada senza manico che ferisce prima colui che l’adopera. Ahimè! Invece di confessare i peccati che venivano loro in mente, gli accusatori se ne vanno uno dopo l’altro, pieni di vergogna (Giobbe 5:13)!

La «luce del mondo» è davanti a loro (v. 12). Ma «gli uomini hanno amato le tenebre più che la luce, perché le loro opere erano malvage» (cap. 3:19), come quegli insetti che corrono a nascondersi altrove quando si solleva la pietra sotto cui sono rifugiati. Allora, il solo che essendo senza peccato avrebbe avuto il diritto di eseguire il castigo dice alla donna: «Neppure io ti condanno». Ma aggiunge: «Va’ e non peccar più» (v. 11). Molte persone si sforzano, con la loro buona condotta, di meritare il perdono di Dio; mentre il Signore incomincia col perdonare e solo dopo ordina di non peccare più (vedere cap. 5:14; Salmo 130:4; 1 Giovanni 3:9).




Giovanni

Capitolo 8, versetti da 21 a 36

I Giudei avevano detto al Signore che la sua testimonianza non era vera (v. 13). Perché dunque domandargli ora chi Egli sia (v. 25)? Il Signore non può rispondere altro che: «Sono per l’appunto quel che vo dicendovi». Le sue parole sono la perfetta espressione di ciò ch’Egli è (Salmo 17:3). è utile pensare, per contrasto, alla differenza che c’è fra ciò che diciamo o mostriamo agli altri di essere, e ciò che realmente siamo. Ma tutto quello che Gesù diceva e faceva era in armonia perfetta col pensiero del Padre. «Io fo del continuo le cose che gli piacciono», può affermare. Modello inimitabile! Eppure, dobbiamo cercare di imitarlo.

A quelli che credono in lui Gesù annuncia una totale liberazione. Ma i Giudei protestano: «Non siamo mai stati schiavi di alcuno» (v. 33). Per una strana mancanza di memoria, o piuttosto per orgoglio, hanno taciuto sulla loro schiavitù in Egitto, a Babilonia, e sulla dominazione romana di quel momento. Ma l’uomo è fatto così: non ammette di essere schiavo del peccato e si crede libero di fare ciò che vuole (2 Pietro 2:19).

Riconosciamo, cari amici, la terribile condizione nella quale siamo stati trovati, ma riconosciamo anche la vera libertà nella quale il Figlio ci ha posti in qualità di figli di Dio.




Giovanni

Capitolo 8, versetti da 37 a 59

Al cap. 5:45 il Signore fa notare ai Giudei la loro incoerenza: essi pretendevano di basarsi su Mosè ma i suoi scritti li accusavano! Qui fanno appello alla loro posizione di figli di Abrahamo. Ma le loro opere sono quelle del diavolo che è bugiardo e omicida fin dal principio. A volte si sente dire: quale è il padre tale è il figlio (vedere Ezechiele 16:44), e il Signore conferma che le nostre opere fanno conoscere di chi siamo figli (1 Giovanni 3:7 a 10). Sulla terra non vi sono che due grandi famiglie: quella di Dio e quella del diavolo. A quale delle due appartenete? Il fatto d’essere figli di genitori cristiani non conferisce dei diritti davanti a Dio, così come per i Giudei il fatto di essere discendenti di Abrahamo. Anzi, è una responsabilità in più.

«Tu hai un demonio» ripetono quei miserabili (v. 48 e 52; vedere cap. 7:20 e 10:20). E noi ammiriamo la pazienza di Gesù. Davanti a un simile oltraggio, Egli lascia che sia il Padre a rivendicare la sua gloria. Anche in questo è il nostro grande Modello. Conoscere Dio e serbare la sua parola (v. 55), ecco il nostro dovere.

«Io sono» dice Gesù al v. 58. Non soltanto: «Prima che Abrahamo fosse io ero», ma «io sono» eternamente (vedere Esodo 3:14).




Giovanni

Capitolo 9, versetti da 1 a 16

L’Evangelo di Giovanni è quello degli incontri personali col Signore: Nicodemo, la Samaritana, il paralitico di Betesda; uomini e donne di ogni condizione hanno a che fare personalmente con Gesù. E voi, caro lettore, avete avuto con Gesù un incontro personale?

Questo cieco dalla nascita illustra la nostra condizione naturale. Il peccato ci rende incapaci di cogliere la luce di Dio. La nostra visione morale e spirituale è oscurata fin dalla nascita. Dio deve aprirci gli occhi sul nostro stato, sulle esigenze della sua santità, sulla situazione del mondo.

Non è a causa di un particolare peccato che Dio ha castigato quell’uomo e i suoi genitori; ma la sua menomazione sarà un’occasione per Gesù di far brillare la sua grazia e la gloria di Dio. Il fango ch’Egli fa con la terra è figura della sua umanità con la quale il Signore si è presentato all’uomo. Ma perché veda, il cieco deve essere lavato con acqua: la Parola (l’acqua) gli rivela Cristo come l’inviato di Dio (Siloe significa inviato). Il cieco se ne va credendo e ritorna che ci vede. C’è poi la sua testimonianza. I vicini, gli amici si stupiscono. Possibile che sia lui? Così, anche oggi, una conversione non può passare inosservata. La nostra conversione ha prodotto nella nostra vita un cambiamento visibile a tutti?




Giovanni

Capitolo 9, versetti da 17 a 34

Il cieco guarito è un testimone della potenza di Gesù. Per i Farisei un testimone che dà fastidio. Essi, quindi, prima cercano di trarre da lui o dai suoi genitori una parola che permetta loro di contestare il miracolo. E non potendo negarlo, si sforzano poi di sminuire la personalità di Colui che l’ha compiuto e di gettargli addosso del disonore (cap. 8:49). «Noi sappiamo che quell’uomo è un peccatore» (v. 24), affermano; mentre poco prima il Signore aveva loro posto la domanda: «Chi di voi mi convince di peccato?» (cap. 8:46).

C’è una grande differenza fra il cieco guarito e i suoi genitori. Questi tengono più alla loro posizione religiosa che alla verità. Confessare Gesù come il Cristo e condividere il suo rigettamento è cosa che non possono sopportare. Temono l’obbrobrio, e quanti li rassomigliano oggi! Il figlio, invece, non si lascia coinvolgere da simili ragionamenti. I Farisei non riescono a togliergli la sua umile fiducia in Gesù che l’ha guarito. Egli è passato dalle tenebre alla luce. Non è mica teoria, per lui, né una dottrina, è un fatto, un’evidenza. «Una cosa so, che ero cieco e ora ci vedo», dice semplicemente (v. 25). Potete voi dire lo stesso?




Giovanni
 

Capitolo 9, versetti da 35 a 41
Capitolo 10, versetti da 1 a 6

É un bene che il cieco guarito sia cacciato fuori dai Farisei. Perché così incontra Colui che è stato rigettato prima di lui e che, anch’Egli, è uscito dal tempio (alla fine del capitolo precedente). Ora, quest’uomo sta per fare un grande passo in avanti nella verità e conoscere non solo il potere di Gesù, ma la sua Persona. Colui che prima ha identificato come un profeta (v. 17) è il «Figlio di Dio» (v. 35 a 37). Molti si accontentano di sapere d’essere salvati, ma rimangono ignoranti sul Salvatore. Forse perché sono ancora legati ai sistemi religiosi e non hanno ancora fatto l’esperienza della presenza del Signore là dove l’ha promessa (Matteo 18:20).

Pretendendo di vederci chiaro, questi Farisei si lasciano accecare dall’odio e dall’orgoglio religioso. Al cap. 8 hanno respinto la Parola del Signore; al cap. 9 la sua opera. Così, il Signore non ha più niente a che fare con loro. Chiama le sue pecore per nome e le conduce fuori, e va davanti a loro. Ma non ci sarà il pericolo che sbaglino, seguendo uno straniero che le svierà? Oh, no! Esse hanno un metodo infallibile per riconoscere Colui al quale appartengono: la voce conosciuta del vero Pastore.

Questa voce è famigliare a tutti i nostri lettori?




Giovanni

Capitolo 10, versetti da 7 a 21

Nel Vangelo di Giovanni non ci sono parabole. Colui che è «la Parola» parla agli uomini un linguaggio diretto. Per contro, quante preziose immagini e parallelismi il Signore usa per farsi conoscere a noi! Vedete i passi nei quali Egli dichiara: «Io sono…» (6:35-48-51; 8:12; 10:7-9-11-14; 11:25; 14:6; 15:1-5). «Io sono la porta delle pecore» dice al v. 7 e 9. Per essere salvati bisogna per forza entrare per Lui (Efesini 2:18). Ma noi abbiamo anche bisogno d’essere guidati. Abbandonati a noi stessi assomigliamo a delle pecore, animali non intelligenti che si smarriscono quando non c’è chi li guidi (Isaia 53:6). In contrasto con gli uomini mercenari, coi ladri e i briganti abili a rubare le anime, Gesù si presenta dunque come il buon Pastore (v. 11 e 14). E ne dà delle prove: la prima è il dono volontario della sua vita per comprare le sue pecore, testimonianza suprema del suo amore per loro e, nello stesso tempo, non dimentichiamolo, motivo sovrano per il quale Dio lo ama (v. 17). La seconda è la conoscenza ch’Egli ha delle sue pecore e, reciprocamente, che queste hanno del loro Pastore (v. 14). Un legame così stretto conferma i suoi diritti sul suo gregge e sul cuore di ognuno di noi.




Giovanni

Capitolo 10, versetti da 22 a 42

Con grande malafede i Giudei interrogano di nuovo il Signore: «Se tu sei il Cristo, diccelo apertamente» (v. 24). Non solo Egli lo aveva già dichiarato (8:58), ma anche l’aveva dimostrato (v. 25, 32, 37, 38). Ormai è al suo gregge che la sua attività sarà riserbata. Le pecore sono sue di diritto; prima di tutto perché il Padre gliele ha espressamente date (v. 29), poi perché le riscatterà col Suo sangue. E i preziosi v. 27 e 28 ci dicono ciò ch’Egli fa per le sue pecore: dà loro la vita eterna, le guida, le tiene al riparo nella sua mano; e anche ciò che le caratterizza: ascoltano la sua voce e lo seguono. Non è la giusta risposta al suo amore meraviglioso?

Di nuovo i Giudei cercano di lapidare Gesù (cap. 8:59), accusandolo, ora, di bestemmia. «Tu che sei uomo, ti fai Dio». Questa era, veramente, l’ambizione del primo uomo, Adamo, e di tutti i suoi discendenti: essere uguale a Dio. Ma Gesù ha percorso il cammino esattamente opposto: «Essendo in forma di Dio» fu «trovato nell’esteriore come un uomo» e «abbassò se stesso» (Filippesi 2:6-8)!

«E quivi molti credettero in lui», conclude tuttavia il v. 42 (come cap. 8:30), per diventare pecore del Signore.




Giovanni

Capitolo 11, versetti da 1 a 27

Nel dolore, le due sorelle di Betania hanno rivolto al divino Amico una preghiera che anche noi abbiamo fatto a volte: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato» (v. 3). Facendo chiamare il Signore, esse riconoscono la sua autorità e non si permettono di dirgli, per esempio: Vieni a guarirlo. Esse espongono semplicemente il caso che le preoccupa. Conoscono anche il suo amore e ci contano.

Tuttavia, questo affetto non fa decidere Gesù ad andare subito in Giudea (così come più tardi non lo dissuaderanno ad andarvi le intenzioni criminose dei Giudei). Soltanto l’ubbidienza al Padre suo dirigeva i passi del Signore. Con questo ritardo la gloria di Dio brillerà più ancora, poiché Lazzaro è già da quattro giorni nel sepolcro quando Gesù arriva a Betania.

Ci troviamo spesso con persone provate dal lutto e sentiamo quanto poco può portare la simpatia umana (come quella dei Giudei al v. 19). Ma tutto cambia quando gli sguardi si posano su Colui che è «la risurrezione e la vita». Allora realizziamo il pieno valore delle cose eterne e la nostra fede trionfa nella speranza.




Giovanni

Capitolo 11, versetti da 28 a 44

Marta sente che sua sorella è più capace di lei ad entrare nei pensieri del Signore. E la chiama. Ma anche Maria non può che dire: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto» (v. 32; vedere il v. 21). Essa non sa fare altro che guardare indietro, come molti nel lutto. Gesù, chiuso nel suo dolore, si fa condurre al sepolcro. E qui lo vediamo piangere. Forse che non sapesse quel che stava per fare? Certo che lo sapeva; ma in presenza dello scempio della morte e del suo tragico potere sull’uomo, il santo Figlio di Dio è preso dal dolore e dall’indignazione. Ma Lui è il vincitore della morte.

E perché la gloria di Dio esploda davanti alla folla che ne sarà testimone, bisogna che lo stato di decomposizione di Lazzaro sia fatto conoscere (v. 39) e che il Signore attribuisca, con una preghiera di ringraziamento, il suo potere a Dio che l’ha mandato (v. 41 e 42). Soltanto allora il suo potente grido di comando fa uscire dal sepolcro il morto ancora avviluppato dalle bende. Che stupore per gli astanti!

Quanto a noi, riteniamo con fede la promessa che il Signore ha fatto a Marta: «Se credi, tu vedrai…»; forse non esattamente quello che speri, ma certamente «la gloria di Dio» (v. 4 e 40).




Giovanni

Capitolo 11, versetti da 45 a 57

Dio ha risposto alla preghiera del suo Figlio non solo risuscitando Lazzaro ma facendo sì che molti testimoni di quella scena credessero in Lui (v. 42; v. 45). Questo miracolo così grande è quello che decide la Sua morte, poiché da quel giorno i capi del popolo congiurano per condannarlo e ucciderlo (v. 53). I Giudei risposero così alla domanda che il Signore aveva posta (10:32).

I sacerdoti fingono di temere che seguendo Gesù il popolo attiri l’attenzione dei Romani e le loro rappresaglie. Sarà invece proprio l’uccisione del Signore ad attirare il castigo di Dio, con la distruzione del loro luogo di culto (Gerusalemme) e della loro nazione da parte dei Romani (v. 48).

Dio permette che la profezia di Caiafa vada molto al di là dei pensieri di quest’uomo cinico e malvagio. Gesù darà la propria vita per la nazione (perché Israele sarà restaurato, ma più tardi), ma anche per raccogliere in uno i figli di Dio dispersi (v. 52). Satana rapisce e disperde (vedere cap. 10:12) mentre il Signore, con la sua opera, raduna già da quaggiù tutti quelli che fanno parte della famiglia di Dio.




Giovanni

Capitolo 12, versetti da 1 a 19

In questo commovente quadro dei primi tre versetti sono raffigurati i vari aspetti del culto: presenza del Signore, comunione, testimonianza, servizio, lode. Non è una festa in onore di Lazzaro; è Gesù il centro di questo incontro: «Gli fecero una cena». E il solo titolo dato a Lazzaro per essere a tavola con Lui è quello di un morto che ha ricevuto una vita nuova (come è per tutti i riscattati). Quest’uomo non dice niente e non fa niente; è semplicemente là, vivo, e la sua presenza basta a raccontare ciò che il Signore ha fatto per lui. Marta serve e la sua attività qui è perfettamente al suo posto (in contrasto con Luca 10:40). Maria, infine, spande il profumo che è «di gran prezzo» anche per il cuore del Signore e che riempie la casa, immagine dell’dorazione che i riscattati del Signore elevano insieme. L’incredulo disprezza un tale atto e, in fondo, lo fa perché onora un altro Dio: il denaro (v. 6).

Il v. 10 ci mostra Lazzaro, oggetto, come Gesù, dell’odio degli uomini. Poi assistiamo al solenne ingresso del Re d’Israele nella città di Gerusalemme, preceduto dalla fama, del tutto passeggera, datagli dal grande miracolo della risurrezione di Lazzaro.




Giovanni

Capitolo 12, versetti da 20 a 36

In antichissime tombe egizie si è trovato del grano vecchio di migliaia di anni che era ancora in grado di germinare. Però, anche se conservato nel più prezioso dei vasi, questo grano non poteva moltiplicarsi. Perché nascano delle spighe, ricche di altri chicchi simili al seme, bisogna che questo sia messo nella terra, sia «sacrificato». è la figura che il Signore usa per parlare della sua morte. Il desiderio di alcuni Greci di vederlo ha portato i suoi pensieri sulle meravigliose conseguenze della croce: la benedizione di tutte le nazioni sotto il dominio universale del Figlio dell’uomo, il giudizio di Satana (v. 31), il molto frutto (v. 24), tutti gli uomini attirati a Lui (v. 32). Ma davanti alla sua anima santa passano anche tutte le sofferenze che quell’ora comporta per Lui. Così si rivolge a Dio che gli risponde dal cielo promettendogli che lo risusciterà (v. 28).

Per il popolo giudeo era ormai il crepuscolo. La Luce stava per scomparire all’orizzonte: Gesù li avrebbe lasciati (v. 35; Geremia 13:16). Il giorno attuale di grazia andrà pure finendo; verrà il momento in cui non sarà più possibile credere (vedi v. 40). C’è stato per Gesù un solenne «ora» (v. 27 e 31). Per noi ora è il tempo di credere in Lui.




Giovanni

Capitolo 12, versetti da 37 a 50

Questo capitolo 12 conclude una grande divisione dell’Evangelo perché, a partire dal capitolo 13, il Signore si rivolge soltanto più ai discepoli. Noi abbiamo dunque qui le sue ultime parole al popolo d’Israele. Da questo momento in poi esso avrà il cuore «indurito», conformemente alla profezia di Isaia (v. 40). Il v. 11 del cap. 1 si è avverato: Gesù è venuto in casa sua (in Israele) e i suoi non l’hanno ricevuto: ma si è avverato anche il v. 12: alcuni lo hanno ricevuto e hanno acquisito il diritto di essere fatti figli di Dio! Anche tra i capi molti hanno creduto in Lui senza tuttavia avere il coraggio di testimoniare della loro fede. E la ragione ci è data: «Perché amarono la gloria degli uomini più della gloria di Dio».

Noi che così sovente manchiamo di coraggio per confessare la nostra fede, domandiamoci se non è per lo stesso motivo!

Per l’ultima volta Gesù afferma pubblicamente e solennemente il carattere di Dio, del suo ministerio. Egli è l’inviato di Dio e, nello stesso tempo, la perfetta immagine del Padre (v. 44 e 49; Ebrei 1:3). Non c’è una sola delle sue parole che non sia l’espressione assoluta del pensiero divino. Meditiamo questo meraviglioso esempio e, a nostra volta, impariamo da Lui ciò che dobbiamo dire e come dobbiamo dirlo (v. 49).




Giovanni

Capitolo 13, versetti da 1 a 20

Per il cuore del Signore la sua morte era prima di tutto «passare da questo mondo al Padre» (v, 1; confr. 16:28). Ma Egli lasciava quelli che lo amavano in un mondo pieno di peccato. Come un pellegrino che cammina per i sentieri di campagna ha i piedi coperti di polvere, così il credente, sebbene sia tutto «lavato» dal sangue della croce (v. 10; Apocalisse 1:5), è esposto a contaminarsi nei pensieri, nelle parole e negli atti a motivo dei suoi continui contatti col male. Ma il Signore fedele ha provveduto anche a questo, poiché ci tiene alla santità pratica dei suoi. Come un gran «sommo sacerdote» Egli lava loro i piedi; simbolicamente ciò significa che li induce a giudicarsi continuamente alla luce della Parola (l’acqua) che agisce sulle loro coscienze (Efesini 5:26; Ebrei 10:22) e così li purifica. Ebbene, questo servizio d’amore dobbiamo anche noi farlo gli uni agli altri. Nell’umiltà, mettendoci ai piedi dei nostri fratelli, dobbiamo dimostrare loro per mezzo della Parola in cosa hanno sbagliato o quali siano i pericoli ai quali si sono esposti (Galati 6:1).

Cari amici, il Signore non dice: Siete beati se sapete queste cose, ma: «Se sapete queste cose, siete beati se le fate» (v. 17).




Giovanni

Capitolo 13, versetti da 21 a 38

Giovanni nel suo evangelo si nomina «il discepolo che Gesù amava». Egli conosceva molto bene l’amore del Signore per i suoi (v. 1), ma sentiva di essere egli stesso un oggetto di tale amore; e ne godeva, sul cuore di Gesù («a tavola, inclinato sul seno di Gesù, stava uno dei discepoli…»), prezioso posto per le più intime comunicazioni. Ma adesso è un terribile segreto quello che il Signore rivela: Giuda il traditore, che Egli stesso conosceva «fin da principio» (Cap. 6:64). Satana entra allora in quest’uomo che era pronto a riceverlo e che si allontana nella notte per consumare il suo orrendo misfatto. Di nuovo il Signore parla della sua croce dove la sua gloria avrebbe brillato nell’ignominia (v. 31), e della sua risurrezione per mezzo della quale Dio avrebbe glorificato Colui che lo aveva glorificato in terra (v. 32).

Ma i discepoli, adesso che il Signore non sarà più fra loro, in che modo potranno essere riconosciuti? Dal loro amore gli uni per gli altri (v. 35). è questa la nostra caratteristica? Come sonda i nostri cuori un tale pensiero!

In contrasto con Giovanni occupato dell’amore del Signore per lui, Pietro fa valere invece il suo proprio amore senza tener conto, ahimè! dell’avvertimento del Signore.




Giovanni

Capitolo 14, versetti da 1 a 14

Nel capitolo 13 abbiamo visto come il Signore preparasse i suoi ad avere, fin da quaggiù, una parte con Lui (v. 8). Adesso Egli se ne va a preparare loro un posto nella casa del Padre. Ma bisogna che Egli li preceda, un po’ come un padrone di casa che fa in modo di arrivare prima dei suoi invitati. La Bibbia ci dà poche descrizioni del cielo, ma sappiamo che sarà un soggiorno di felicità grazie alla presenza del Signore. Anche Lui desidera, per la sua propria gloria, la presenza dei suoi con Sé!

Gesù è la sola via per arrivare al Padre; Egli è la verità e la vita. Con le sue parole e le sue opere non aveva cessato di rivelare loro il Padre; com’è triste ora per l’ignoranza dei discepoli! Non potrebbe dire anche a noi, a volte: Da tanto tempo sentite parlare di me e leggete la mia Parola; come mai mi conoscete così poco?

«Quel che chiederete nel mio nome, lo farò», promette il Signore (v. 1 3). «Nel mio nome» non è una semplice formula, ma implica che Egli possa essere d’accordo con la nostra domanda. La nostra preghiera diventa allora quella di Gesù ed Egli non può che esaudirla. E non solo perché ci ama, ma prima di tutto per la gloria del Padre. C’è un motivo più valido?




Giovanni

Capitolo 14, versetti da 15 a 31

Gesù sta per lasciare i suoi cari discepoli, ma non li lascerà orfani. Invierà loro una Persona divina per consolarli, sostenerli, venire in loro aiuto (v. 16). Questo Consolatore è lo Spirito Santo che sarà non solo con i credenti, ma in loro (v. 17) per istruirli (v. 26). Il Signore lo chiama «un altro Consolatore» (v. 16) perché Egli stesso rimane il Consolatore celeste, l’avvocato presso il Padre (1 Giovanni 2:1).

Gesù fa ai suoi altre tre promesse: la vita nuova derivante dalla sua vita (v. 19), un posto particolare nell’amore del Figlio e del Padre per chiunque, osservando i suoi comandamenti, dimostra di amarlo (v. 21 e 23); e poi la pace, la sua pace (v. 27). Quanto è vero che Egli non dà come dà il mondo! Questo offre poco e prende molto; distrae e stordisce la coscienza, agendo come un tranquillante che diminuisce per un momento le ansie e i tormenti dell’anima. Ma questa non è che un’illusione di pace. La pace che Gesù dà soddisfa pienamente il cuore, ed è eterna.

Infine il Signore fa capire ai suoi discepoli che il vero amore per Lui non doveva desiderare egoisticamente che Egli rimanesse sulla terra, ma rallegrarsi che Egli sia felice nel cielo (v. 28).




Giovanni

Capitolo 15, versetti da 1 a 15

Israele era una vigna sterile malgrado tutte le cure del divino vignaiuolo (Salmo 80:8-9; Isaia 5:2). In contrasto, Gesù presenta se stesso come la vera vite che porta del frutto per mezzo dei suoi discepoli.

Però, così come su un ramo di vite non tutti i tralci sono ugualmente carichi, il Signore fa una differenza fra quelli che dicono di conoscerlo, a seconda se «non portano frutto», «portano del frutto», «portano molto frutto». Per appartenere a questi ultimi sono necessarie due condizioni: dimorare in Lui, come il tralcio resta attaccato alla vite, e che Lui dimori in noi, come il tralcio si lascia attraversare e impregnare dalla linfa che è la sua vita. D’altra parte non dimentichiamo mai che se il Padre ci «rimonda», ridimensionandoci in modo talvolta doloroso, lo fa perché diamo «più frutto» (v. 2).

Ma quante altre conseguenze benedette derivano da una tale comunione! La conoscenza della volontà di Dio, ad esempio, e di conseguenza l’esaudimento delle nostre preghiere; perché allora noi non desideriamo altro che ciò che Egli stesso desidera (v. 7); e poi la gioia (v. 11), e l’approvazione benedetta di Colui che acconsente a chiamarci suoi amici (v. 14).




Giovanni

Capitolo 15, versetti da 16 a 27

Se nelle nostre preghiere chiediamo di essere aiutati a produrre del frutto per Dio, Dio ci esaudirà sempre (v. 16). In cosa consiste questo frutto? Essenzialmente nell’amore dei credenti gli uni per gli altri e nelle sue molteplici manifestazioni. «Questo vi comando», aggiunge il Signore che ben sa quanti servizi derivino dall’amore. è la terza volta che Egli formula questo «nuovo comandamento», il che dimostra quanto sia importante per Lui (v. 17; vedere anche v. 12 e cap. 13:34). Quando manca l’affetto tra i membri di una famiglia non è cosa triste e anormala? Tanto più nella famiglia di Dio. Per contro, l’odio degli increduli (del mondo) verso i credenti (la condotta dei quali giudica la loro) è cosa naturale e dobbiamo aspettarcelo; a meno che gli increduli trovino qualcosa di mondano da amare in noi, ma allora è un bruttissimo segno.

«Il servitore non è da più del suo signore» (v. 20), ripete qui il Signore. Al cap. 13:16 era in rapporto con il servizio; qui è in rapporto con le sofferenze.

Così il nome di Gesù è per il mondo un motivo di manifestarci il suo odio (v. 21) e per il Padre un motivo per rispondere alle nostre preghiere (v. 16).




Giovanni

Capitolo 16, versetti da 1 a 18

Se non fosse il Signore a dirlo, avremmo difficoltà a considerare la sua partenza come «vantaggiosa» per i discepoli. Così è di tante cose che non capiamo e che sul momento ci affliggono, mentre sono per il nostro utile (v. 6 e 7). Lo Spirito Santo mandato da Gesù dal cielo avrebbe guidato i discepoli in tutta la verità (v. 13). In questi capitoli da 14 a 16 il Signore conferma l’ispirazione di tutti i libri del Nuovo Testamento. Degli Evangeli: «Egli vi rammenterà tutto quello che v’ho detto» (cap. 14:26); degli Atti: «Egli testimonierà di me» (cap. 15: 26 e 27); delle Epistole: «Egli v’insegnerà ogni cosa» (cap. 14:26); e infine dell’Apocalisse: «Vi annunzierà le cose a venire» (v. 13). Ma la presenza dello Spirito Santo quaggiù comporta anche delle gravi conseguenze per il mondo in quanto Esso dimostra la sua colpa per aver respinto Cristo (v. 8-11).

Con le loro domande (v. 17-18), i discepoli mostrano quanto sono incapaci, in quel momento, a comprendere gli insegnamenti del loro Maestro (v. 12). Ma ora c’è lo Spirito, il quale glorifica Gesù annunziandoci ciò che è suo. Quanto a noi lo glorifichiamo ricevendo e serbando questa rivelazione.




Giovanni

Capitolo 16, versetti da 19 a 33

I discepoli stanno per provare la tristezza della separazione, ma Gesù li previene e li consola parlando loro della gioia che li aspetta quando lo rivedranno dopo la sua risurrezione (cap. 20:20). Quanti motivi ha il credente per rallegrarsi! La speranza del ritorno del Signore (vedere v. 22); l’ubbidienza ai suoi comandamenti (cap. 15:10-11; avete fatto l’esperienza della gioia che procura?); la dipendenza da Lui e la Sua risposta alle nostre preghiere (cap. 16:24); le rivelazioni del Signore nella sua Parola (cap. 17:13); la comunione con il Padre e il Figlio (1 Giov. 1:3,4); sono queste le inesauribili sorgenti di una «allegrezza completa».

Perché Gesù preferisce non dire ai suoi che pregherà il Padre per loro (v. 26), quando sarà proprio quello il soggetto di tutto il capitolo seguente? Perché il suo grande desiderio è di mettere i suoi discepoli in relazione diretta col Padre, senza voler concentrare su Se stesso i loro affetti. In questo modo li impegna anche a non accontentarsi di contare su Lui come intercessore presso il Padre, ma a fare l’esperienza personale dell’amore del Padre e del potere che ha il suo Nome. «Fatevi animo», conclude il Signore. Il mondo, nostro comune nemico, è forte, ma io l’ho vinto.

E per la fede nella sua vittoria, lo vinceremo anche noi (1 Giov. 4:4).




Giovanni

Capitolo 17, versetti da 1 a 13

Avendo fatto ai suoi cari discepoli le sue ultime raccomandazioni e detto loro addio, Gesù si rivolge al Padre. Lui che non ha mai rivendicato per se stesso la gloria, ora la chiede. Il «Padre giusto» (v. 25) glorifica se stesso glorificando il Figlio ubbidiente.

Come un messaggero fedele, Gesù rende conto della sua missione compiuta quaggiù (v. 4). Uno degli aspetti di quest’opera era stato di parlare del Padre ai suoi (v. 6 e 26). Ora Egli parla al Padre per affidarglieli dal momento che Lui sta per lasciarli. I suoi argomenti sono molto commoventi: «Essi hanno osservato la tua Parola… hanno creduto che tu m’hai mandato», dice per prima cosa, mentre noi sappiamo quanto fosse debole la fede dei poveri discepoli (v. 6 a 8; confr. cap. 14:9). Poi aggiunge: «Sono tuoi» (v. 9); come potrebbe Dio abbandonarli? «Io sono glorificato in loro», dice ancora, richiamandosi all’interesse che il Padre ha per la gloria del Figlio.

Infine, il Signore, sottolinea la situazione difficile dei suoi riscattati che sono in un mondo pericoloso e tale da mettere alla prova la loro fede. è da perfetto intercessore che Gesù perora la causa dei suoi discepoli, e oggi la nostra.




Giovanni

Capitolo 17, versetti da 14 a 26

I credenti non soltanto non sono tolti dal mondo (v. 15), ma nel mondo sono mandati dal Signore (v. 18) per compiere l’opera che ha loro affidata. Tuttavia essi non sono del mondo, come non lo era nemmeno Gesù. La loro posizione è quella di stranieri chiamati a servire il loro Sovrano in un paese nemico.

Ma questo meraviglioso capitolo ci insegna che i credenti non solo non sono dimenticati, ma sono portati davanti al «trono della grazia» di Dio da Gesù stesso, «grande Sommo Sacerdote» (Ebrei 4:14 a 16). Ascoltiamo ciò ch’Egli domanda al Padre per loro: «Che tu li preservi dal maligno» (v. 15), esposti come sono in un mondo così malvagio. «Santificali nella verità»: quelli che ubbidiscono alla Parola, infatti, sono come «appartati» per Dio. «Che siano tutti uno»: desiderio del suo cuore che ci umilia quando pensiamo a tutte le divisioni dei cristiani. Infine: «Che dove son io, siano meco anche quelli che tu m’hai dati» (v. 24).

Quelli che non sono del mondo, cioè i credenti, non rimarranno nel mondo; la loro parte eterna è con Gesù per vedere la Sua gloria. «Io voglio», dice il Signore, poiché la presenza dei suoi nel cielo con Lui, testimoniando del risultato della sua opera, fa parte della sua gloria e di quella del Padre.




Giovanni

Capitolo 18, versetti da 1 a 11

Dopo «la gloria che tu hai dato a me» (cap. 17:22), viene «il calice che il Padre mi ha dato» (v. 11). In una totale dipendenza Gesù riceve l’una e l’altro dalla mano del Padre suo. Ma in armonia col carattere di questo Evangelo, qui non c’è la descrizione dell’angoscia nel giardino di Getsemane. Nel pensiero del Figlio ubbidiente, l’opera è già compiuta (cap. 17:4).

Il miserabile Giuda sa dove condurre la banda armata che deve prendere il Signore, poiché quello era stato più volte un luogo di incontro del Signore coi suoi discepoli. Colui che è chiamato con disprezzo «il Nazareno» è nientemeno che il Figlio di Dio. Conoscendo perfettamente ciò che sta per accadere, Gesù si fa avanti di fronte alla folla minacciosa e dà, della sua sovrana potenza, una prova che avrebbe permesso a tutti di riconoscerlo, in base alle Scritture (Salmo 27:2): con una sola parola atterra i suoi nemici! Ma cos’è che occupa il suo cuore in questo momento così tragico? Sempre e soltanto i suoi discepoli. «Lasciate andare questi» ordina a quelli che sono venuti per prenderlo. Fino all’ultimo istante il buon Pastore ha vegliato sulle pecore. Adesso è arrivata l’ora di dare la Sua vita per loro (cap. 10:11).




Giovanni

Capitolo 18, versetti da 12 a 27

Nel cortile, scaldandosi con quelli che avevano preso e legato il suo maestro, con i nemici del Signore, Pietro si trovava in una situazione pericolosa che lo farà cadere. Il crederci forti, quando il Signore stesso dichiara che siamo deboli, ci espone a comportamenti che presto o tardi mostreranno la nostra miseria. Anche se le intenzioni, come nel caso di Pietro, sono buone, non potremo contare di essere preservati (in risposta alla Sua preghiera del cap. 17:15 a 17) se non realizziamo ciò che siamo o se ci illudiamo di essere migliori e più fedeli degli altri (Marco 14:29, Luca 22:33-34), e se ci mischiamo con un mondo che ha crocifisso il Signore non realizzando la separazione di cui Egli parla negli stessi versetti (17:16).

All’ipocrita interrogatorio del sommo sacerdote, Gesù non ha niente da rispondere. Egli aveva pubblicamente reso la sua testimonianza. Tocca dunque ora ai suoi giudici dimostrare che ha fatto del male… se ne sono capaci!

Questo evangelo sottolinea più degli altri la dignità e l’autorità del Figlio di Dio. Nonostante le umiliazioni che deve sopportare e il modo con cui è trattato, Egli domina tutta la scena, come Colui che «ha dato se stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio» (Efesini 5:2).




Giovanni

Capitolo 18, versetti da 28 a 40

Conducendo Gesù dal Governatore romano, i Giudei fanno ben attenzione a non contaminarsi… ma caricano la loro coscienza del più orrendo delitto che sia mai stato commesso!

L’apostolo Paolo dà come esempio, a Timoteo, «la bella confessione» di Cristo Gesù davanti a Ponzio Pilato (1 Timoteo 6:13). Infatti, il Signore affermò la sua regalità (anche se questo poteva costargli caro) ma precisò che il suo regno non era di questo mondo. Il v. 36 dovrebbe servire ad illuminare tutti quelli che ancora oggi sì impegnano e lottano per stabilire il regno di Dio sulla terra. Il miglioramento progressivo del mondo per permettere al Signore di venire a regnare è una pura illusione. Se Lui non ha portato questo miglioramento, come potrebbero farlo i cristiani? Solo i giudizi di Dio sul mondo e i terribili castighi di cui parla l’Apocalisse creeranno le condizioni adatte all’instaurazione del regno del Re dei re.

«Che cos’è la verità?» domanda Pilato. Ma non aspetta la risposta. Rassomiglia a tante persone a cui questa domanda non interessa, perché in fondo temono di dover mettere la loro vita in accordo con la risposta che riceveranno. La Verità era davanti a Pilato nella persona di Gesù (cap. 14:6). Invano egli cerca di sfuggire alla sua responsabilità proponendo di liberare il prigioniero per la Pasqua! Unanimemente i Giudei chiedono, ad alta voce, la liberazione del brigante Barabba al posto di Gesù.




Giovanni

Capitolo 19, versetti da 1 a 16

Per derisione i soldati vestono Gesù con un manto di porpora e gli mettono una corona di spine. Ed è così che Pilato accetta di presentarlo al popolo: «Ecco l’uomo». «Crocifiggilo, crocifiggilo» rispondono i capi con rabbia; e adducono un nuovo motivo: ha bestemmiato; si è fatto Figlio di Dio. Ma questo mette il governatore ancor più a disagio: non è più soltanto con un re, ma con un Dio che potrebbe aver a che fare (v. 7, 8). Per sentirsi più sicuro di sé, Pilato sfoggia il suo potere, ma Gesù lo riporta al suo vero posto. Il magistrato pagano impara così, certamente per la prima volta, quale sia l’autorità che lo ha stabilito: non quella di Cesare, come egli pensava, ma quella «da alto» (v. 11; Romani 13:1). Sentendo di non avere nessuna presa su questo straordinario accusato e rendendosi conto che il caso lo supera, Pilato vorrebbe liberarlo; ma i Giudei non la vedono così e sfruttano un ultimo argomento: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare». Allora, nonostante l’avvertimento ricevuto (v. 11), non è a Dio ma agli uomini che il governatore cerca di piacere. Temendo tanto i risentimenti dei Giudei quanto i rimproveri del suo sovrano, Pilato sacrifica deliberatamente l’innocente.




Giovanni

Capitolo 19, versetti da 17 a 30

Colui che qualche giorno prima era entrato a Gerusalemme con una regale maestà, adesso ne esce «portando la sua croce». Lo stesso contrasto appare nella scritta che Pilato mette sopra la croce: «Il Re dei Giudei» e «Gesù il Nazareno». Così, Gesù è crocifisso «assieme a due altri», messo al livello di un malfattore. L’evangelo di Giovanni non parla degli oltraggi subiti dal Signore da parte di quelli «che passavano di lì» (Matteo 27:39), né delle terribili ore nelle quali fu abbandonato da Dio quando portava i nostri peccati. Qui tutto è pace, amore e ubbidienza a Dio. Il v. 25 fa menzione di alcune donne lì presenti. Gesù affida sua madre al discepolo che più degli altri conosceva il suo amore.

Notiamo come, fin nei minimi dettagli, tutto deve svolgersi «affinché si adempisse la Scrittura»: la spartizione dei suoi vestiti (v. 24), l’aceto presentatogli (v. 28; vedere anche v. 36 e 37). Alla fine Egli stesso compie l’ultimo passo della sua ubbidienza volontaria: rende lo spirito (cap. 10:18). Il suo amore ha compiuto tutto, sulla croce. E se qualcuno pensasse di dover ancora fare qualcosa per assicurarsi la salvezza, ascolti e creda a queste ultime parole del suo Salvatore morente: «è compiuto»! Ha fatto tutto Lui, e per sempre.




Giovanni

Capitolo 19, versetti da 31 a 42

Venuti per accelerare la morte dei crocifissi fiaccando loro le gambe, i soldati constatano che Gesù è già morto; verso il brigante convertito la loro brutalità non fa che accelerare il compiersi della Parola del Signore: «Oggi tu sarai con me in paradiso» (Luca 23:43). Ma uno dei soldati non teme di profanare con un colpo di lancia il corpo del Signore sulla croce (confr. Zaccaria 12:10). A quest’ultimo oltraggio risponde un segno meraviglioso di grazia: il sangue dell’espiazione e l’acqua della purificazione colano dal suo costato trafitto.

Per quanto riguarda la sepoltura del nostro adorabile Salvatore, vediamo che Dio aveva preparato due discepoli per rendere al corpo del suo Figlio gli onori preannunciati dalle Scritture (Isaia 53:9). Giuseppe e Nicodemo non avevano avuto fino a quel momento il coraggio di prendere per Lui una posizione pubblica di discepoli. Ma adesso, risvegliati dalla gravità del crimine commesso dalla loro nazione, capiscono che continuare a tacere sarebbe significato essere solidali. Cari amici credenti, non dimentichiamo mai che il mondo ha crocifisso il nostro Salvatore; tacere o cercare di piacere ai suoi uccisori equivale a rinnegarlo. Oggi è il momento di far conoscere a tutti con coraggio che siamo i suoi discepoli!




Giovanni

Capitolo 20, versetti da 1 a 18

La prima persona che si affretta ad andare al sepolcro in questa gloriosa mattina della risurrezione è Maria di Magdala, la donna da cui il Signore aveva cacciato sette demoni (Marco 16:9). Ma qualcuno l’aveva preceduta perché la pietra era già stata rotolata! Ella avverte Pietro e Giovanni che a loro volta corrono alla tomba, vi trovano le prove più chiare che la risurrezione è avvenuta e… se ne tornano a casa. Maria non può andarsene. Presa dal pensiero di trovare il suo amato Signore (v. 13) non si lascia sorprendere neanche dalla presenza degli angeli. Gesù non può non rispondere a un affetto così grande. Ma come sono superate le aspettative di Maria! è un Salvatore vivente che le viene incontro, la chiama per nome e le affida un messaggio di altissimo valore. L’attaccamento personale a Cristo è il mezzo per ottenere una reale intelligenza delle cose. Gesù incarica Maria di annunciare ai suoi «fratelli» che la sua croce non l’ha separato da loro, ma, al contrario, è alla base di legami completamente nuovi. Il suo Padre è diventato nostro Padre, e il suo Dio nostro Dio. Gesù ci ha posti per sempre in queste benedette relazioni per la gioia del suo proprio cuore, per quella del Padre e per la nostra (Salmo 22:22; Ebrei 2:11-12).




Giovanni

Capitolo 20, versetti da 19 a 31

è la sera di un meraviglioso primo giorno della settimana. Secondo la sua promessa, il Salvatore risuscitato si presenta in mezzo ai discepoli riuniti (cap. 14:19) e mostra loro nelle sue mani e nel suo costato le «prove» che la loro pace è fatta con Dio (Atti 1:3). Gesù soffia in loro la nuova vita (cfr. Genesi 2:7 e 1 Corinzi 15:45) e li manda ad annunciare a coloro che crederanno il perdono dei loro peccati (v. 23).

Quella domenica Toma era assente e, quando gli altri discepoli gli annunciano: «Abbiam veduto il Signore», il suo cuore resta freddo e incredulo. Quanti figli di Dio si privano con leggerezza del prezioso radunamento attorno al Signore Gesù, forse perché, nel loro intimo, non credono alla sua presenza. Toma rappresenta il residuo giudaico che, più tardi, riconoscerà vedendolo il suo Signore e il suo Dio. «Che son quelle ferite che hai nelle mani?», gli verrà chiesto (Zaccaria 13:6). Ma sono beati i riscattati del periodo attuale che credono senza aver ancor visto (1 Pietro 1:8). Ed è per questo che «queste cose sono scritte», non per essere solo lette, ma per essere credute. Bisogna che la nostra fede, fondata sulle Scritture, riconosca Colui che dà la vita e che è il Figlio di Dio (v. 31).




Giovanni

Capitolo 21, versetti da 1 a 14

Solo sette discepoli sono presenti all’appuntamento che Gesù aveva fissato con loro in Galilea (Matteo 26:32; 28:7). E ancora, sembra che abbiano dimenticato il motivo della loro attesa. Simon Pietro, di cui il Signore aveva fatto un pescatore d’uomini, torna alla sua antica occupazione. Che cosa c’è di strano se «quella notte non presero nulla»? Come potrebbe portar frutto il lavoro che si compie secondo i propri pensieri e lontani dalla presenza del Signore? Non aveva detto che senza di Lui non avrebbero potuto fare niente (cap. 15:5)? Ma quando è con loro tutto cambia. Il lato destro della barca ha un unico (ma essenziale) vantaggio rispetto al sinistro: è il lato che Gesù ha indicato!

Ed è l’incontro col Maestro che ha preparato tutto in precedenza per i suoi servitori stanchi. Non ha avuto bisogno del loro pesce (v. 9), tuttavia non disprezza neppure il frutto del loro lavoro (v. 10) e lo conta esattamente (v. 11).

Cari amici, quante volte, come questi discepoli, dimentichiamo il nostro grande e prossimo appuntamento! Quante volte ancora, nelle varie circostanze, sia nelle delusioni che nei successi, dovremmo poter discernere subito Colui che ci parla, e riconoscere: «è il Signore» (v. 7).




Giovanni

Capitolo 21, versetti da 15 a 25

Al Signore restava ancora da compiere quaggiù un ultimo servizio d’amore nei riguardi del suo discepolo Pietro. A tre riprese, egli aveva rinnegato il suo Maestro. A tre riprese è necessario che sia sondato da una domanda dolorosa: Tu hai preteso d’aver più attaccamento per me degli altri, ma loro non mi hanno rinnegato (Marco 14:29). Dov’è quell’amore ardente di cui mi parlavi? Non ne ho avuto alcuna prova.

Signore, tu lo sai, tu che leggi nel mio cuore — è tutto quello che può infine rispondere il povero discepolo. Gesù lo metterà forse da parte? Al contrario, ora che Pietro ha perso fiducia in se stesso, è pronto per il servizio. «Pasci i miei agnelli… le mie pecore», gli dice il Maestro (il testo originale riporta un diminutivo pieno di tenerezza: le mie piccole pecore). Occupandosi di coloro che Gesù ama, Pietro avrà nuovamente l’occasione di mostrare il suo amore per Lui.

L’Evangelo si chiude. Ma tutto ciò che ha fatto e detto la Persona infinita che lo riempie è d’un interesse senza limite, e Dio non ne ha perso memoria (v. 25); vi saranno libri inesauribili che leggeremo per l’eternità. Per il tempo presente, che ogni riscattato ritenga con fervore e come un appello personale queste ultime parole del suo Salvatore: «Tu, seguimi».

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