di Ferruccio Cucchi
Articolo tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 05-2007
La vera conoscenza
Fin dalle sue origini, l’essere umano ha voluto arrivare alla conoscenza. Uno dei motivi per cui Eva cedette alla tentazione di Satana era che l’albero dal frutto proibito da Dio era “desiderabile per acquistare conoscenza”; si trattava della “conoscenza del bene e del male” (Genesi 3:5-6). Adamo ed Eva, pur di entrarne in possesso, scelsero di dare ascolto a Satana anziché a Dio; e ottennero quella conoscenza, tant’è che Dio stesso dichiarò: “Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, quanto alla conoscenza del bene e del male” (v. 22).
Ma, come ben sappiamo, questo fu l’inizio di tutti i mali dell’umanità: morte, sofferenza, infelicità, perdizione. Gli esseri umani infatti si trovano in una terribile situazione: nonostante conoscano ciò che è male e ciò che è bene, “sono saggi per fare il male, ma il bene non lo sanno fare” (Geremia 4:22); per di più questa conoscenza li rende responsabili davanti a Dio e schiavi di colui al quale hanno ceduto, Satana. La conoscenza non doveva essere “carpita” a Dio tramite un atto di disubbidienza.
Dio non ha voluto che la sua creatura rimanesse in quello stato miserevole; ha voluto che l’uomo perduto fosse liberato da quelle catene. Per produrre questa liberazione, Dio ha voluto far conoscere agli uomini le sue risorse infinite, “le ricchezze della sua bontà, della sua pazienza” (Romani 2:4); e lo ha fatto tramite il dono del suo Figlio come Salvatore.
L’uomo non ama riconoscere la propria condizione di schiavitù. Quando il Signore ha detto al suo popolo: “Se perseverate nella mia parola…conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi”, ha suscitato una reazione indignata: “Noi non siamo mai stati schiavi di nessuno!” (Giovanni 8:32-33). Eppure, l’unico modo per essere liberati dal potere di Satana e del peccato, con tutte le sue conseguenze disastrose, è proprio la conoscenza della “verità”, l’unica verità, Gesù Cristo, che ha detto di se stesso: “Io sono la via, la verità e la vita” (Giovanni 14:6).
All’uomo peccatore e perduto, condannato alla morte eterna, Dio ha voluto dare questa conoscenza della verità perché potesse avere la vita, la vita eterna. Nella sua preghiera in favore dei suoi discepoli che avevano accettato la verità, il Signore ha detto al Padre: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo” (Giovanni 17:3). La verità era ed è che l’uomo può essere liberato solo tramite la conoscenza di Colui che Dio ha mandato per la sua liberazione, Cristo Gesù, l’unico giusto che si è fatto carico del peccato di chi crede in lui per cancellarlo davanti a Dio.
Questa è la vera conoscenza. Conoscenza di chi? Di Dio e del suo Figlio, il Signore Gesù. Conoscenza di che cosa? Della verità, di tutta la verità: di ciò che l’uomo è e di ciò che Dio è, di ciò che Dio ha fatto per far conoscere questa verità, e di ciò che il suo Figlio Gesù Cristo ha fatto per liberare chi crede in lui dalla schiavitù del peccato e dalla condanna eterna che questa schiavitù comporta. “Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete veramente liberi” (Giovanni 8:36).
“Mettendoci da parte vostra ogni impegno, aggiungete alla vostra fede la virtù, alla virtù la conoscenza…” (2 Pietro 1:5). L’apostolo Pietro scriveva a dei credenti, che quindi avevano ricevuto la conoscenza necessaria per la loro salvezza. Però essi sono esortati a non fermarsi, ma ad “aggiungere la conoscenza”, a crescere. Ma crescere in che cosa?
“Crescete nella grazia e nella conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo” (2 Pietro 3:18). Crescere nella consapevolezza che noi dobbiamo tutto a Lui e alla sua grazia, che noi viviamo e sussistiamo per la sua grazia, che è ancora la grazia che “ci insegna a vivere in questo mondo moderatamente, giustamente e in modo santo” (Tito 2:12); conoscere sempre più “Cristo, nel quale tutti i tesori della sapienza e della conoscenza sono nascosti” (Colossesi 2:2-3), perché diventi il nostro Modello, il centro della nostra vita. “Siate resi capaci di abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ripieni di tutta la pienezza di Dio” (Efesini 3:19).
Conoscenza e amore
Dopo quello che abbiamo visto riguardo alla conoscenza, leggendo un passo della 1ª Lettera di Paolo ai Corinzi (8:1-2) potremmo rimanere sconcertati: “La conoscenza gonfia… Se qualcuno pensa di conoscere qualcosa, non sa ancora come si deve conoscere”.
L’apostolo Paolo non poteva assolutamente riferirsi alla “vera” conoscenza. In proposito un fratello ha scritto: “Si potrebbe conoscere molto bene la Parola, esporne chiaramente la visione d’insieme e i dettagli dei vari argomenti, trovare la soluzione alle difficoltà che essa presenta, e questa conoscenza che sembra così desiderabile potrebbe essere una sorgente di orgoglio spirituale, il peggior orgoglio che ci sia. Era il caso dei Corinzi. Paolo non si riferiva tanto alla conoscenza umana, assolutamente incompetente e fuori luogo. Ma la conoscenza che avevano raggiunto i Corinzi, a cui volevano aggiungere sempre elementi nuovi, li aveva gonfiati. Facciamo attenzione a non cercare di conoscere le cose di Dio senza che la nostra coscienza sia in gioco”.
Inoltre, prendiamo per noi queste considerazioni dell’apostolo Paolo affinché rimaniamo umili, allontanando dal nostro cuore la presunzione e lo spirito di superiorità, anche rispetto agli altri, credenti e increduli, coi quali siamo o possiamo venire in contatto. Anche riguardo alla conoscenza, vale ancora l’interrogativo che Paolo poneva agli stessi Corinzi: “E che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto?” (1 Corinzi 4:7). “Se uno pensa di essere qualcosa pur non essendo nulla, inganna se stesso” (Galati 6:3).
Nel passo di 1 Corinzi 8:1-2 ci sono però altre due affermazioni che fanno da contrappunto alle precedenti: “… ma l’amore edifica” , e “… ma se qualcuno ama Dio, è conosciuto da lui”. Il fratello citato prima scriveva ancora: “Una sola cosa edifica: non è la conoscenza ma l’amore, e se non si è condotti dall’amore, nessuna edificazione è possibile. Una predicazione che non edifichi non vale nulla: è l’amore che edifica… Essere conosciuto da Dio! Ecco ciò di cui ho bisogno come cristiano! È la conoscenza che Dio ha di me che mi occorre; questo mi estranea da me stesso. Sono gli sguardi di Dio, e non i miei, che mi investigano e giudicano se c’è dell’amore per Lui”. Possiamo ben unirci alla preghiera di Davide che diceva: “Esaminami, o Dio, e conosci il mio cuore. Mettimi alla prova, e conosci i miei pensieri. Vedi se c’è in me qualche via iniqua, e guidami per la via eterna” (Salmo 139:23-24).
Il Signore ci chiede di avere un vero amore per tutti i fratelli in fede, che Lui ama, come ama noi; anche a quelli con i quali non sempre abbiamo “un medesimo pensare”, dobbiamo comunque dimostrare “un medesimo amore” (Filippesi 2:2). E se abbiamo avuto il privilegio di ricevere una maggiore conoscenza, mettiamola a loro disposizione; non mettendoci in cattedra, perché “la saggezza che viene dall’alto, anzitutto è pura; poi pacifica, mite, conciliante” (Giacomo 3:17).
Infine, nella nostra testimonianza di fronte agli increduli, dovremmo dimostrare un vero amore per loro: quello che il Signore ha dimostrato verso di noi, tutti ugualmente peccatori, senza alcun diritto di essere amati. Quelli che ci ascoltano e ci vedono agire dovrebbero percepire una reale partecipazione alla loro condizione; dovrebbero sentirsi amati, anche quando sentono la terribile sorte che li attende se rifiutano di accogliere la vera conoscenza. E se vi sono degli oppositori, il Signore chiede al suo “servo” di essere “mite con tutti… istruire con mansuetudine” (2 Timoteo 2:24-25). Fra loro potrebbero esserci anche dei nemici. E il Signore in persona ci dice: “Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano” (Matteo 5:44).
Facciamo attenzione a non avere una conoscenza senza amore!
Conoscenza e zelo
Riguardo al popolo di Dio Israele, che ha respinto Gesù Cristo come unico mezzo per essere giustificati davanti a Dio, lo stesso apostolo scrive: “Io rendo loro testimonianza che hanno zelo per Dio, ma zelo senza conoscenza” (Romani 10:2). Paolo, che aveva dimostrato di amarli pregando Dio perché fossero salvati (v. 1), cerca quasi di attenuare la loro colpa: non attribuisce la causa del loro cattivo stato spirituale a incredulità o a malvagità, e riconosce nella loro condotta dello zelo per Dio. Si trattava però di uno zelo che aveva respinto ciò che Dio aveva fatto conoscere, “ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria giustizia” (v. 3).
“Lo zelo senza conoscenza non è cosa buona” (Proverbi 19:2). Uno zelo che prescinda da ciò che Dio rivela non produce alcun buon risultato, anzi, è dannoso, sia per sé che per gli altri. Siamo circondati da persone che diffondono le loro dottrine, spacciandole come uniche corrette interpretazioni della Bibbia, e lo fanno con molto zelo; ma uno zelo con una conoscenza distorta, basata su gravi alterazioni della Parola di Dio, “che gli uomini ignoranti e instabili travisano a loro perdizione” (2 Pietro 3:16).
Lo stesso apostolo Paolo ha confessato che un tempo, prima della sua conversione, era “estremamente zelante nelle tradizioni dei padri” (Galati 1:14), e proprio per questo “zelo” malamente inteso era stato “persecutore della chiesa” (Filippesi 3:6); “e spesso, punendoli, li costringevo a bestemmiare; e, infuriato oltremodo contro di loro, li perseguitavo fin nelle città straniere” (Atti 26:11), perché “agivo per ignoranza, nella mia incredulità” (1 Timoteo 1:13).
A questo punto, però, non possiamo fare a meno di domandarci: e se noi credenti avessimo una conoscenza senza zelo? Non sarebbe grave, proprio per la conoscenza che abbiamo?
Il Signore chiede ai suoi di avere dello zelo: “Quanto allo zelo, non siate pigri” (Romani 12:11). Alla chiesa di Laodicea, fa dire dall’apostolo Giovanni: “Sii dunque zelante, e ravvediti” (Apocalisse 3:19). E agli Ebrei che avevano creduto viene detto: “Desideriamo che ciascuno di voi dimostri sino alla fine il medesimo zelo per rendere certa la pienezza della speranza” (Ebrei 6:11).
Zelanti, allora, ma in che cosa? “Chi vi farà del male, se siete zelanti nel bene?” (1 Pietro 3:13). Zelanti nel bene! Una breve espressione che definisce un campo molto vasto, così riassunto dall’apostolo Paolo: “Facciamo del bene a tutti, ma specialmente ai fratelli in fede” (Galati 6:10).
“Cristo Gesù ha dato se stesso per noi per… purificarsi un popolo che gli appartenga, zelante nelle buone opere”, quelle “opere buone che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo” (Efesini 2:10). Ognuno di noi, giornalmente, è posto di fronte a persone che hanno dei bisogni, sia morali che materiali. Occorre anche del discernimento, che non dobbiamo cercare in noi stessi ma che soltanto Dio ci può dare, per capire se si tratta di una di quelle opere buone che Dio ha preparato per noi. E lo stesso discernimento ci è necessario per capire in che modo possiamo sopperire a questi bisogni.
Il primo bisogno, assoluto, che gli uomini hanno è quello di ricevere il messaggio dell’Evangelo, che risponde ai loro bisogni più profondi e reali. Abbiamo un bell’esempio di zelo nelle cose del Signore in Apollo, del quale è detto: “Essendo fervente di spirito, annunziava e insegnava accuratamente lo cose relative al Signore, benché avesse conoscenza soltanto del battesimo di Giovanni”. Quindi Apollo non aveva una conoscenza completa, e infatti Priscilla e Aquila “gli esposero con più esattezza la via di Dio” (Atti 18:25-26). Ma questo non impedì ad Apollo di adoperarsi per la causa dell’Evangelo, a Efeso e a Corinto, e lo Spirito attesta che “fu di grande aiuto a quelli che avevano creduto mediante la grazia di Dio” (v. 27-28). Il suo esempio ci sia di incoraggiamento.
Concludendo, conoscenza, sì, ma non senza amore e senza zelo!