di Arno C. Gaebelein
Pubblicato con il permesso di Edizioni IL MESSAGGERO CRISTIANO
Introduzione
Daniele 1
Daniele 2
Generalità dei capitoli da 3 a 6
Daniele 3
Daniele 4
Daniele 5
Daniele 6
Generalità dei capitoli da 7 a 12
Daniele 7
Daniele 8
Daniele 9
Daniele 10
Daniele 11
Daniele 12
Introduzione
Il libro di Daniele, con le sue grandi profezie in parte già adempiute, è una delle parti più interessanti della santa Parola di Dio. Prima di cominciare una serie di studi su questo libro, sarà bene fare alcune osservazioni generali sulla profezia e sulla sua importanza.
La profezia è storia scritta prima che si verifichino gli avvenimenti che essa preannuncia. L’oggetto e il centro di tutta la profezia è il nostro Signore Gesù Cristo. Le sue sofferenze e la sua gloria, le sue due venute in terra – prima come Uomo di dolore, per soffrire e morire, e poi come Re di gloria per regnare – furono previsti e descritti con grande anticipo da uomini di Dio illuminati dallo Spirito Santo. Tutta la storia degli Israeliti, il popolo eletto, è scritta nella Parola profetica: tutte le loro sofferenze e peregrinazioni, ciò che avvenne loro nel passato e la loro condizione attuale di dispersione fra i popoli della terra; ciò che incontreranno in futuro nella tribolazione e nel giudizio, e infine le benedizione e la pace che seguiranno. Vi troviamo anche la storia delle nazioni, i «tempi delle nazioni», l’epoca in cui noi viviamo, il suo corso, la sua fine e le glorie di un’età futura.
La profezia occupa un posto predominante nella Bibbia. Eppure, alla maggior parte di quelli che si professano cristiani interessa poco sapere ciò che Dio ha detto riguardo al futuro. Preferiscono le teorie umane al piano di Dio, e non vogliono sapere come tutta la terra arriverà a conoscerlo. Questo disinteresse per ciò che Dio dice a questo riguardo appare strano e ingiustificato se consideriamo la curiosità e il desiderio che sono naturali nell’uomo. Veggenti, astrologi, medium posseduti da demoni proliferano nei paesi cristiani, approfittando del desiderio che molti hanno di conoscere il futuro. Anche i capi di governo si sono serviti e si servono di medium e di indovini. Eppure nella Bibbia Dio ha rivelato l’avvenire! Perché solo pochi dei suoi si interessano a tali rivelazioni? Dietro questo fatto appare chiaro il lavoro di Satana, il nemico della Verità. È anche a causa di questa negligenza nello studio della profezia che la cristianità è caduta nell’odierna deplorevole condizione. La negazione della Bibbia quale parola ispirata da Dio è molto comune. Se la profezia fosse stata studiata con diligenza, questi dubbi non sarebbero sorti, perché la profezia offre una prova chiara e convincente che la Bibbia è l’infallibile Parola di Dio.
Se la profezia è abbandonata, l’uomo resta all’oscuro riguardo al piano di Dio e il futuro del mondo, e diventa facile preda di teorie bugiarde e ingannatrici. Per questo vediamo intorno a noi, fra i cristiani, un ottimismo antibiblico che sostiene, in teoria e in pratica, il contrario di ciò che insegna la Bibbia; un ottimismo che non tiene conto delle solenni dichiarazioni della Parola, la quale dice che questo secolo è malvagio («tutto il mondo giace sotto il potere del maligno» 1 Giovanni 5:19) e che terminerà con l’apostasia e il giudizio. Tutte le cattive tendenze d’oggi, dalla negazione della fede, all’indifferenza e alla mondanità dei cristiani di nome, sono frutto dell’ignoranza della profezia.
Anche noi credenti che abbiamo imparato ad «amare la Sua apparizione» e crediamo nella manifestazione futura del nostro amato Signore, verso la quale s’indirizza tutta la profezia, dobbiamo stare in guardia e non trascurarne lo studio, poiché questa profezia è come «una lampada splendente in luogo oscuro, fino a quando spunti il giorno» (2 Pietro 1:19). Mai come oggi abbiamo tanto bisogno di questa preziosissima luce. Il «luogo oscuro», cioè l’epoca attuale, si fa sempre più tetro, per cui è ancora più necessaria la «lampada splendente» che con la sua luce viva, può fugare le tenebre morali di questo mondo. Quando sorgerà il «giorno» con la «stella mattutina», allora non avremo più bisogno della lampada. Ma ora, senza di essa non possiamo camminare.
La Parola profetica ci rivela realtà che ancora non si vedono (Ebrei 11:1). Meditandola con fede potremo giudicare con intelligenza le cose presenti e ciò influirà sulla nostra condotta e sul nostro carattere di cristiani. Allora cammineremo separati da ciò che sta maturando per il giudizio e serviremo Dio secondo la Sua volontà.
Importanza del libro di Daniele
Non si darà mai troppa importanza al libro di Daniele. Isacco Newton disse: «Respingere Daniele significa respingere la religione cristiana». Noi diremo che ignorare le grandi rivelazioni che furono fatte a questo ammirabile uomo di Dio, ci priva della conoscenza della Parola profetica riguardante «le cose che devono avvenire in seguito» (Apocalisse 1:19).
Queste profezie, che furono date in un tempo in cui Israele era deportato dalla sua terra, all’inizio dei «tempi delle nazioni», ci offrono una chiara visione del tempo, non lontano, in cui Dio riannoderà la relazione con il suo popolo terreno e ristabilirà il suo Regno. Il Signore, nel grande sermone profetico del monte degli Ulivi, fa riferimento a Daniele; ed è per questo che lo si può comprendere soltanto alla luce del libro di Daniele. L’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse (l’unico libro esclusivamente profetico del Nuovo Testamento), rimarrebbe un libro «sigillato», se mancassero le profezie di Daniele; e così pure le profezie di Daniele sarebbero in gran parte incomprensibili, se non avessimo l’Apocalisse. Entrambi i libri – il primo scritto dall’«uomo molto amato» e l’altro dal «discepolo che Gesù amava» – vanno studiati insieme e sono la chiave che apre i tesori di tutta la Parola profetica.
L’autenticità del libro
Nessun altro libro è stato tanto attaccato come quello di Daniele, perché si presta ad essere il campo di battaglia tra la fede e l’incredulità. Per circa duemila anni uomini malvagi e increduli, lo hanno attaccato, tuttavia il libro di Daniele è rimasto come un’incudine su cui i martelli dei critici si sono spezzati. Esso è sopravvissuto a tutti gli attacchi e non c’è da temere che i critici deboli e puerili di oggi, e gli increduli più sottili dell’odierna cristianità possano danneggiarlo. Si è negato che Daniele abbia scritto il libro durante la deportazione di Babilonia. Kuenen, Wellhausen e i loro seguaci obiettano che quest’opera non fu scritta durante l’esilio, ma alcuni secoli dopo. Daniele, secondo loro, non ebbe niente a che fare con questo libro; qualche pio Giudeo lo scrisse, essi dicono, come favola. Questi critici seguono il malvagio aggressore del Cristianesimo del terzo secolo, Porfirio, il quale sosteneva che il libro di Daniele era una falsificazione prodotta al tempo dei Maccabei, dopo la comparsa di Antioco Epifane, tanto chiaramente predetto in questo libro.
Tutto il metodo razionalista della critica distruttrice contro la Bibbia si può riassumere così: la profezia è un assurdo; non sono possibili predizioni di avvenimenti futuri, perciò i libri che le contengono devono essere stati scritti dopo l’avvenimento dei fatti che essi predicono. Ma come poteva l’uomo che fece una tale falsificazione del libro di Daniele essere un pio Giudeo? No. Il libro di Daniele o è divino o è una falsificazione colossale e un’impostura senza precedenti; una via di mezzo non è possibile.
Enumerare tutti gli argomenti che provano l’autenticità del libro di Daniele sarebbe impossibile; tuttavia ne citeremo alcuni:
1°) La versione dell’Antico Testamento detta dei Settanta (traduzione greca) fu senza dubbio fatta prima del tempo di Antioco Epifane, il nemico Siro che invase la terra d’Israele e profanò il tempio. Siccome la versione dei Settanta contiene il libro di Daniele, questo dev’essere d’epoca antecedente a quella di Antioco Epifane.
2°) Il grande storico giudeo Giuseppe Flavio dice che quando Alessandro il Grande, che è anche nominato nelle profezie di Daniele, venne a Gerusalemme, nell’anno 332 a. C., Giaddua, sommo sacerdote, gli mostrò le profezie di Daniele, e che queste produssero grande impressione su Alessandro.
3°) Ma la più alta autorità in favore dell’autenticità del libro è il nostro Signore. Egli parla del «profeta Daniele» (Matteo 24:15). Non c’è bisogno di alcun’altra testimonianza. Chiunque disprezza il libro di Daniele rigetta l’infallibile testimonianza del Figlio di Dio.
Suddivisione ed analisi del libro
Il libro di Daniele consta di due parti ed è scritto in due lingue, perciò possiamo dividerlo in due sezioni:
- A) I sei primi capitoli non contengono profezie vere e proprie, ma in essi vediamo il profeta come l’interprete scelto da Dio per rivelare ciò che Nabucodonosor aveva visto nel sogno. Nel grande sogno del capitolo secondo è rivelato il periodo che nelle Scritture è chiamato «i tempi delle nazioni» (vale a dire dei popoli al di fuori d’Israele – Luca 21:24) o “dei Gentili” (che vanno dal giorno in cui Dio si ritirò da Gerusalemme, dove dimorava la Sua gloria, fino a quando il Suo trono sarà di nuovo stabilito sulla terra; allora termineranno «i tempi delle nazioni»). I capitoli da 3 a 6 contengono racconti che trattano del profeta e dei suoi compagni e della condotta morale delle grandi potenze del mondo. In questi capitoli veniamo a sapere cosa sono «i tempi delle nazioni» in senso morale e religioso. Tutto ha un significato speciale riguardo al «tempo della fine» (Daniele 8:17, 19; 12:4, 9).
- B) La seconda parte del libro comprende i capitoli da 7 a In essa troviamo le comunicazioni che Dio fece a Daniele; non più sogni, ma visioni riferite pure ai «tempi delle nazioni». Il capitolo 7 tratta lo stesso argomento del capitolo 2, ma in modo molto più ampio. In seguito, incontriamo la relazione di queste nazioni pagane con Israele e ciò che deve avvenire nel «tempo della fine», cioè nei pochi anni che precedono la disfatta completa del dominio delle nazioni e l’instaurarsi del Regno dei Cieli sulla terra. Il «tempo della fine», quest’epoca profetica, non è ancora giunto, né può giungere mentre la Chiesa è sulla terra. Questa parte contiene le rivelazioni riguardo ai cosiddetti piccoli corni e all’anticristo.
Ma dobbiamo anche considerare il fatto che il libro di Daniele fu scritto in due lingue. Tanto il primo capitolo che i capitoli da 8 a 12 sono scritti in ebraico, mentre i capitoli da 2:4 a 7:28 sono scritti in aramaico, la lingua degli imperi orientali. Il motivo è molto semplice: ciò che concerne questi imperi fu scritto nel loro idioma, mentre ciò che riguarda i Giudei fu scritto in ebraico. Ambedue le lingue provano che fu Daniele a scrivere questo libro.
La personalità di Daniele
Della vita di Daniele e del suo carattere conosciamo più che di qualsiasi altro profeta. Che uomo di fede! Anche se nel grande capitolo della fede del Nuovo Testamento, fra il gran «nuvolo di testimoni» non si trova scritto il suo nome, tuttavia si ravvisano i fatti che lo concernono: «per fede conquistarono regni, praticarono la giustizia, ottennero l’adempimento di promesse, chiusero le fauci dei leoni» (Ebrei 11:33).
Chi potrà descrivere un uomo tanto eminente? Era appena un ragazzo quando fu portato prigioniero da Gerusalemme a Babilonia. In poco tempo fu innalzato alla carica più alta dell’impero. Così continuò fino all’anno primo del regno di Ciro. Che fede manifestò in tutto il corso della sua vita! La sua dipendenza da Dio, la grande pietà, la profonda umiltà sono messe in evidenza in quasi tutti i capitoli del libro. Fu un uomo notevole per la sua costanza nella preghiera. Parlò con gli angeli, e tre volte l’angelo Gabriele lo chiamò «uomo grandemente amato». Il Signore gli apparve. Ricevette visioni da Dio. Visse più a lungo dei settant’anni della deportazione poiché era molto vecchio quando l’Eterno, che tanto bene conosceva e che aveva tanto onorato con la sua fede, gli fece questa promessa: «Tu avviati verso la fine; tu ti riposerai e poi ti rialzerai per ricevere la tua parte di eredità alla fine dei tempi»
Capitolo 1
Daniele e i suoi compagni a Babilonia
Questo capitolo costituisce l’introduzione del libro. Nel principio abbiamo la triste storia di Gerusalemme:
«Il terzo anno del regno di Ioiachim re di Giuda, Nabucodonosor, re di Babilonia, marciò contro Gerusalemme e l’assediò. Il Signore gli diede nelle mani Ioiachim, re di Giuda, e una parte degli arredi della casa di Dio. Nabucodonosor portò gli arredi nel paese di Scinear, nella casa del suo dio, e li mise nella casa del tesoro del suo dio» (1:1-2).
Il giudizio divino, per tanto tempo minacciato da Dio e annunziato dai santi profeti, cadde infine su Gerusalemme. Lo strumento scelto da Dio per eseguire i suoi giudizi fu Nabucodonosor. Tre volte venne contro a Gerusalemme. Nell’anno 606 a. C. salì per la prima volta: è il castigo di cui si è parlato qui. Nell’anno 598 a. C. venne di nuovo e portò in cattività un gran numero di Giudei, fra cui Ezechiele. Nell’anno 587 a. C. incendiò la città. L’Eterno conservò la Sua gloriosa dimora in Gerusalemme, in mezzo al Suo popolo, finché questo venne completamente deportato; ma quando Nabucodonosor apparì sulla scena, Gerusalemme fu data nelle mani delle nazioni e «i tempi delle nazioni» cominciarono. La caratteristica di questi tempi è che Gerusalemme è calpestata dalle nazioni; e, come ebbero un principio ben definito, così avranno una fine ben precisa; e allora Gerusalemme diventerà la città del Gran Re. Dalle profezie di Daniele sappiamo come termineranno «i tempi delle nazioni».
Nell’ordine che il re Nabucodonosor diede ad Ashpenaz, capo degli eunuchi, affinché conducesse a Babilonia dei figliuoli d’Israele, di famiglia reale e principi, abbiamo l’adempimento di una profezia contenuta in Isaia 39:7: «Saranno presi alcuni dei tuoi figli, usciti da te e da te generati, per farne degli eunuchi nel palazzo del re di Babilonia». Fra questi prigionieri vi erano i quattro giovani dai nomi molto significativi e pieni di speranza e di sicurezza. Daniele = Dio è mio giudice; Hanania = amato dal Signore; Mishael = chi è come Dio?; Azaria = il Signore è il mio aiuto. Ma i loro bei nomi furono cambiati; e che nomi ripugnanti diedero loro! Chiamarono Daniele Beltsatsar, che significa «principe di Bel» (come disse lo stesso Nabucodonosor: «Secondo il nome del mio dio» cap. 4:8). Hanania fu chiamato Shadrac; Rac era il nome del dio sole, e Shadrac significa «illuminato dal dio sole». Mishael fu chiamato Meshac; la terminazione «El», che in ebraico significa Dio, fu sostituita da Sac, che molto probabilmente era il nome di una dea che corrispondeva alla Venere greca; il suo precedente nome «chi è come Dio?» fu quindi mutato in «chi è come Venere?». Ad Azaria posero nome Abed-nego, cioè «servo di Nego», un altro falso dio.
Dietro questo cambiamento di nomi si denota il tentativo satanico di cancellare il ricordo di Gerusalemme e obbligare quei nobili giovani ad abbandonare la loro identità per assimilarsi coi pagani. Ma i Babilonesi non avevano tenuto conto della fedeltà del Dio d’Israele, che protesse, nella Sua grazia, i poveri prigionieri lontani dalla loro patria. Daniele si attaccò a Dio e lo servì con grande fedeltà.
È così che, fin dal principio, ci è presentato questo grande profeta. Aveva forse solo quattordici anni quando, prigioniero, si propose di non contaminarsi con ciò che, secondo la legge di Dio, era immondo (v. 8). Era una determinazione presa, senza dubbio, dopo molta meditazione sulla legge e molta comunione con Dio. In tal modo egli manifestò una completa separazione dal mondo e dalle sue abitudini. E avendo agito per fede, scoprì che Dio lo aveva posto nelle condizioni di essere ben visto e amato dal capo degli eunuchi. Così venne la prova: i quattro giovani furono sottoposti alla semplice dieta d’acqua e legumi, e dopo dieci giorni (dieci nella Scrittura è numero di prova) le loro facce apparvero più belle e più floride di quelle dei ragazzi che mangiavano carne alla tavola del re. Dio fa sempre molto di più di ciò che noi possiamo chiedere o pensare; perciò, oltre a dar loro forza e bellezza fisica, aggijnse anche una grande ricchezza spirituale:
«A questi quattro giovani Dio diede di conoscere e comprendere ogni scrittura e ogni saggezza. Daniele aveva il dono di interpretare ogni specie di visioni e di sogni» (1:17).
Daniele e i suoi compagni testomoniarono chiaramente che Dio ha sempre un residuo fedele fra il Suo popolo anche nei giorni d’apostasia e di giudizio. Questi uomini dalla fede integra, guidati da Daniele, sono una figura del residuo fedele dei Giudei che dovranno soffrire e testimoniare nel tempo della fine, durante la grande tribolazione, come vedremo in seguito.
Questo primo capitolo contiene, anche per noi cristiani, lezioni benedette. Come popolo di Dio noi siamo in mezzo a un mondo ostile a Dio e alla Sua Verità. Questa «grande Babilonia» ci opprime e, se fosse possibile, cancellerebbe completamente la Verità di Dio e ci priverebbe di tutta la nostra pace e la nostra gioia. Quanti e quali trionfi riporta questo grande nemico di Dio! Guardiamoci intorno e vedremo migliaia e migliaia di credenti che, invece di essere trasformati, si conformano a questo secolo. Si sono allineati con questo presente «secolo malvagio» (Galati 1:4) e, invece di vivere separati, camminano secondo le sue abitudini e le sue vie; per questo sono così sterili nelle cose spirituali. Il nostro continuo pericolo è che abbandoniamo di una vita di separazione e ci mettiamo a camminare alla maniera del mondo. Non ci riferiamo soltanto alle cose di questo mondo, ai suoi piaceri, alle cose che attraggono i sensi, allo spirito mondano che trascina alla cupidigia, al possesso e al godimento delle cose terrene. È chiaro che tutto ciò è sottinteso; ma parliamo principalmente di ciò che si chiama il «mondo religioso». Questa è la Babilonia nel vero senso della parola, la grande confusione.
La Parola di Dio ci esorta a separarci da tutto ciò che l’uomo ha ideato, da ciò che ha edificato, dalle tradizioni e dai comandamenti degli uomini; in poche parole, da tutto ciò che è contrario alla Sua Parola ed alla Sua volontà. Desideriamo una conoscenza più profonda della Sua Parola e di Lui stesso? Aspiriamo a un godimento più reale delle cose di Dio? Vogliamo più sapienza e più conoscenza spirituale? Il cammino è ben tracciato: dobbiamo separarci da tutto ciò che è male, attaccarci fermamente alla Parola di Dio confidando unicamente nel nostro Dio fedele. Questo è ciò che insegna i v. 1-2 del capitolo 12 della Lettera ai Romani: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà».
Dobbiamo «aborrire il male»; così potremo comprendere ed imparare. La mancanza di potenza e di godimento, l’indifferenza di cui siamo spesso consapevoli, la poca conoscenza che abbiamo di verità profonde, la scarsa comunione con Lui, sono il risultato di una vita conforme all’andazzo di questo mondo. Sicuramente Dio, in questi giorni della fine, chiama noi, chiama tutti i suoi a separarsi da ciò che è male. E come fece Daniele, il giovane Giudeo, così dobbiamo fare noi.
La meditazione della Parola e la comunione con il Signore devono occupare il primo posto nella nostra vita. Così, quando il nostro cuore prende una posizione decisa per il Signore, la fede che si appoggia su Lui per ricevere da Lui la forza sarà rafforzata. Allora sperimenteremo come Daniele che Dio è fedele e verace. La fedeltà al Signore diviene una beata realtà nel cammino della separazione dal male; e anche noi cresceremo in sapienza e in conoscenza. La conoscenza spirituale non si apprende come le altre cose, ma è uno speciale dono di Dio. Se riconosceremo la nostra debolezza e la nostra nullità, e ci affideremo alla sua misericordia, Egli ci accorderà la conoscenza di cui abbiamo bisogno.
Notiamo tuttavia che Daniele e i suoi compagni, sebbene non volessero contaminarsi con le vivande e con le bevande della tavola del re, non fecero a meno di mangiare e bere: sarebbero morti di fame. Mangiavano legumi e bevevano acqua; era una dieta molto semplice. E anche questo ha un significato per noi. In questo mondo dobbiamo pur vivere e testimoniare, ma quando ci separiamo da esso e dai suoi princìpi abbiamo un cibo con cui nutrirci che serve a tutto e che a tutto supplisce: Cristo stesso. E abbiamo anche l’acqua, lo Spirito Santo, che abita dentro di noi; e secondo quanto ci nutriamo di Cristo e siamo guidati dallo Spirito Santo, cresceremo in conoscenza e ci svilupperemo nella grazia del nostro Signor Gesù Cristo. La Sua potenza ci preservi in questi giorni malvagi!
Capitolo 2
Il sogno di Nabucodonosor
Il capitolo 2 ci introduce nella prima grande rivelazione profetica, e lo si può considerare uno dei più grandi capitoli della Bibbia. Esso sta alla base di tutte le altre visioni che sono contenute nel resto del libro. La medesima rivelazione di questo capitolo è presentata, sotto altra forma e più estesamente, nel capitolo 7. Ricordiamo che dal versetto 4 del cap. 2 Daniele cominciò ad usare l’aramaico, la lingua di Babilonia, valendosene fino alla fine del capitolo settimo; poi tornò ad usare l’ebraico. Questo è un argomento valido per dimostrare l’autenticità del libro, perché dopo la deportazione babilonese l’aramaico diventò la lingua dei Giudei. Se chi scrisse il libro fosse stato un impostore, lo avrebbe scritto soltanto in aramaico. Ma, come abbiamo già visto, i capitoli scritti da Daniele in aramaico riguardano soltanto i grandi imperi che usavano questa lingua, mentre gli altri capitoli concernono il popolo giudeo.
Ora, se suddividiamo queste profezie tenendo presente questo fatto, al principio della porzione scritta in aramaico abbiamo il grande sogno di Nabucodonosor (nella precedente Versione Riveduta Nebucadnetsar), e alla fine la visione di Daniele; il monarca pagano e il profeta di Dio ricevettero entrambi comunicazioni riguardanti le grandi monarchie del mondo, l’uno in sogno e l’altro in visione.
Se poi suddividiamo il libro in altro modo, e cioè indicando come parte prima i capitoli da 1 a 6 e parte seconda i capitoli da 7 a 12, allora scopriamo che ogni parte (senza contare il capitolo primo che serve d’introduzione), incomincia con un riferimento ai «tempi delle nazioni».
I tempi delle nazioni
Quest’espressione «i tempi delle nazioni» non si trova nel libro di Daniele, ma è una frase del Nuovo Testamento, che fu usata esclusivamente dal Signore Gesù. Nella parte del sermone profetico contenuto nell’Evangelo di Luca e che si riferisce alla caduta di Gerusalemme e alla dispersione della nazione, il Signore disse: «Cadranno sotto il taglio della spada, e saranno condotti prigionieri fra tutti i popoli; e Gerusalemme sarà calpestata dai popoli, finché i tempi delle nazioni siano compiuti» (Luca 21:24). Ora, i tempi delle nazioni non ebbero inizio quando Gerusalemme rigettò il Signore venuto dal cielo; l’epoca così chiamata cominciò quando Nabucodonosor condusse i Giudei in cattività a Babilonia, e la gloria del Signore lasciò Gerusalemme.
L’altro profeta della deportazione, Ezechiele, osservò la partenza della gloria dell’Eterno: «Poi i cherubini spiegarono le loro ali, e le ruote si mossero accanto a loro; la gloria del Dio d’Israele stava su di loro, in alto. La gloria del SIGNORE s’innalzò in mezzo alla città e si fermò sul monte situato a oriente della città» (Ezechiele 11:22-23); e prima ancora che questo avvenisse, Geremia scrisse parole molto notevoli riguardo a Nabucodonosor: «“Io ho fatto la terra, gli uomini e gli animali che sono sulla faccia della terra, con la mia gran potenza e con il mio braccio steso; io do la terra a chi voglio. Ora io do tutti questi paesi in mano a Nabucodonosor, re di Babilonia, mio servitore; gli do pure gli animali della campagna perché gli siano sottomessi. Tutte le nazioni saranno sottomesse a lui, a suo figlio e al figlio di suo figlio, finché giunga il tempo anche per il suo paese; allora molte nazioni e grandi re lo ridurranno in schiavitù. La nazione o il regno che non vorrà sottomettersi a lui, a Nabucodonosor re di Babilonia, e non vorrà piegare il collo sotto il giogo del re di Babilonia, quella nazione io la punirò”, dice il SIGNORE, “con la spada, con la fame, con la peste, finché io non l’abbia sterminata per mano di lui”» (Geremia 27:5-8).
Gerusalemme aveva avuto, fino ad allora, la supremazia sul mondo intero perché il trono di Dio e la Sua gloria erano in essa. Benché l’Assiria, l’Egitto e Babilonia avessero tentato più volte d’abbattere Gerusalemme, ne erano stati impediti dalla potenza di Dio e dal Suo intervento. Ma quando la misura dell’iniquità di Gerusalemme fu al colmo, Nabucodonosor fu scelto come il primo grande monarca dei «tempi delle nazioni» e il dominio fu tolto a Gerusalemme e passò alle nazioni.
Per maggior chiarezza citiamo brevemente un’altra frase che si trova pure nel Nuovo Testamento: la «totalità delle nazioni». I tempi delle nazioni e la totalità delle nazioni non sono la stessa cosa. La totalità delle nazioni menzionata in Romani capitolo 11, in quel grande capitolo che tratta della situazione d’Israele, avrà il suo compimento prima che la cecità che ha colpito Israele sia in parte rimossa: «un indurimento si è prodotto in una parte d’Israele, finché non sia entrata la totalità degli stranieri (o nazioni)» (Romani 11:25). Questo è uno dei misteri che l’apostolo Paolo fa conoscere. La totalità delle nazioni significa il numero completo degli eletti fra le genti, a costituire la Chiesa. La totalità delle nazioni che «entra» significa il rapimento della Chiesa dalla terra da parte del Signore (1 Tessalonicesi 4:13-18). Con questo avvenimento ricomincerà la storia giudaica, e Dio nella Sua grazia chiamerà il residuo giudeo fedele all’opera che lo riguarda durante il «tempo della fine».
Le profezie di Daniele si riferiscono ai tempi delle nazioni. A Daniele non fu rivelato nulla circa il proponimento di Dio riguardo alla presente età, cioè la chiamata della Chiesa, perché questo mistero non era conosciuto ai tempi dell’Antico Testamento (Efesini 3). Le profezie di Daniele sono di conseguenza un po’ differenti da quelle degli altri profeti. Nel paese d’Israele i profeti profetizzarono per il loro popolo, lanciando un grido d’allarme quanto ai giudizi che stavano per arrivare, e predissero il futuro glorioso di Gerusalemme. Fuori del paese, Daniele ebbe visioni che riguardavano le nazioni e gli eventi in cui essi saranno coinvolti e che precederanno l’insediamento del regno futuro di Cristo in mezzo al Suo popolo.
Il sogno dimenticato di Nabucodonosor
Possiamo dividere questo capitolo in cinque parti: 1) Il sogno dimenticato di Nabucodonosor. 2) La riunione di preghiera e la risposta divina. 3) Daniele davanti al re. 4) La rivelazione e l’interpretazione del sogno. 5) L’effetto prodotto in Nabucodonosor e la promozione di Daniele e dei suoi compagni.
Il re Nabucodonosor fece un sogno che lo preoccupò molto. Più tardi Daniele gli rivelerà qual era stata la causa del sogno: «I tuoi pensieri, o re, quand’eri a letto, si riferivano a quello che deve avvenire da ora in avanti» (v. 29). Non sappiamo cosa il re sapesse di ciò che era stato detto dal profeta Geremia riguardo al dominio che Dio gli aveva dato. Era ritornato da Gerusalemme carico di onori; e avendo compiuto un’impresa che altri non erano riusciti a compiere, si mise a pensare al futuro del suo impero, e a ciò che sarebbe avvenuto dopo la sua morte. Per mezzo di un sogno Dio esaudì i suoi desideri, facendogli conoscere il futuro.
Questo sogno in cui Dio rivela i Suoi propositi, è uno dei più profondi della Bibbia, e fece grande impressione sull’animo del re, che mandò a chiamare tutti i suoi savi e raccontò loro le preoccupazioni del suo spirito. I savi Caldei erano pronti a spiegargli ciò che il sogno significasse; ma poiché l’aveva dimenticato, il re pretese che i savi gli raccontassero prima il sogno!
«I Caldei risposero al re, e dissero: “Non c’è uomo sulla terra che possa dire ciò che il re domanda; così non c’è mai stato re, per grande e potente che fosse, che abbia domandato una cosa simile a un mago, o incantatore, o Caldeo. Quello che il re chiede è difficile e non c’è nessuno che possa dirlo al re, se non gli dèi, la cui dimora non è fra i mortali”» (2:10-11).
Per questo linguaggio ardito con cui confessavano la loro impotenza e l’assurdità della richiesta del re, i magi furono condannati a morte. «E si cercavano Daniele e i suoi compagni per uccidere anche loro» (v. 13), perché erano stati istruiti nei misteri dei Caldei e considerati fra i savi.
La riunione di preghiera e la risposta divina
Ed ora Daniele entra in scena, manifestando la più grande serenità di spirito e una fede profonda. Quanto fa bene all’anima considerare il procedere di quest’uomo di fede, senza precipitazione né fretta. Arioc, il capitano della guardia del re, uscì per compiere la sua missione: uccidere tutti i savi dell’impero. E andò in cerca di Daniele. Daniele gli parlò con sapienza e prudenza e, fattosi condurre davanti al re, gli promise con tutta sicurezza che, se gli avesse dato del tempo, gli avrebbe rivelato l’interpretazione del sogno.
Teniamo presente che allora Daniele non conosceva ancora il sogno; era all’oscuro del sogno tanto quanto lo erano i Caldei, eppure garantì al re che gliene avrebbe fatto sapere l’interpretazione. Questo era il linguaggio della fede; egli confidava in Dio e sapeva che il Dio del cielo aveva la potenza di fargli conoscere il sogno, poiché era Dio stesso che l’aveva mandato. È probabile che Daniele, nella sua fede, rivolgesse il pensiero ai tempi passati, alla storia di Giuseppe, un altro giovane ebreo, prigioniero egli pure in terra straniera, al quale Dio aveva dato sapienza per rivelare i sogni. Com’era possibile che Dio deludesso il giovane Daniele che aveva tanta fede in Lui? Dio non delude mai la vera fede. Ci conceda Dio, a noi che sappiamo che il Suo potere infinito è a nostra disposizione, di vivere più in armonia con la fede; questo è il nostro grande privilegio!
Arrivato a casa, Daniele raccontò ai suoi tre amici ciò che era avvenuto. Forse rimasero stupefatti ed anche sconcertati dalla sua fede; ma Daniele s’inginocchiò insieme ai suoi compagni «esortandoli a implorare la misericordia del Dio del cielo a proposito di questo segreto» (v. 18).
Che scena! Quattro giovani inginocchiati che riconoscono la loro assoluta impotenza davanti al Dio dei cieli, il Dio dei loro padri, e lo supplicano affinché nella Sua misericordia faccia loro conoscere il sogno. Era una riunione di preghiera a Babilonia, proposta da Daniele. Che uomo di fede e di preghiera! Più tardi leggiamo che tre volte al giorno teneva aperte le sue finestre verso Gerusalemme e «si metteva in ginocchio, pregava e ringraziava il suo Dio». Né lui né i suoi compagni conoscevano altra soluzione all’infuori della preghiera.
Il bisogno più pressante della Chiesa di Dio, oggi, è la preghiera di comune accordo. Le perplessità e le difficoltà aumentano continuamente. Gli eserciti dei demoni, le loro opere, le astuzie del diavolo ci attorniano da ogni parte. Mentre queste potenze malvagie assalgono quelli che professano il nome del Signore, il popolo di Dio dovrebbe attaccarsi, unito, a Dio stesso. C’è forse un’occupazione più elevata dell’essere riuniti come Suo popolo amato per «implorare la misericordia» a Colui al quale ci rivolgiamo chiamandolo non più «Dio del cielo», ma «Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo» (1 Pietro 1:3)? Egli aspetta sempre le preghiere e le suppliche del Suo popolo. Se abbiamo poco vero ministero nella potenza dello Spirito, così poca penetrazione nei propositi e nelle vie di Dio, così poco progresso spirituale, è perché ci prostriamo troppo poco in ginocchio implorando misericordia. E la mancanza di preghiera fra noi altro non è che il risultato di una mancata preghiera in segreto.
Quella notte venne la risposta. Il segreto non fu rivelato ai tre amici; Dio lo rivelò a Daniele in una visione notturna. In altre parole egli sognò quello che il re aveva sognato. Dio onorò Daniele perché Daniele aveva onorato Dio. Dal suo cuore sgorgò uno dei cantici di lode più belli e più semplici che si trovano nella Bibbia. Si legga e si veda come Daniele attribuisce tutto a Dio nella sua lode. È una lode composta di sette parti: 1ª) La sapienza e la potenza sono di Dio. 2ª) Egli cambia i tempi e le stagioni. 3ª) Egli rimuove i re e ne stabilisce altri. 4ª) Egli dà sapienza ai savi e conoscenza a quelli che hanno intendimento. 5ª) Egli rivela le cose profonde e segrete. 6ª) Egli conosce quel che è nelle tenebre e la luce abita presso di lui. 7ª) La lode per la rivelazione ricevuta, in risposta a ciò che avevano richiesto. Quant’era perfetta questa lode che esalta Dio e le Sue vie meravigliose!
Daniele davanti al re
Dopo questo canto di lode, che dà gioia al Signore, Daniele va di nuovo da Arioc, al quale era stato dato l’incarico di uccidere i savi e, senz’ombra di timore, gli compare davanti parlando con l’autorità di un messaggero di Dio. Allora Arioc in tutta fretta si reca dal re, come se a lui spettasse tutto l’onore d’aver scoperto chi poteva interpretare il sogno. Ma quanto è bello il giovane Daniele davanti al re! In piedi di fronte al potente monarca egli avrebbe avuto una buona occasione per elevarsi. Ma Daniele nasconde completamente la sua persona ed esalta Dio, mettendo se stesso completamente da parte. V’è un Dio in cielo che rivela i segreti, egli dice. Nabucodonosor deve conoscere la potenza di Dio e quanto Daniele confidi in Lui. Poi Daniele spiega che Dio gli ha fatto sapere quello che deve avvenire alla «fine dei tempi» (*), frase importante che corrisponde al «tempo della fine» della seconda metà di questo libro; e, prima di far conoscere il sogno, parla di se stesso, rinunziando ad ogni onore che eventualmente potessero attribuirgli per ciò che stava per dire: «Quanto a me, questo segreto mi è stato rivelato non perché la mia saggezza sia superiore a quella di tutti gli altri viventi, ma perché io possa dare l’interpretazione al re, e tu possa conoscere i pensieri del tuo cuore» (v. 30).
Quanta umiltà traspare da queste parole! La vera conoscenza spirituale e una penetrazione più profonda nelle vie e nei proponimenti di Dio devono essere sempre accompagnati dall’umiltà. Si ricordi il grande apostolo Paolo, al quale fu rivelato il mistero della Chiesa, mistero che era occulto nel tempo precedente; nel capitolo in cui parla di ciò, egli dice di se stesso: «Io sono il minimo fra tutti i santi» (Efesini 3:8)! Tutti dobbiamo guardarci dalla conoscenza che gonfia, e che ci fa pensare di essere più di quello che siamo in realtà; è una cosa molto pericolosa. Ma se davvero camminiamo e viviamo nella verità, saremo liberati da questo grande pericolo spirituale. Non v’è niente di più attraente, niente di più bello della vera conoscenza della verità accompagnata dall’umiltà.
La rivelazione e l’interpretazione del sogno
Ed ora ascoltiamo Daniele che parla con il re:
«Tu, o re, guardavi, ed ecco una grande statua; questa statua, immensa e d’uno splendore straordinario, si ergeva davanti a te, e il suo aspetto era terribile. La testa di questa statua era d’oro puro; il suo petto e le sue braccia erano d’argento; il suo ventre e le sue cosce di bronzo; le sue gambe, di ferro; i suoi piedi, in parte di ferro e in parte d’argilla. Mentre guardavi, una pietra si staccò, ma non spinta da una mano, e colpì i piedi di ferro e d’argilla della statua e li frantumò. Allora si frantumarono anche il ferro, l’argilla, il bronzo, l’argento e l’oro e divennero come la pula sulle aie d’estate. Il vento li portò via e non se ne trovò più traccia; ma la pietra che aveva colpito la statua diventò un gran monte che riempì tutta la terra» (2:31-35).
Che stupore deve aver colto Nabucodonosor mentre ascoltava il racconto del giovane deportato! Tutto il suo sogno gli ritornò in mente. E grande pure dev’essere stata la sua sorpresa quando Daniele glielo interpretò. La grande statua dalla forma di uomo è la statua profetica dei «tempi delle nazioni» ed è molto significativo che fosse scelta una statua d’uomo di grandi dimensioni.
La grande statua si componeva di quattro specie di metalli: oro, argento, rame, ferro; i due piedi con le dieci dita erano di ferro e d’argilla. Queste quattro parti metalliche della grande statua d’uomo rappresentano, secondo l’interpretazione divina, quattro grandi imperi mondiali. Qui abbiamo davvero la storia scritta in anticipo, il che costituisce una delle grandi prove dell’origine divina della Bibbia. Quattro grandi regni, o potenze mondiali, dovevano apparire, cominciando da Nabucodonosor e succedendosi l’uno dopo l’altro fino alla fine, quando il dominio sarà tolto dalle mani delle nazioni e il governo dell’Altissimo sarà stabilito sulla terra. Questi quattro grandi imperi mondiali sono sorti esattamente nel modo con cui furono mostrati a Nabucodonosor nel sogno e rivelati da Daniele.
Il giovane profeta, additando Nabucodonosor disse: «La testa d’oro sei tu» (v. 38). Nabucodonosor, il grande capo del vasto Impero Babilonese, era rappresentato dal capo d’oro. Ma questo non significa che il re fosse moralmente come l’oro fino. L’oro è il simbolo della divinità. Nabucodonosor aveva ricevuto l’autorità e dominio direttamente dal Dio del cielo e fu questa la ragione per cui l’oro, il metallo più prezioso, è citato in riferimento all’Impero Babilonese.
Il regno che seguì quello Babilonese e che è rappresentato dal petto e dalle braccia della statua, fatti d’argento, è la monarchia mondiale Medo-Persiana. Non seguiremo i fatti storicamente perché gli avvenimenti storici sono noti a tutti. Nel capitolo 5 è annunziata la caduta dell’Impero Babilonese: «il tuo regno è diviso e dato ai Medi e ai Persiani» (v. 28). Qui Dario il Medo entra in scena, il gran re di Babilonia, che il profeta Isaia aveva menzionato più di cent’anni prima che Ciro apparisse.
Ecco un altro fatto straordinario della profezia, ragione per cui i critici hanno cercato di screditare anche Isaia, perché non possono credere che lo Spirito Santo di Dio sia capace di rivelare il nome e perfino la storia d’un essere non ancora nato.
La terza monarchia mondiale, che sostituì la precedente, è la Greco-Macedone. Nel capitolo settimo leggiamo la storia del re di Persia sconfitto dal re della Grecia, di quel grande impero rappresentato dal ventre e dalle cosce di rame. Si dice che il suo fondatore, Alessandro Magno, abbia pianto perché temeva che non restassero più popoli da conquistare. La sua grande ambizione, come quella di Ciro e di Nabucodonosor, era la signoria mondiale, il dominio su tutte le nazioni della terra.
La quarta monarchia dei tempi delle nazioni è rappresentata dal ferro; l’Impero Romano, che ci è descritto con un tipo di superiorità caratteristico: è detto infatti che sarà forte, «poiché, come il ferro spezza ed abbatte ogni cosa, così, pari al ferro che tutto frantuma, esso spezzerà ogni cosa» (v. 40). Questa è una descrizione perfetta del potente Impero Romano, e non c’è bisogno di altre spiegazioni. È ugualmente chiaro che quel regno fu diviso in due parti, rappresentate dalle gambe della statua, cioè l’Impero Romano d’Oriente e l’Impero Romano d’Occidente.
Le gambe sono le parti più lunghe della statua, e infatti l’Impero Romano durò più a lungo di tutti i precedenti. Il ferro e l’argilla sono i materiali di cui sono composti i piedi. L’ultima forma del dominio mondiale delle nazioni pagane si vede rappresentata dalle dieci dita dei piedi – i dieci re dell’Impero Romano – e sono di ferro e d’argilla, due elementi che non si possono amalgamare.
Prima di proseguire nell’interpretazione di questo sogno, notiamo la natura dei materiali che componevano la statua sognata. Essi mostrano un progressivo deterioramento; dall’oro che è il metallo più prezioso, si scende all’argento, al rame, al ferro, e poi al ferro misto all’argilla. Questo a significare che non ci sarà né progresso né miglioramento nelle imprese dei tempi delle nazioni. Il secondo metallo è inferiore al primo; il terzo è a sua volta inferiore al secondo, e il quarto, inferiore al terzo che è però superiore per forza brutale e per potenza nel frantumare.
Secondo il pensiero moderno, questa statua avrebbe dovuto essere stata costruita così: prima il capo composto da materia spregevole, terra mescolata con particelle di ferro. Poi l’argilla che cede a poco a poco il posto del ferro, e queste parti di minor pregio che scompaiono per cedere il posto al rame e poi all’argento; e così, giunti ai giorni luminosi del ventesimo secolo, con le sue straordinarie scoperte e con la sua civiltà, ecco l’oro fino! Questo è un altro sogno, ma non dato da Dio! È il sogno che Satana, il padre della menzogna, ispira agli uomini. Il sogno di Nabucodonosor procede da Dio e ci insegna invece il tragico processo di deterioramento che si verifica nei «tempi delle nazioni».
La forma finale dei tempi delle nazioni
Le dieci dita dei piedi di ferro e d’argilla rappresentano la forma finale dei tempi delle nazioni. Queste dita sono la figura di dieci re. Così le interpretò Daniele quando disse: «Al tempo di questi re…» (v. 44). Nel capitolo 7 troviamo un’altra visione riguardo al futuro dell’ultima monarchia, cioè dell’Impero Romano. La quarta bestia ha dieci corna e le dieci corna sono anch’esse dieci re. Infine se consultiamo il grande libro profetico del Nuovo Testamento, l’Apocalisse, ritroviamo le dieci corna e i dieci re che sono qui rappresentati: «Le dieci corna che hai viste sono dieci re, che non hanno ancora ricevuto regno; ma riceveranno potere regale, per un’ora, insieme alla bestia» (Apocalisse 17:12). Non può esservi dubbio alcuno su ciò che rappresentano questi dieci re.
Ma noi ci domandiamo: siamo giunti all’epoca di questa quarta monarchia? Abbiamo qualcosa nella storia che corrisponda alle dieci dita dei piedi della statua e coincida con la sua catastrofe? L’Impero Romano, come tale, oggi non esiste assolutamente. L’Europa, la maggior parte della quale, con l’Egitto, l’Asia Minore, la Siria e l’Africa Settentrionale, componeva l’antico Impero Romano, è ora divisa. Il ferro e l’argilla sono in essa; il ferro rappresenta le «grandi potenze», re e imperatori che dominano dentro il territorio del mondo romano.
Ma cosa rappresenta l’argilla? L’argilla è terra: qualcosa che non dovrebbe far parte di una grande statua; è un ingrediente estraneo che è stato introdotto. I metalli rappresentano delle monarchie, ma l’argilla rappresenta un regime democratico, il governo del popolo. Questo è proprio ciò che vediamo oggi, in cui v’è una forte corrente verso un governo del popolo, la signoria delle masse popolari.
Allora, che cosa avverrà ancora in seno al territorio del vecchio Impero Romano? L’impero sarà ricostituito, e in questa nuova monarchia vi saranno dieci regni in cui l’argilla, il governo delle masse, occuperà un posto importantissimo. Non esiste ancora una divisione ben definita delle dieci dita; prima l’Impero Romano dovrà essere ricostituito e dopo appariranno i dieci re. In che modo avverrà ciò? Non lo sappiamo, ma vediamo da tutte le parti indizi eloquenti che tali condizioni possono realizzarsi (*).
La pietra staccata dal monte
Ciò che segue è una grande catastrofe. Nabucodonosor vide una pietra che cadde dal cielo e percosse le dieci dita (non il capo, ma i piedi) composte da ferro mescolato con argilla. Di colpo la statua fu stritolata e tutti i metalli rappresentati in essa divennero come la pula sull’aia d’estate: il vento li spazzò via.
Nulla, proprio nulla rimase del grande colosso. Dev’essere stata questa parte del sogno a ispirare gran terrore a Nabucodonosor. E cosa avvenne della pietra che percosse la statua? Si trasformò in una grande montagna che coprì tutta la terra! E Daniele disse al re:
«Al tempo di questi re, il Dio del cielo farà sorgere un regno, che non sarà mai distrutto e che non cadrà sotto il dominio d’un altro popolo. Spezzerà e annienterà tutti quei regni, ma esso durerà per sempre, proprio come la pietra che hai visto staccarsi dal monte, senza intervento umano, e spezzare il ferro, il bronzo, l’argilla, l’argento e l’oro. Il gran Dio ha fatto conoscere al re quello che deve avvenire d’ora in poi. Il sogno è vero e sicura è la sua interpretazione» (2:44 -45).
In questo modo fu soddisfatto il desiderio del re di conoscere ciò che sarebbe avvenuto nel futuro, e noi pure riceviamo la risposta vera al nostro desiderio: sapere ciò che sta per avvenire alla fine di tutto quello che ora vediamo, di questo tempo attuale.
La pietra è Cristo
Dalle Scritture sappiamo che la pietra rappresenta Cristo. «Ecco, io ho posto come fondamento in Sion una pietra, una pietra provata, una pietra angolare preziosa, un fondamento solido» (Isaia 28:16).
Zaccaria pure parla di questa pietra incisa con sette occhi (3:9). Di essa leggiamo nel Nuovo Testamento che è il fondamento della Chiesa, la pietra angolare, la pietra rigettata dagli edificatori (Efesini 2 e 1 Pietro 2). Ma più interessante è la dichiarazione del Signore nell’Evangelo di Matteo: «Chi cadrà su questa pietra sarà sfracellato; ed essa stritolerà colui sul quale cadrà» (Matteo 21:44). Qui vediamo il peccato d’Israele e il giudizio e il destino delle nazioni. Israele «inciampò» contro questa pietra; per gl’Israeliti fu «pietra d’inciampo e sasso di ostacolo» (1 Pietro 2:8). In conseguenza di ciò, essi furono «tritati» come nazione. Ma anche il mondo delle nazioni, che rigetta il Signore, sarà fiaccato quando la pietra cadrà su di esso; sarà interamente frantumato dalla «pietra che si staccherà dal monte senz’opera di mano». Il nostro Signore, quando proferì queste parole, deve avere avuto in mente il sogno di Nabucodonosor. La pietra che cadrà, secondo ciò ch’Egli dice, e la pietra che abbatterà la statua, secondo il sogno, rappresentano la medesima persona: Gesù Cristo.
La pietra quando colpirà?
È sorprendente che una profezia tanto semplice sia tanto male interpretata. Quelli che sostengono che il Signore non verrà se non dopo il Millennio hanno cercato di riferirla alla prima venuta di Cristo. In questo modo non solo hanno errato , ma si sono presi una grande libertà con la Parola di Dio, introducendo in essa ciò che non vi si trova assolutamente. Alcuni dicono che la nascita di Cristo fu la data nella quale si iniziò a «percuotere» il mondo pagano. Altri pensano che sia il giorno della Pentecoste, o la distruzione di Gerusalemme, o altri avvenimenti storici, come l’editto di Costantino il Grande. Altri ancora parlano di un regno spirituale che avrebbe avuto inizio con la venuta del Signore Gesù; questa pietra, caduta con grande impeto, continuerebbe a rotolare facendosi sempre più grande, fino a diventare, alla fine, un grande monte che riempie tutta la terra. Questa dottrina insegna che, a poco a poco, questo regno si estenderà in tutto il mondo, per mezzo della Chiesa, e che il paganesimo cederà gradualmente. Si è molto parlato dell’estendersi di questo regno per mezzo di movimenti missionari, e si dice che la pietra riceverà sempre maggiore impulso, finché si arriverà al regno di Cristo sulla terra.
Ma tutto ciò è sbagliato e mette completamente sottosopra la Parola di Dio, portandoci ad una delle più caotiche conclusioni. Alla sua prima venuta, il Signore Gesù Cristo non diede l’ordine di tritare il dominio delle nazioni per mezzo dell’Evangelo e nemmeno attaccò l’Impero Romano, che in quel tempo aveva il dominio sul mondo. In realtà, l’Impero Romano fu ufficialmente l’esecutore della Sua condanna a morte. A quell’epoca Cristo non percosse la statua, ma in certo modo fu la statua a percuotere Lui.
Nel sogno, vediamo che la pietra colpisce i piedi e con essi le dieci dita; perciò, prima che la pietra cada, è necessario che esistano le dieci dita da colpire. Quando il Signore Gesù venne la prima volta, l’Impero Romano era unito; la divisione dell’impero in Orientale ed Occidentale, rappresentata dalle due gambe della statua, non era ancora avvenuta. Se ancora non esistevano né le gambe né i piedi, e non si vedevano le «dieci dita», com’era possibile che la prima venuta di Cristo fosse il compimento di questo sogno? Tutto ciò si comprende facilmente: la pietra percuoterà la statua quando sorgeranno realmente le dieci dita, ossia la divisione finale in dieci regni del ricomposto Impero Romano.
Una grande catastrofe
Chiunque può vedere che la pietra che colpisce non può significare l’estensione pacifica di un regno spirituale, né la predicazione dell’Evangelo, ma una grande catastrofe. E non si dimentichi che solo dopo aver fatto la sua opera distruttrice, dopo che la statua sarà stata frantumata, la pietra si trasformerà in un monte che ricopre tutta la terra.
La pietra che cade dall’alto è la seconda venuta del nostro Signore Gesù Cristo, non quella per rapire la Chiesa ma la sua venuta con «grande potenza e gloria» (Marco 13:26) per stabilire il suo regno. Quando si formeranno i dieci regni, ferro e argilla, regnerà sulla terra una spaventosa apostasia. La grande civiltà delle nazioni, sebbene abbia il nome di «cristiana», come si fanno chiamare le nazioni che la sostengono, sarà diventata completamente anticristiana. Allora si compirà la prima parte del Salmo 2. La sua ribellione contro Dio e contro il suo Unto, prevista dal salmista, si realizzerà. Solo allora verrà il colpo distruttore.
L’intervento divino, che gli uomini di quel tempo non s’aspetteranno, giungerà improvviso. Il Dio del cielo stabilirà il regno di Cristo e metterà sul trono il suo Re sopra il monte di Sion. Ma il primo atto di Dio sarà la completa distruzione e il giudizio dell’ultima forma del dominio delle nazioni sul mondo.
Che terribile atto di giudizio sarà quello! Allora avrà fine «il giorno dell’uomo» con il suo tanto vantato progresso, con la sua decantata civiltà e con la sua abominevole deificazione dell’uomo. Il suo sole tramonterà, circondato dalle oscure nuvole del giudizio. Gli uragani dell’ira e dell’indignazione divina spazzeranno via tutto quello che avrà sfidato e rigettato Dio e il Suo dono più caro e più grande.
Agli uomini increduli, anche se religiosi, tutto questo suona abbastanza male. Spesso si domandano: Ma è possibile che tutto questa avvenga? Poco importa ciò che l’uomo pensa; questo è scritto nella Parola della Verità, l’infallibile Parola di Dio.
Ogni altra parte del sogno di Nabucodonosor ha già avuto un compimento letterale. Solo alla fine la pietra «si staccò, ma non spinta da una mano» (2:34), colpirà le dieci dita e frantumerà interamente la statua, facendo terminare definitivamente i «tempi delle nazioni» e il loro dominio; tutto si adempierà letteralmente.
Ci accordi Dio che il progresso moderno, senza Dio e senza Cristo, non venga ad oscurare alla nostra vista la vera fine di questa età e della sua gloria fittizia. Nondimeno vi è un aspetto gradevole in questo quadro oscuro: la pietra che esegue il giudizio si converte, come abbiamo visto, in un gran monte che riempie tutta la terra. È la rappresentazione dell’instaurazione del regno del Signore Gesù Cristo. Allora sarà stabilito il vero regno di Cristo, regno effettivo, letteralmente e politicamente, e tutte le nazioni della terra saranno sottoposte al governo glorioso e pacifico del Figlio dell’Uomo. Allora, e non prima, le visioni mirabili dei santi profeti di Dio che si riferiscono al «Regno» saranno gloriosamente adempiute.
L’effetto dell’interpretazione su Nabucodonosor
Non una parola era uscita dalle labbra dell’attonito re, ed ora lo vediamo prostrato davanti a Daniele, lo strumento divino mediante cui Dio aveva fatto conoscere il sogno e il suo significato. Il re riconosce il Dio di Daniele come «il Dio degli dèi, il Signore dei re e il rivelatore dei segreti» (2:47). Egli accettò Dio sotto tre aspetti: il Dio degli dei che è Dio Padre, il Signore dei re come lo è il Signore nostro Gesù Cristo, e in qualità di rivelatore dei segreti lo Spirito Santo.
Daniele riceve una posizione molto elevata, e alla sua richiesta i suoi tre amici godono di eguale privilegio. Tutto ciò è un tipo della benedizione che il residuo fedele dei Giudei riceverà un giorno. E qui dobbiamo ricordarci anche di Gesù che disse nella sua preghiera: «Io ho dato loro la gloria che tu hai data a me» (Giovanni 17:22). Quando giungerà il giorno della sua suprema glorificazione, quand’Egli sarà manifestato, noi saremo «con lui manifestati in gloria» (Colossesi 3:4). Come Daniele non lasciò indietro i suoi amici, così anche il nostro benedetto Signore non si dimenticherà di noi, ma ci darà un posto con Lui sul suo trono (Apocalisse 3:21).
Quanto tempo deve passare prima che sia adempiuta quest’ultima scena del sogno di Nabucodonosor? Ci danno la risposta le condizioni odierne del mondo. Certo, il tempo è vicino poiché tutto sembra affrettarsi rapidamente verso la fine. La «fine delle nazioni» non può essere tanto lontana; e prima che essa giunga, la voce potente del nostro Signore chiamerà nella Sua presenza tutti i suoi santi (1 Tessalonicesi 4:13-18). Aspettiamo questo avvenimento e per questo preghiamo!
Generalità dei capitoli da 3 a 6
Le condizioni morali e religiose dei tempi delle nazioni
I quattro capitoli che seguono, dopo questo sogno di Nabucodonosor, sono di carattere storico e, benché non contengano direttamente delle profezie, nondimeno ci raccontano certi avvenimenti che si svolsero durante il regno di Nabucodonosor, del suo successore, di suo nipote Baldassar e di Dario il Medo.
Riguardo alla storia individuale di queste tre persone e del posto che occupano nella storia profana, abbiamo poco da dire e un esame di questo soggetto ci porterebbe molto lontano. Tuttavia dobbiamo dire che, alla critica che accusava Daniele di inesattezza, è stata chiusa la bocca con il rinvenimento dei rotoli a caratteri cuneiformi babilonesi, di Ciro e di Nabonida, e delle cosiddette tavole annali, che in realtà non sono altro che gli scritti storici di quei tempi.
Solo l’identità di Dario il Medo non è ancora stata confermata dalla storia; tuttavia, noi abbiamo fiducia nella Bibbia non perché i suoi dati storici si possono provare con i dati della storia profana! Noi crediamo alla Bibbia perché i suoi dati provengono da Dio, e per questo sono indiscutibilmente certi. Cosa potremmo sapere oggi dell’esattezza di queste antiche tavole e dei rotoli pieni d’iscrizioni cuneiformi se non avessimo la Bibbia? Queste testimonianze in realtà esaltano la Bibbia, ma non la ne verificano la veridicità; anzi sono loro ad essere semmai comprovate come genuine e corrette dalla Parola di Dio. Dunque, questi quattro capitoli ci forniscono dati di avvenimenti storici e ognuno di questi eventi ha anche un significato profetico.
Sintesi dei quattro capitoli in esame
Daremo una sintesi di questi quattro capitoli prima di commentarli brevemente.
Capitolo 3. La statua d’oro eretta da Nabucodonosor. La fornace ardente e la liberazione miracolosa dei fedeli prigionieri.
Capitolo 4. La proclamazione di Nabucodonosor. Il suo sogno con visioni. L’interpretazione di Daniele. La malattia mentale del re e la sua riabilitazione.
Capitolo 5. Il convito di Baldassar (nelle precedente Versione Riveduta Belsatsar). La mano che scrive sul muro. L’interpretazione data da Daniele. La caduta di Babilonia, che avvenne nell’anno 538 a. C., ossia 68 anni dopo che Daniele era stato condotto a Babilonia.
Capitolo 6. Il decreto di Dario il Medo. La fede di Daniele e la maniera in cui Dio lo liberò dalla fossa dei leoni. La proclamazione di Dario. Tutto questo deve essere avvenuto nell’anno in cui cadde Babilonia. I dipinti nei quali si vede Daniele molto giovane, circondato da leoni, non sono corretti; perché se Daniele aveva circa quattordici anni quando fu deportato a Babilonia, doveva avere più di ottant’anni quando fu gettato nella fossa dei leoni.
Il proposito dello Spirito Santo nel guidare Daniele a scrivere prima questi avvenimenti storici, non è difficile da scoprire. Questi capitoli descrivono le condizioni morali prevalenti durante l’epoca dei grandi imperi del mondo e indicano pure le condizioni morali che continueranno fino alla fine dei «tempi delle nazioni».
In questi capitoli possiamo vedere cinque particolarità che sono profeticamente abbozzate:
1°) Le caratteristiche morali dei tempi delle nazioni.
2°) Ciò che avverrà alla fine del tempo delle nazioni.
3°) Il residuo fedele del popolo giudeo nella sofferenza.
4°) La sua liberazione.
5°) Le nazioni riconoscono Dio quale Re e Dio dei cieli.
Capitolo 3
La statua d’oro
Nabucodonosor aveva udito dire da Daniele: «La testa d’oro sei tu». Il povero re si insuperbì e nell’orgoglio del suo cuore si propose di unificare il culto religioso del suo vasto impero. Comandò che si facesse un’immensa statua d’oro (senza dubbio a immagine d’uomo) e la fece collocare nella pianura di Dura, nella provincia di Babilonia. Questo fu un atto di idolatria e di deificazione dell’uomo. L’idolatria e la deificazione dell’uomo sono le prime caratteristiche morali menzionate, che prevarranno nel corso dei tempi delle nazioni. I tempi delle nazioni produrranno una religione in opposizione assoluta al Dio dei cieli.
La statua d’oro era di sessanta cubiti di altezza e sei di larghezza. «Sette» è il numero divino e «sei» il numero dell’uomo. Sessanta cubiti e sei ci ricordano quel passo tanto conosciuto del libro dell’Apocalisse, dove ci è dato il numero dell’uomo, quel numero misterioso: 666. La statua dunque rappresenta l’uomo; ma il punto culminante, l’apoteosi dell’uomo, non è ancora raggiunto. Nondimeno, questo principio delinea la fine delle nazioni, fine che è descritta nel capitolo 13 dell’Apocalisse.
Questo capitolo ci porta in seno all’Impero Romano risorto, quando saranno stabiliti i dieci regni. In quel tempo un grande imperatore romano, che più tardi nelle visioni di Daniele sarà chiamato «piccolo corno» (7:8), apparirà, farà alleanza con i Giudei e permetterà loro di riprendere il culto giudaico. Poi egli stesso romperà questo patto. L’altra bestia, la seconda del capitolo tredici dell’Apocalisse, l’Anticristo in persona, che, come il capo dell’Impero Romano, riceverà energia da Satana, farà un’immagine di quel capo (la bestia) ed esigerà che sia adorata. Allora l’idolatria e la deificazione dell’uomo raggiungeranno il culmine. L’Anticristo e l’immagine della bestia saranno adorati; egli si siederà nel tempio di Dio facendosi credere Dio (2 Tessalonicesi 2:4). Da questo breve studio vediamo che l’atto di Nabucodonosor si riprodurrà chiaramente nel tempo della fine.
Il potere civile cercò di far applicare questa religione universale a tutto il popolo. I grandi dell’impero, dai governatori ai giudici, dai capitani ai rettori, dovevano essere presenti alla deificazione della statua. Tutto rivestiva un carattere religioso; si udì la dolce musica del flauto, della cetra, della lira, del saltèro e di ogni sorta di strumenti musicali che suonavano armoniosamente. I sacerdoti caldei s’avvicinavano cantando qualche canto babilonese. E perché tutto questo? Per produrre delle emozioni religiose, e facilitare in questo modo il culto di un idolo.
È molto interessante notare che l’antico culto babilonese, con le sue cerimonie e i suoi cantici mistici monotoni, lo si ritrova nella Chiesa Romana e nei grandi sistemi religiosi. E non vi sono anche qui degli insegnamenti per i nostri giorni? Da ogni parte si aspira e si richiede una nuova religione, ecumenica, universale. E verrà di sicuro; anzi è già quasi fatta.
Quest’era delle nazioni non terminerà senza religione. Il culto attraente di Caino, la falsa adorazione, ci attornia da ogni parte; essa misconosce il sangue di Cristo ed esalta l’uomo. Oggi si usano molti strumenti, e si utilizzano canzoni moderne a volte cantate da cantanti professionisti, spesso provenienti dai teatri del mondo. Ci sono le cerimonie, a volte magnifiche, e i riti. Tutto questo è certo di grande aiuto al culto; ma a quale specie di culto? Un culto sensuale, psichico, carnale, non il culto «in spirito e verità» (Giovanni 4:23), quello vero che il Padre richiede.
I tre fedeli
Fatta l’inaugurazione della statua al suono degli strumenti, è detto che tutte le nazioni e tutti i popoli si prostrarono e adorarono; chiunque non avesse obbedito all’ordine del re, sarebbe stato gettato nella fornace accesa. Allora i Caldei vennero ed accusarono i tre amici di Daniele, Shadrac, Meshac e Abed-nego, che avevano rifiutato di adorare la statua.
«Allora Nabucodonosor, irritato e furioso, ordinò che gli portassero Sadrac, Mesac e Abed-Nego; questi furono condotti alla presenza del re. Nabucodonosor disse loro: “Sadrac, Mesac, Abed-Nego, è vero che non adorate i miei dèi e non vi inchinate davanti alla statua d’oro che io ho fatto erigere? Ora, appena udrete il suono del corno, del flauto, della cetra, della lira, del saltèrio, della zampogna e di ogni specie di strumenti, siate pronti a inchinarvi per adorare la statua che io ho fatta; ma se non la adorerete, sarete immediatamente gettati in una fornace ardente; e quale Dio potrà liberarvi dalla mia mano?” Sadrac, Mesac e Abed-Nego risposero al re: “O Nabucodonosor, noi non abbiamo bisogno di darti risposta su questo punto. Ma il nostro Dio, che noi serviamo, ha il potere di salvarci e ci libererà dal fuoco della fornace ardente e dalla tua mano, o re. Anche se questo non accadesse, sappi, o re, che comunque noi non serviremo i tuoi dèi e non adoreremo la statua d’oro che tu hai fatto erigere”» (3:13-18).
Nabucodonosor si assicura della veridicità dell’accusa. Gli vengono presentati i tre uomini che rifiutano di adorare la statua d’oro. E Nabucodonosor, che avevamp visto prostrarsi davanti a Daniele riconoscendo Dio qual «Signore dei re e rivelatore dei segreti», ora osa dire in tono arrogante: «Qual è quel dio che vi libererà dalle mie mani?». Ma in quell’ora estrema ed oscura la grazia e la potenza di Dio sostennero i tre amici di Daniele.
Che parole piene di grazia proferirono! Nessuna angoscia, nessuna paura trapela dalla loro risposta al re, ma calma e fermo proposito. Erano uomini di fede, e questa fede si vede qui trionfante. Essi sanno che Dio, che servono, è il Dio onnipotente: Egli saprà liberarli. «Il nostro Dio, che noi serviamo, ha il potere di salvarci e ci libererà … sappi, o re, che comunque noi non serviremo i tuoi dèi». Che linguaggio vittorioso è questo! Il re infuriato si trovò disarmato alla presenza di questi uomini realmente separati dal mondo e risoluti a servire Dio, costi quello che costi.
La fornace fu accesa sette volte più del solito e alcuni uomini fra i più robusti ebbero l’ordine di gettare quei tre giovani nella fornace. Ma ecco che proprio quelli furono consumati dalle fiamme. E quando il re volse gli occhi verso la fornace, vide con gran sorpresa non tre uomini legati, in preda alle fiamme, ma quattro uomini che passeggiavano tra il fuoco «senza avere sofferto nessun danno; e l’aspetto del quarto è simile a quello di un figlio degli dèi» (3:25).
Quando gli amici di Daniele furono fatti uscire dalla fornace ardente, non vi era su di loro nemmeno l’odor del fuoco. Non un capello era stato arso; niente era stato bruciato, all’infuori dei legami coi quali erano stati legati. Il fuoco, anzi, li aveva liberati, e non aveva fatto loro alcun danno. Il re aveva ragione quando disse che il quarto che aveva visto nella fornace era simile ad un figlio degli dèi. Ben poco sapeva quel che significasse, ma è certo che in mezzo a quel fuoco vide il Figlio di Dio, vide il Signore, perché Egli stesso aveva promesso al suo popolo: «Quando camminerai nel fuoco non sarai bruciato e la fiamma non ti consumerà» (Isaia 43:2). Il Signore, sempre fedele, aveva mantenuto la sua promessa verso i suoi servitori che si erano confidati in Lui.
E tutto questo non si è forse ripetuto durante i tempi delle nazioni, specialmente durante l’Impero Romano? La Roma pagana perseguitò quelli che adoravano Dio “in spirito e verità”, e in quelle terribili persecuzioni moltitudini di credenti soffrirono il martirio. Ma ricordiamoci di ciò che è ancora peggiore, la Roma papale. In essa si sono viste le fornaci accese, i roghi, le torture più atroci per tutti quelli che furono fedeli al loro Dio e al loro Signore.
Anche per il popolo cristiano di oggi ci sono, in molti Paesi, delle fornaci accese e sofferenze d’ogni genere. Ma il Signore è coi suoi in mezzo alla fornace per fortificarli e sostenerli.
Per questi nobili martiri, per i quali è riserbata una corona nel futuro giorno di Cristo, non venne la liberazione, anzi i loro corpi furono consumati dalle fiamme; ma pure il Signore, il Figlio di Dio, fu con loro, così che con cuori pieni di lode e con canti sulle labbra, poterono entrare nella gloria, mentre Egli li accompagnava attraverso il fuoco.
È molto interessante leggere i commentatori di Daniele e dell’Apocalisse che scrissero nei secoli XVI e XVII, e vedere come essi ravvisassero nella Roma papale l’Anticristo: ma non è così. L’adempimento di una grande parte della profezia è ancora futuro, sotto il dominio del «piccolo corno», ossia della bestia «che sale dal mare» (Apocalisse 13:1).
Il residuo giudeo del tempo della fine
Quando l’Anticristo riempirà di terrore Gerusalemme e l’immagine della bestia sarà eretta nel tempio, la profezia ci dice che tutti quelli che non l’adoreranno, saranno messi a morte. E in questo tempo di dura prova, che è detta la grande tribolazione, vi sarà un residuo di Giudei fedeli. Questi rifiuteranno di adorare l’immagine, e molti di loro soffriranno il martirio, mentre altri saranno preservati miracolosamente dalla grande potenza del Signore e attraverseranno la grande tribolazione senza subirne danno alcuno.
Capitolo 4
La sua follia e la sua restaurazione
Il sogno visione di Nabucodonosor.
Il capitolo 4 è una sorta di proclama da parte del re, in cui egli racconta la sua esperienza. Gli era stato concesso di godere di un’epoca di pace e di prosperità, ma un nuovo sogno lo venne a turbare. In questo sogno egli vide un albero grande sulla terra; l’albero crebbe e giunse fino in cielo. Era un bell’albero che dava frutti e ombra. Le bestie della campagna si riparavano sotto ad esso e gli uccelli del cielo avevano fatto dei nidi.
Ma subito «uno dei santi veglianti» (4:13) (un angelo, perché gli angeli sono i santi vigilanti) venne dal cielo con un messaggio e si mise a «gridare con forza: “Abbattete l’albero e tagliate i suoi rami; scotete il fogliame e disperdete il suo frutto; fuggano gli animali dalla sua ombra e gli uccelli dai suoi rami! Però, lasciate in terra il ceppo e le sue radici, ma legati con catene di ferro e di bronzo, tra l’erba dei campi; sia bagnato dalla rugiada del cielo e, come gli animali, abbia in sorte l’erba della terra. Gli sia cambiato il cuore; invece di un cuore umano, gli sia dato un cuore di bestia; e passino su di lui sette tempi”» (4:14-16).
Ancora una volta Daniele interpreta il sogno per mezzo della sapienza di Dio; e di nuovo addita il re dicendo: «Sei tu, o re! Tu sei diventato grande e potente».
Poi gli dichiara ciò che gli sarebbe avvenuto: «“Tu sarai scacciato di mezzo agli uomini e abiterai con le bestie dei campi; ti daranno da mangiare l’erba come ai buoi; sarai bagnato dalla rugiada del cielo e sette tempi passeranno su di te finché tu riconoscerai che l’Altissimo domina sul regno degli uomini e lo dà a chi vuole. Quanto poi all’ordine di lasciare il ceppo con le radici dell’albero, ciò significa che il tuo regno ti sarà ristabilito, dopo che avrai riconosciuto che il dominio appartiene al cielo. Perciò, o re, accetta il mio consiglio! Metti fine ai tuoi peccati praticando la giustizia, e alle tue iniquità mostrando compassione verso gli afflitti. Forse, la tua prosperità potrà essere prolungata”. Tutto questo avvenne al re Nabucodonosor» (4:25-28).
Dodici mesi più tardi, mentre passeggiava nel suo palazzo a Babilonia, egli pronunciò con presunzione e arroganza delle parole fatali: «Non è questa la gran Babilonia che io ho costruita come residenza reale con la forza della mia potenza e per la gloria della mia maestà?» (4:30).
Mentre egli diceva questo, si udì una voce dal cielo che gli annunciava che il regno gli sarebbe stato tolto. Ciò che Daniele aveva detto nella sua interpretazione, fu ripetuto dal cielo. In quella stessa ora si adempì tutto, e Nabucodonosor fu cacciato dagli uomini, mangiava l’erba come i buoi e il suo corpo fu bagnato dalla rugiada del cielo, finché il pelo gli crebbe come le penne alle aquile e le unghie come quelle degli uccelli. E dopo che sette tempi (sette anni) furono passati sopra di lui, gli ritornò l’intelletto e benedisse il Dio altissimo. L’ultimo versetto di questo capitolo ci dà un compendio di tutta l’esperienza del re: «Ora io, Nabucodonosor, lodo, esalto e glorifico il Re del cielo, perché tutte le sue opere sono vere e le sue vie giuste, ed egli ha il potere di umiliare quelli che procedono con superbia» (4:37).
Non è difficile capire il significato di tutto questo. Un grande albero, nella Bibbia, è simbolo di una potenza umana che ha grande influenza sulla terra. Il profeta Ezechiele, per esempio, ebbe una visione circa l’Assiro: lo vide rappresentato da un cedro del Libano con bei rami, molto alto (Ezechiele 31:3). Si parla d’Israele come di una vite, che fu trasportata dall’Egitto e dalla quale Dio attendeva del frutto; ma quando esso mancò e produsse uva acida (Isaia 5) le nazioni cominciarono a fiorire e divennero il grande albero i cui rami si estendono per ogni dove.
Anche nel Nuovo Testamento ritroviamo questo simbolo. Nella terza parabola di Matteo 13, il Signore Gesù parla dell’albero di senape che ha radici nel campo, cioè nel mondo, ed estende i suoi rami da ogni parte, mentre gli uccelli vi si riparano. Quest’albero ci indica lo sviluppo della cristianità, quale grande istituzione terrena e mondana, che ha influenza e potere. Ma in relazione con questo grande sviluppo e quest’influenza nel mondo del dominio delle nazioni, vi sono il vanto e la superbia umana. Nabucodonosor parlò della grande Babilonia ch’egli stesso aveva edificata e si riempì d’orgoglio dicendo «mia maestà, mia potenza». Tutto questo orgoglio e tutta questa superbia sono opera di Satana, perché l’orgoglio è il crimine del Diavolo, e attirano il giudizio divino.
Questo giudizio l’annunziò appunto il “santo vegliante”, e noi vediamo quel re così orgoglioso divenire simile ad una bestia; non leva più la sua faccia verso il cielo, ma è chinato verso il suolo e vive vagando come un animale, finché i sette tempi non siano passati sopra di lui; allora egli riconosce il Dio altissimo ed è ristabilito. Quel che ci è detto per ultimo intorno a Nabucodonosor è questo ricordo della sua riabilitazione in cui il re rende lode a Dio.
Allo stesso modo i giudizi divini cadranno sopra questa superba età delle nazioni, tanto nel suo aspetto politico quanto in quello religioso. Un giorno, questo grande albero del progresso e della civiltà umana sarà abbattuto e distrutto, anche se ne rimarrà la radice.
Dobbiamo ricordare qui la parabola dell’ulivo domestico e di quello selvatico del capitolo 11 dei Romani. L’ulivo domestico è Israele, di cui molti rami furono recisi a causa della sua incredulità. L’ulivo selvatico sono le nazioni che sono stati innestati nell’ulivo domestico, e Dio li previene contro il pericolo della presunzione e dell’orgoglio, e li minaccia dei suoi giudizi, se si dimostrano vanitosi e superbi. Questo non è detto per la Chiesa, ma per il mondo che professa il cristianesimo, cioè il “grande albero di senape” (Matteo 13:31). Oggi vediamo nel mondo la cristianità altéra e vanagloriosa. Inevitabilmente giungerà il giudizio e allora «l’albero» sarà distrutto.
Quanto dobbiamo essere guardinghi in questi giorni malvagi, giorni di ostentazione e di orgoglio! Se i figliuoli di Dio si lasciano influenzare da questi mali perniciosi, pongono i loro piedi sul terreno pericoloso del nemico, entrano cioè nel territorio di Satana. Voglia Dio che non ricerchiamo le cose grandi di quest’epoca perversa e che non ci occupiamo di ciò che alimenta l’orgoglio dei nostri cuori, ma rimaniamo modestamente ai piedi di Cristo, rivestiti di riverente umiltà.
La grande umiliazione di Nabucodonosor trasformato in bestia per sette tempi (sette anni) ci indica ancora una volta la fine del tempo delle nazioni. L’apostasia, l’allontanamento da Dio, sarà la grande caratteristica della fine. Non si alzeranno più gli sguardi verso Dio, ma l’atteggiamento delle nazioni sarà l’atteggiamento della bestia. Già al presente si vede intorno a noi. Gli uomini volgono gli sguardi in basso cercando ricchezza e benessere sulla terra, e sono diventati veri «abitanti della terra», frase che così sovente si incontra nell’Apocalisse. Follia e istinti animaleschi s’impossesseranno delle nazioni, dopo che Colui «che ora ritiene», cioè lo Spirito Santo, sarà tolto (2 Tessalonicesi 2:7). Allora il mondo orgoglioso ed apostata crederà alla menzogna, e questo durerà sette anni, ossia sette tempi. Il ceppo del grande albero che resta nel campo, suggerisce l’ipotesi che i giudizi che cadranno sulle nazioni nel tempo della fine non distruggeranno completamente tutte le nazioni. Molte di esse saranno cancellate dalla terra; per quelle che volontariamente avranno rifiutato l’Evangelo, voltando le spalle alla verità, non vi sarà più speranza. Ma ve ne saranno altre che resteranno, e quando avranno luogo i giudizi sulla terra queste impareranno la giustizia.
Nel capitolo precedente, i tre amici di Daniele parlano del «nostro Dio», ma in questo capitolo si parla dell’«il Dio altissimo», il nome di Dio in rapporto al Regno milleniale.
Non è nemmeno senza significato il fatto che non si parli più di Nabucodonosor, e che ciò che sappiamo per ultimo di lui dalle Scritture sia il riconoscimento ch’egli fa dell’Altissimo. Questo simboleggia profeticamente il riconoscimento universale di Dio, nel Regno che Cristo stabilirà sulla terra quando la pietra, come monte, riempirà il mondo intero.
Capitolo 5
La festa di Baldassar e la caduta di Babilonia
La storia di questo capitolo è così nota che non c’è bisogno di trattarla dettagliatamente. Essa avvenne nell’anno 538 a. C. S’approssimava la fine della cattività dei Giudei e Baldassar regnava sull’impero. Era nipote di Nabucodonosor e vicerè dell’impero; suo padre era Nabonida. I critici hanno osservato che Nabucodonosor non poteva essere il nonno di Baldassar, perché Nabonida, padre di Baldassar, non era figlio di Nabucodonosor. Quest’obiezione è rafforzata dal fatto che nessun antico storiografo riporta il nome di Baldassar, per cui i critici dedussero che questo personaggio doveva essere mitologico. Beroso, che visse circa 230 anni dopo l’invasione Persiana, dà la seguente lista dei monarchi babilonesi:
– Nabucodonosor
– Awil Marduk (che è l’Evil Merodac della Bibbia)
– Nergal-sar-usur
– Labasi-Marduc
– Nabonida
– Ciro, il conquistatore persiano.
Molti sforzi sono stati fatti per chiarire questa difficoltà, ma tutti sono falliti. Eppure, se Daniele ha scritto questo nel suo libro, doveva esserne sicuro. I critici, purtroppo, sono sempre disposti a mettere in dubbio non la storia ma la Bibbia; hanno detto che Beroso non si era sbagliato e che, se Daniele avesse veramente scritto il libro che porta il suo nome, sarebbe stato d’accordo con la storia. In questo modo stavano le cose fino all’anno 1854, quando sir Rawlinson tradusse un certo numero di tavolette portate alla luce dagli scavi fra le rovine dell’antica civiltà babilonese. Queste contenevano le memorie di Nabonida e in esse appariva di frequente il nome di Bil-saruzzar, ricordato come figlio di Nabonida e come partecipe con lui al governo. In questo modo l’esistenza di Baldassar e l’esattezza di Daniele furono stabilite ancora una volta, al di là di ogni ombra di dubbio!
Baldassar promise a Daniele il terzo posto come governatore del regno (Daniele 5:16). Ma perché il terzo e non il secondo? Perché Nabonida era il primo e lui, Baldassar, il secondo, il vicerè. Nabonida aveva per moglie una figlia di Nabucodonosor, per cui Baldassar era nipote di Nabucodonosor da parte della madre. Ma ci domandiamo: i critici hanno imparato qualcosa da questa sconfitta? Hanno guadagnato qualcosa da quest’esperienza, e smetteranno di opporsi alla Bibbia? No, di certo. Un giorno però scopriranno la gravità del loro atteggiamento e della loro opera nefasta. Daniele scrisse di Baldassar chiamandolo «figlio di Nabucodonosor». Non vi è in ciò alcuna contraddizione, perché le lingue semitiche mancano del vocabolo che significa «nonno» o «nipote».
Le cose andarono poi di male in peggio nell’impero. Ebbe luogo un gran convito, come forse era consuetudine ogni anno. Che splendore! Mille principi con le loro mogli e le concubine. In quella festa prevalevano il lusso e la licenziosità. Quando il convito arrivò al colmo, Baldassar commise un terribile sacrilegio. Ordinò che i vasi preziosi, che Nabucodonosor aveva preso dal tempio di Gerusalemme, fossero portati affinché in essi bevessero gli invitati che bestemmiavano, profanando il nome di Dio e offrendo lodi ai loro dei. Era un oltraggio pubblico, un’aperta sfida a Dio.
Improvvisamente, di fronte al candeliere, sopra lo smalto della parete, il re vide una mano misteriosa che scriveva. Subito terminò il convito e l’allegria lasciò posto al terrore. Il re impallidì e gli tremarono le ginocchia, e le risa cessarono a mano a mano che i convitati, uno dopo l’altro, vedevano la mano e le parole misteriose scritte sulla parete. Di nuovo furono chiamati i Caldei e gli astrologi i quali, una volta di più, dimostrarono di non comprendere le cose divine, né la loro interpretazione. Allora compare sulla scena la moglie di Nabucodonosor, la regina madre, che evidentemente non simpatizzava con la festa. Ella ricorda il dimenticato Daniele: «C’è un uomo, nel tuo regno, in cui è lo spirito degli dèi santi. Già al tempo di tuo padre si trovava in lui una luce, un’intelligenza e una saggezza pari alla saggezza degli dèi; e il re Nabucodonosor, tuo padre, lo fece capo dei magi, degli incantatori, dei Caldei e degli astrologi; poiché in questo Daniele, che il re aveva chiamato Baltazzar, fu trovato uno spirito straordinario, conoscenza, intelligenza e la facoltà di interpretare i sogni, di spiegare enigmi e di risolvere questioni difficili. Si chiami dunque Daniele ed egli darà l’interpretazione» (5:11-12).
Daniele fu quindi chiamato. Egli era già, come abbiamo detto, avanti negli anni. Erano trascorsi molti anni da quando aveva interpretato i sogni di Nabucodonosor e occupava un posto alla porta del re; ma Baldassar non lo conosceva. Daniele attendeva, in disparte e con pazienza, il giorno in cui il suo Dio gli avrebbe dato un altro servizio. Il fatto che non si ricordassero più di Daniele e che lo avessero abbandonato, è una testimonianza della degenerazione del regno di Babilonia.
Daniele non accettò gli onori del re; egli sapeva che entro poche ore il re bestemmiatore sarebbe morto. Daniele fu qualcosa di più di un semplice interprete di ciò che la mano aveva scritto sul muro: fu profeta di Dio e suo messaggero.
Ascoltiamo le sue parole:
«Serba i tuoi doni per te e dà a un altro le tue ricompense! Tuttavia io leggerò lo scritto al re e gliene darò l’interpretazione. O re, il Dio altissimo aveva dato regno, grandezza, gloria e maestà a tuo padre Nabucodonosor. Per questa grandezza che Dio gli aveva dato, le genti di ogni popolo, nazione e lingua temevano e tremavano alla sua presenza. Egli faceva morire chi voleva, lasciava in vita chi voleva; innalzava chi voleva, abbassava chi voleva. Ma quando il suo cuore divenne orgoglioso e il suo spirito s’indurì fino a diventare tracotante, il re fu deposto dal suo trono e gli fu tolta la sua gloria; fu scacciato di mezzo agli uomini e il suo cuore divenne simile a quello delle bestie. Abitò con gli asini selvatici, gli fu dato da mangiare erba come ai buoi e il suo corpo fu bagnato dalla rugiada del cielo finché non riconobbe che il regno degli uomini appartiene al Dio altissimo, il quale vi stabilisce sopra chi vuole. E tu, Baldassar, suo figlio, non hai umiliato il tuo cuore, benché tu sapessi tutto questo, ma ti sei innalzato contro il Signore del cielo. Ti sono stati portati i vasi della casa di Dio e in essi avete bevuto tu, i tuoi grandi, le tue mogli e le tue concubine; tu hai lodato gli dèi d’argento, d’oro, di bronzo, di ferro, di legno e di pietra, i quali non vedono, non odono e non comprendono, e non hai glorificato il Dio che ha nella sua mano il tuo soffio vitale, e dal quale dipendono tutte le tue vie» (5:17-23).
Segue poi la lettura delle lettere ch’erano scritte sulle pareti: Mené, Mené, «contato, contato»; Téchel, «pesato»; U-Parsin, «diviso». Questo era l’annunzio solenne del giudizio imminente. Quella stessa notte morì Baldassar re dei Caldei.
In che modo i Persiani presero la città cambiando il corso del fiume Eufrate che l’attraversava, è ben noto dalla storia. Ma in questo che insegnamento abbiamo? Gli ultimi giorni di Baldassar furono giorni di concupiscenza della carne e di concupiscenza degli occhi. L’empietà raggiunse il colmo nell’aperta ribellione ed opposizione contro il Dio d’Israele. Babilonia si gloriava dei suoi dèi, delle sue prodezze e dei suoi progressi.
Che cosa rappresenta Babilonia? Nella sua forma finale è il sistema religioso mondiale che prospererà immediatamente dopo che la vera Chiesa sarà stata trasportata in cielo. Questa Babilonia finale è un grande sistema ecclesiastico, il cui centro è Roma. Questo sistema è una chiesa universale piena di corruzione, che si costituirà durante il tempo della fine. Secondo il libro dell’Apocalisse, questa finale Babilonia sarà sovvertita dalle dieci corna, prima che i sette anni, con cui terminerà il tempo delle nazioni, siano compiuti: «Le dieci corna che hai viste e la bestia odieranno la prostituta, la spoglieranno e la lasceranno nuda, ne mangeranno le carni e la consumeranno con il fuoco. Infatti Dio ha messo nei loro cuori di eseguire il suo disegno che è di dare, di comune accordo, il loro regno alla bestia fino a che le parole di Dio siano adempiute. La donna che hai vista è la grande città che domina sui re della terra» (Apocalisse 17:16-18).
Il potere politico abbatté la Babilonia di un tempo e così il potere politico distruggerà la «Babilonia» ecclesiastica. Sebbene non vediamo ancora costituito questo grande sistema ecclesiastico della fine, nondimeno si notano già oggi gli elementi che lo comporranno. Viviamo nei giorni di Laodicea, ossia nei giorni di ostentazione e di vanagloria. Questi sono i giorni in cui si ode da ogni parte esclamare: «Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di niente!» (Apocalisse 3:17). Ciò che è posto in evidenza, oggi, sono i passi giganteschi del progresso, i tempi gloriosi in cui viviamo e quelli ancor migliori che il futuro riserba. Ma che cosa vi è sotto tutto questo? Nient’altro che empietà e bestemmia, più grandi di quelle del salone del banchetto di Baldassar.
Ecco alcune delle bestemmie dell’attuale cristianità: la Bibbia non è la Parola di Dio; le Sacre Scritture sono un libro qualsiasi che contiene numerosi errori, miti e leggende. Non è forse una grave bestemmia chiamare Dio mentitore? E ancor peggio, il nome di Gesù, quel nome superiore ad ogni altro nome, è bestemmiato. Lo si rifiuta quale Figlio di Dio; si deride la sua nascita miracolosa. La sua morte benedetta in croce e il suo significato per questo mondo perduto sono tenuti in poco conto; si rinnegano tutti gli articoli di fede. Queste non sono bestemmie più grandi ancora dell’aver preso i vasi d’oro consacrati a Dio e averli profanati nel salone del convito? Certamente. Il meglio che Dio potesse offrirci, il vero oro finissimo, il Suo Santissimo Figlio, è bestemmiato.
Dio non tollererà più a lungo quest’era orgogliosa e piena di corrotta superbia, durante la quale Cristo è ovunque svilito e rifiutato, e la decadenza morale tanto grande quanto la corruzione della sua sana dottrina. Da ogni parte dominano il lusso, la concupiscenza e l’appetito carnale. I giorni di Lot a Sodoma, pieni di licenza, si fanno sempre più evidenti. Il materiale per la Babilonia finale, la grande apostasia, lo si trova già oggi in mezzo a noi. Il meritato giudizio che deve cadere sulla cristianità giungerà di certo, e non tarderà.
E la mano che scrisse sul muro? La stessa mano che scrisse sulla parete di fronte al candeliere nel convito di Baldassar, ha scritto il giudizio e la condanna della cristianità apostata nelle pagine della Bibbia. Anche per lo stato odierno della cristianità v’è un « Mené, Mené, «contato, contato»; Téchel, «pesato»; U-Parsin, «diviso»»! I giorni sono contati. Non potranno prolungarsi oltre il giorno stabilito da Dio. Non sappiamo quando termineranno questi giorni; Dio solo lo sa, ed ogni tentativo fatto per fissare la data e l’ora fallirà e porterà disonore alla Parola di Dio. Il tempo è vicino ed è ciò che molti, fra il popolo di Dio, sentono nei loro cuori.
Il fatto che Daniele fosse stato dimenticato insieme alle sue interpretazioni date da Dio ha pure un insegnamento per noi. Anche oggi le parole di Dio, le rivelazioni della Parola profetica, sono dimenticate. Un giorno, molti se ne ricorderanno, ma sarà troppo tardi per il ravvedimento e la salvezza, come fu tardi per il re Baldassar.
Come abbiamo visto, la condizione morale del primo impero di Babilonia è descritta molto chiaramente, prima che il giudizio cadesse su di essa, al termine dei settant’anni della cattività dei Giudei. Questa ci indica anticipatamente la condizione morale dei tempi della fine, quando la lunga dispersione d’Israele volgerà al termine, e quando Dio reciderà i rami innestati (le nazioni) e metterà di nuovo Israele nel proprio olivo (Romani 11:24).
Che Dio ci conceda di obbedirgli quando ci chiama alla separazione da ogni forma di male. Babilonia, la confusione, ci circonda da ogni parte e Dio vuole che il suo popolo si separi da tutto ciò che odia e disprezza la sua Verità. In mezzo alla crescente corruzione e all’apostasia generale, dobbiamo sempre più onorare Cristo nel nostro cuore e nella nostra vita; dobbiamo occuparci della Sua Parola affinché non siamo “complici dei peccati” di Babilonia (Apocalisse 18:4).
Capitolo 6
Il decreto di Dario il Medo. Daniele nella fossa dei leoni; sua liberazione.
In questo capitolo ci troviamo all’epoca del secondo impero mondiale, il Medo Persiano, rappresentato, nella statua del sogno di Nabucodonosor, dal petto e dalle braccia d’argento. È un impero inferiore al precedente, e la tendenza alla decadenza risalta in questo capitolo. Vediamo Daniele occupare la più alta carica dell’impero, uno dei tre capi di tutto il regno. Dario il Medo, che pensava di dargli una carica ancora più elevata, probabilmente aveva udito parlare di ciò che era successo in quella notte avventurosa quando Baldassar stava banchettando: il nemico, percorrendo il letto del fiume prosciugato, era dilagato a Babilonia e l’aveva conquistata.
Ma questa nobile carica non durò molto. Il vecchio profeta ultra ottantenne fu oggetto dell’invidia di altri ministri e di altri principi. Tuttavia non potevano trovare contro di lui nulla che avesse a che vedere con le sue funzioni di governo. Allora gli avversari, concordi, fecero un piano per liberarsi dell’odiato Daniele, piano che rivela l’astuzia del serpente. Nascondendo le loro intenzioni, si presentarono a Dario per informarlo che tutti i ministri avevano preso consiglio per promulgare un decreto reale. Ma poiché Daniele non era con loro e non era stato consultato, vediamo chiaramente che si tratta di un tranello.
Il decreto che volevano emanare doveva rimanere in vigore 30 giorni, durante i quali nessuno, entro i confini dell’impero, poteva fare richiesta a un Dio, qualunque fosse, né ad alcun uomo, salvo che a Dario. In altre parole, il re avrebbe fatto le veci di Dio. Tutti quelli che non avessero rispettato questo decreto, sarebbero stati gettati nella fossa dei leoni. Al re piacque molto questa proposta, perché lo adulava. Così firmò il decreto che doveva subito essere messo ad effetto, poiché le leggi dei Medi erano irrevocabili. È molto bello vedere la fermezza di Daniele e il suo comportamento da uomo di fede.
«Quando Daniele seppe che il decreto era firmato, andò a casa sua; e, tenendo le finestre della sua camera superiore aperte verso Gerusalemme, tre volte al giorno si metteva in ginocchio, pregava e ringraziava il suo Dio come era solito fare anche prima» (6:10).
Quell’uomo di preghiera, ormai vecchio, abituato a rimanere in comunione con Dio, continua a pregare e a ringraziare Dio tre volte al giorno. La sua fede gli consente di distogliere gli occhi dalle circostanze terrene, per fissarli sul Signore Onnipotente. Viene l’accusa; il re si accorge di trovarsi in una situazione senza uscita: la legge che da poco aveva firmato richiedeva che Daniele fosse gettato nella fossa dei leoni. Il suo cuore, pieno di amore verso Daniele, desiderava risparmiarlo; i suoi sforzi protratti fino al tramonto del sole, non poterono tuttavia trovare il modo di salvarlo.
Com’è bello ricordare qui un’altra legge e un altro amore! Dio, il Dio santo e giusto, il Dio d’amore, scoprì una via per salvare l’uomo. La Sua santa legge condanna il peccatore, ma il suo amore abbraccia il mondo intero: «Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Giovanni 3:16). La maledizione della legge cadde sopra Colui che non aveva conosciuto peccato e che fu “fatto diventare peccato per noi” (2 Corinzi 5:21). In Lui si manifesta il vero amore. Daniele fu gettato nella fossa dei leoni, come il nostro Salvatore fu dato nelle mani degli iniqui («salvami dalla gola del leone» Salmo 22:21). Una pietra venne posta all’apertura della fossa e suggellata con il sigillo reale, tanto che Daniele era come in una tomba, morto agli occhi del mondo; chi penserebbe che dei leoni affamati non divorino un uomo? Tutto questo ci ricorda il sepolcro dove fu sepolto il Cristo, e la pietra posta all’apertura del sepolcro, suggellata col suggello del potere mondiale romano. Ma come a Daniele i leoni non poterono fare alcun male, così il nostro Signore, pur cadendo nei legami della morte, non fu preda di essa. La tomba restò vuota, ed Egli si manifestò vittorioso sulla morte e sul sepolcro. Tutto ciò è ritratto anticipatamente e figurativamente in quest’esperienza del profeta di Dio.
Dopo una notte d’insonnia e d’irrequietezza, Dario al mattino presto corse alla fossa dei leoni e con voce angosciata gridò: «Daniele, servo del Dio vivente! Il tuo Dio, che tu servi con perseveranza, ha potuto liberarti dai leoni?» (v. 20). La risposta di Daniele riempì di gioia il cuore del re. Daniele era vivo! I suoi accusatori con le loro famiglie furono allora gettati ai leoni, che li divorarono all’istante. A questo seguì un proclama reale:
«Allora il re Dario scrisse alle genti di ogni popolo, nazione e lingua che abitavano su tutta la terra: “Pace e prosperità vi siano date in abbondanza! Io decreto che in tutto il territorio del mio regno si tema e si rispetti il Dio di Daniele, perché è il Dio vivente che dura in eterno; il suo regno non sarà mai distrutto e il suo dominio durerà sino alla fine. Egli libera e salva, fa segni e prodigi in cielo e in terra. È lui che ha liberato Daniele dalle zampe dei leoni”» (6:25-27).
In quest’incidente storico abbiamo dunque visto le stesse caratteristiche già viste al capitolo 3. Là, la deificazione dell’uomo rappresentata dalla statua eretta per essere adorata; qui un uomo, messo al posto di Dio, esige onori e adorazione. Non occorre ripetere che questo richiama ancora una volta l’attenzione sul tempo della fine, quando termineranno i tempi delle nazioni.
È molto significativo che le stessa deificazione dell’uomo che si vide nell’impero Babilonese, la si ritrovi in questo secondo impero. È un elemento caratteristico che contraddistingue tutti questi imperi mondiali, e in questo Nabucodonosor e Dario furono all’avanguardia. Nel successivo, il Greco-Macedone, ci imbattiamo in Antioco IV, detto l’Epifane, un empio che si distinse per questo atteggiamento. Nell’Impero Romano, imperatori e governatori come Erode pretesero onori divini. Nella Roma papale, i papi si dichiararono infallibili e accettarono la venerazione dei fedeli. Tutto ciò porta i nostri sguardi verso la fine, quando l’uomo di peccato, il figliuolo della perdizione, apparirà. Si chiama l’Anticristo, «l’avversario, colui che s’innalza sopra tutto ciò che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando se stesso e proclamandosi Dio» (2 Tessalonicesi 2:4). Di questo personaggio leggiamo in questo stesso libro di Daniele: «Il re agirà a suo piacimento, s’innalzerà, si esalterà al di sopra di ogni dio e pronuncerà parole inaudite contro il Dio degli dèi; prospererà finché non sia finita l’ira, poiché ciò che è stato deciso si compirà. Egli non avrà riguardo agli dèi dei suoi padri; non avrà riguardo al dio preferito dalle donne, né ad alcun dio, perché si innalzerà al di sopra di tutti» (cap. 11:36-37).
La liberazione di Daniele simbolizza, ancora una volta, la liberazione del residuo fedele del popolo giudeo. La Chiesa, secondo la testimonianza del Nuovo Testamento, non sarà più sulla terra quando giungerà questo tempo profetizzato della fine.
Abbiamo veduto, dunque, che questi quattro capitoli ci presentano l’aspetto morale caratteristico dei tempi delle nazioni, fino alla fine, quando la «pietra» colpirà la statua che sarà distrutta per sempre. Dio punirà l’orgoglio e la deificazione dell’uomo, l’empietà, la bestemmia, l’odio, la persecuzione e il tentativo dell’uomo di mettersi al posto di Dio.
Ma non dobbiamo trascurare l’ultimo versetto del capitolo: «Daniele prosperò durante il regno di Dario e durante il regno di Ciro, il Persiano» (v. 28). Questo c’insegna la prosperità che ha l’uomo di fede, come l’avrà il residuo fedele quando sarà salvato. Ma qui abbiamo un altro tipo profetico. Isaia aveva annunziato la nascita e le opere di questo stesso Ciro, più di cento anni prima che nascesse. Leggiamo ciò che disse di lui: «Io dico di Ciro: “Egli è il mio pastore; egli adempirà tutta la mia volontà, dicendo a Gerusalemme: ‘Sarai ricostruita!’ e al tempio: ‘Le tue fondamenta saranno gettate!’” Così parla il SIGNORE al suo unto, a Ciro, che io ho preso per la destra per atterrare davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui le porte, in modo che nessuna gli resti chiusa. “Io camminerò davanti a te, e appianerò i luoghi impervi; frantumerò le porte di bronzo, spezzerò le sbarre di ferro; io ti darò i tesori nascosti nelle tenebre, le ricchezze riposte in luoghi segreti, affinché tu riconosca che io sono il SIGNORE che ti chiama per nome, il Dio d’Israele. Per amor di Giacobbe, mio servo, e d’Israele, mio eletto, io ti ho chiamato per nome, ti ho designato, sebbene non mi conoscessi» (Isaia 44:28; 45:1-4).
Queste sono parole molto interessanti. Ciò che Isaia aveva preannunciato avvenne, perché sotto il governo di Ciro un residuo del popolo ritornò in Giudea. Dio chiama Ciro «mio pastore» e «mio unto», e sotto questo aspetto Ciro è un tipo del nostro Signore Gesù Cristo.
Quando verrà il tempo in cui un uomo, l’Anticristo, esigerà per sé onori divini e adorazione, e quando il residuo del suo popolo sarà liberato dalle fauci del leone, allora un altro Ciro ritornerà su questa terra; uno più grande di Ciro, il Signore in persona, il quale riunirà le pecore perdute della casa d’Israele.
Generalità dei capitoli da 7 a 12
Il capitolo 7 ci porta un’altra volta al primo anno del regno di Baldassar. Daniele, come abbiamo visto nel capitolo quinto, continuava ad essere dimenticato; nessuna rivelazione in sogno gli era stata data dopo la follia di Nabucodonosor e la sua restaurazione, e non vi era alcun bisogno delle sue interpretazioni. Quanto preziosi devono essere stati per lui gli anni di quiete in cui se ne poteva stare solo con il suo Dio! Mentre Baldassar e il suo regno precipitavano verso il terribile giudizio, Dio concesse a Daniele delle comunicazioni meravigliose, che gli furono date con visioni in sogno. Anche queste visioni abbracciano i tempi delle nazioni e rivelano in gran parte la relazione fra Nazioni ed Ebrei, il conflitto fra le potenze del mondo e il popolo d’Israele.
Gran parte di ciò che Daniele vide si è adempiuto in tempi passati della storia, ma il resto s’adempirà ai tempi della fine, cioè agli ultimi atti dei tempi delle nazioni. La gran lotta di questo tempo della fine, l’apparizione dei due piccoli corni e dell’Anticristo, la grande tribolazione con persecuzioni senza precedenti, la sconfitta completa dei nemici d’Israele e l’instaurazione del regno sulla terra da parte di Cristo, sono alcune delle sublimi rivelazioni che qui incontriamo. È probabile che alcune di queste rivelazioni non siano ben comprese ed apprezzate, finché non giungerà il tempo della fine.
Il capitolo settimo può essere considerato come un’introduzione alla seconda parte del libro (come il capitolo secondo è l’introduzione alla prima parte). Il capitolo ottavo contiene la visione del montone, del becco e quella del piccolo corno. La visione delle settanta settimane si incontra nel capitolo nono, e i tre ultimi capitoli ci danno l’ultima rivelazione di tutto il libro.
Capitolo 7
Le visioni notturne di Daniele e il loro significato
Nel capitolo 2 abbiamo visto che la causa per la quale Nabucodonosor fece quel sogno straordinario fu il desiderio che il monarca nutriva di sapere ciò che sarebbe avvenuto nel futuro. A Daniele le visioni devono essere state accordate per una ragione simile. Anch’egli desiderava aver conoscenza dei grandi avvenimenti concernenti il futuro.
La questione agitava la sua mente era certamente quella che riguardava il suo popolo, da lui tanto amato; quale sarebbe stato il suo futuro in mezzo a tutti gli eventi che aveva visto nel sogno del re, quando la pietra percosse la statua per farla scomparire? In quel sogno non era rivelato nulla riguardo alla sua amata città, Gerusalemme.
Egli possedeva gli scritti dei primi profeti che, come vedremo nel capitolo 9, studiava diligentemente. Aveva anche i Salmi di Davide, benché forse non ancor compilati in un solo libro. Da tutti questi libri apprendeva qualcosa intorno al futuro del popolo di Dio e alle glorie a lui promesse per gli ultimi giorni. Leggeva anche, nelle profezie scritte nel passato, che i nemici d’Israele sarebbero stati giudicati e sconfitti. Senza dubbio, con profonda meditazione spirituale, come vediamo nei capitoli 9 e 10, Daniele ricercava Dio chiedendo «misericordia al Dio del cielo». Non sappiamo se i suoi amici fossero uniti a lui in quest’occasione, perché dopo l’incidente della fornace non leggiamo più nulla di Shadrac, Meshac e Abed-nego.
Nel capitolo 7 vi sono quattro visioni:
1) La visione notturna delle tre bestie (v. 1 a 6).
2) La visione notturna della quarta bestia con le dieci corna e il piccolo corno (v. 7 a 8).
3) La visione del giudizio (v. 9 a 12).
4) Il Figlio dell’Uomo e il suo Regno (v. 13 a 14).
Segue poi l’interpretazione divina di queste quattro visioni, che si può suddividere in tre parti:
1) Interpretazione generale (v. 15 a 18).
2) Il desiderio di Daniele di sapere di più sulla quarta bestia (v. 19 a 22).
3) Interpretazione dettagliata datagli da Dio (v. 23 a 28).
La prima visione notturna
Il profeta vide nella prima visione i quattro venti che si combattevano nel mar Grande, cioè nel Mediterraneo. Era una scena di tempesta. Il mare, nella Parola di Dio, è figura delle nazioni: «Le acque che hai viste… sono popoli, moltitudini, nazioni e lingue» (Apocalisse 17:15). «Oh, che rumore di popoli numerosi! muggono come muggono i mari» (Isaia 17:12).
Giovanni, il discepolo che Gesù amava, si trovava nell’isola di Patmos, solo col suo Dio, come Daniele «l’uomo molto amato»; e fermo sulla rena del mare vide «salire dal mare una bestia». La rena del mare rappresenta la moltitudine dei popoli, mentre il mare rappresenta la moltitudine dei popoli in agitazione. Allora Giovanni vide una bestia che saliva dal mare, una visione che, come vedremo più tardi, è molto in armonia con questo capitolo.
Ma Daniele, nella sua prima visione notturna, vide tre bestie, una differente dall’altra, che salivano dal mare. Un leone con le ali d’aquila, un orso che si levò da un lato con tre costole fra i denti e un leopardo con quattro ali e quattro teste. Queste tre bestie rappresentano i primi tre imperi mondiali. Per ognuna basterà una breve meditazione.
«La prima era simile a un leone e aveva ali d’aquila. Io guardai, finché non le furono strappate le ali; fu sollevata da terra, fu fatta stare in piedi come un uomo e le fu dato un cuore umano» (7:4).
Così come l’oro è il più prezioso dei metalli, il leone è il re degli animali della foresta. L’oro della grande statua e la prima bestia rappresentano ambedue l’impero di Babilonia. Al principio era un leone con delle ali; ma gli furono strappate e perdette la sua forza; benché gli fosse dato un cuor d’uomo, era pur sempre una bestia. Questo può anche riferirsi all’esperienza della follia di Nabucodonosor.
«Poi vidi una seconda bestia, simile a un orso; essa stava eretta sopra un fianco, teneva tre costole in bocca fra i denti e le fu detto: “Àlzati, mangia molta carne!”» (7:5).
L’orso raffigura l’impero Medo-Persiano, quello che avevamo visto nell’argento delle braccia e del petto della statua. Una zampa era alzata per mostrare che l’elemento persiano era più forte di quello dei Medi. Quest’orso aveva tre costole in bocca, perché col suo potere aveva conquistato la Susiana, la Lidia e l’Asia Minore. Nel capitolo ottavo questo Impero Medo-Persiano è tipificato da un montone con due corna.
«Dopo questo, io guardavo e vidi un’altra bestia simile a un leopardo con quattro ali d’uccello sul dorso; aveva quattro teste e le fu dato il dominio» (7:6).
Il leopardo, con quattro ali e quattro teste, è un quadro dell’impero Greco-Macedone, corrispondente al ventre ed alle cosce di rame della statua del sogno di Nabucodonosor. Le quattro ali denotano la sua velocità, le quattro teste la spartizione di quest’impero fra i regni di Siria, d’Egitto, di Macedonia e d’Asia Minore. Tutto ciò si vede pure, nel capitolo seguente, nel becco dal corno notevole (Alessandro Magno) e nel piccolo corno (Antioco Epifane). Nella prima visione non si vede la quarta bestia.
Prima di proseguire con la seconda visione notturna del profeta, richiamiamo l’attenzione sul fatto che, nella scelta delle bestie per rappresentare le potenze mondiali che dominano durante i tempi delle nazioni, Dio ci dice che il loro carattere morale è simile a quello delle bestie. Il leone divora, l’orso opprime, il leopardo balza sulla preda. Quella che segue, la quarta ed ultima delle potenze mondiali, è così feroce che non v’è animale sulla terra a cui paragonarla e con cui descriverne il vero carattere.
Le grandi nazioni della cristianità, le possenti nazioni che saranno incluse nel risorto Impero Romano, sotto l’aspetto dei dieci regni, avranno un carattere di ferocia spaventosa. Non un solo emblema di queste nazioni è dato dalla colomba o da qualche altra creatura innocente e inoffensiva, ma al contrario ravvisiamo il leone, il leopardo, l’orso, l’aquila, spesse volte sotto forme mostruose. Gli eserciti in assetto di guerra, le sempre crescenti flotte sul mare e nell’aria, le armi micidiali, ci dicono anticipatamente che in un giorno non lontano le «bestie» faranno la loro spaventosa opera con una guerra distruttrice e sanguinosa.
La seconda visione notturna
«Io continuavo a guardare le visioni notturne, ed ecco una quarta bestia spaventosa, terribile, straordinariamente forte. Aveva grossi denti di ferro; divorava, sbranava e stritolava con le zampe ciò che restava; era diversa da tutte le bestie precedenti e aveva dieci corna» (7:8).
Questo è il quarto impero, quello di ferro, l’Impero Romano, ed è descritto in maniera differente da tutti gli altri. È un terribile distruttore, paurosamente forte, ed ha grandi denti di ferro. Divora, spezza e calpesta. Ha dieci corna e in mezzo ad esse sorge un corno piccolo (v. 8) con occhi simili a quelli d’uomo e una bocca che proferisce cose grandi. Giacché Daniele ricevette più spiegazioni riguardo a questa bestia, e l’interpretazione di questa visione gli fu concessa, non ci soffermeremo ora a descrivere né il significato delle dieci corna, né del piccolo corno, ma lo faremo quando avremo raggiunto la seconda metà del capitolo.
La terza visione notturna
«Io continuai a guardare e vidi collocare dei troni, e un vegliardo (*) sedersi. La sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo erano simili a lana pura; fiamme di fuoco erano il suo trono, che aveva ruote di fuoco ardente. Un fiume di fuoco scaturiva e scendeva dalla sua presenza; mille migliaia lo servivano, diecimila miriadi gli stavano davanti. Si tenne il giudizio e i libri furono aperti. Io guardavo ancora, a motivo delle parole arroganti che il corno pronunciava; guardai fino a quando la bestia fu uccisa e il suo corpo distrutto, gettato nel fuoco per essere arso. Le altre bestie furono private del loro potere; ma fu loro concesso un prolungamento di vita per un tempo determinato» (7:9-12).
Questa visione ci porta al termine dei tempi delle nazioni. Quando la quarta bestia dalle dieci corna e dal piccolo corno sarà nella sua pienezza, allora verrà la fine. È una grande scena di giudizio quella che abbiamo dinanzi. Che differenza, sulla fine di questo periodo, tra quello che è rivelato nelle Scritture e quello che è insegnato nel cosiddetto «mondo cristiano»! La maggioranza non sa nulla di come questa età avrà fine. In generale si pensa che tutto andrà avanti con un continuo progresso della vita sociale, fino alla venuta di tempi migliori sotto il regno di Cristo, o con il trionfo della civiltà cristiana, o addirittura d’una civiltà senza Dio. Alcuni ammettono che dovrà venire un giudizio e lo immaginano come un giudizio universale, il giudizio del «grande trono bianco» (Apoc. 20:11-15).
Il giudizio di cui tratta Daniele non è l’ultimo; esso precederà di mille anni quello finale ed è in rapporto con i passi di Matteo 25:31-46 e con Apocalisse 19:19-21. Leggendo quest’ultimo passo nessuno può dubitare che quel giudizio è lo stesso che è rivelato qui a Daniele. Chi è Colui che occupa il posto centrale in questa scena di giudizio? Non si può avere che una risposta: è il nostro benedetto Signore e Salvatore Gesù Cristo. Giovanni cap. 5:22 dà la risposta definitiva: «Il Padre non giudica nessuno, ma ha dato tutto il giudizio al Figlio».
Il Vegliardo, dunque, è il Signore nostro Gesù Cristo. Questo è più comprensibile se consideriamo la grande visione di Giovanni in Patmos: «Io mi voltai per vedere chi mi stava parlando. Come mi fui voltato, vidi sette candelabri d’oro e, in mezzo ai sette candelabri, uno simile a un figlio d’uomo, vestito con una veste lunga fino ai piedi e cinto di una cintura d’oro all’altezza del petto. Il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come lana candida, come neve; i suoi occhi erano come fiamma di fuoco» (Apocalisse 1:12-14).
Il giudizio cade sopra la quarta bestia e sul piccolo corno che si era elevato dal centro di essa ed era andato avanti insieme agli altri come se fossero uno solo. Il giudizio su questi esseri è completo e definitivo. Le bestie precedenti erano state giudicate, ognuna al suo momento; il potere era stato loro tolto, ma la loro esistenza era stata risparmiata.
La quarta visione notturna
In seguito v’è una quarta visione che è in armonia con la visione del Vegliardo e col giudizio della quarta bestia: «Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d’uomo; egli giunse fino al vegliardo e fu fatto avvicinare a lui; gli furono dati dominio, gloria e regno, perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà distrutto» (Daniele 7:13-14).
Il nostro Signore compare qui come Figlio dell’uomo per ricevere il regno terreno. La pietra che aveva percosso la statua, come l’aveva vista Nabucodonosor, ora si trasforma nel monte che ricopre tutta la terra. Qui il Vegliardo rappresenta Dio, che dà il regno a Colui che è chiamato il Figlio dell’Uomo. Colui che è l’eterno Figlio di Dio, il Dio forte, Jahvé, è anche il Figlio dell’Uomo.
Questa visione è simile ad altre visioni dei profeti di Dio, ed è pienamente confermata dalla testimonianza del Signore e dello Spirito Santo nel Nuovo Testamento, specialmente nel libro dell’Apocalisse. Un regno sarà stabilito sulla terra, un regno nel quale saranno riuniti tutti i popoli e tutte le nazioni, su cui un solo Re glorioso porterà lo scettro, e a cui tutte le nazioni serviranno.
Questo è il regno per cui il Signore insegnò ai suoi discepoli a pregare: «venga il tuo regno venga» (Matteo 6:10). Egli è il Re di gloria. Questo regno non c’è ancora sulla terra, come qualcuno insegna, e non potrà essere stabilito finché la quarta bestia, con le dieci corna e l’undicesimo piccolo corno con tutte le sue bestemmie, esisteranno sulla terra. Questo regno non potrà realizzarsi finché non sarà tornato il Cristo. La seconda venuta del Signore porrà fine al potere delle nazioni e stabilirà il regno milleniale sulla terra. In altre parole, questa visione è un’esposizione ed un ampliamento del sogno di Nabucodonosor riguardante la pietra che colpisce, prima frantumando e poi coprendo la terra come un gran monte.
L’interpretazione
L’effetto di queste visioni produsse un grave turbamento nello spirito di Daniele: «Mi avvicinai a uno dei presenti e gli chiesi il vero senso di ciò che avevo visto. Egli mi rispose e mi diede l’interpretazione delle visioni: “Queste quattro grandi bestie sono quattro re che sorgeranno dalla terra; poi i santi dell’Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per sempre, eternamente” (7:16-18).
Presso Daniele stava Uno in piedi al quale egli si rivolse e dal quale ebbe una risposta breve ma perfetta. Prima disse a Daniele ciò che rappresentavano le quattro bestie, e poi gli rivelò che i santi dell’Altissimo avrebbero ricevuto il regno e lo avrebbero posseduto in eterno. In questa visione si vede il Figlio dell’uomo che riceve il Regno, ma l’interprete divino informa Daniele che i santi dell’Altissimo avrebbero regnato insieme a Lui.
Chi sono i santi dell’Altissimo? Il fatto che l’espressione Altissimo sia al plurale e che possa anche tradursi gli altissimi o i luoghi celesti ha fatto pensare ad alcuni commentatori che i santi siano quelli di cui è parlato nella Lettera agli Efesini dove «i luoghi celesti» sono citati ripetutamente; in altre parole che siano i santi che formano la Chiesa. È vero che la Chiesa sarà nella gloria col Signore e che i credenti «regneranno sulla terra» (Apocalisse 5:10), ma ciò non implica che i santi di questa visione siano quelli della Chiesa. Oltre ai santi che compongono la Chiesa ve ne sono altri, e quelli di cui ci parla qui Daniele sono i fedeli del suo popolo amato, ai quali Dio ha promesso il regno nei giorni del Messia. Se col Signore della gloria v’è un popolo celeste, la Chiesa, così col Messia vi sarà – per quanto concerne la terra – un popolo terreno che con Lui riceverà e possederà quel regno che si estenderà su tutta la terra e che avrà la durata di mille anni. Questi santi sono i Giudei che temono Dio, e che passeranno per la «grande tribolazione» per ereditare poi le benedizioni che Dio aveva loro promesso tramite i profeti.
Ma l’interpretazione che Daniele riceve si riferisce soprattutto alle dieci corna della quarta bestia ed all’undicesimo piccolo corno.
Daniele desidera spiegazioni sulla quarta bestia
Daniele aveva un grande desiderio di sapere di più circa la quarta bestia, la quale differiva da tutte le altre e aveva i denti di ferro e le unghie di rame.
«Allora volli conoscere la verità intorno alla quarta bestia che era diversa da tutte le altre, straordinariamente terribile, che aveva denti di ferro e unghie di bronzo, che divorava, sbranava e calpestava il resto con le zampe. Chiesi pure spiegazioni delle dieci corna che aveva sul capo, del corno che spuntava e davanti al quale ne erano caduti tre; quel corno aveva occhi e una bocca che proferiva parole arroganti, e appariva maggiore delle altre corna. Io vidi quel corno fare guerra ai santi e avere il sopravvento, finché non giunse il vegliardo. Allora il potere di giudicare fu dato ai santi dell’Altissimo, e venne il tempo che i santi ebbero il regno» (7:19-22).
L’undicesimo corno, che aveva gli occhi e la bocca vanagloriosa, lo rendeva perplesso più di ogni altra cosa perché “faceva guerra ai santi” e li vinceva. Il cuore del profeta s’immedesimava così pienamente col suo popolo che bramava sapere la verità su ciò che aveva visto.
Il desiderio appagato
Nell’interpretazione della visione Daniele seppe che questo quarto regno avrebbe divorato tutta la terra (v. 23). È l’Impero Romano che, quando si sarà ricostituito, alla fine, estenderà la sua influenza su tutto il mondo. È un errore limitare il significato di questa parola alla terra d’Israele o all’Europa. L’influenza dell’ultimo gran capo dell’Impero Romano risorto si estenderà al di là dei limiti dell’antico impero. Non potrebbe essere altrimenti, in un’epoca in cui le nazioni tendono ad unirsi e i confini sono spesso superati; anche l’America sarà coinvolta in questi rivolgimenti.
«Le dieci corna sono dieci re che sorgeranno da questo regno; e dopo quelli, sorgerà un altro re, che sarà diverso dai precedenti e abbatterà tre re. Egli parlerà contro l’Altissimo, affliggerà i santi dell’Altissimo, e si proporrà di mutare i giorni festivi e la legge; i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo» (7:24-25).
Le dieci corna sono dieci re
Le dieci corna della quarta bestia, che corrispondono alle dieci dita dei piedi della statua del sogno di Nabucodonosor, sono dieci re. L’Impero Romano antico non è mai esistito in questa forma, come abbiamo anticipato nel capitolo secondo. Di conseguenza l’Impero Romano un giorno si ricostituirà, quale grande potenza mondiale, impero senza divisioni, ma formato da dieci regni. Quando quest’unione imperiale romana sarà ravvivata e divisa in questi dieci regni, un altro corno si leverà per un periodo di 1260 giorni, ossia un tempo, dei tempi e la metà di un tempo; in altre parole, il piccolo corno rimarrà al potere di questo impero tre anni e mezzo, e procederà nella maniera terribile rivelata nell’interpretazione.
Siccome l’Impero Romano risorto ed il corno piccolo sono una rivelazione importantissima, conviene fare intorno ad essa la maggior chiarezza possibile. Per questo ci sarà utile l’ultimo libro del Nuovo Testamento, l’Apocalisse, dove nel capitolo 13 troviamo ciò che corrisponde a questa visione di Daniele.
«Poi vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e sulle teste nomi blasfemi. La bestia che io vidi era simile a un leopardo, i suoi piedi erano come quelli dell’orso e la bocca come quella del leone. Il dragone le diede la sua potenza, il suo trono e una grande autorità. E vidi una delle sue teste come ferita a morte; ma la sua piaga mortale fu guarita; e tutta la terra, meravigliata, andò dietro alla bestia; e adorarono il dragone perché aveva dato il potere alla bestia; e adorarono la bestia dicendo: “Chi è simile alla bestia? e chi può combattere contro di lei?” E le fu data una bocca che proferiva parole arroganti e bestemmie. E le fu dato potere di agire per quarantadue mesi. Essa aprì la bocca per bestemmiare contro Dio, per bestemmiare il suo nome, il suo tabernacolo e quelli che abitano nel cielo. Le fu pure dato di far guerra ai santi e di vincerli, di avere autorità sopra ogni tribù, popolo, lingua e nazione» (Apocalisse 13:1-7).
La bestia che Giovanni vide levarsi dal mare è l’Impero Romano.
Le dieci corna con diademi (o corone) sono le dieci corna della quarta bestia. In Apocalisse (cap. 17:8) si parla della stessa bestia: «La bestia che hai veduta era, e non è, e deve salire dall’abisso e andare in perdizione». Ciò significa che l’Impero Romano fu ma non è, perché cessò di esistere nel 476 d. C. Tornerà ad esistere quando i tempi delle nazioni giungeranno verso la fine, nell’epoca che abbraccerà un periodo di due volte tre anni e mezzo (7 anni), come fu rivelato a Daniele nel capitolo 9.
L’Impero Romano sarà ricomposto politicamente al principio di questi sette ultimi anni, e questa rinascita è descritta nella visione di Giovanni (*), nella bestia che esce dal mare; nello stesso tempo il Dragone salirà dall’abisso dandole la sua potenza, la sua signoria e grande autorità. L’Impero riceverà dunque direttamente da Satana ogni energia. Questa tremenda condizione raggiungerà il massimo alla metà dei sette anni. Durante i tre anni e mezzo (ossia quarantadue mesi o 1260 giorni) che sono «il tempo della fine», la potenza di Satana si manifesterà in questo Impero.
Nel capitolo 12 dell’Apocalisse vediamo che Satana sarà cacciato dal cielo, e subito dopo, nel capitolo 13, vediamo la manifestazione del suo potere sulla terra. La cacciata di Satana dal cielo avviene alla metà dei sette anni, ed è allora che il potere satanico si manifesterà nell’Impero Romano e si concentrerà in un personaggio: quello rappresentato dal piccolo corno che Daniele vide salire fra le dieci corna. Dopo che l’Impero Romano sarà stato ricostituito e diviso in dieci regni, entrerà in scena una persona che dominerà, dotata di un potere satanico in tale che tutto il mondo si meraviglierà di questa «bestia».
La bestia, dunque, sarà un imperatore; ci è detto che una delle sue teste fu risanata da una ferita mortale: è in riferimento al potere imperiale, una delle forme di governo dell’Impero Romano, che ricomparirà. È necessario confrontare ciò che fu detto a Daniele nell’interpretazione divina con ciò che Giovanni vide, per scoprire che il piccolo corno e la bestia che saliva dal mare sono la stessa cosa.
Da questo parallelo vediamo che le stesse cose già dette riguardo al piccolo corno si ripetono per la bestia al capitolo 13 dell’Apocalisse; di conseguenza sono la stessa persona. Ma come possiamo affermare che sia una persona, se nel capitolo 13 dell’Apocalisse la bestia che sale dal mare rappresenta l’Impero Romano? Vi fu in Francia un re, Luigi XIV, che in un famoso discorso disse: «Io sono la Francia». Il piccolo corno avrà un potere tale, datogli da Satana, che potrà dire: «Io sono l’Impero». Egli dominerà completamente la sfera politica dell’impero e con satanico orgoglio si eleverà fino a sfidare Dio. In Daniele vediamo lo stesso insegnamento, ma presentato sotto un aspetto diverso. Il giudizio cadrà sopra l’impero per colpa del piccolo corno.
I tre grandi protagonisti del tempo della fine
Questo piccolo corno, ossia il capo dell’Impero Romano ricostituito, è spesso confuso con l’Anticristo. Nel capitolo seguente troviamo poi menzionato un altro piccolo corno (il re del settentrione), e alcuni commentatori identificano il corno del capitolo 7 con quello del capitolo 8, senza fare distinzione fra i due. In altre parti della Bibbia vi sono predizioni riguardo ad un falso re, ad un iniquo, ad un uomo del peccato, a un pastore incapace, a un capo sopra molti popoli, e tutti questi appellativi sono spesso riferiti a una stessa persona, chiamata con un solo nome, l’Anticristo. Questo produce però una grande confusione. Il libro di Daniele parla di tre grandi attori del tempo della fine; tutti e tre riceveranno energia da Satana e saranno investiti del suo potere.
- Il capo dell’Impero Romano
Il primo che apparirà sulla scena sarà il piccolo corno della visione di Daniele, la bestia che sale dal mare, ossia dalle nazioni in tumulto. Sarà un Gentile e non un Giudeo, e sarà un agente di Satana, come insegna non solo questo libro ma anche quello dell’Apocalisse. Egli dirigerà gli affari politici, ma porrà anche attenzione alle cose religiose. Nel capitolo 9 di Daniele questo personaggio è chiamato «un capo che verrà» (v. 26), come potremo vedere quando lo raggiungeremo (allora vedremo anche la sua origine). Amico dei giusti, ma solo in apparenza, farà con loro un patto che egli stesso, più tardi, infrangerà e, alleato all’Anticristo, sarà il responsabile della «gran tribolazione», il tempo chiamato «la distretta di Giacobbe». Il vero carattere di questo capo «romano» sarà scoperto alla metà dei sette anni, quando Satana lo possederà interamente.
Al principio del secolo XIX si presentò sulla scena della storia un uomo amico dei Giudei, Napoleone 1°, il cui piano era quello di creare un vasto impero e di conquistare il mondo. Non è cosa strana, dunque, che si levi di nuovo un conduttore politico a lui simile, che salirà al potere come imperatore, con ambizioni sfrenate di conquista e di dominio. Naturalmente egli verrà sotto l’aspetto di un «angelo di luce», praticando inganni, finché si manifesti il suo vero carattere.
- L’Anticristo
Altro personaggio è l’Anticristo, che non bisogna confondere né con il piccolo corno di Daniele 7 né con quello di Daniele 8. L’Anticristo, colui del quale leggiamo in 2 Tessalonicesi 2, in tutto il libro di Daniele è citato soltanto una volta, nel capitolo 11:36, dove vengono descritti i suoi caratteri:
«Il re agirà a suo piacimento, s’innalzerà, si esalterà al di sopra di ogni dio e pronuncerà parole inaudite contro il Dio degli dèi; prospererà finché non sia finita l’ira, poiché ciò che è stato deciso si compirà. Egli non avrà riguardo agli dèi dei suoi padri; non avrà riguardo al dio preferito dalle donne, né ad alcun dio, perché si innalzerà al di sopra di tutti» (11:36-37).
Questo è lo stesso di cui il Signore Gesù predisse la venuta in Giovanni 5:43: «Io sono venuto nel nome del Padre mio, e voi non mi ricevete; se un altro verrà nel suo proprio nome, quello lo riceverete».
Si presenterà con lusinghe e i Giudei lo riceveranno come se fosse il liberatore che hanno tanto aspettato. Egli sarà come un re in mezzo a loro (Isaia 30:33, 57:9; Daniele 11:36). Lo vediamo nel capitolo 13 dell’Apocalisse, nella seconda bestia che sale dalla terra e che ha due corna come quelle di un agnello, ma «parla come il dragone». Imiterà Cristo. Possederà tutta la potenza della prima bestia, la potenza satanica. Avrà il potere di fare miracoli fino a far cadere del fuoco dal cielo, in presenza degli uomini.
Così, per mezzo di miracoli menzogneri, egli ingannerà quelli che abitano sulla terra, realizzando ciò che è predetto in 2 Tessalonicesi 2:9-12: «La venuta di quell’empio avrà luogo, per l’azione efficace di Satana, con ogni sorta di opere potenti, di segni e di prodigi bugiardi, con ogni tipo d’inganno e d’iniquità a danno di quelli che periscono perché non hanno aperto il cuore all’amore della verità per essere salvati. Perciò Dio manda loro una potenza d’errore perché credano alla menzogna; affinché tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma si sono compiaciuti nell’iniquità, siano giudicati».
La sfera della sua attività si estenderà al di là dei Giudei di Palestina; egli sarà il falso Cristo che tutti i Giudei increduli accetteranno, e anche l’Anticristo della cristianità apostata. Pretenderà che gli abitanti della terra facciano un’immagine della prima bestia (il piccolo corno del capitolo 7, e ad essa darà la voce affinché parli. Tutti quelli che gli resisteranno e non l’adoreranno saranno uccisi. In Apocalisse cap. 16:13 e 19:20 è chiamato «il falso profeta» perché è un capo religioso. I Salmi ed altre porzioni delle Sante Scritture contengono riferimenti a questo secondo personaggio, che occupa un posto tanto importante nel tempo della fine.
- Il re del settentrione
La terza persona è il re del settentrione, il “piccolo corno” del capitolo 8, simile ad Antioco Epifane già esistito. Secondo il capitolo 11 di Daniele, verrà dal Settentrione ed invaderà la Palestina, dove incontrerà una fine miserabile e disastrosa. È l’Assiro di cui parlano i profeti Isaia e Michea, quel che verrà dal Settentrione, secondo la profezia di Gioele (cap. 2:20), e sarà il grande nemico del residuo fedele del popolo Giudeo.
Questi tre grandi protagonisti del tempo della fine appaiono distinti nelle profezie di Daniele; e se il lettore non fa distinzione fra loro non potrà comprendere le profezie.
L’opera del piccolo corno del cap. 7
Avendo già stabilito chi è rappresentato dal “piccolo corno”, cioè il capo del risorto Impero Romano, vediamo ora quale sarà la sua opera diabolica.
1) Egli dominerà dieci re; farà scomparire tre regni, e ne resteranno solo sette.
2) Dirà cose grandi contro l’Altissimo. È un iniquo che bestemmierà Dio e sfiderà la sua Parola. Sarà molto ben accetto alla cristianità apostata, dominata da critici increduli e schernitori, che negano l’ispirazione divina della Bibbia, le profezie e i miracoli, il significato e il valore dell’opera di Cristo.
3) Farà la guerra contro ai santi e li vincerà. Sotto il suo regime, tutti quelli che si atterranno fermamente a Dio e alla sua Parola, soffriranno grandi persecuzioni.
4) Tormenterà i santi dell’Altissimo e il residuo dei Giudei (credenti) sarà oggetto speciale del suo odio satanico.
5) Penserà di mutare i tempi e le leggi. Questo era già avvenuto durante la rivoluzione francese, ma sarà fatto su più larga scala dal piccolo corno. Abbatterà ogni ordine e ogni legge esistente, per cui sarà chiamato «il senza legge».
La fine del piccolo corno
Il regime di questo capo imperiale romano durerà «un tempo, dei tempi e la metà di un tempo», ossia un anno, più due anni e più un mezzo anno, il che ci dà esattamente 1260 giorni, o 42 mesi (vedasi Apocalisse 11:2-3 e 12:6 a 14). Alla fine di questo periodo il Figlio dell’uomo apparirà e la «pietra» colpirà:
«Poi si terrà il giudizio e gli sarà tolto il dominio; verrà distrutto e annientato per sempre. Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo; il suo regno è un regno eterno, e tutte le potenze lo serviranno e gli ubbidiranno» (7:26 e 27).
Il regno sarà stabilito e i santi dell’Altissimo lo riceveranno. I regni della terra si convertiranno a Dio e al suo Unto. Satana, che aveva il suo trono sulla terra e lo aveva dato alla bestia e al falso profeta, sarà detronizzato, e Cristo, il vero Re, sarà posto sul trono sul monte santo di Sion.
La conseguenza immediata di questa visione di Daniele fu una profonda meditazione; i suoi pensieri furono turbati e il suo volto mutò di colore. Senza dubbio, tanto la preghiera e la supplicazione, quanto lo studio intenso della Parola di Dio, che almeno in parte possedeva, gli occupavano la mente. Che Dio conceda anche a noi questo stesso atteggiamento, specialmente ai nostri giorni, ora che siamo alla vigilia dell’adempimento di queste visioni. Ma prima che la bestia appaia sulla scena, il Signore Gesù chiamerà i Suoi perché siano con Lui nella gloria.
Capitolo 8
Visione del montone e del capro
Ricordiamo ancora una volta al lettore che, dal capitolo 8 fino alla fine del libro, la lingua usata da Daniele è l’ebraico. La ragione di questo cambiamento l’abbiamo già spiegata. Da ora in poi siamo guidati nella profezia sul territorio giudaico, e gli eventi che ci sono rivelati si verificheranno sul finire dei «tempi delle nazioni». Questi avvenimenti avranno luogo in Terra Santa e nella città di Gerusalemme. Le frasi «il tempo della fine», «ultimo tempo dell’indignazione», compaiono varie volte in questi capitoli che descrivono lo stesso periodo di tempo del capitolo settimo: «un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo», ossia tre anni e mezzo, 1260 giorni profetici, i 42 mesi dell’Apocalisse.
Questa è la grande tribolazione con la quale avranno termine «i tempi delle nazioni», chiamata anche «un tempo di angoscia per Giacobbe» (Geremia 30:7).
Il nostro Signore, in Matteo 24, nella parte del sermone sul monte degli Ulivi che descrive la fine dell’età presente, richiama l’attenzione sul profeta Daniele e dice: «perché allora vi sarà una grande tribolazione, quale non v’è stata dal principio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà» (v. 21). Gerusalemme sarà il centro burrascoso di questo tempo di tribolazione.
Le profezie dei capitoli 8 e 9, sebbene si siano adempite in parte nel passato, si riferiscono al tempo in cui avrà luogo il loro completo adempimento. La spaventevole invasione della terra d’Israele e la malvagità di Antioco Epifane, nell’anno 168 a. C., è un’immagine profetica dell’invasione che avverrà durante la «ultimo tempo dell’indignazione», quando un altro re del Settentrione invaderà nuovamente il paese e cingerà d’assedio Gerusalemme. Anche la grande profezia contenuta nel capitolo nono si è in gran parte adempiuta, e non resta da compiersi che l’ultima settimana, il periodo di sette anni che include «il tempo della fine».
Sarà molto utile al lettore unire il capitolo 7 con il capitolo 9, e l’8 con l’11, perché i capitoli 7 e 9 si occupano in particolare dell’Occidente, cioè dell’Impero Romano, e il piccolo corno del capitolo settimo corrisponde al «capo che verrà» del capitolo 9 v. 26. I capitoli 8 e 11, invece, ci trasportano in Oriente: il piccolo corno del capitolo 8 e «il re del settentrione» che invade la gloriosa terra di Canaan, come è predetto nel capitolo 11, sono una stessa persona. Se il lettore lo terrà bene a mente , gli sarà più facile intendere questa parte del libro.
I capitoli da 8 a 12 di Daniele devono dividersi in tre parti, perché contengono tre grandi visioni: la visione del montone e del capro al capitolo 8; la visione delle settanta settimane al capitolo 9; la gran visione finale ai capitoli da 10 a 12.
Il tempo della visione del montone e del capro
La visione del capitolo 8 fu data al profeta nell’anno terzo del regno di Baldassar, nipote di Nabucodonosor, giusto nell’anno dell’empio convito quando cadde Babilonia. Allora Dio chiamò il suo fedele servitore per rivelargli nuove cose riguardanti il futuro.
Sebbene il profeta si trovasse a Babilonia quando ricevette questa visione, pure in spirito fu trasportato a Susa, capitale dell’Elam, che fu convertita in una delle metropoli dell’impero Medo-Persiano. Fu questa città la residenza del fedele Nehemia e là si svolse tutta la storia riguardante il libro di Ester. In spirito Daniele si trova non nel palazzo, ma vicino al fiume Ulai.
La visione
La visione si riferisce agli imperi secondo e terzo, rappresentati nel sogno di Nabucodonosor dal petto d’argento e dalle cosce di rame della statua, e nella visione di Daniele dall’orso con tre costole e dal leopardo con quattro ali e quattro teste.
In questa visione è richiamata la nostra attenzione sull’Impero Medo-Persiano e su quello Greco: il primo appare come un montone con due corna, uno più alto dell’altro e l’ultimo saliva più in alto (vers. 3). Questo secondo impero si componeva di due parti, i Medi e i Persiani; il potere persiano fu superiore e divenne l’elemento dominatore, come è indicato dal corno più alto dell’altro e che coincide con l’orso della visione di Daniele che stava «sollevato da un lato». Infatti qui vediamo la storia scritta in anticipo, perché tutto fu rivelato quando l’impero di Babilonia era ancora fiorente. Non deve sorprendere che gli ipercritici e gli increduli abbiano fatto del loro meglio per distruggere l’autenticità del libro, ed abbiano inventato i mezzi più astuti per dimostrare che tutto fu scritto dopo la formazione dell’impero Persiano.
Poi Daniele osserva la conquista rapida fatta dal secondo impero, che si apre il passo verso tre direzioni: verso Occidente, verso Settentrione e verso Mezzodì; e siccome nella visione di Daniele l’orso teneva tre costole in bocca, vediamo che tutto concorda.
Ad un tratto, ecco un capro venire velocemente dall’Occidente, e con tale velocità da non toccare il suolo, portando un corno notevole. Questo capro dalla rapida corsa rappresenta lo stesso impero che apparve a Daniele sotto l’aspetto di un leopardo con quattro ali, ossia la potenza mondiale dell’Impero Greco. Il corno notevole non è altro che il suo re, Alessandro il Grande. Segue un conflitto mortale; il capro s’infuria contro il montone (l’Impero Medo-Persiano) che ha la peggio:
«Lo vidi avvicinarsi al montone, infierire contro di lui, colpirlo e spezzargli le due corna; il montone non ebbe la forza di resistergli e il capro lo gettò a terra e lo calpestò; non ci fu nessuno che potesse liberare il montone dal potere di quello» (8:7).
Nell’anno 334 a. C., il corno notevole, Alessandro il Grande, attraversò l’Ellesponto e combatté diverse battaglie con successo; poi si aprì un varco fino alle rive dell’Indo, da qui a Susa, capitale dell’Impero Persiano. Si combatterono le grandi battaglie del fiume Granico (334 a. C.), d’Isso (333 a. C.) e di Arbela (221 a. C.) e Alessandro, con forza irresistibile, atterrò la potenza Persiana e il suo re, Dario Codomano. In breve tempo conquistò la Siria, la Fenicia, Cipro, il Pireo, Gaza, l’Egitto, Babilonia e la Persia.
Nell’anno 329 conquistò Battria, passò l’Osso (Amu Daria) e il Giassarte (Sir Daria) e sconfisse gli Scizi; in tale modo calpestò il montone, dopo aver rotto le sue corna.
Ma quando il capro divenne molto grande, il gran corno si ruppe. Ecco la predizione della morte repentina e precoce di Alessandro il Grande, che morì dopo aver regnato dodici anni e otto mesi, alla fine di una vita di guerra e di orge, nell’anno 323 a. C., all’età di appena 33 anni. In luogo di questo corno rotto sorsero altre quattro corna, e la profezia si adempì alla lettera, perché l’impero di Alessandro si divise in quattro parti. Quattro grandi generali di Alessandro fecero la divisione dell’impero, e cioè: Cassandro, Lisimaco, Seleuco e Tolomeo; le quattro grandi divisioni divennero la Siria, l’Egitto, la Macedonia e l’Asia Minore.
Il piccolo corno del cap. 8
Da una di queste divisioni Daniele vide sorgere un piccolo corno, precisamente dalla Siria. Questo piccolo corno che si fece importante, oppresse «il paese della bellezza», cioè la Palestina, e la sua terribile azione è qui descritta profeticamente. Sentiamo ciò che dice la Scrittura:
«Da uno di essi (i corni usciti dal gran corno spezzato) uscì un piccolo corno, che si ingrandì enormemente in direzione del mezzogiorno, dell’oriente e del paese splendido. Crebbe fino a raggiungere l’esercito del cielo; fece cadere a terra una parte di quell’esercito e delle stelle, e le calpestò. Si innalzò fino al capo di quell’esercito, gli tolse il sacrificio quotidiano e sconvolse il luogo del suo santuario. Un esercito fu abbandonato, così pure il sacrificio quotidiano, a causa dell’iniquità; la verità venne gettata a terra; ma esso prosperò nelle sue imprese» (8:9-12).
La storia non ci lascia alcun dubbio sulla personalità di questo re malvagio. Egli è l’ottavo re della dinastia Seleucida che s’impossessò del trono siro e che è conosciuto col nome di Antioco Epifane, che portò anche il nome di Epimane, cioè «il pazzo». Egli fu il tiranno e l’oppressore dei Giudei; i suoi atti perversi, le sue bestemmie ed i suoi sacrilegi sono pienamente descritti nel libro dei Maccabei. Daniele lo vide molto tempo prima che apparisse, come pure le sue opere malvagie, in una visione. Gli eserciti del cielo sopra i quali questo corno si fece così forte e le stelle che gettò al suolo calpestandole, sono simbolo del popolo israelita e di quelli che occupavano posti di autorità e di responsabilità fra i Giudei, come i principi, i sacerdoti ed i rabbini. Tuttavia egli fece più di questo; una volta conquistata Gerusalemme, offrì un maiale in sacrificio sopra l’altare degli olocausti e ne sparse il brodo per tutto l’edificio. Corruppe i giovani di Gerusalemme introducendo pratiche dissolute e trasformò la festa dei Tabernacoli in festa di Bacco. Aggiudicò all’incanto l’ufficio di sommo sacerdote. Egli commise ogni sorta di infamia, e incoraggiò ogni più terribile oscenità. Tutto il vero culto fu proibito e sostituito dal culto degli idoli, specialmente di Giove Olimpo. La città ed il paese furono devastati e circa centomila Giudei fedeli a Dio massacrati.
Tale è stato l’adempimento di questa profezia. Nel capitolo 11 sono una volta ancora rivelati i suoi atti terribili.
Una conversazione angelica
La parola «santo» è aggettivo. Qui abbiamo una conversazione angelica. Questo santo speciale, che è un angelo, nel testo originale è chiamato «Polmoni», che significa «il narratore meraviglioso» (*). Qui ci è dato un altro aspetto dell’occupazione degli angeli. Il libro di Daniele ci parla molto di questi esseri grandi e meravigliosi, e dei loro servizi. Nel capitolo 4 vedemmo che erano guardiani, vigili sentinelle del cielo che s’interessano molto di tutto ciò che avviene sulla terra; qui li udiamo conversare riguardo agli orrori terribili commessi dal piccolo corno.
Daniele, dalla loro conversazione, viene a sapere che l’afflizione durerà 2300 giorni (letteralmente: sere e mattine), dopo di che il santuario sarà purificato. Questi 2300 giorni abbracciano il tempo in cui Antioco Epifane commise i suoi atti abominevoli. La Cronologia di questi 2300 giorni è interessante. Giuda Maccabeo purificò (lett. giustificò) il santuario dalla abominazione il 25 dicembre dell’anno 165 a. C. Antioco Epifane morì miserabilmente due anni più tardi. Andando indietro di 2300 giorni dal tempo in cui Giuda Maccabeo purificò il tempio profanato, ci troviamo nell’anno 171 a. C., quando è riportata la narrazione dell’intervento di Antioco contro i Giudei. Menelao, dato ad Antioco ciò che era richiesto per essere eletto sommo sacerdote, saccheggiò il tempio e complottò di uccidere Onia, terzo sommo sacerdote in carica.
I fatti più iniqui riguardanti la profanazione del tempio furono perpetrati dal primo generale di Antioco, Apollonio, nell’anno 168 a. C. Perciò crediamo che questi 2300 giorni siano letterali e che abbiano avuto il loro adempimento nei giorni terribili di quel malvagio re del Settentrione. A questo riguardo vi sono idee e interpretazioni fantasiose, che fanno sì che lo studio della profezia abbia una cattiva reputazione. Facciamo allusione a coloro che insegnano la menzogna abominevole che il Signore nostro Gesù Cristo è entrato nel luogo Santissimo nell’anno 1844, perché ciò si trova d’accordo con i loro calcoli di 2300 anni dopo che Ciro emanò il decreto della costruzione del Tempio. Che questo sia la negazione stessa dell’Evangelo è evidente.
I due corni non sono la stessa cosa
Prima di continuare l’interpretazione data da Dio, accordata in risposta alla supplica di Daniele, richiamiamo l’attenzione, ancora una volta, sul fatto che i due piccoli corni dei capitoli 7 e 8 non sono la stessa cosa. Anche alcuni buoni espositori e dottori delle Scritture hanno commesso l’errore d’insegnare che i due rappresentano una stessa persona. Ma come può essere? Il piccolo corno del capitolo 7 sorge dall’Impero Romano, mentre questo riapparirà nella sua forma finale e, come abbiamo visto, rappresenta il gran capo dell’impero stesso, che assumerà il titolo di imperatore sopra la grande nazione e che opererà d’accordo con l’Anticristo in persona, il re falso, il falso Messia. Per contro, il piccolo corno del capitolo 8 non sorge affatto dall’impero d’occidente, ma da una divisione dell’orientale, dall’impero greco. E se il piccolo corno del capitolo 7 è il capo politico delle nazioni, nemico dei Giudei, per contro quello del capitolo 8 viene esclusivamente dal Settentrione contro «il paese della bellezza», e la sua opera principale sarà l’invasione della terra d’Israele, come oppressore dei Giudei. Chi è allora il personaggio rappresentato nel nostro capitolo? Lo vedremo ora nell’interpretazione.
L’interpretazione inviata per mezzo di Gabriele
«Mentre io, Daniele, avevo questa visione e cercavo di comprenderla, ecco in piedi davanti a me una figura simile a un uomo. E udii la voce di un uomo in mezzo al fiume Ulai, che gridò e disse: “Gabriele, spiegagli la visione!” Ed egli venne vicino al luogo dove stavo io; alla sua venuta io fui spaventato e mi prostrai con la faccia a terra; ma egli mi disse: “Sta’ bene attento, o figlio d’uomo, perché questa visione riguarda il tempo della fine”. Mentre egli mi parlava, io mi lasciai andare con la faccia a terra, profondamente assopito; ma egli mi toccò e mi fece stare in piedi. Poi disse: “Ecco, io ti farò sapere ciò che avverrà nell’ultimo tempo dell’indignazione; perché la visione riguarda il tempo della fine. Il montone con due corna, che tu hai visto, rappresenta i re di Media e di Persia. Il capro irsuto è il re di Grecia; e il suo gran corno, fra i suoi occhi, è il primo re. Le quattro corna, sorte al posto di quello spezzato, sono quattro regni che sorgeranno da questa nazione, ma non con la stessa sua potenza. Alla fine del loro regno, quando i ribelli avranno colmato la misura delle loro ribellioni, sorgerà un re dall’aspetto feroce, ed esperto in intrighi. Il suo potere si rafforzerà, ma non per la sua propria forza. Egli sarà causa di rovine inaudite, prospererà nelle sue imprese, distruggerà i potenti e il popolo dei santi. A motivo della sua astuzia, la frode prospererà nelle sue mani; il suo cuore si inorgoglirà; distruggerà molte persone che si credevano al sicuro. Si ergerà pure contro il principe dei prìncipi, ma sarà infranto senza intervento umano. La visione delle sere e delle mattine, di cui è stato parlato, è vera. Ma tu tieni segreta la visione, perché si riferisce a un tempo lontano”. Allora, io, Daniele, svenni e fui malato per diversi giorni; poi mi alzai e feci gli affari del re. Io ero stupito della visione, ma nessuno se ne accorse» (8:15-27).
L’angelo Gabriele si manifesta in questo libro per la prima volta. Appare in forma d’uomo e una voce d’uomo gli ordina: «Dichiara a colui la visione». Ometteremo di ripetere l’interpretazione della visione del montone e del capro che abbiamo già dato, e dedicheremo la nostra attenzione ai cinque ultimi versetti di questo capitolo. Gabriele dice a Daniele che la visione ha un significato speciale per il tempo della fine. Per indicare il compimento finale di questa visione vengono usate quattro espressioni differenti: 1°«il tempo della fine» (8:17), 2° «l’ultimo tempo dell’indignazione» (8:19); 3° «la fine del loro regno» (8:23), 4° «Quando i ribelli avranno colmato la misura delle loro ribellioni» (8:23).
Da questi termini apprendiamo dunque, definitivamente, che quando giungerà il periodo di tempo chiamato altrove «la grande tribolazione», sorgerà ancora una volta un re audace e sfacciato che commetterà gli atti malvagi qui descritti, ma che sarà abbattuto senz’opera di mani. Innanzi tutto, desideriamo insistere sul fatto che tutto ciò che qui è scritto riguarda esclusivamente il popolo giudeo ed il suo paese. Introdurre la Chiesa in questa previsione, come molti fanno, crea molta confusione. La «Chiesa» non fu rivelata a Daniele; egli non vide in queste visioni l’epoca cristiana attuale e non seppe nulla del grande proponimento che Dio sta realizzando dal giorno che il Messia fu rigettato dal suo popolo. Tutto ciò non contenuto nella rivelazione di questo libro.
Nella sua grande visione del capitolo 7, Daniele vede prima la storia dei tempi delle nazioni, che termineranno nel giudizio e saranno seguiti dall’instaurazione del regno del Figlio dell’uomo su questa terra. Infine, nel nostro capitolo, dopo avere predetto la storia degl’imperi persiano e greco e la loro sorte, ci presenta il gran nemico e persecutore dei Giudei, Antioco Epifane, il quale, come già dicemmo, venne circa cent’anni dopo. Dopo ciò, siamo trasportati immediatamente all’ultima scena della storia del popolo giudeo, ad un’epoca che, non c’è bisogno di dirlo, non è ancora giunta.
Sono molto significative due frasi usate per descrivere quest’epoca. La prima si incontra nel versetto 19: «Ecco, io ti farò sapere ciò che avverrà nell’ultimo tempo dell’indignazione; perché la visione riguarda il tempo della fine». L’indignazione qui citata è descritta spesso nell’Antico Testamento. Considereremo quindi alcuni passi in cui essa è predetta, anticipando che si tratta dell’indignazione di Dio contro il suo popolo terreno e contro il suo paese a causa della loro disubbidienza e dell’apostasia. Esamineremo per primo il capitolo 10 del profeta Isaia, il cui tema è la grande invasione degli Assiri, guidata da Sennacherib.
Il nemico Assiro ebbe il permesso di invadere il «paese splendido», perché il popolo di Dio aveva peccato separandosi da Lui. Il versetto 5 è indirizzato a questo Assiro: «Guai all’Assiria, verga della mia ira! Ha in mano il bastone della mia punizione. Io la mando contro una nazione empia e la dirigo contro il popolo che ha provocato la mia ira, con l’ordine di darsi al saccheggio, di far bottino, di calpestarlo come il fango delle strade» (Isaia 10:5-6). Dio usò l’Assiro come uno strumento per adempiere la Sua indignazione. Altrove, nello stesso capitolo, è fatta la seguente promessa ai fedeli del popolo d’Israele terrificati dall’invasione: «Ancora un breve, brevissimo tempo, e la mia indignazione sarà finita, la mia ira si volgerà a distruggere loro» (Isaia 10:25). Richiameremo l’attenzione del lettore su questo passo, più avanti nel corso di questa esposizione.
Nel cap. 13 le forze dell’invasore sono di nuovo dette «gli strumenti della sua ira, per distruggere tutto il paese» (v. 5). Sempre nel libro di Isaia (26:20) vi è un’esortazione molto significativa, e i capitoli da 24 a 27 sono stati chiamati appropriatamente «la piccola Apocalisse d’Isaia», perché in essi sono predetti i giudizi ed i tumulti del gran giorno dell’Eterno.
Il passo innanzi citato (Isaia 26:20) s’indirizza ai pii in Israele: «Va’, o mio popolo, entra nelle tue camere, chiudi le tue porte, dietro a te; nasconditi per un istante, finché sia passata l’indignazione». È chiaro perciò che per quella terra, la Palestina, vi sarà un’indignazione, pure menzionata in Isaia 30:31 in relazione con l’Assiro. Il giudizio che cadde sul popolo di Israele per mezzo di Babilonia fu opera dell’Eterno “indignato” (Zaccaria 12:1); in questo passo udiamo l’angelo dell’Eterno intercedere usando la medesima parola a proposito della cattività di Babilonia: «Allora l’angelo del SIGNORE disse: “SIGNORE degli eserciti, fino a quando rifiuterai di avere pietà di Gerusalemme e delle città di Giuda, contro le quali sei stato indignato durante questi settant’anni?”». L’indignazione è poi annunziata da Dio anche per mezzo del profeta Ezechiele: «Riverserò su di te la mia indignazione» (Ezechiele 21:36).
Nel Salmo 69, salmo messianico, ci imbattiamo in questa stessa espressione, e nella sua prima parte leggiamo delle sofferenze di Cristo. La nazione rifiutò Colui che Dio aveva inviato a vivere fra loro, ed Egli dovette esclamare: «Ho aspettato chi mi confortasse, ma invano; ho atteso dei consolatori, ma non ne ho trovati» (v. 20); quindi segue un annunzio di giudizio che cadrà sulla nazione: «La loro tavola imbandita sia per essi come una trappola, un tranello quando si credono al sicuro! Gli occhi loro si offuschino e più non vedano; indebolisci per sempre i loro fianchi» (v. 22-23).
Nella Lettera ai Romani cap. 11 sono citate queste parole per insegnare il fatto che la nazione, come tale, è stata messa in disparte e che su di essa, durante il tempo presente, grava il giudizio di Dio. In seguito, nello stesso Salmo 69, si leggono queste parole: «Riversa su di loro il tuo furore (o indignazione), li raggiunga l’ardore della tua ira» (v. 24) e questo è avvenuto a partire dal rigettamento di Cristo. Gli Israeliti sono stati dispersi sulla faccia di tutta la terra e la loro è stata una storia di sofferenze e di lacrime. Attualmente, il popolo giudeo è ancora travagliato e disperso a causa della sua disobbedienza; ma ci sarà una fine. Ed è ciò che è descritto in questo capitolo con «ultimo tempo dell’indignazione» (v. 19). Questa fine attirerà sul popolo e sul paese grandi calamità, e in quell’occasione una persona, cioè il re audace e sfacciato, sarà il principale protagonista. Chi egli sia lo vedremo proseguendo nel nostro studio.
«Quando i ribelli avranno colmato la misura delle loro ribellioni…» (v. 23). Anche questa è un’espressione piena di significato. Qualcuno l’ha riferita al tempo in cui vi sarà, sulla terra, un’apostasia universale; però, benché le Scritture prevedano senza contraddizione un’apostasia completa alla fine dell’era presente, nondimeno va notato che qui questi «ribelli» sono gli apostati fra i Giudei. Secondo la parola profetica questo popolo si sta allontanando sempre più da Dio e il suo ultimo stato sarà peggiore del primo, come predisse il Signore in Matteo 12:43-45. Egli disse pure: «Io son venuto nel nome del Padre mio, e voi non mi ricevete; se un altro verrà nel suo proprio nome, quello riceverete» (Giovanni 5:43). Un giorno apparirà in mezzo a loro un falso Cristo, il falso re, e la maggioranza del popolo accetterà questa falsificazione del Diavolo. Quando giungerà questa grande apostasia finale del popolo giudeo, allora sarà giunto il tempo di cui stiamo parlando. Che il popolo giudeo s’avvicini rapidamente al tempo in cui «i ribelli avranno colmato la misura delle loro ribellioni», è cosa evidente già ai nostri giorni; la maggioranza di loro è completamente atea, abbandona con disdegno la fede dei padri, e con arroganza ed orgoglio tutti esaltano se stessi.
Il re dall’aspetto feroce
Dobbiamo ora considerare la personalità di questo re, secondo la descrizione dei versetti 19-25. Egli sorgerà dal «alla fine del loro regno» (v. 23), cioè dai regni in cui si era diviso l’Impero Greco e, profeticamente, troviamo descritte le azioni di questo re audace e sfrontato. Il suo ultimo atto è che si opporrà al «principe dei principi», e quando giungerà a tale culmine della sua carriera «sarà infranto senza intervento umano» (v. 25). Questo re non è l’Anticristo, come spesso abbiamo detto, né può identificarsi con Antioco Epifane, perché apparirà durante la «l’ultimo tempo dell’indignazione» (v. 19). Fino ad un certo punto Antioco Epifane è il tipo di questo re futuro, di questo distruttore del popolo.
I commentatori che sostengono l’identità di questo re con quella dell’Anticristo si appoggiano sul fatto che Antioco profanò il tempio, cosa che anche l’Anticristo farà, ma non tengono conto del fatto che sebbene Antioco abbia profanato il tempio, come è predetto nei versetti 9 a 12, non è detto che ciò sarà fatto dal re descritto nei versetti 23 a 25.
Il re che apparirà come il grande oppressore dei Giudei è la stessa persona designata in altre parti della parola profetica come «l’Assiro», il re del Settentrione, iniquo oppressore del quale incontriamo descritti i fatti nei libri di Isaia, di Michea, di Gioele e nei Salmi. Se Dio, per castigare il suo popolo disubbidiente, usò nel passato l’invasore assiro, un altro Assiro apparirà al tempo della fine, e distruggerà quel popolo, assedierà e saccheggierà Gerusalemme, mettendo ad effetto tutte le perversità che nella Scrittura sono predette di lui. Piomberà come un turbine dal suo impero del Settentrione sulla terra d’Israele, nello stesso modo che Antioco entrò nel «paese splendido» (v. 9). Questa invasione avrà luogo dopo che il popolo giudeo avrà raggiunto stabilità nel suo paese e quando le speranze del Sionismo di oggi saranno completamente realizzate.
Il piccolo corno di Daniele di cui si parla al capitolo 7, e che è «il capo che verrà» del capitolo 9:26, farà un patto con i Giudei (come vedremo più avanti quando raggiungeremo questa parte) e i Giudei ritornati in Palestina si metteranno nelle sue mani per essere protetti. A questo punto, il re audace e sfacciato, l’Assiro, il re del Settentrione, apparirà e si scaglierà contro il popolo e la loro città. Esso sarà nemico della bestia, il capo dell’Impero Romano risorto, e nemico di Giuda, mentre la bestia, ossia il piccolo corno di Daniele 7, perseguiterà i santi. Il capo dell’Impero Romano e l’Anticristo (la prima e la seconda bestia del capitolo 13 dell’Apocalisse) saranno alleati, ma l’Assiro, il re rappresentato negli ultimi versetti del cap. 8, si opporrà ai piani di questi due. Conosceremo meglio queste cose accennando ad altre profezie che parlano di questo stesso personaggio, della sua opera distruttrice e della sua fine.
L’Assiro in Isaia
Nelle profezie del profeta Isaia ci sono molti dettagli sull’Assiro, il nemico che avrebbe aggredito il paese in un futuro imminente, ma che è anche qui descritto come il grande avversario dei Giudei durante gli ultimi giorni:
«Ecco, il Signore sta per far salire su di loro le potenti e grandi acque del fiume, cioè il re d’Assiria e tutta la sua gloria; esso s’innalzerà dappertutto sopra il suo livello, e strariperà su tutte le sue sponde. Passerà sopra Giuda, inonderà, e passerà oltre; arriverà fino al collo e le sue ali spiegate copriranno tutta la larghezza del tuo paese, o Emmanuele!» (Isaia 8:7-8).
Questa è una delle prime predizioni riguardo questo poderoso nemico che sarebbe venuto sulla terra di «Emmanuele». Ma di lui è scritto molto di più in Isaia 10:5-34. Noi suggeriamo al lettore un’accurata lettura ed uno studio riverente di questo capitolo così interessante. Che questa profezia vada molto al di là dei giorni di Isaia e predìca di più che la venuta di Sennacherib contro Gerusalemme, lo si comprende facilmente. Si tenga presente ciò che è stato detto in precedenza, cioè che l’indignazione avrà fine quando quest’Assiro userà la sua verga contro il popolo di Dio, come fece l’Egitto (vers. 24-25).
Ora, l’indignazione è la disapprovazione di Dio verso il suo popolo terreno, il giudizio divino che pesa su di lui. Sebbene a tutt’oggi l’indignazione di Dio non sia terminata, vi sarà, come rileviamo da Daniele 8:19, «l’ultimo tempo dell’indignazione», e tale fine significherà la liberazione del popolo giudeo e la completa rotta dell’ultimo «Assiro», come si vede più chiaramente in Isaia 10:12: «Ma quando il Signore avrà compiuto tutta la sua opera sul monte Sion e a Gerusalemme, “io”, dice il SIGNORE, “punirò il re d’Assiria per il frutto della superbia del suo cuore e dell’arroganza dei suoi sguardi alteri”». Questa sarà tutta l’opera che il Signore effettuerà nel suo castigo sopra Gerusalemme; e quando sarà adempiuta quest’opera, il re d’Assiria sarà punito. Ma è stabilito che un nemico poderoso come l’Assiro tormenti i Giudei in questo tempo della fine, e la seguente porzione della profezia di Isaia inizia con un’affermazione che definisce lo scopo dell’invasione dell’Assiro, di entrambi gli «Assiri», il primo e l’ultimo:
«Guai all’Assiria, verga della mia ira! Ha in mano il bastone della mia punizione. Io la mando contro una nazione empia e la dirigo contro il popolo che ha provocato la mia ira, con l’ordine di darsi al saccheggio, di far bottino, di calpestarlo come il fango delle strade» (Isaia 10:5-6).
Dio lo userà come strumento per dare sfogo alla sua ira contro il suo popolo. Egli invaderà il paese d’Israele come il gran nemico di fuori, perché la maggioranza della nazione segue la bestia. Ma Dio lo punirà per la sua superbia come si vede nel capitolo 10 di Isaia.
Si notino bene le sei divisioni di Isaia 10:5-34.
1) Descrizione dell’Assiro. Egli è lo strumento che Dio usa per castigare Israele. Dio lo invia contro questa nazione ipocrita (v. 5-11).
2) Annunzio del castigo dell’Assiro. Ciò avverrà quando Dio avrà terminata la sua opera punitrice contro Gerusalemme. Pertanto ciò è futuro (v. 12-15).
3) Il castigo in se stesso: sarà repentino e completo (v. 16 -19).
4) Promessa del ritorno del residuo d’Israele (v. 20-23).
5) Le parole di consolazione al residuo fedele che è in angoscia (v. 24-27).
6) Descrizione dell’avanzata dell’Assiro contro la città di Gerusalemme e dell’intervento divino in questa scena (v. 28 -34).
Il grande finale si avrà quando il re audace apparirà a devastare quella terra e quando si leverà contro al «principe dei principi», cioè il Signore Gesù Cristo. Il lettore farà bene a notare che Isaia, nel capitolo 11, si dilunga molto riguardo al Re futuro, il nostro Signore, e al Suo Regno, che verrà immediatamente dopo che la potenza dell’Assiro sarà stata infranta.
Il capitolo 14 di Isaia parla prima del re di Babilonia e del giudizio che cadrà sopra di lui e sopra la «città avida d’oro». Il re di Babilonia è, nel linguaggio profetico, l’ultimo grande re, quello che dominerà sull’Impero Romano, cioè il piccolo corno di Daniele 7. Ma nello stesso capitolo è anche citato l’Assiro della fine:
«Il SIGNORE degli eserciti l’ha giurato, dicendo: “In verità, come io penso, così sarà; come ho deciso, così avverrà. Frantumerò l’Assiro nel mio paese, lo calpesterò sui miei monti; allora il suo giogo sarà tolto da essi e il suo carico sarà tolto dalle loro spalle”» (Isaia 14:24-25).
È molto significativo che, in questo capitolo, Babilonia con il suo re e il giudizio che cadrà su di essa siano nominati per primi, mentre l’Assiro è citato dopo Babilonia: questo è l’ordine profetico. Storicamente l’Assiro fu il primo e Babilonia fu seconda; ma quando l’era presente sarà giunta alla fine e il tempo rivelato a Daniele dall’interpretazione di Gabriele sarà arrivato, prima sorgerà l’Impero Romano con il suo re, poi verrà l’Assiro. Nel capitolo 30 è rivelata la misera fine dell’Assiro, corrispondente con ciò che Daniele riferisce sul suo giudizio repentino:
«Alla voce del SIGNORE, l’Assiro sarà costernato; il SIGNORE lo colpirà con il suo bastone; ogni passaggio del flagello destinatogli, che il SIGNORE gli farà piombare addosso, sarà accompagnato dal suono di tamburelli e di cetre; il SIGNORE combatterà contro di lui a mano alzata. Poiché da lungo tempo Tofet è preparato; è pronto anche per il re; è profondo e ampio; sul suo rogo c’è fuoco e legna in abbondanza; il soffio del SIGNORE, come un torrente di zolfo, sta per accenderlo» (Isaia 30:31-33).
Tofet è il nome che indica il luogo del castigo, ossia lo stagno di fuoco. L’Assiro sarà cacciato là, dove s’incontrerà con i suoi due nemici, l’imperatore dell’Impero Romano, cioè la bestia, e l’Anticristo, come lo indica l’espressione così esatta, «anche per il re».
L’Assiro in Michea 4:14 e 5:1-7
«“Ora, o figlia di schiere, raduna le tue schiere! Siamo cinti d’assedio; colpiscono con la verga la guancia del giudice d’Israele! Ma da te, o Betlemme, Efrata, piccola per essere tra le migliaia di Giuda, da te mi uscirà colui che sarà dominatore in Israele, le cui origini risalgono ai tempi antichi, ai giorni eterni. Perciò egli li darà in mano ai loro nemici, fino al tempo in cui colei che deve partorire partorirà; e il resto dei suoi fratelli tornerà a raggiungere i figli d’Israele”. Egli starà là e pascolerà il suo gregge con la forza del SIGNORE, con la maestà del nome del SIGNORE, suo Dio. E quelli abiteranno in pace, perché allora egli sarà grande fino all’estremità della terra. Sarà lui che porterà la pace.
Quando l’Assiro verrà nel nostro paese e metterà piede nei nostri palazzi, noi gli opporremo sette pastori e otto prìncipi del popolo. Essi governeranno il paese dell’Assiro con la spada e la terra di Nimrod nelle sue proprie città; egli ci libererà dall’Assiro, quando questi verrà nel nostro paese, e metterà piede nei nostri confini. Il resto di Giacobbe sarà, in mezzo a molti popoli, come una rugiada che viene dal SIGNORE, come una pioggia sull’erba, che non aspettano ordine d’uomo e non dipendono dai figli degli uomini. Il resto di Giacobbe sarà fra le nazioni, in mezzo a molti popoli, come un leone tra gli animali della foresta, come un leoncello fra le greggi di pecore, che, quando passa, calpesta e sbrana e nessuno può liberare».
Il v. 2 predice la nascita del Signore; il v. 3 rivela che il suo popolo, al quale verrà, ma che non lo riceverà, sarà abbandonato da Dio. E così è avvenuto. Però, questo abbandono della nazione non sarà per sempre; durerà «fino al tempo in cui colei che deve partorire partorirà», cioè fino a quando la nazione non avrà sofferto i dolori del «parto» della grande tribolazione, quando il residuo del suo popolo non sia sorto e la liberazione nazionale sia divenuta una realtà.
Il v. 4 ci mostra il Signore Gesù Cristo nella sua seconda venuta per compiere la restaurazione della nazione e portare le benedizioni promesse. Nei versetti che seguono ci è detto che l’Assiro sarà in questo tempo nella terra d’Israele e che il Signore recherà la pace al suo popolo liberandolo dall’Assiro. «Egli ci libererà dall’Assiro, quando questi verrà nel nostro paese, e metterà il piede nei nostri confini» (v. 5). Questo avverrà dunque in futuro. È il medesimo invasore rivelato da Daniele.
L’Assiro nella profezia di Gioele
Il capitolo 2 di Gioele dà una viva descrizione dell’invasione di un grande esercito dal nord chiamato «il nemico che viene dal settentrione» (v. 20). La desolazione che questo esercito provocherà è paragonata a una devastazione prodotta dalle locuste. La nazione sarà portata al ravvedimento a motivo di quest’ira estrema e invocherà l’Eterno, il quale allora apparirà infrangendo le forze nemiche e salvando la sua terra e il suo popolo.
Le benedizioni, incluso un grande effusione dello Spirito Santo, che seguiranno questi avvenimenti, sono descritte negli ultimi versetti di questo capitolo. L’esercito del Settentrione è l’Assiro.
L’Assiro in diversi Salmi profetici
Anche nei Salmi si parla di quest’Assiro del tempo della fine e delle sue opere spaventose. Il libro di Zaccaria contiene una descrizione dell’ultimo assedio di Gerusalemme e narra che verrà il Signore a combattere contro l’Assiro (cap. 14). Nei Salmi vi sono alcuni ragguagli sulla devastazione dell’Assiro nella sua invasione, quando cercherà di conquistare Gerusalemme.
Nel Salmo 74 abbiamo una descrizione profetica di ciò che deve ancora avvenire: è una effusione del cuore dei Giudei pii, di quelli che non accetteranno il patto delle «due bestie» (cap. 13 dell’Apocalisse) e che attraverseranno quei giorni terribili:
«O Dio, perché ci hai respinti per sempre? Perché arde l’ira tua contro il gregge del tuo pascolo? Ricòrdati del tuo popolo che acquistasti nei tempi antichi, che riscattasti perché fosse la tribù di tua proprietà; ricòrdati del monte Sion, di cui hai fatto la tua dimora! Dirigi i tuoi passi verso le rovine eterne; il nemico ha tutto devastato nel tuo santuario. I tuoi avversari hanno ruggito nel luogo delle tue assemblee; vi hanno posto le loro insegne per emblemi. Come chi agita in alto la scure nel folto d’un bosco, con l’ascia e con il martello, hanno spezzato tutte le sculture della tua casa. Hanno appiccato il fuoco al tuo santuario, hanno abbattuto e profanato la dimora del tuo nome. Hanno detto in cuor loro: «Distruggiamo tutto! Hanno arso tutti i luoghi delle assemblee divine nel paese. Noi non vediamo più nessun segno; non c’è più profeta, né chi tra noi sappia fino a quando… Fino a quando, o Dio, ci oltraggerà l’avversario? Il nemico disprezzerà il tuo nome per sempre?» (Salmo 74:1-10).
Più grande ancora è il rimpianto nel Salmo 79, che descrive il nemico nel mezzo della città:
«O Dio, le nazioni sono entrate nella tua eredità, hanno profanato il tuo santo tempio, hanno ridotto Gerusalemme in un mucchio di rovine; hanno dato i cadaveri dei tuoi servi in pasto agli uccelli del cielo, la carne dei tuoi santi alle bestie della campagna. Hanno sparso il loro sangue come acqua intorno a Gerusalemme, e non c’è stato alcuno che li seppellisse. Noi siamo diventati oggetto di derisione per i nostri vicini, oggetto di scherno e di derisione per quelli che ci circondano. Fino a quando, SIGNORE? Sarai tu adirato per sempre? La tua gelosia arderà essa come un fuoco?» (Salmo 79: 1-5).
Questi Salmi sono di Asaf, il cantore d’Israele, che è il tipo profetico del residuo pio dei Giudei durante il tempo della fine.
Senza citare altri passi delle Scritture, abbiamo avuto prove sufficienti che nel periodo di tempo segnalato dalle profezie di Daniele con le frasi «il tempo della fine» e «l’ultimo tempo dell’indignazione», cioè i pochi anni che precedono immediatamente la gloriosa apparizione visibile del nostro Signore Gesù Cristo, un nemico poderoso invaderà la terra d’Israele e marcerà contro il popolo, già ritornato nel suo paese, e verrà dal Settentrione, come fece Antioco Epifane. Nel capitolo 11 è conosciuto col nome di re del Settentrione, come pure lo riconoscono sotto tale nome i profeti Isaia e Michea.
Di conseguenza, la persona dell’Anticristo e l’invasore del Settentrione non sono la stessa persona. L’Anticristo, chiamato anche «l’uomo del peccato», sarà un Giudeo. Egli si siederà nel tempio quando la «bestia» romperà il patto fatto con i Giudei; farà anche grandi miracoli menzogneri. Questi è il falso Messia, che si proclamerà re del popolo giudeo e sarà una vera incarnazione di Satana che esigerà culto divino. Ma la persona descritta in Daniele 8:23-26 è un nemico esterno. Ma chi sarà in realtà? Da dove sorgerà? Nell’esporre le profezie si deve badare a non fare predizioni. Molti hanno sbagliato a questo riguardo e hanno fatto del danno nel predire che certe persone erano l’Anticristo, e un certo re il re del Settentrione. Ma appare chiaro che il re audace e sfacciato procederà sotto le istruzioni di un superiore, perché è detto: «Il suo potere si rafforzerà, ma non per la sua propria forza» (v. 24). Ma avremo ragguagli maggiori riguardo a questo personaggio nella profezia finale di Daniele.
Capitolo 9
La grande profezia delle settanta settimane
Il capitolo precedente termina mettendo in evidenza l’effetto che la visione e la sua interpretazione produssero su Daniele, il quale svenne e fu «malato per vari giorni». Aveva l’animo sconvolto e nessuno se ne accorgeva. Questa sensibilità di Daniele dovrebbe sfatare l’idea che i profeti ricevessero passivamente le profezie. I profeti erano santi uomini di Dio sospinti dallo Spirito Santo (2 Pietro 1:21). È vero che non sempre intendevano completamente le loro visioni; sebbene essi stessi abbiano dovuto investigare le comunicazioni divine e molte fossero per loro misteriose ed occulte, nondimeno credevano (1 Pietro 1:10-12).
Daniele restò profondamente scosso dopo aver ricevuto le visioni. Leggiamo che ogni visione era seguita da un grande coinvolgimento spirituale, con digiuni e preghiere, e con la lettura di porzioni delle Sacre Scritture che possedeva. Specialmente in questo capitolo riscontriamo che la rivelazione più importante che egli ricevette fu concessa quale risposta alla preghiera.
Anche noi abbiamo bisogno di una simile pietà, poiché non possiamo avanzare nella conoscenza della rivelazione di Dio, se non per mezzo della preghiera e della profonda meditazione spirituale. Gli insegnamenti che ricaviamo, specialmente dalla grande preghiera fatta da quest’uomo «molto amato» e dalla commozione spirituale ancora più grande che seguì la risposta divina (cap. 10), sono molti e molto preziosi.
Il tempo in cui Daniele offrì questa preghiera
Prima di esaminare il motivo di questa preghiera di Daniele e la preghiera stessa, consideriamo l’epoca in cui il profeta la fece:
«Nell’anno primo di Dario, figlio di Assuero, della stirpe dei Medi, che fu fatto re del regno dei Caldei, il primo anno del suo regno, io, Daniele, meditando sui libri, vidi che il numero degli anni di cui il SIGNORE aveva parlato al profeta Geremia e durante i quali Gerusalemme doveva essere in rovina, era di settant’anni» (cap. 9:1-2).
Vediamo dunque che questo capitolo ci trasporta «nell’anno primo di Dario, figlio di Assuero, della stirpe dei Medi» (v. 1). Il nome di Dario il Medo, figlio di Assuero, è tuttora sconosciuto alla storia ed ai suoi documenti, ma questo non è in se stesso un argomento contro il libro di Daniele. Anche il nome di Baldassar era sconosciuto dalla storia, finché la scoperta dei memoriali di Nabonida non confermò appieno l’esattezza degli scritti di Daniele.
Ma i critici continueranno a dubitare della Parola di Dio, finché un giorno, per loro eterna condanna, si renderanno conto della loro opera distruttrice. Un’altra obiezione che alcuni hanno fatto è che i nomi di «Dario, figlio di Assuero», non sono Medi, ma Persiani, obiezione anche questa che cade da sé, perché la lingua dei Persiani era quasi identica a quella dei Medi.
Che cosa spinse Daniele a pregare? Era un’epoca critica per il popolo di Daniele quando Dario prese a regnare. Babilonia, che era stata lo strumento usato da Dio per la deportazione del popolo giudeo, era caduta, e i 70 anni che Dio aveva annunziato quale durata del castigo erano ormai trascorsi. Vediamo Daniele occupato nella lettura della parola di Dio; oltre al Pentateuco e ad altri libri storici, possedeva quasi tutti i Salmi e i profeti a lui anteriori, cioè i libri d’Isaia, Michea, Gioele, Abdia, Geremia ed altri. In questi oracoli di Dio apprese che tempi migliori sarebbero giunti per il suo amato popolo e che Dio aveva loro promesso grandi misericordie e un glorioso futuro; e siccome anch’egli era profeta, comprese benissimo le promesse di benedizione.
Lo troviamo particolarmente occupato dalla profezia di Geremia: «Il primo anno del suo regno, io, Daniele, meditando sui libri, vidi che il numero degli anni di cui il SIGNORE aveva parlato al profeta Geremia e durante i quali Gerusalemme doveva essere in rovina, era di settant’anni» (v. 2).
Che grande presunzione è quella di certi critici di oggi, che negano che la Parola di Dio sia stata rivolta a Geremia e agli altri profeti, mentre un uomo come Daniele sapeva che la Parola del Signore era pervenuta tanto a loro quanto a lui stesso! Fu investigando la Parola di Dio ch’egli restò così profondamente interessato; sebbene fosse un profeta favorito dal Signore, sentì il bisogno di ricercare ciò che avevano detto i profeti che lo avevano preceduto. E la stessa Parola di Dio lo fece avvicinare a Lui, per trasmettergli i Suoi profondi pensieri e i Suoi santi propositi. Non ebbe bisogno di comunicazioni speciali rispetto alla durata ed al termine della deportazione a Babilonia. Dio aveva già dato una rivelazione a questo riguardo, e aveva anche fatto conoscere la misericordia che riserbava per Gerusalemme. Perciò il profeta non ricorse a Dio in cerca di una nuova rivelazione, ma, la lesse e la accettò così come Dio l’aveva data agli altri profeti.
Questo è un principio molto importante. Vi sono state, e vi sono oggi ancora, persone traviate che credono che Dio conceda altre rivelazioni e pretendono di essere loro a riceverle direttamente. Ma Dio ha già dato una rivelazione completa di Se stesso, di noi, e del futuro: «le cose che devono avvenire fra breve» (Apocalisse 1:1). Ed ora Egli non aspetta altro che noi studiamo quella rivelazione già completa e la crediamo. Dalla Sua Parola conosciamo i Suoi propositi, e poiché viviamo in un periodo tanto critico, in cui Dio sta per adempiere le Sue promesse e mandare ad effetto i Suoi propositi, quanto dovremmo essere diligenti nello studio e nella conoscenza delle sante Scritture!
Daniele, dopo aver letto «nei libri» e in Geremia le promesse così piene di grazia che Dio aveva fatte a Gerusalemme (Geremia 24:5-10), si avvicinò a Dio; avrebbe potuto annunziare al popolo la sua scoperta, ma prima di tutto si rivolsed in preghiera al Signore. Sapeva che Babilonia era stata conquistata e che Ciro il Persiano era il re che doveva emanare il decreto della ricostruzione di Gerusalemme (Isaia 44:28 a 45:4); e allora, da profeta com’era, cercò la faccia di Dio per intercedere in favore del suo popolo, che amava profondamente. La vera preghiera deve avere per fondamento la Parola di Dio.
La preghiera
La preghiera che Daniele innalzò in questa circostanza al Dio vivente è una delle più notevoli della Bibbia. Leggendola si sente ancora il suo grande fervore; la sua profonda umiltà, la confessione di peccato, le sue ardenti suppliche commuovono ogni credente spirituale. Ci è parso cosa buona ed utile riportare qui per intero questa preghiera:
«Volsi perciò la mia faccia verso Dio, il Signore, per dispormi alla preghiera e alle suppliche, con digiuno, con sacco e cenere. Feci la mia preghiera e la mia confessione al SIGNORE mio Dio, e dissi:
“O Signore, Dio grande e tremendo, che mantieni il patto e serbi la misericordia verso quelli che ti amano e osservano i tuoi comandamenti! Noi abbiamo peccato, ci siamo comportati iniquamente, abbiamo operato malvagiamente, ci siamo ribellati e ci siamo allontanati dai tuoi comandamenti e dalle tue prescrizioni. Non abbiamo dato ascolto ai profeti, tuoi servi, che hanno parlato in nome tuo ai nostri re, ai nostri prìncipi, ai nostri padri e a tutto il popolo del paese. A te, o Signore, la giustizia; a noi la confusione della faccia in questo giorno, agli uomini di Giuda, agli abitanti di Gerusalemme e a tutto Israele, vicini e lontani, in tutti i paesi dove li hai dispersi per le infedeltà che hanno commesse contro di te. O SIGNORE, a noi la confusione della faccia, ai nostri re, ai nostri prìncipi e ai nostri padri, perché abbiamo peccato contro di te.
Al Signore, che è il nostro Dio, appartengono la misericordia e il perdono; poiché noi ci siamo ribellati a lui e non abbiamo ascoltato la voce del SIGNORE, del nostro Dio, per camminare secondo le sue leggi che egli ci aveva date mediante i profeti suoi servi. Sì, tutto Israele ha trasgredito la tua legge, si è sviato per non ubbidire alla tua voce. Così su di noi sono riversate le maledizioni e le imprecazioni che sono scritte nella legge di Mosè, servo di Dio, perché noi abbiamo peccato contro di lui. Egli ha messo in pratica le parole che aveva pronunciate contro di noi e contro i nostri governanti, facendo venire su di noi un male così grande, che sotto il cielo non è mai accaduto nulla di simile a quello che è stato fatto a Gerusalemme. Come sta scritto nella legge di Mosè, questo disastro ci è piombato addosso; tuttavia, non abbiamo implorato il favore del SIGNORE, del nostro Dio. Non ci siamo ritirati dalla nostra iniquità e non siamo stati attenti alla sua verità. Il SIGNORE ha vigilato su questa calamità e ce l’ha fatta venire addosso; perché il SIGNORE, il nostro Dio, è giusto in tutto quello che ha fatto, ma noi non abbiamo ubbidito alla sua voce.
Ora, o Signore nostro Dio, che conducesti il tuo popolo fuori dal paese d’Egitto con mano potente e ti facesti una fama che hai ancora oggi, noi abbiamo peccato e abbiamo agito malvagiamente. O Signore, per tutti i tuoi atti di giustizia, ti prego, fa’ che la tua ira e il tuo sdegno si ritirino dalla tua città, Gerusalemme, dal tuo monte santo; poiché per i nostri peccati e per le iniquità dei nostri padri, Gerusalemme e il tuo popolo sono esposti al disprezzo di tutti quelli che ci stanno intorno. Ora, o Dio nostro, ascolta la preghiera e le suppliche del tuo servo; per amor tuo, Signore, fa’ risplendere il tuo volto sul tuo santuario che è desolato! O mio Dio, inclina il tuo orecchio e ascolta! Apri gli occhi e guarda le nostre desolazioni, guarda la città sulla quale è invocato il tuo nome; poiché non ti supplichiamo fondandoci sulla nostra giustizia, ma sulla tua grande misericordia. Signore, ascolta! Signore, perdona! Signore, guarda e agisci senza indugio per amore di te stesso, o mio Dio, perché il tuo nome è invocato sulla tua città e sul tuo popolo”» (9:3-19).
Con una così grande umiliazione il santo uomo di Dio si accostò al suo Signore. Per prima cosa leggiamo che fece confessione di peccato: «Feci la mia preghiera e la mia confessione al SIGNORE mio Dio» (v. 3). In tutta questa preghiera vediamo che fece suoi i peccati, la colpa, l’onta e il giudizio del popolo di Dio: tutto ciò è degno di nota. Come abbiamo visto nel primo capitolo, Daniele era stato condotto a Babilonia quand’era ancora molto giovane; egli apparteneva, anche allora, all’elemento credente e timorato del Dio d’Israele, e nondimeno parla dei peccati del popolo, della sua ostinazione, delle sue trasgressioni e dei suoi atti perversi come se fossero suoi!
Fra i caratteri dei vari personaggi menzionati della Bibbia, Daniele appare il più puro. Ci sono riportate le cadute di Abraamo, di Mosè, di Davide e di altri, ma Daniele appare, insieme a Giuseppe, come immacolato. Naturalmente fu «uomo sottoposto alle nostre stesse passioni» (Giacomo 5:17), e quindi peccatore, ma nulla di negativo ci è detto di lui.
Eppure, questo anziano e devoto servitore di Dio confessa tutti i peccati del suo popolo e la maledizione e l’onta che quello subiva, come se fossero suoi: «Noi abbiamo peccato, ci siamo comportati iniquamente, abbiamo operato malvagiamente, ci siamo ribellati e ci siamo allontanati dai tuoi comandamenti e dalle tue prescrizioni. Non abbiamo dato ascolto ai profeti, tuoi servi» (v. 5-6).
Queste sono alcune delle espressioni che egli usa nella sua preghiera di confessione. La confusione di faccia, l’obbrobrio e il vituperio, la maledizione ed anche l’indignazione, tutto questo lo fa suo.
In Daniele possiamo proprio vedere un tipo del Signor nostro Gesù Cristo, il quale portò su di sé i peccati del Suo popolo e li confessò come suoi. Daniele, amando spassionatamente il suo popolo e conoscendo la causa del vituperio e dell’ira che pesava sopra di lui, s’identifica con lui in tutto ciò che aveva commesso e in tutto ciò che gli era avvenuto. Invece di scusare la nazione, egli si include nel numero dei colpevoli. Questo è l’atteggiamento che piace a Dio.
Da tutto questo possiamo trarre una grande lezione. Invece di vantarci del fatto che siamo «una stirpe eletta» (1 Pietro 2:9), che apparteniamo alla «Chiesa del Dio vivente» (1 Timoteo 3:15), nella quale Egli non vede colpa, anche noi, come Daniele, dovremmo confessare la colpa di cui tutti siamo partecipi e in profonda umiliazione cercare la faccia di Dio, confessando i nostri peccati. Questo è il solo cammino verso la benedizione.
Daniele implora Dio per la nazione, per Gerusalemme, per il santuario, per la città desolata che porta il nome del Signore. Gli ricorda che Israele è il Suo popolo, che quella è la Sua città, il Suo santuario, e supplica l’Eterno che ritiri l’ira e il cruccio, che faccia risplendere il Suo volto sopra il santuario, inclini gli orecchi, apra gli occhi, perdoni senza indugiare. Questa è una grande preghiera d’intercessione e di confessione.
Siccome lo scopo principale di questo nostro libro è di spiegare le visioni profetiche e le rivelazioni divine, non entreremo in ulteriori dettagli; segnaleremo solo brevemente che il contenuto della preghiera può dividersi in tre parti:
1ª (versetti 4 a 10): confessione delle colpe della nazione e riconoscimento della misericordia contenuta nei patti di Dio;
2ª (versetti 11 a 14): la meritata maledizione, secondo ciò che è scritto nella legge di Mosè;
3ª (versetti 15 a 19): richiesta di misericordia affinché Dio ritiri la Sua ira e si ricordi della città di Gerusalemme e del Suo popolo.
La preghiera interrotta
Daniele non poté terminare la sua preghiera. Quando, con cuore rotto, supplicò Dio che non indugiasse («per amor di te stesso, o mio Dio, perché il tuo nome è invocato sulla tua città e sul tuo popolo»), improvvisamente fu interrotto. Dinanzi a lui apparve ancora una volta il messaggero celeste, Gabriele. Leggiamo le parole stesse di Daniele riguardo a ciò che avvenne:
«Io parlavo, pregando e confessando il mio peccato e il peccato del mio popolo Israele, e presentavo la mia supplica al SIGNORE, al mio Dio, per il monte santo del mio Dio. Mentre stavo ancora parlando in preghiera, quell’uomo, Gabriele, che avevo visto prima nella visione, mandato con rapido volo, si avvicinò a me all’ora dell’offerta della sera. Egli mi rivolse la parola e disse: “Daniele, io sono venuto perché tu possa comprendere. Quando hai cominciato a pregare, c’è stata una risposta e io sono venuto a comunicartela, perché tu sei molto amato. Fa’ dunque attenzione al messaggio e comprendi la visione”» (cap. 9 versetti 20-23).
Daniele ci dice che fu interrotto due volte, mentre parlava in preghiera, dalla stessa persona che aveva veduto nella visione precedente, e che questa persona lo toccò. La preghiera fu si interruppe, perché Gabriele era venuto a dargli la risposta. «Quell’uomo, Gabriele» apparve all’ora in cui vi era l’offerta della sera? Naturalmente no. Il tempio era stato consumato dalle fiamme circa 70 anni prima e i Giudei, allora come oggi nella loro dispersione, non avevano né altare, né sacrificio. Questo mette in risalto la fede di Daniele perché, sebbene non vi fosse più il tempio, né il sacrificio della sera, egli ricordava l’ora, e le memorie del passato gli riempivano l’anima.
Il messaggero era stato inviato volando rapidamente per la potenza di Dio stesso. Egli informa Daniele di essere venuto per dargli intendimento e sapienza; gli dice: “tu sei molto amato” (v. 23) e gli fa sapere che, non appena ha iniziato la sua supplica con profonda umiltà e accompagnandola con la confessione, lui, Gabriele, ha ricevuto l’ordine di venire «con rapido volo» per recargli prontamente la risposta alla preghiera.
Quant’è distante il cielo della terra? Quanto ci mette un messaggio dal terzo cielo ad arrivare su questa terra? L’astronomia ci parla dello spazio incommensurabile dell’universo; ma al di là della costellazione più lontana v’è il cielo dei cieli, dove si trova il trono di Dio con tutta la Sua gloria. Eppure, per un angelo il cielo non è lontano, come lo dimostra il fatto che Gabriele non impiegò che pochi istanti, da quando ricevette l’ordine di volare rapidissimamente per raggiungere Daniele e fargli conoscere i segreti di Dio. Il tempo che Daniele impiegò a pronunciare le parole della sua preghiera: tanto impiegò Gabriele per giungere a lato dell’intercessore. Questa è una velocità inconcepibile per la mente limitata dell’uomo, ma non per il Signore dell’universo!
Sebbene la terra sia fra i più piccoli di tutti i corpi celesti, l’uomo, questo vermiciattolo della terra, ha saputo trasmettere per via invisibile e istantanea i suoi messaggi attraverso gli spazi. Allora, possiamo ben pensare che a Lui tutto è possibile! Il cielo non è lontano. Per Dio non esistono né spazio né distanza. Questo dovrebbe servire per spingere il popolo di Dio alla preghiera. Nello stesso tempo in cui stiamo pregando per lo Spirito e nel nome del Signore Gesù, le nostre voci sono udite nell’alto dei cieli dal nostro Dio e Padre.
La risposta. Una grande profezia
Il messaggio che Gabriele portò al profeta contiene più di una risposta alla sua preghiera. Se da un lato esso è una risposta alle sue preghiere riguardanti il popolo, la santa città e il santuario, dall’altro lato è una rivelazione di tutto il futuro d’Israele, dalla fine della cattività babilonese fino al tempo della fine, quando il capo dell’Impero Romano farà un patto con molti Giudei, quando il desolatore invaderà il paese e giungerà la liberazione finale e gloriosa del popolo di Daniele. Il messaggio profetico che Gabriele recò a Daniele dal trono di Dio è forse il più importante, non solo del libro di Daniele, ma di tutta la Bibbia. A ogni lettore che desidera conoscere i proponimenti di Dio riguardo al futuro, è indispensabile una chiara intelligenza di questo messaggio. Nei pochi versetti che contengono le parole di Gabriele, sono predetti gli eventi che si riferiscono alla storia futura d’Israele. Il ritorno dei Giudei dalla cattività di Babilonia, la riedificazione della città in tempi angosciosi, la venuta di Cristo in umiliazione, la sua morte, la distruzione del tempio e della città ad opera dei Romani, la desolazione e le guerre che sarebbero seguite, tutto è descritto anticipatamente in questa profezia. La fine ultima dei «tempi delle nazioni», quella famosa settimana d’anni, tanto ricca di avvenimenti, è rivelata nell’ultimo versetto. Ed ora ascoltiamo il messaggio divino:
«Settanta settimane sono state fissate riguardo al tuo popolo e alla tua santa città, per far cessare la perversità, per mettere fine al peccato, per espiare l’iniquità e stabilire una giustizia eterna, per sigillare visione e profezia e per ungere il luogo santissimo. Sappi dunque e comprendi bene: dal momento in cui è uscito l’ordine di restaurare e ricostruire Gerusalemme fino all’apparire di un unto, di un capo, ci saranno sette settimane e sessantadue settimane; essa sarà restaurata e ricostruita, piazza e mura, ma in tempi angosciosi. Dopo le sessantadue settimane un unto sarà soppresso, nessuno sarà per lui. Il popolo d’un capo che verrà distruggerà la città e il santuario; la sua fine verrà come un’inondazione ed è decretato che vi saranno devastazioni sino alla fine della guerra. Egli stabilirà un patto con molti, per una settimana; in mezzo alla settimana farà cessare sacrificio e offerta; sulle ali delle abominazioni verrà un devastatore. Il devastatore commetterà le cose più abominevoli, finché la completa distruzione, che è decretata, non piombi sul devastatore» (cap. 9 versetti 24-27).
Che cosa sono le settanta settimane?
Per molti lettori del libro di Daniele non è molto chiaro il significato delle settanta settimane, e quando si dice che ogni settimana rappresenta un periodo di sette anni, molti cristiani non ne capiscono la ragione. Di conseguenza occorre darne una spiegazione più chiara possibile. La traduzione letterale delle «settanta settimane» è «settanta settenari». E questa parola «settenari», tradotta con la parola «settimane», può significare tanto «giorni» quanto «anni». Allora, che significato ha in questo caso? Si tratta di «settanta giorni» oppure di «settanta anni»? È evidente che la parola «settenario» si riferisce ad un periodo di sette anni; è una «settimana» profetica. Daniele era occupato nella lettura dei libri e nella preghiera riguardo ai settant’anni della deportazione a Babilonia, quando Gabriele venne a rivelargli ciò che sarebbe avvenuto in «settanta settenari», che significa «settanta volte sette anni». La prova che si tratta di questo l’abbiamo nell’adempimento della profezia. Settanta volte sette anni fanno 490 anni.
Che cosa deve adempiersi in questi anni?
Il versetto 24 ci spiega le grandi cose che si devono adempiere durante i settanta settenari, ossia 490 anni: 1°) Far cessare la perversità; 2°) mettere fine al peccato; 3°) espiare l’iniquità; 4°) stabilire una giustizia eterna; 5°) sigillare visione e profezia; 6°) ungere il luogo santissimo.
È di somma importanza ricordare sempre che queste cose si riferiscono esclusivamente al popolo di Daniele e alla santa città di Gerusalemme, non alle nazioni. Si vede molto chiaramente che il far cessare la trasgressione, mettere, cioè, fine al peccato ed espiare l’iniquità, ha un significato speciale per Israele come nazione. Il fondamento su cui si basa quest’opera futura di grazia, per il popolo terreno di Dio, è la morte di Cristo. Il Signore «doveva morire per la nazione» (Giovanni 11:50-52), come per noi che siamo «stranieri peccatori» (Galati 2:15) .
Finché non sarà giunto il tempo di far cessare la perversità del popolo giudeo, non si porrà nemmeno fine ai suoi peccati. La morte di Cristo fa sì che questo sia possibile per la nazione, ma prima che essa si converta in realtà devono trascorrere interamente i 490 anni di cui si è parlato; solo allora il misfatto del popolo sarà terminato e verranno per esso tutte le benedizioni promesse. Secondo altri passi delle Scritture ciò avverrà quando termineranno «i tempi delle nazioni» e quando il Figlio dell’uomo, un tempo respinto, apparirà per la seconda volta. Allora «Egli allontanerà da Giacobbe l’empietà» e «toglierà via i loro peccati» (Romani 11:26-27). Molti passi profetici della Parola rivelano promesse simili di purificazione e di perdono.
Ma vediamo che le benedizioni qui promesse al popolo di Daniele e della santa città ci trasportano nel tempo in cui il Figlio dell’Uomo sarà manifestato, e quelli del «residuo fedele» della nazione «guarderanno a me, a colui che essi hanno trafitto, e ne faranno cordoglio» (Zaccaria 12:10).
Nello stesso tempo, quando Dio farà misericordia al suo popolo e toglierà le sue iniquità – ciò che corrisponde al principio di quell’età di benedizione (di cui il Nuovo Testamento dice: «quando i tempi fossero compiuti» – Efesini 1:10) in cui il Re regnerà in giustizia – allora sarà stabilita “una giustizia eterna” (v. 24). La giustizia sarà stabilita sulla terra e la santa Città, come Gabriele chiama Gerusalemme, non sarà soltanto partecipe delle benedizioni e della gloria, ma essa stessa sarà «giusta». Di Gerusalemme è scritto: «Dopo questo, sarai chiamata la città della giustizia» (Isaia 1:26).
Importante è la parola che Geremia riceve dal Signore riguardo a quel giorno:
«”Ecco, i giorni vengono”, dice il SIGNORE, “in cui io manderò ad effetto la buona parola che ho pronunciata riguardo alla casa d’Israele e riguardo alla casa di Giuda. In quei giorni e in quel tempo, io farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia, ed esso eserciterà il diritto e la giustizia nel paese. In quei giorni, Giuda sarà salvato e Gerusalemme abiterà al sicuro; questo è il nome con cui sarà chiamata: SIGNORE nostra giustizia”» (Geremia 33:14-16).
La visione e la profezia saranno «suggellati» finché questi avvenimenti di benedizione per il popolo di Dio si adempiranno. Sarà consacrato anche il «luogo santissimo» di un nuovo tempio che si troverà in Gerusalemme; riguardo a questo grande tempio milleniale la Parola profetica non è rimasta in silenzio; l’altro grande profeta della deportazione, Ezechiele, ebbe una meravigliosa visione di esso e del suo culto (vedere capitoli da 40 a 48).
È di capitale importanza tenere presente che queste cose non hanno nulla a che fare né con le nazioni, né con la Chiesa, ma si riferiscono soltanto ed esclusivamente al popolo di Daniele, ai Giudei e a Gerusalemme. Se questo si fosse capito, tanti commentatori non avrebbero diffuso l’interpretazione erronea delle settanta settimane che ai nostri giorni è così universalmente insegnata. Proseguendo nella nostra esposizione tratteremo di questi errori.
La divisione delle settanta settimane
Dopo l’annunzio generale dei settanta settenari e di ciò che deve adempiersi per il popolo di Daniele e per Gerusalemme, Gabriele accorda al profeta altre informazioni che gli vengono date previa esortazione affinché «possa comprendere» (v. 22), cioè affinché capisca bene.
Ciò che segue è la divisione delle settanta settimane suddivise in tre parti. La prima parte consta di 7 settenari, ossia 49 anni; la seconda parte di 62 settenari, ossia di 434 anni; la terza parte di un settenario d’anni, cioè 7 anni, ed è la settantesima ed ultima settimana.
Il principio delle settanta settimane
Esaminando la storia profetica di queste divisioni è necessario stabilire con esattezza l’inizio delle settanta settimane di anni. Se studiassimo tutte le opinioni e le spiegazioni che altri hanno dato su questo punto di così grande importanza, dovremmo scrivere un gran numero di pagine. Limitiamoci a ricordare le parole di Dio a Giobbe (38:2): «Chi è costui che oscura i miei disegni con parole prive di senno?».
Il testo è molto chiaro. Nel versetto 25 leggiamo il principio, ben definito: fu esattamente quando uscì il decreto di restaurare e riedificare Gerusalemme. Da quel giorno fino al Messia Principe devono trascorrere sette settimane ed altre sessantadue settimane, che fanno 483 anni. È un errore iniziare a contare queste settanta settimane dal tempo in cui Daniele prega, o dal tempo in cui Ciro diede il permesso al popolo di ritornare e costruire il tempio. In Esdra cap. 1 vediamo che fu nel primo anno di Ciro, re di Persia, che il Signore suscitò Ciro stesso, lui la cui venuta era stata predetta dal profeta Isaia molto tempo prima della sua nascita. Molto significativo è l’editto che Ciro emanò, ma esso riguarda solamente la costruzione del tempio di Gerusalemme. «Il SIGNORE, Dio dei cieli, mi ha dato tutti i regni della terra, ed egli mi ha comandato di costruirgli una casa a Gerusalemme, che si trova in Giuda» (Esdra 1:2). Ma questo editto non è il punto di partenza delle settanta settimane di anni, perché queste cominciarono con l’ordine di ricostruire la città stessa.
Nel libro di Esdra, leggiamo pure, nel capitolo settimo, ciò che avvenne sotto il regno di Artaserse, re di Persia (conosciuto nella storia col nome di Artaserse Lungamano), durante l’anno settimo del suo regno. In quell’anno fu emanato un altro editto, ma leggendolo con attenzione vedremo che il decreto per la ricostruzione di Gerusalemme non fu scritto nell’anno settimo del regno di Artaserse.
Per scoprire il principio di questi settanta settenari, non dobbiamo che leggere il capitolo 2 di Neemia, dove vediamo che fu nell’anno ventesimo del regno di Artaserse che fu emanato il decreto della ricostruzione di Gerusalemme; quindi le settanta settimane hanno avuto inizio da questo momento, come anche è provato storicamente, e il ventesimo anno del regno di Artaserse corrisponde al 445 a. C.
Nel capitolo 2 di Neemia non è solo precisato l’anno, ma anche il mese, detto Nisan. Perciò le settanta settimane o settenari principiarono nel mese di Nisan dell’anno 445 a. C. Quando leggiamo che Gerusalemme «sarà restaurata e ricostruita, piazze e mura, ma in tempi angosciosi» (v. 25) e che fino al tempo in cui il Messia sarà ucciso dovranno passare sessantadue settenari d’anni, abbiamo la rivelazione di quanto tempo doveva durare la ricostruzione della città: 7 settenari, ossia 49 anni.
Una predizione importante
Abbiamo dunque una predizione importante nel numero preciso di anni che sarebbero trascorsi fino all’apparizione del Messia – fino all’apparire di un Unto, di un Capo (v. 25) – Colui che è la speranza del suo popolo. Ma è ancora più notevole il fatto che è predetto un certo avvenimento della sua vita sulla terra. Alla fine dei 69 settenari avrebbe avuto luogo non già la Sua nascita bensì la sua morte: «un Unto sarà soppresso, nessuno sarà per Lui» (v. 26). È la Sua morte sulla croce. Rimane da vedere se questo è stato adempiuto letteralmente e se il Messia (chiamato anche Unto; vedasi Atti 4:26-27 vers. Luzzi) morì proprio quando terminarono i 483 anni, partendo dal mese di Nisan dell’anno 445 a. C. (*).
Prova che l’Unto, il Capo è il Cristo
Ora si tratta di stabilire se le parole «Unto, Capo», Colui che «sarà soppresso, nessuno sarà per lui», significano in realtà il Cristo o si riferiscono ad un’altra persona, come dicono certi critici. La prova che questo è il Signor Gesù Cristo la dà l’adempimento puntuale di quella profezia quando il nostro Signore andò per l’ultima volta a Gerusalemme prima della sua passione. Precisamente 483 anni dopo il decreto della riedificazione di Gerusalemme, il Signor Gesù entrò in Gerusalemme, presentando Se stesso e manifestando chi Egli era (Luca 19:28-44 ecc.); pochi giorni dopo fu inchiodato sulla croce. Questo è stato dimostrato in una maniera perfettamente cronologica, tale da non lasciar adito ad alcun dubbio (*).
Con evidenza perfetta, poiché divina, è dimostrato che «L’Unto, il Capo» che doveva essere «soppresso» (versetti 25-26) è il nostro Signor Gesù Cristo, perché Egli apparì in Gerusalemme esattamente nel giorno in cui terminava l’ultima delle 69 settimane profetiche, e dopo pochi giorni fu messo a morte sulla croce. La frase ebraica «veeyn lo», tradotta con «nessuno sarà per lui» o anche «non avrà nulla», è stata interpretata in varie maniere. Noi crediamo che significhi che Egli non ricevette in quell’occasione il Regno messianico; fu rigettato dai suoi e non ottenne quello che gli spettava.
La distruzione della città
Unita alla morte del Messia, v’è anche l’altra profezia molto importante:
«Il popolo d’un capo che verrà distruggerà la città e il santuario; la sua fine verrà come un’inondazione ed è decretato che vi saranno devastazioni sino alla fine della guerra» (9:26).
Il castigo dunque doveva cadere sulla città che aveva respinto il Messia; e tanto la città quanto il Tempio dovevano essere distrutti. Quest’opera doveva essere fatta dal «popolo d’un capo che verrà». Questo capo, naturalmente non è «l’Unto, il Capo» che sarebbe stato soppresso (versetto 25), ma il «capo che verrà» (v. 26). E questo capo non avrebbe distrutto la città e il santuario, ma lo avrebbe fatto il popolo dal quale questo capo sarebbe uscito. Ora, il popolo qui indicato è il popolo romano. Dall’Impero Romano sorgerà nel futuro un capo, quello del quarto impero, che è il piccolo corno di Daniele 7.
Una volta di più risalta davanti a noi, negli ultimi versetti di questo capitolo, il capo dell’Impero Romano restaurato, quale sarà durante il «tempo della fine». «Il popolo d’un capo che verrà», il popolo dei Romani doveva venire a distruggere la città e il santuario (il tempio), dopo che il Messia “sarà soppresso e nessuno sarà per Lui” (v. 26). E come è noto a tutti, questo è avvenuto: il nostro Signore aveva predetto la caduta di Gerusalemme ed aveva pianto su di essa conoscendo la spaventosa calamità che l’avrebbe colpita. È avvenuto ciò che i Giudei avevano temuto, perché i capi sacerdoti ed i Farisei avevano detto: «E i Romani verranno e ci distruggeranno e città e nazione» (Giovanni 11:48). E i Romani, capitanati da Tito Vespasiano, adempirono nell’anno 70 d. C. questa profezia: in quell’anno stesso la profezia che abbiamo sotto gli occhi si convertì in storia. Ma Tito Vespasiano non è ancora «il capo che verrà».
Predizione del futuro dei Giudei
Vi è un’altra profezia congiunta con ciò che abbiamo or ora esaminato: «la sua fine verrà come un’inondazione ed è decretato che vi saranno devastazioni sino alla fine della guerra». Queste parole ci tracciano la storia del popolo giudeo, del suo paese e della sua città fino ad oggi. Questo è identico a ciò che disse il Signore Gesù: «Cadranno sotto il taglio della spada, e saranno condotti prigionieri fra tutti i popoli; e Gerusalemme sarà calpestata dai popoli, finché i tempi delle nazioni siano compiuti» (Luca 21:24). Tanto la predizione comunicata a Daniele dall’angelo Gabriele, quanto le parole del nostro Signore, ci dicono quale sarebbe stata la sorte dei Giudei e di Gerusalemme attraverso l’età presente, finché «i tempi delle nazioni siano compiuti». La storia ci dà la risposta riguardo al compimento delle parole di questa profezia.
La settantesima settimana di anni
Fin qui abbiamo visto che, delle settanta settimane, ne sono già trascorse 69, ossia 483 anni; ma che ne è dell’ultima settimana, degli ultimi sette anni? L’ultimo versetto del capitolo 9 ci parla di quest’ultima settimana, la settantesima non ancora giunta, tuttora futura. Il corso delle settanta settimane d’anni fu interrotto dal rigettamento del Messia, il quale venne in mezzo ai suoi e non fu ricevuto. Come abbiamo già visto, la sessantanovesima settimana terminò con questo avvenimento che fu seguito da un periodo di tempo indefinito che è quello in cui viviamo, il tempo della Chiesa; quando quel tempo sarà terminato, avrà inizio l’ultima settimana profetica. Un esame accurato del versetto 26 renderà tutto chiaro. Sebbene sappiamo che il Messia fu ucciso immediatamente dopo la fine della sessantanovesima settimana, non ci è detto niente riguardo al tempo in cui sarebbe avvenuta la distruzione della città e del santuario. La storia ci dice che avvenne 38 anni dopo la morte di Cristo. Le guerre continueranno fino alla fine, ma non dice quando sarà questa fine. L’ultima settimana, cioè la settantesima, è citata nel versetto che segue questa predizione, e perciò avrà inizio quando sarà terminato questo lungo intervallo.
Questo periodo indefinito di tempo, dopo la 69ª settimana, dura ormai da quasi duemila anni. Durante questo tempo il popolo giudeo è vissuto disperso fra tutte le nazioni della terra, e le miserie predette, scritte nella sua legge e nei profeti, sono state adempiute in tutte le generazioni. Nondimeno, Dio li ha conservati come una stirpe distinta; l’annunziò anche il Signore quando parlò degli avvenimenti dell’ultima settimana di Daniele nel Suo sermone profetico sul monte degli Ulivi («Io vi dico in verità che questa generazione (o stirpe) non passerà prima che tutte queste cose siano avvenute» – Matteo 24:34). Durante questo periodo indefinito di tempo, Dio ha fatto conoscere per rivelazione il «mistero che dalle più antiche età è stato nascosto in Dio» (Efesi 3:9), mistero riguardante la Chiesa. Nel tempo presente Dio trae dalle nazioni «un popolo consacrato al suo nome» (Atti 15:14) che è la Chiesa, la quale, vista come un edificio composto di pietre «viventi», è tuttora in costruzione. L’Evangelo ha i suoi araldi in tutto il mondo, e quando il numero di quelli che devono credere sarà completo, questo tempo indefinito terminerà.
Chi stabilirà un saldo patto?
La prima cosa che leggiamo è la seguente: «Egli stabilirà un patto con molti, per una settimana» (v. 27). Ancora una volta dobbiamo ricordare che tutto ciò che leggiamo qui si riferisce al popolo di Daniele, i Giudei, come per le altre 69 settimane. Quando quest’ultima settimana di 7 anni avrà inizio, prima del tempo riguardante le benedizioni finali del popolo, un personaggio farà un patto con la maggioranza dei Giudei. Naturalmente sorge la domanda: chi sarà la persona e quale sarà il patto che farà? Abbiamo già ricordato il grave errore di interpretazione che sostiene che quanto predetto nelle settanta settimane si è già adempiuto nel passato. Quest’idea ammette che «l’Unto, il Capo», Colui che fu ucciso, è il nostro Signore, però insegna che «il capo che verrà» (vers. 26) è ancora Cristo e che sarà Lui a stabilire un saldo patto nell’ultima settimana, la settantesima. Citeremo il dottor Pusey che tenne una serie di conferenze, con Daniele per tema, ad Oxford, e il cui libro su Daniele è considerato autorevole: «Non durante queste sessantadue settimane, ma dopo, è detto che il Messia sarà reciso. Poi viene la suddivisione dell’ultima settimana (vers. 27), o sette anni, nella quale egli sarebbe stato ucciso e non durante le 69 settimane. Egli allora avrebbe fatto un patto con molti per una settimana e nel mezzo della settimana avrebbe fatto cessare il sacrificio e l’offerta».
Si sostiene, quindi, che il Signore Gesù Cristo sia quello che ha fatto il patto. La cessazione del sacrificio e dell’offerta alla metà della settimana si spiega dicendo che ciò avvenne per mezzo della Sua morte sulla croce! È evidente che una simile idea è insostenibile. Secondo questa opinione Cristo deve aver fatto un patto per sette anni. Ma dove troviamo ciò nelle Scritture? In nessuna parte se ne parla, né si fa allusione di sorta che Cristo avesse da stabilire un patto con molti per 7 anni, poiché sappiamo che il Suo patto è eterno. Questo errore nasce perché non si tiene in nessun conto il futuro del popolo giudaico, e l’insegnamento di ciò che avverrà «nel tempo della fine» viene trascurato interamente.
Quello che stabilirà un saldo patto con molti è «il capo che verrà» del v. 26 che, come abbiamo già visto, sorgerà dal popolo che distrusse la città e il santuario, cioè dal popolo romano. «Il capo che verrà» è il terribile piccolo corno della quarta bestia (l’Impero Romano), il gran capo dell’Impero Romano futuro, visto anche come «la bestia che sale dal mare» di Apocalisse 13. Quando inizieranno questi ultimi 7 anni così ricchi di avvenimenti, i Giudei cercheranno protezione alleandosi con il grande personaggio, il capo potente che dirigerà gli affari dell’Impero Romano allora ristabilito. Questo «capo che verrà», la bestia, prenderà in considerazione i Giudei e i loro desideri, e molto probabilmente avrà bisogno di loro al principio della sua carriera. Egli farà un patto con loro, e permetterà loro di costruire un tempio in Gerusalemme. Inoltre prometterà loro protezione dai nemici di fuori, principalmente da colui che sorgerà minaccioso dal Settentrione, «l’Assiro» della profezia. E se questo «capo romano» farà questo patto con molti, non lo farà però con tutti. Tutta la Parola profetica mette in evidenza che un residuo di Giudei fedeli, confidando nel Signore, non si lascerà ingannare da questo capo malvagio e rifiuterà di accettare il suo patto. Isaia 28:15, 18 parla di questo patto definendolo «alleanza con la morte» e «patto con il soggiorno dei morti».
Trascorsi i primi tre anni e mezzo di quest’ultima settimana profetica, il capo romano romperà il patto precedentemente concluso con i Giudei, e farà cessare sacrificio e offerta. Nel libro dell’Apocalisse vediamo che in quel tempo egli sarà posseduto dalla potenza di Satana. In comunione con la seconda bestia, ossia il falso profeta, l’Anticristo, allora in Gerusalemme introdurrà l’idolatria e le esecrazioni più terribili fra i Giudei. Tutto il culto cerimoniale del Tempio, i sacrifici e le offerte saranno abbandonate e il popolo apostata accetterà l’Anticristo come se fosse il suo vero Messia e il suo re, conformandosi a tutte queste abominazioni.
In quel tempo il carattere del piccolo corno e di ciò che è stato detto di lui si manifesterà appieno: «Egli parlerà contro l’Altissimo, affliggerà i santi dell’Altissimo (cioè i Giudei che non avranno accettato il suo patto) e si proporrà di mutare i giorni festivi e la legge; i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo» (tre anni e mezzo – Daniele 7:25). «E le fu data una bocca che proferiva parole arroganti e bestemmie. E le fu dato potere di agire per quarantadue mesi» (Apocalisse 13:5). Questo mostra l’opera che farà durante 1260 giorni, ossia 42 mesi equivalenti a 3 anni e mezzo, cioè la seconda metà della settantesima settimana.
Il ruolo dell’Anticristo durante questi 1260 giorni (3 anni e mezzo) è descritto in Apocalisse 13:11-17. Sarà eretta una immagine della «prima bestia», cioè del capo dell’Impero Romano, e questo grande idolo sarà dotato di potenza soprannaturale e satanica, ed esigerà di essere adorato pena la morte. L’Anticristo stesso, quest’empia falsificazione del vero Cristo, usurperà il posto nel tempio di Dio, innalzandosi al di sopra di tutto ciò che si chiama Dio ed è oggetto di culto! Allora la «grande tribolazione» sarà al culmine e il residuo fedele dei Giudei passerà per le acque profonde della sofferenza. Non possiamo entrare ora nei dettagli di questi fatti, perché dovremmo esaminare la maggior parte dell’Apocalisse, in cui troviamo una completa descrizione tanto dell’ultima metà della settima settimana della profezia di Daniele, quanto della sua prima metà, cioè dei suoi primi tre anni e mezzo.
Rimane ancora qualcosa da esaminare nell’ultimo versetto del capitolo di cui ci stiamo occupando e che non abbiamo ancora spiegato. Leggiamo: «Sulle ali delle abominazioni verrà un devastatore. Il devastatore commetterà le cose più abominevoli, finché la completa distruzione, che è decretata, non piombi sul devastatore» (v. 27).
Non annoieremo il lettore con le differenti opinioni su questo passo apparentemente difficile. Le abominazioni di cui si parla qui sono idoli e culto idolatra. La protezione (rappresentata dalle ali) di questi idoli sarà ricercata dal popolo, e Dio sarà del tutto dimenticato dalle masse apostate, che si inchineranno davanti all’Anticristo. Sarà l’adempimento delle parole del Signore: «Quando lo spirito immondo esce da un uomo, si aggira per luoghi aridi cercando riposo e non lo trova. Allora dice: “Ritornerò nella mia casa da dove sono uscito”; e quando ci arriva, la trova vuota, spazzata e adorna. Allora va e prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui, i quali, entrati, vi prendono dimora; e l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima. Così avverrà anche a questa malvagia generazione» (Matteo 12:43-45).
Lo spirito immondo dell’idolatria si impossesserà di quelli che si prostituiranno e si daranno a tremende nefandezze, adorando il capolavoro di Satana. A causa di queste abominazioni «verrà un devastatore» (v. 27), che desolerà il paese e continuerà a tormentare i Giudei dal di fuori, mentre l’Anticristo sarà con loro a Gerusalemme. Il «devastatore» devasterà il paese e conquisterà Gerusalemme, finché non giunga «la completa distruzione», la quale avverrà alla fine dei 7 anni. A questo punto, tanto il «devastatore» quanto la prima e la seconda bestia di Apocalisse 13 (cioè il capo dell’Impero Romano e l’Anticristo) saranno oggetto del castigo divino. Questo devastatore è il re del Settentrione, l’Assiro del tempo della fine; di lui leggemmo nel capitolo precedente, e qui si osserva ancora una volta la sua opera tremenda contro la nazione apostata, che avverrà nella seconda metà dell’ultima settimana profetica.
È di notevole interesse osservare le due narrazioni del Nuovo Testamento che offrono una visione più estesa degli avvenimenti dei 7 anni che sono riservati al popolo di Daniele e alla sua città, prima che il residuo fedele di questo popolo e Gerusalemme abbiano a godere della pienezza delle benedizioni. Queste narrazioni si trovano in Matteo 24 e nella parte dell’Apocalisse che tratta questi eventi futuri (cap. da 6 a 19).
Quanto tempo deve ancora passare prima che cominci quest’ultima settimana di Daniele? Nessuno lo sa. Dio soltanto conosce quando succederà tutto ciò. Tuttavia, ai nostri tempi, vi è un segno che è molto significativo e cioè il movimento già in atto che tende alla restaurazione dei Giudei e la loro incapacità per giungere a capo dei piani e dei progetti per il loro ritorno in Palestina (*). Essi stanno aspettando il «capoche verrà». (*) I progetti di cui parla l’autore di questo studio sono realtà già dal 1948, data della costituzione del nuovo Stato di Israele. Esistono ormai le premesse per l’adempimento completo delle profezie. (N.d.T.).
Noi Cristiani siamo in attesa del ritorno del nostro Grande Capo, il nostro adorabile Signore e Salvatore Gesù Cristo il quale, secondo la Sua promessa, tornerà per accoglierci ed averci con Sé per sempre lassù nel cielo, nella meravigliosa Casa del Padre. L’ultimo grande avvenimento nel periodo di tempo indefinito compreso fra la 69ª e la 70ª settimana, è la venuta del Signore per i Suoi santi, e ciò è imminente. Ci accordi Egli di aspettarlo, vegliando e pregando!
Capitolo 10
Preparazione per la profezia finale
I tre capitoli che rimangono del libro di Daniele vanno considerati insieme. Essi contengono l’ultima grande visione che fu data al profeta ormai vecchio; una visione che, sotto certi aspetti, è più importante ancora della precedente. Questo capitolo 10 contiene la narrazione della profonda commozione spirituale provata da Daniele e degli esseri soprannaturali che apparirono e parlarono con «l’uomo molto amato». Il presente capitolo è di grande interesse, perché offre informazioni di grande valore riguardo agli spiriti invisibili, tanto malvagi quanto buoni, al pari di altri insegnamenti spirituali molto utili che pure considereremo.
L’anno terzo di Ciro
Il primo versetto ci dice con precisione il tempo in cui Daniele ricevette quest’ultima grande rivelazione:
«Il terzo anno di Ciro, re di Persia, fu rivelata una parola a Daniele, chiamato Baltazzar; la parola è vera e predice una grande lotta. Egli fu attento al messaggio e capì il significato della visione» (10:1).
Ciro, il grande re di Persia, era già nel terzo anno del suo regno. Nel primo anno, egli aveva pubblicato il grande editto in cui dava la stupefacente informazione che «il SIGNORE, Dio dei cieli» lo aveva incaricato di edificargli una casa a Gerusalemme (Esdra 1:2). Abbiamo già visto in precedenza che egli era lo strumento scelto da Dio per questo scopo, come è rivelato nella grande profezia di Isaia, dove leggiamo che, molto tempo prima della sua nascita, era stato chiamato col proprio nome ed erano state predette le sue opere. Nondimeno, Daniele non fece uso del decreto per ritornare al suo paese e rimase a Babilonia.
È probabile che a quel tempo non occupasse più nessuna posizione importante nel governo. L’ultimo versetto del capitolo 1 di Daniele sembra indicare questo, poiché leggiamo: «Daniele continuò così fino al primo anno del re Ciro»; ciò significa che egli continuò ad occuparsi, fino al primo anno di Ciro, degli affari del regno Persiano. La ragione per la quale Daniele fu poi messo da parte non è detta. Il decreto emanato da Ciro riguardante l’edificazione della casa del Dio dei cieli, non produsse grande entusiasmo fra il popolo Giudeo in servitù, e solo un piccolo numero ritornò a Gerusalemme. Senza dubbio Daniele, aspettando nuove rivelazioni riguardanti il tempo della fine, aveva pregato il Signore e aveva ricevuto l’ordine di rimanere nel paese delle nazioni. Il Signore aveva da rivelargli ancora diverse visioni importanti riguardo al suo popolo.
Gli fu così rivelata «una grande lotta» (v. 1). Questa grande lotta, o guerra, che sarebbe scoppiata in un prossimo futuro ed anche ciò che sarebbe avvenuto in un futuro remoto, quando il popolo di Daniele sarebbe stato liberato definitivamente (capitolo 12:1), costituiscono il tema della visione finale data a Daniele prima che se ne andasse «al suo riposo». Secondo quanto vedremo, la visione è in relazione molto stretta con quella contenuta nel capitolo 8; visione che contiene una narrazione profetica del sovvertimento dell’Impero Persiano ad opera della Grecia, e i dettagli più minuziosi delle guerre fra Tolomei e Seleucidi, i quali sarebbero nati dall’impero diviso della Grecia.
Dai versetti 12 e 14 del capitolo 10 e che citeremo, risulta evidente che Daniele non aveva compreso la visione del capitolo 8 e deve aver pregato ardentemente per averne la spiegazione.
«Non temere, Daniele, poiché dal primo giorno che ti mettesti in cuore di capire e d’umiliarti davanti al tuo Dio, le tue parole sono state udite e io sono venuto a motivo delle tue parole… Ora sono venuto a farti conoscere ciò che avverrà al tuo popolo negli ultimi giorni; perché è ancora una visione che concerne l’avvenire» (10:12, 14).
Inoltre leggiamo che per tre settimane Daniele fece cordoglio nelle sue fervide suppliche, domandando il significato della visione:
«In quel tempo, io, Daniele, feci cordoglio per tre settimane intere. Non mangiai alcun cibo prelibato, né carne né vino entrarono nella mia bocca, e non mi unsi affatto sino alla fine delle tre settimane» (10:2-3) (non settimane di anni, ma di giorni).
Così Daniele rimase in quella posizione di supplica per tre settimane; e ciò che fece ritardare la risposta divina di tre settimane è una delle rivelazioni di questo capitolo. Nel v. 4 sono specificati il tempo e il luogo, dove e quando avvenne. Nel giorno 24 del primo mese Daniele si trovava sulla riva del fiume Hiddekel (che è il fiume Tigri) presente in persona, corpo ed anima.
L’apparizione di un «Uomo»
In quel tempo, dopo essere rimasto per tre settimane in profonda preghiera con gli occhi chini, Daniele alzò lo sguardo e vide davanti a sé un essere sovrannaturale:
«Il ventiquattresimo giorno del primo mese, mentre mi trovavo sulla sponda del gran fiume, che è il Tigri, alzai gli occhi, guardai, ed ecco un uomo, vestito di lino, che aveva ai fianchi una cintura d’oro di Ufaz. Il suo corpo era come crisolito, la sua faccia splendeva come la folgore, i suoi occhi erano come fuoco fiammeggiante, le sue braccia e i suoi piedi erano come il bronzo splendente e il suono della sua voce era come il rumore d’una moltitudine. Soltanto io, Daniele, vidi la visione; gli uomini che erano con me non la videro, ma un gran terrore piombò su di loro e fuggirono a nascondersi. Io rimasi solo, a contemplare quella grande visione. In me non rimase più forza; il mio viso cambiò colore fino a rimanere sfigurato e le forze mi abbandonarono. Poi udii il suono delle sue parole, ma appena le udii caddi assopito con la faccia a terra» (10:4-9).
Occorre sapere chi è quell’«uomo» che apparve a Daniele. Alcuni credono che fosse Gabriele, che gli apparve ancora una volta, come era avvenuto nei capitoli 8 e 9. Altri hanno pensato che fosse un possente angelo, altri ancora che fosse il Signore in persona, che fece visita al profeta come, sotto spoglie umane, aveva fatto visita ad Abraamo (Genesi 18). Noi siamo propensi a credere che l’«uomo molto amato» abbia avuto il privilegio di avere un’apparizione del Figlio di Dio stesso. Quelli che si oppongono a questo, citano il versetto 13, dove chi parla dichiara che fu contrastato e che ebbe bisogno dell’intervento dell’arcangelo Michele. Ma non bisogna identificare colui che parla al versetto 13 con colui che apparve a Daniele e del quale abbiamo la descrizione nei versetti da 5 a 9. Colui che dice a Daniele di aver avuto bisogno di chiamare Michele per aiutarlo, non può essere di certo il Signore; Egli non ha bisogno dell’aiuto di alcuna creatura, fosse pure l’arcangelo Michele.
Una cosa è molto chiara ed evidente, che l’apparizione dell’Essere descritto dal profeta nei versetti da 4 a 9 non è più quella del versetto 10. La persona che toccò Daniele e gli parlò, non è Colui che egli contemplò descrivendone i caratteri, nella presenza del quale si trovò solo, e davanti al quale egli restò prostrato nella polvere, cadendo profondamente assopito quando ne udì la voce.
La prova che questo sia una apparizione del Figlio, prima della sua incarnazione, una grande apparizione di Cristo, è molto convincente. Daniele ebbe il privilegio, come «uomo grandemente amato», di avere una manifestazione del Signore della gloria, nella stessa maniera che «il discepolo che Gesù amava», Giovanni, più di 600 anni dopo, ebbe il privilegio di vedere il Signore della gloria. Vi è solo una differenza: Daniele lo vide prima della sua incarnazione, mentre Giovanni lo vide nell’isola di Patmo, dopo la sua morte, la sua risurrezione trionfante e la sua ascensione. Entrambie le narrazioni hanno molti punti in comune.
Nell’Apocalisse (cap. 1:12-17) abbiamo una descrizione che è simile a quella che Daniele ebbe sulle rive del fiume Tigri. Chiunque confronti questa parte della Scrittura con la narrazione di Daniele riguardo a ciò che vide, non può fare a meno di convincersi che si tratta della stessa Persona. Inoltre, vi è pure una somiglianza con la visione di gloria che Saulo da Tarso ebbe sulla via di Damasco. Come gli uomini che erano con Daniele non videro la visione, anzi furono colpiti da gran timore e fuggirono, così pure i compagni di Saulo furono ripieni di terrore «perché udivano la voce, ma non vedevano nessuno» (Atti 9:7). L’effetto che questa visione produsse in Daniele fu lo stesso di quello che provò Giovanni: «E quando lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto» (Apocalisse 1:17). Anche Daniele stette con la faccia a terra, perdette le forze, rimase senza vigore e tutto disfatto. Il sonno che lo colse corrisponde all’espressione «come morto» di Giovanni.
Che grandi insegnamenti vi sono qui per noi! Possiamo vedere la felicità di una vita di fede in continuo progresso. Daniele iniziò quand’era ragazzo, prigioniero in Babilonia, col semplice «proposito» della fede. Dio lo sostenne e lo benedisse dandogli sapienza e intendimento, e questo «fu l’insegnamento» di fede che incontrammo nel primo capitolo. Poi, quando Nabucodonosor dimenticò il sogno, Daniele procedette con fede promettendo al re di farglielo conoscere; e, insieme con i suoi compagni, si rivolse in preghiera al Signore, che gli rivelò il sogno. Così Dio onorò la sua fede. In seguito parlò con degli angeli; ricevette visioni. Quindi gli apparve Gabriele (cap. 8) che più tardi gli fu «mandato con rapido volo» a recargli il grande messaggio (9:21). E ora, dopo che Daniele aveva pregato e digiunato e si era anche umiliato, il Signore in persona apparve al profeta che era stato tanto fedele. Così egli era andato «di gloria in gloria» (2 Corinzi 3:18).
Eppure, sebbene fosse l’«uomo molto amato» (10:11, 19) e godesse il favore dell’Eterno in sommo grado, sebbene fosse stato un servitore così fedele per tanti anni e avesse onorato il Signore come pochissimi dei grandi uomini di Dio hanno fatto, quando si trovò faccia a faccia col Signore della gloria cadde sconvolto, accasciato sulla polvere nella Sua santa e gloriosa presenza. E questo posto è quello che appartiene ad ogni credente, ad ogni riscattato del Signore, anche ai più avanzati nella conoscenza spirituale e animati del più grande spirito di abnegazione nel servizio di Dio. Alla Sua presenza, tutti dobbiamo confessare e riconoscere la nostra assoluta impotenza e nullità.
Il mistero della risposta ritardata
Ed ora altri esseri angelici, creature inferiori al Signore della gloria, si manifestano e parlano a Daniele; uno di questi è senza dubbio Gabriele:
«Ed ecco, una mano mi toccò e mi fece stare sulle ginocchia e sulle palme delle mani. Poi mi disse: “Daniele, uomo molto amato, cerca di capire le parole che ti rivolgo, e àlzati nel luogo dove stai; perché ora io sono mandato a te”. Quando egli mi disse questo, io mi alzai in piedi, tutto tremante. Egli mi disse: “Non temere, Daniele, poiché dal primo giorno che ti mettesti in cuore di capire e d’umiliarti davanti al tuo Dio, le tue parole sono state udite e io sono venuto a motivo delle tue parole. Ma il capo del regno di Persia m’ha resistito ventun giorni; però Michele, uno dei primi capi, è venuto in mio soccorso e io sono rimasto là presso i re di Persia. Ora sono venuto a farti conoscere ciò che avverrà al tuo popolo negli ultimi giorni; perché è ancora una visione che concerne l’avvenire”. Mentre egli mi rivolgeva queste parole, io abbassai gli occhi a terra e rimasi in silenzio» (10:10-15).
Senza seguire tutti i dettagli dell’esperienza che qui Daniele ci racconta, ci volgiamo immediatamente all’informazione più importante che queste parole ci danno. Il visitatore celeste che aveva parlato con Daniele chiamandolo «uomo molto amato», e davanti al quale egli tremava a causa di ciò che aveva veduto sulla riva del fiume Tigri, gli fa ora sapere perché la risposta era stata ritardata. Come già detto, Daniele desiderava ardentemente comprendere con chiarezza la visione e, a questo fine, si era messo in cuore d’intendere, e nella più profonda umiliazione si era disposto in preghiera. Ma i giorni erano trascorsi senza che giungesse la risposta. I cieli sembravano ermeticamente chiusi.
Che differenza dall’esperienza fatta nel capitolo precedente! In quell’occasione non gli era stato nemmeno permesso di terminare la preghiera. La sua supplica di umiliazione e di confessione era stata senza indugio esaudita poiché, dal trono di Dio, Gabriele ricevette l’ordine di venire a Daniele «con rapido volo» (9:21). Ma ora, erano già passate tre settimane intere e ancora non era giunta la risposta alla sua supplica. Il messaggero celeste fa sapere al profeta che non appena aveva incominciato il suo esercizio spirituale sulla terra, le sue parole, cioè la sua preghiera, erano state udite in cielo.
Che benedetta consolazione e che incoraggiamento vi sono in queste parole! Appena ci disponiamo in preghiera e ci rivolgiamo al trono della grazia nel Nome glorioso del Signore Gesù, sappiamo che le nostre parole sono ascoltate. E questo dovrebbe bastarci per avere una pace profonda e, anche se la riposta alle nostre preghiere dovesse tardare, per non affannarci. Possiamo lasciare tranquillamente a Dio la cura di rispondere, poiché Egli «fa tutte le cose bene» e opera secondo il Suo beneplacito. «Le tue parole sono state udite» (v. 12): è una gloriosa garanzia per la fede. E il messaggero rassicurò Daniele dicendogli d’essere venuto con la risposta. Ma perché aveva tardato tre settimane a trasmettere quel messaggio al profeta? La risposta divina era stata contrastata dal «re di Persia» (v. 20), che gli resisté per tre settimane intere; tanto grande era la sua potenza che servì l’aiuto del possente arcangelo Michele perché il messaggero potesse proseguire nel suo viaggio e raggiungere Daniele.
E chi è questo «re di Persia»? È impossibile credere che sia Ciro (*). Questa interpretazione è assolutamente assurda e inaccettabile. Chi potrebbe pensare, anche solo per un momento, che un essere umano, benché un capo potente, potesse impedire la via ad un messaggero celeste mandato dal cielo a Daniele? Ma se non fu il re della Persia, chi fu allora colui che resisté per tre settimane al messaggero di Dio? Fu un possente spirito maligno che dominava sugli affari del regno di Persia, posto là da Satana, il quale è capo d’innumerevoli angeli decaduti. Come «dio di questo mondo» (2 Corinzi 4:4), egli domina gli affari dei regni di questo mondo e gli spiriti maligni che si trovano nella sfera celeste sono suoi agenti, per mezzo dei quali egli esercita questo dominio.
Satana non è onnipotente, né onnisciente, e neppure onnipresente, ma per mezzo degli spiriti malvagi a sua disposizione e che egli comanda, è come se fosse onnipresente e onnisapiente. In Efesini 6:12 sono chiamati «i dominatori di questo mondo di tenebre». Il diavolo non mentì quando sul monte della tentazione disse al Signore che tutti i regni del mondo erano in suo potere e che gli appartenevano (Matteo 4:8-9; Luca 4:5-7). Tutti questi regni sono tuttora sotto il suo dominio, finché un giorno Dio glieli strapperà dalle mani. Attualmente egli pone su ogni regno qualche spirito maligno che vi esercita l’influenza da lui voluta. Lui in persona, come «principe della potenza dell’aria» (Efesini 2:2), è il supremo capo di tutti loro e li dirige a suo piacimento. Ciò si vede in altre parti delle Scritture. Per esempio in Ezechiele 28:11-19 abbiamo delle parole dirette al re di Tiro, in relazione al quale vi è una descrizione di un essere che appoggiava quel re come potere dominante, descrizione che non può applicarsi ad altri se non a Satana.
La potenza e il dominio di Satana si svolgono, per così dire, nei cieli inferiori, tanto al di sopra della terra quanto sulla terra stessa. Dall’alto, per mezzo degli angeli malvagi, egli esercita tuttora il suo impero sui regni della terra. E questo fu il caso del regno di Persia, sul quale un angelo decaduto, un essere appartenente alle «forze spirituali della malvagità che sono nei luoghi celesti» ricordati agli Efesini (6:12), deteneva il potere. Questo essere impedì per tre settimane al messaggero divino di proseguire il suo viaggio verso Daniele.
Il conflitto avvenne nell’aria. Il grande arcangelo Michele (che secondo quanto sappiamo dal Nuovo Testamento è il solo arcangelo) dovette venire in aiuto al messaggero. Questa è la prima menzione che la Bibbia fa dell’arcangelo Michele, ma non è la prima volta che lo vediamo attivo, perché nella Lettera di Giuda leggiamo che, dopo la morte di Mosè, egli dovette contendere «con il diavolo disputando per il corpo di Mosè» (v. 9). Generalmente vediamo Michele in relazione col popolo giudaico; egli è, per così dire, l’angelo custode di Israele, come ci riferisce il capitolo 12:1 di Daniele: «Michele, il gran capo, il difensore dei figli del tuo popolo». Il passo citato ci dice che in un giorno futuro quest’arcangelo possente si leverà in difesa del popolo giudeo, come vedremo leggendo l’ultimo capitolo di questo libro. Un altro grande ed immane conflitto deve aver luogo nelle sfere celesti, come ci riferisce la Scrittura in Apocalisse 12:7-9, allorquando Michele e i suoi angeli combatteranno contro il dragone e gli angeli maligni a lui associati. Alcuni insegnano che Michele (il cui nome significa: «Chi è come Dio?») è il Signore stesso. Ma ciò non è sostenibile alla luce della Lettera di Giuda (si legga attentamente il versetto 3).
Quanto deve essere grande la potenza del Diavolo se è riuscito, per mezzo di un demonio a lui soggetto, ad arrestare il messaggero di Dio! Come mai a Satana sia permesso di influire sui capi di governo e perché susciti le guerre sanguinarie delle nazioni e le pratiche abominevoli del paganesimo idolatra, ora non lo comprendiamo bene. Ma questo passo ci indica come egli intervenga nella nostra vita privata di credenti e ci attacchi e ci triboli per mezzo dei suoi numerosi demoni. D’altra parte abbiamo però la consolazione di sapere che ci sono anche degli angeli buoni, che guardano e difendono tutti quelli che appartengono al Signore: «Essi non sono forse tutti spiriti al servizio di Dio, mandati a servire in favore di quelli che devono ereditare la salvezza?» (Ebrei 1:14). Un giorno, quando saremo alla presenza del Signore, conosceremo pienamente tutte le cose, a noi oggi segrete, riguardanti gli spiriti invisibili, tanto buoni che cattivi.
Una dichiarazione importante
È molto importante la dichiarazione che il messaggero celeste è venuto a fare a Daniele: «Ciò che avverrà al tuo popolo negli ultimi giorni; perché è ancora una visione che concerne l’avvenire» (vers. 14). Questo dovrebbe stabilire una buona volta e per sempre lo scopo di questa visione finale, visione che ha per preludio, come vedremo, le guerre tolomaiche (vi incontriamo una descrizione minuziosa di Antioco Epifane), ma le cui previsioni si compiranno pienamente per il popolo giudeo nel tempo della fine, ossia nella settantesima settimana, e più precisamente nella seconda metà di questa settimana, negli ultimi tre anni e mezzo. Se questi avvenimenti fossero stati ben compresi, molti commentatori non sarebbero caduti nelle interpretazioni immaginarie ed erronee in base alle quali tutto questo riguarderebbe la Chiesa, affermando che il papato è l’Anticristo.
Quando il messaggero finì di parlare, vediamo quel venerabile profeta con la faccia a terra e muto. È un atteggiamento di sentita umiltà, accompagnata da un ardente desiderio di ascoltare solamente.
Il profeta fortificato perché riceva la visione
In quest’occasione appaiono messaggeri di Dio che fortificano l’anziano servitore e profeta:
«Ed ecco uno che aveva l’aspetto di un figlio d’uomo; egli mi toccò le labbra. Allora aprii la bocca, parlai, e dissi a colui che mi stava davanti: “Mio signore, questa visione mi ha riempito d’angoscia, le forze mi hanno abbandonato e non mi è più rimasto alcun vigore. Io, tuo servo, non potrei parlare con te, o mio signore, perché ormai non ho più forza e mi manca persino il respiro”. Allora colui che aveva l’aspetto d’uomo mi toccò di nuovo e mi fortificò. Egli disse: “Non temere, o uomo molto amato! La pace sia con te. Coraggio! Sii forte!” Alle sue parole ripresi forza e dissi: “Parla, o mio signore, perché tu mi hai fortificato”. Egli disse: “Sai perché sono venuto da te? Ora torno a lottare con il re di Persia; e quando uscirò a combattere, verrà il principe di Grecia. Ma io ti voglio far conoscere ciò che è scritto nel libro della verità; e non c’è nessuno che mi sostenga contro quelli, tranne Michele vostro capo”» (10:16-21).
Devono essergli toccate le labbra (si confronti con Isaia 6:6-7) e allora il profeta può parlare. Le prime parole che escono dalle sue labbra, dal momento che la visione si è svolta davanti a lui, sono per manifestare la sua grande emozione e lo stato di prostrazione in cui si trova. Rimasto confuso e pieno di spavento non ha più alcun vigore in sé. Ma questa condizione di completa debolezza è quella della benedizione. È toccato di nuovo; non, come la prima volta, perché gli si aprano le labbra e possa confessare la sua debolezza, ma affinché riceva forza. E se un servitore così onorato, come lo era Daniele, aveva bisogno di una simile esperienza, quanto più noi! Infine egli ricevette il messaggio di pace e di consolazione: «”Non temere, o uomo molto amato! La pace sia con te. Coraggio! Sii forte!” Alle sue parole ripresi forza» (v. 18). La sua mente e il suo cuore ebbero riposo, e tutti i suoi timori svanirono.
Questa calma interiore era necessaria per poter ricevere la profezia e comprendere la visione. Ed è necessaria anche oggi a tutti quelli che desiderano comprendere i piani di Dio riguardo al futuro. Il figlio di Dio che non vive nella separazione dal male e non è attaccato al Signore, e che di conseguenza è contristato e non può godere la vera pace (vedi l’esempio di Lot, 2 Pietro 2:7-8), non è nella condizione di comprendere la parola profetica; questa è una delle ragioni per le quali vi è così poco desiderio di investigare ciò che Dio ha rivelato riguardo al futuro. Il cuore che non gode la pace profonda di Dio, non può godere le benedette realtà che Dio ha rivelato nella Parola profetica.
Daniele, come il giovane Samuele, dice: «Parla, o mio signore». Il messaggero gli fece sapere che sarebbe tornato a lottare con il capo di Persia e che in seguito sarebbe venuto anche il capo di Javan, cioè della Grecia.
Proseguendo, il messaggero annuncia al profeta che gli mostrerà ciò che dice «chitab amet», ossia la «ciò che è scritto nel libro della verità» (v. 21). Questa ammirevole espressione non si riferisce a un libro che non fu trascritto e non ci è pervenuto, come alcuni dicono, ma ad uno scritto che è, come lo esprime il termine ebraico tradotto letteralmente: «Scritto di Verità». Questo è il nome che il messaggero di Dio dà al libro scritto da Daniele sotto l’ispirazione dello Spirito Santo!
La citazione della Persia e della Grecia (Javan) fatta dall’angelo ci conduce alla stessa visione contenuta nel capitolo 11. Considerando il conflitto fra gli spiriti malvagi e il messaggero di Dio e Michele, il difensore del popolo giudeo, possiamo intuire ancora una volta ciò che si sta svolgendo nel mondo invisibile, in relazione con le lotte e i conflitti che avvengono sulla terra fra i popoli di questo mondo.
Capitolo 11
Guerra dei Tolomei e dei Seleucidi. Gli avvenimenti del tempo della fine
Se si dovesse fare una divisione in capitoli, è evidente che il versetto 1 del cap. 11 appartiene ancora al cap. 10, perché la profezia comincia col versetto 2. Qui abbiamo la storia scritta in anticipo e la maggior parte di questo capitolo (versetti 2 a 35) si è già adempiuta storicamente. Queste predizioni si rivelarono talmente esatte che i nemici della Scrittura hanno dichiarato che non possono essere state scritte da Daniele centinaia d’anni prima. Il pagano Porfirio, del secolo terzo, nel suo «trattato contro i cristiani» attaccò aspramente l’idea che Daniele avesse scritto queste profezie, asserendo che tutto quello che si legge in questo capitolo è stato scritto dopo gli avvenimenti storici. Gli stessi argomenti li usano oggi i critici che, nella loro incredulità, non si vergognano di far uso delle stesse asserzioni di un povero pagano.
Se ci proponessimo di entrare in tutti i dettagli di ogni versetto e di mostrarne l’adempimento storico, saremmo costretti a scrivere centinaia di pagine. Ma d’altra parte la nostra esposizione resterebbe incompleta se trascurassimo l’argomento. Perciò ci limiteremo a citare il testo biblico e metteremo, in una colonna a fianco, un breve esposto sull’adempimento di ogni predizione.
Che prova lampante abbiamo dunque della veridicità della profezia! Dio e soltanto Lui, può scrivere la storia prima che avvenga. È dunque evidente quale sia la potenza che appoggia gli uomini che si reputano savi, ma che sono capaci di far causa comune con un pagano come Porfirio: è lo spirito delle tenebre. Come Dio ha meravigliosamente adempiuto la Sua Parola! Come tutto è avvenuto alla lettera!
Caro lettore, Dio adempirà fra poco le grandi profezie che ancora non si sono realizzate. Il prossimo grande avvenimento del programma divino avrà il suo adempimento quando il Signor nostro Gesù Cristo in persona, «scenderà dal cielo, con potente grido, con la voce d’arcangelo e la tromba di Dio, e i morti in Cristo risusciteranno i primi; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo insieme con loro (i risuscitati) rapiti sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre col Signore» (1 Tessalonicesi 4:15-18). Dopo ciò, i giudizi terribili rivelati nella Parola cadranno sulla terra; sarà giunto il giorno dell’ira dell’Agnello, dopo la lunga pazienza di Dio (Apocalisse 6:15-17).
Prima di andare avanti, desideriamo ripetere che tutto ciò che è contenuto nei versetti che brevemente abbiamo considerato (da 2 a 35), si è già adempiuto storicamente. Richiamiamo l’attenzione su un errore in cui alcuni sono caduti e che riguarda ciò che è detto nel versetto 31 di questo cap. 11 circa «l’abominazione della desolazione». Il Signore Gesù nel Suo sermone sul Monte degli Ulivi (Matteo 24:15) disse: «Quando dunque vedrete l’abominazione della desolazione, della quale ha parlato il profeta Daniele, posta in luogo santo (chi legge faccia attenzione!)…»; ebbene; alcuni credono che il Signore si riferisse a Daniele 11:31 e che quella sia l’abominazione che cagiona desolazione. Ma non è corretto, poiché “l’abominazione della desolazione” del versetto 31 di Daniele 11 è già avvenuta, avendo avuto il suo adempimento quando Antioco Epifane commise le atrocità di cui abbiamo parlato. Invece, «l’abominazione della desolazione» di cui il Signore parlò sul Monte degli Ulivi, è menzionata nel capitolo 12:11 di Daniele e si riferisce «all’immagine della bestia» (Apocalisse 13:14-15) che l’Anticristo farà fare e metterà nel tempio di Dio a Gerusalemme, e questo avverrà nella seconda metà dell’ultima settimana di Daniele, come vedremo più tardi.
La figura di Antioco Epifane e i suoi delitti nella terra di Giudea e contro Gerusalemme l’abbiamo già considerata in relazione al capitolo 8, facendo notare come questo re malvagio rappresenti il re del settentrione, che invaderà la Palestina in un tempo futuro.
Nel capitolo 10 (v. 14) Daniele doveva comprendere per mezzo di questa profezia finale ciò che sarebbe avvenuto «al suo popolo negli ultimi giorni». Se così è, allora deve esservi un punto, in qualche parte di questo capitolo 11, nel quale gli avvenimenti predetti e già adempiuti sono terminati e hanno inizio predizioni per i giorni futuri, per il tempo della fine. Questo punto di passaggio è il versetto 35. Come abbiamo visto, le predizioni dei versetti da 2 a 35 hanno già avuto il loro adempimento. Nondimeno, Antioco Epifane, con le sue malvagie imprese, è il «tipo» di quest’ultimo re del settentrione, quando maggiori tribolazioni e più grandi persecuzioni desoleranno la terra d’Israele, nel tempo della fine. Il versetto 35 ci introduce chiaramente in quel tempo lontano: «E di quei saggi alcuni cadranno per essere affinati, purificati, resi candidi fino al tempo della fine, perché questa non avverrà che al tempo stabilito».
Nel cap. 12 di Daniele, nel quale si parla esclusivamente del «tempo della fine», ossia degli ultimi tre anni e mezzo della settantesima settimana, troviamo una dichiarazione che ci ricorda i versetti 32 a 35 del capitolo 11: «Molti saranno purificati, imbiancati, affinati; ma gli empi agiranno empiamente e nessuno degli empi capirà, ma capiranno i saggi» (v. 10). Di conseguenza il versetto 35 attira l’attenzione su quel tempo della fine e, col versetto che segue, siamo trasportati immediatamente al tempo in cui il messaggero celeste parlò a Daniele: «Ora sono venuto a farti conoscere ciò che avverrà al tuo popolo negli ultimi giorni; perché è ancora una visione che concerne l’avvenire» (cap. 10:14).
Così, fra i versetti 35 e 36 scorre un lungo periodo di tempo, indefinito. La storia di Antioco Epifane e dei vittoriosi Maccabei è la fine dell’adempimento storico delle predizioni di questa grande profezia; da allora sono trascorsi più di duemila anni e tuttavia non è ancora giunto l’adempimento della profezia che inizia al versetto 36. Questo è degno di nota ed è anche una prova che questi ultimi versetti (36-45) del capitolo 11 attendono tuttora il loro adempimento. Alcuni hanno cercato di far credere che il re descritto per primo in questi versetti rappresenti ancora Antioco Epifane, ma la descrizione non gli corrisponde in nulla.
Un re futuro, superbo e arrogante
Qui, in capo alla scena del tempo della fine, vi è la predizione di un re malvagio, una profezia interessantissima e molto importante, che differisce dalle predizioni riguardanti il “piccolo corno” del capitolo 7, come pure dall’altro “corno” del capitolo 8. Questo re è stato erroneamente identificato con entrambi, cioè con il capo dell’Impero Romano restaurato e con il re del settentrione. Vedremo che esso non ha nulla a che vedere con quei due e che in realtà non è mai stato citato altrove in questo libro di Daniele:
«Il re agirà a suo piacimento, s’innalzerà, si esalterà al di sopra di ogni dio e pronuncerà parole inaudite contro il Dio degli dèi; prospererà finché non sia finita l’ira, poiché ciò che è stato deciso si compirà. Egli non avrà riguardo agli dèi dei suoi padri; non avrà riguardo al dio preferito dalle donne, né ad alcun dio, perché si innalzerà al di sopra di tutti. Ma onorerà il dio delle fortezze nel suo luogo di culto; onorerà con oro, con argento, con pietre preziose e con oggetti di valore, un dio sconosciuto ai suoi padri. Egli agirà contro le fortezze ben munite, aiutato da un dio straniero. Colmerà di onori quelli che lo riconosceranno, li farà dominare su molti e spartirà fra loro delle terre come ricompensa» (11:36-39).
Molti commentatori di Daniele applicano questo passo ad Antioco Epifane, perché non si accorgono dell’intervallo di tempo importante che esiste fra il versetto 35 e il versetto 36. Nondimeno, un esame accurato della descrizione di questo re dimostra che non può essere Antioco, ma che si tratta di un altro personaggio il quale, come vedremo più avanti, sarà un Giudeo che assumerà onori regali in mezzo al popolo giudaico; mentre Antioco era un Gentile.
Vi sono alcuni che sostengono che questo re sia la prima bestia di Apocalisse 13, cioè il capo dell’Impero Romano risorto, uno come Napoleone I; altri ancora fanno riferimento al papa di Roma, e dicono che sarà lui il capo del potere romano. A ciascuno di loro si applica senza tanto scrupolo il nome di Anticristo. Quelli che in questo re vedono il papato e la corruzione romana, fanno applicazioni assurde e oltremodo fantastiche (*).
Ma fermiamoci e consideriamo; se questi commentatori avessero tenuto conto del fatto che questo re verrà nel tempo della fine e sarà manifestato in Palestina, in mezzo al popolo di Daniele, cioè fra i Giudei, non sarebbero caduti in tali assurde interpretazioni.
Altri, come già dicemmo, identificano questo re col piccolo corno di Daniele 7. Ora, per dimostrare che il re descritto nel capitolo 11:36-39 è una persona del tutto differente, metteremo ancora una volta in parallelo la narrazione di queste tre persone distinte.
Il piccolo corno di Daniele 7:25
Sale dalle dieci corna della quarta bestia (Impero Romano); è il capo dell’Impero Romano restaurato: «Egli parlerà contro l’Altissimo, affliggerà i santi dell’Altissimo, e si proporrà di mutare i giorni festivi e la legge; i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo», cioè tre anni e mezzo. Egli è il «capo che verrà» di Daniele 9:26. «Egli stabilirà un patto con molti, per una settimana; in mezzo alla settimana farà cessare sacrificio e offerta» (v. 27), cioè romperà il patto.
Il piccolo corno di Daniele 8:9-12
Sorge da una delle divisioni del terzo regno, l’Impero Greco. È Antioco Epifane, tipo del re del settentrione.
«Alla fine del loro regno, quando i ribelli avranno colmato
la misura delle loro ribellioni, sorgerà un re dall’aspetto feroce, ed esperto in intrighi. Il suo potere si rafforzerà, ma non per la sua propria forza. Egli sarà causa di rovine inaudite, prospererà nelle sue imprese, distruggerà i potenti e il popolo dei santi… distruggerà molte persone che si credevano al sicuro. Si ergerà pure contro il principe dei prìncipi, ma sarà infranto senza intervento umano» (Daniele 8:23-25). È il desolatore, il re del settentrione, l’Assiro del tempo della fine.
Il re superbo e arrogante di Daniele 11:36-39
Non ci è detto nulla dell’origine di questo re. Non sorge da una nazione straniera; di conseguenza dovrà essere un Giudeo. «Il re agirà a suo piacimento, s’innalzerà, si esalterà al di sopra di ogni dio e pronuncerà parole inaudite contro il Dio degli dèi; prospererà finché non sia finita l’ira, poiché ciò che è stato deciso si compirà. Egli non avrà riguardo al Dio (non agli dèi) dei suoi padri… né alla divinità favorita delle donne, né ad alcun dio, perché si innalzerà al di sopra di tutti… Onorerà con oro… un dio sconosciuto ai suoi padri… Colmerà di onori quelli che lo riconosceranno… spartirà fra loro delle terre come ricompensa».
Un accurato esame dell’origine di questi tre malvagi e di ciò che faranno nel tempo della fine, «l’ultimo tempo dell’indignazione» (8:19), comprova definitivamente che non possono essere una stessa persona, e nemmeno due persone, bensì tre differenti personaggi. Chi è allora il re descritto nel cap. 11 vers. 36 che «agirà a suo piacimento, s’innalzerà, si esalterà al di sopra di ogni dio», nel tempo della fine?
Il re superbo e arrogante è l’Anticristo
Il vero Re d’Israele è il Signor Gesù Cristo, il Messia, il quale quando venne per essere ricevuto fu respinto dal suo popolo, che lo crocifisse. Allora il Signore disse ai Giudei: «Io sono venuto nel nome del Padre mio, e voi non mi ricevete; se un altro verrà nel suo proprio nome, quello lo riceverete» (Giovanni 5:43). Questo “altro” non è ancora venuto e qui noi abbiamo il suo ritratto. Egli apparirà nella terra d’Israele nel tempo della fine quale falso Messia, e occuperà anche il posto di re in mezzo agli Israeliti. La parola profetica dell’Antico Testamento ci parla ripetute volte di questo re caparbio, l’Anticristo, che alla sua venuta ingannerà la massa apostata del popolo Giudeo. Isaia tratta di lui e della sua fine (Isaia 30:33; 57:9), e Zaccaria lo chiama «pastore stolto» (Zaccaria 11:15-17). È citato più volte nei Salmi come «l’empio», «l’uomo sanguinario». Nell’Apocalisse appare come la seconda bestia che sale dalla terra, dalla Palestina (13:11-17), con due corna come quelle di un agnello, ciò che mostra chiaramente che imiterà Cristo. Ha lo spirito del Dragone e appare come un conduttore religioso, per cui è chiamato «il falso profeta» (Apocalisse 16:13; 19:20; 20:10).
Nel Nuovo Testamento è chiamato «l’Anticristo» (1 Giovanni 2:18-22; 4:3 e 2 Giovanni vers. 7). Un’altra grande profezia riguardante la stessa persona la troviamo in 2 Tessalonicesi 2, dove è chiamato «l’uomo del peccato» e «il figlio della perdizione» (v. 3). La Chiesa primitiva già sapeva, secondo l’insegnamento delle Scritture, che questo malvagio personaggio sarebbe stato in realtà un uomo giudeo, rinforzato dalla potenza di Satana. Solo più tardi, travisando le Scritture, gli uomini hanno inventato che l’Anticristo sarà il papato o qualche cosa d’altro.
A questo punto, probabilmente, un problema sorge per il lettore, in quanto il passo di Daniele si riferisce esclusivamente al popolo Giudeo, in mezzo al quale sorgerà questo re malvagio e superbo che compirà opere tremende nella terra della Palestina. Come si spiega allora che esso diventerà anche l’ingannatore della cristianità? Cosa avrà a che fare con la cristianità che non è giudea, se egli sarà il falso Messia, il re dei Giudei? La risposta è semplicissima. Verso il tempo della fine vi sarà una generale e terribile apostasia da Dio e dalla Sua Parola, tanto fra i Giudei quanto fra i cristiani. Prima che questo avvenga nella sua pienezza, la vera Chiesa, composta dai veri cristiani, da tutti coloro che appartengono al Signore poiché l’hanno ricevuto come loro Salvatore, sarà tolta dalla terra, mentre le masse di quelli che sono cristiani solo di nome, e che non sono salvati, rimarrà per subire i giudizi di Dio. Allora l’apostasia giudaica e quella cristiana si uniranno insieme e avranno per centro quel personaggio che, per le masse apostate giudaiche, sarà il falso re e il falso Messia, e per le masse cristiane apostate sarà l’Anticristo. Già oggi vediamo i Giudei «riformati» e i cristiani «liberali», fautori della «Nuova Teologia», fare causa comune e unirsi in ciò che essi osano chiamare «culto». Certo, è un culto, ma non quello vero; è il culto di Caino. L’intera massa apostata dell’umanità, tanto di Giudei che di Gentili, accetterà questo seduttore terribile. Ad eccezione del residuo fedele, i Giudei lo acclameranno come loro re-messia, mentre i cristiani di nome, quelli che «non hanno aperto il cuore all’amore della verità», saranno vittime delle «opere potenti, di segni e di prodigi bugiardi» che quest’«uomo del peccato» farà a loro danno (2 Tessalonicesi 2:9-12).
Breve analisi della persona, del carattere e dell’opera dell’Anticristo
Ora tracceremo in breve un ritratto di quest’empio, secondo quanto la Parola di Dio ci suggerisce. Abbiamo letto che «il re agirà a suo piacimento» (11:36), cioè nella più aperta ribellione; procederà come «uomo del peccato», manifestando in ogni cosa la sua opposizione a Dio, lasciando che il peccato operi in lui fino alle sue più estreme conseguenze. In 1 Timoteo 3:6 leggiamo che il crimine del diavolo è l’orgoglio: questo re futuro sarà l’uomo in cui Satana manifesterà il suo abominevole carattere e permetterà che esso si sviluppi fino a un livello di diabolica perfezione.
La prima manifestazione sarà l’esaltazione di sé, poi, nella sua caparbietà, si innalzerà contro Dio stesso. In questa esaltazione di se stesso contro Dio egli prospererà «nell’ultimo tempo dell’indignazione» (Daniele 8:19), cioè fino alla venuta del Signore, il quale lo «distruggerà col soffio della sua bocca, e annienterà con l’apparizione della sua venuta» (2 Tessalonicesi 2:8). Sarebbe bene consultare il capitolo di 2 Tessalonicesi citato, dove, parlando dell’uomo di peccato, di questo re empio, è scritto che «s’innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio fino al punto di porsi a sedere nel tempio di Dio mostrando se stesso e dicendo ch’egli è Dio».
Poiché si parla del tempio, molti hanno pensato che quel tempio sia la Chiesa e di conseguenza sostengono che questo re sia il papato. Ma il tempio è quello dei Giudei in Gerusalemme, che attualmente non esiste ma che durante gli ultimi sette anni, l’ultima settimana profetica, i Giudei ricostruiranno grazie ad un patto stretto col capo dell’Impero Romano risorto.
Alla metà di questa settimana l’Anticristo verrà e si siederà in quel tempio e pretenderà adorazione e onori divini. Allora Satana opererà per mezzo di questo orgoglioso re e falso profeta, il quale farà opere prodigiose «sino a far scendere fuoco dal cielo in presenza degli uomini» (Apocalisse 13:13-14), seducendo e ingannando quelli che abitano sulla terra, particolarmente i Giudei apostati che crederanno alla menzogna e che, poco tempo dopo, subiranno il giudizio che è preparato per loro, quando il vero Re apparirà sulle nuvole del cielo.
L’Anticristo «non avrà riguardo al Dio dei suoi padri». In questo si vede chiaramente la sua discendenza ebraica. «il Dio dei suoi padri» (traduzione letterale) è una frase giudaica; inoltre, per poter pretendere di essere il re-messia, dovrà essere un Giudeo, poiché se così non fosse i Giudei non lo accetterebbero come tale. È comunque molto più interessante la dichiarazione che «non avrà riguardo alla divinità favorita (lett. oggetto del desiderio) delle donne». Ciò si riferisce al Signore Gesù Cristo, perché le pie donne giudee nei tempi pre-messianici avevano il grande desiderio ed agognavano di essere madri, in vista di Colui che è la progenie della donna e che Dio aveva promesso. La Sua nascita era il grande desiderio e la grande ambizione di queste sante madri d’Israele. Ma questo re odierà Dio e odierà il Suo benedetto Figlio, il nostro Signore Gesù Cristo. «Chi è il bugiardo se non colui che nega che Gesù è il Cristo? Esso è l’anticristo, che nega il Padre e il Figlio» (1 Giovanni 2:22).
Il versetto 38 del capitolo che stiamo esaminando ci parla di un altro ch’egli adorerà. È strano che così pochi commentatori abbiano connesso questo versetto con ciò che è scritto dell’Anticristo nel capitolo 13:11-17 dell’Apocalisse. Colui ch’egli onorerà non è altro che la prima bestia, ovvero il piccolo corno. Entrambi opereranno in pieno accordo e l’Anticristo si farà un’immagine della prima bestia, che forse sarà d’oro e d’argento, di gemme e pietre preziose, e di cui è parlato nel versetto 38. Quell’immagine sarà adorata e chiunque si rifiuterà di adorarla sarà ucciso. Allora, la grande tribolazione colpirà la città e il paese coi suoi orrori satanici. A sua volta, il capo dell’Impero Romano, il piccolo corno, commetterà analoghe atrocità nel suo dominio sulle nazioni.
Vi è un’altra dichiarazione da spiegare: «Colmerà di onori quelli che lo riconosceranno… spartirà fra loro delle terre come ricompensa» (v. 39). In questo imiterà il vero Cristo, anticipando ciò che farà il vero Re dei Re quando verrà (imitare è il modo d’agire di Satana). Alla venuta del Signore, il Suo popolo fedele riceverà la ricompensa e questo non è solo l’insegnamento del Nuovo Testamento ma anche dell’Antico: «Ecco, il suo salario è con Lui» (Isaia 40:10); «Dite alla figlia di Sion: “Ecco la tua salvezza giunge; ecco egli ha con sé il suo salario, la sua retribuzione lo precede”» (Isaia 62:11).
Potremmo continuare a citare dei passi, ma riteniamo che bastino questi. Quando il vero Re d’Israele, il Signore Gesù Cristo, apparirà, darà gloria alla sua terra e al residuo fedele del popolo; darà loro dominio sopra molti e spartirà fra loro il paese. Qui parliamo esclusivamente del residuo fedele d’Israele, poiché, come sappiamo, la Chiesa ha la sua ricompensa al di sopra della terra.
Quando la contraffazione di Satana, questo falso Messia, l’Anticristo, si troverà nel paese, egli cercherà d’imitare con tali ricompense ciò che farà alla Sua venuta il vero Messia, il Re dei re. A quelli che lo riconosceranno e gli saranno fedeli, egli darà gloria terrena e signoria, e spartirà loro la terra come ricompensa; ma questo durerà poco tempo: il re del settentrione invaderà la Palestina e contrasterà le opere dell’Anticristo. E alla fine apparirà Cristo, il Re costituito da Dio, il quale si siederà sul trono sul monte di Sion.
Perché l’Anticristo è citato una volta soltanto in Daniele?
Se questo falso re sarà tanto potente in Gerusalemme, come mai non abbiamo che una sola descrizione di lui nelle profezie di Daniele? La posizione di questo re caparbio in relazione coi Giudei ha fatto sì che molti lo confondessero con Antioco Epifane. Ma vi è una buona ragione per cui questo re, l’Anticristo, sia menzionato una volta sola e alla fine del libro di Daniele: è che la profezia di Daniele si occupa principalmente dei tempi delle nazioni e di come termineranno. Di conseguenza, i nemici stranieri del popolo giudeo occupano un posto preminente; come abbiamo visto, «il capo che verrà» del mondo romano ed il «re del settentrione» non sono Giudei. L’Anticristo che sorgerà fra i Giudei è ricordato per ultimo.
Alcune considerazioni pratiche
Possiamo ben dire che ci avviciniamo rapidamente agli avvenimenti di cui ci siamo occupati. Già vediamo l’ombra d’entrambi, tanto quella del «capo che verrà» (la prima bestia), quanto quella dell’Anticristo. Le nazioni non giudaiche attendono un grande conduttore politico. Nel campo religioso gli apostati del giudaesimo e della cristianità sono moralmente già pronti a ricevere il loro uomo tanto desiderato, e seguirlo.
Come la Parola di Dio è applicabile ai nostri giorni! «Ragazzi, è l’ultima ora. Come avete udito, l’anticristo deve venire, e di fatto già ora sono sorti molti anticristi. Da ciò conosciamo che è l’ultima ora» (1 Giovanni. 2:18). Già al tempo dell’apostolo Giovanni vi erano molti anticristi. Il grande movimento gnostico, con le sue negazioni intellettuali e filosofiche sulla persona e l’opera di Cristo, e altri movimenti andavano già molestando la chiesa. Ma col passar del tempo tutto si è aggravato, e oggi più che mai vi sono molti anticristi; perciò comprendiamo che l’Anticristo non è lontano. Mai come oggi gli elementi anticristiani si sono uniti in sistemi e in propagande, che guadagnano sempre maggior forza col passare del tempo. L’«Ipercritica» è anticristiana, e può benissimo chiamarsi l’elemento precursore di tutti gli insegnamenti anticristiani.
Ai molti anticristi dei nostri giorni appartiene la così detta «scienza cristiana» che non è altro che una rinascita più sottile dello gnosticismo dei tempi di Giovanni: «l’Aurora del Millennio» che è la potenza rivelata dei demoni, la «Nuova Teologia» che è l’Evangelo senza Cristo e senza il suo sangue. Poi vengono il «movimento Teosofico», il «Baaismo», il «Mormonismo», il «Giudaesimo Riformato», il «Nuovo Pensiero» e molte altre aberrazioni dello stesso stile.
Naturalmente, la «Chiesa Romana», «madre delle meretrici e delle abominazioni della terra» (Apocalisse 17), occupa il primo posto, e fra poco occuperà un posto di ancor più grande importanza negli affari religiosi della cristianità che sta precipitando verso la sua apostasia finale. Questi sistemi sono i precursori e gli araldi della persona dell’Anticristo della fine, il quale non può essere tanto lontano.
Amati lettori, mentre Satana sta riunendo le sue forze e sta preparando il materiale per il conflitto finale, noi come popolo di Dio dobbiamo mantenerci separati da queste cose perverse e stare molto stretti al nostro benedetto Signore e Salvatore Gesù Cristo.
L’appello che Dio ci rivolge oggi è di una separazione completa «da ogni contaminazione di carne e di spirito» (2 Corinzi 7:1). Che il Signore aiuti tutti quelli che nominano il Suo Santo nome a vivere separati da ogni forma di anticristianesimo. Anche noi ci troviamo schierati contro Cristo se non assumiamo una posizione netta per Lui, dandogli il primo posto in ogni cosa.
I conflitti nel tempo della fine
La frase «il tempo della fine» appare ancora una volta. I versetti che seguono la descrizione dell’Anticristo, trattano dei conflitti che avverranno in Palestina durante la seconda metà della settantesima settimana e che termineranno con la venuta del vero Re:
«Al tempo della fine, il re del mezzogiorno si scontrerà con lui; il re del settentrione gli piomberà addosso come la tempesta, con carri e cavalieri e con molte navi; entrerà nei paesi invadendoli e passerà oltre. Entrerà pure nel paese splendido e molti soccomberanno; ma Edom, Moab e la parte principale dei figli di Ammon scamperanno dalle sue mani. Egli stenderà la mano anche su diversi paesi, neppure l’Egitto scamperà. S’impadronirà dei tesori d’oro e d’argento e di tutte le cose preziose dell’Egitto. I Libi e gli Etiopi saranno al suo sèguito. Ma notizie dall’oriente e dal settentrione lo spaventeranno ed egli partirà con gran furore, per distruggere e disperdere molti. Pianterà la tenda reale fra il mare e il bel monte santo; poi giungerà alla sua fine e nessuno gli darà aiuto» (11:40-45).
Nel versetto 39 leggiamo che l’Anticristo agendo come falso re, spartirà il paese, cioè la terra d’Emmanuele, fra i suoi sudditi. In quel tempo due re verranno contro di lui, il re del Mezzogiorno e i re del Settentrione, i quali appariranno allora sulla scena.
Il re del mezzogiorno sarà uno che sorge dall’Egitto, e commetteremmo un grave errore se abbandonassimo l’esposizione della profezia per metterci a indovinare chi sarà questo re. Non sono pochi quelli che invece di «spiegare» le rivelazioni profetiche hanno usurpato il posto di profeti, e ciò è degenerato in supposizioni originali che hanno danneggiato lo studio della Parola di Dio. Il re del mezzogiorno non avrà tanto successo nelle sue operazioni.
Personaggio preminente è il suo antagonista, il re del settentrione. Questi, come abbiamo già visto, è il «re dall’aspetto feroce, ed esperto in intrighi» (8:23), rappresentato da Antioco Epifane, ossia il piccolo corno del capitolo 8, l’Assiro del tempo della fine. Egli è provocato da ciò che l’Anticristo fa nel paese. Viene perciò «come la tempesta, con carri e cavalieri e con molte navi» (11:40).
La descrizione del suo poderoso esercito, la sua marcia ordinata, e la sua opera devastatrice, tutto è particolareggiatamente descritto nel capitolo 2 di Gioele. «Entrerà pure nel paese splendido» (11:41), verrà cioè contro Gerusalemme e conquisterà anche altri paesi. Scamperanno soltanto Edom, Moab e i figliuoli di Ammon, ma Isaia ci fa vedere che Israele metterà le mani sopra i paesi risparmiati dal re del settentrione e li sottometterà (Isaia 11:14).
Spesso si obietta che questi paesi non sono più fiorenti. Nondimeno i loro territori esistono ancora e delle popolazioni vivono in essi. Nel tempo della fine tutti questi paesi appariranno di nuovo importanti (*). L’Egitto sarà pure invaso dall’Assiro, il quale si impadronirà di tutti i tesori d’oro e d’argento e di tutte le cose preziose di questo popolo, e ci è riferito che i Libi e gli Etiopi saranno al suo seguito. Mentre questo re sta compiendo nel mezzogiorno la sua opera di conquista e di saccheggio, gli giungeranno certe notizie dell’oriente e dal settentrione che lo turberanno. Il contenuto di queste notizie non ci è rivelato, per cui non è il caso di fare congetture.
Una cosa è certa: che queste notizie hanno a che vedere col popolo Giudeo e con gli avvenimenti di quel paese. Con gran furore egli partirà alla volta della Palestina col proposito di distruggere e di sterminare, e giuntovi «pianterà la tenda reale fra il mare e il bel monte santo; poi giungerà alla sua fine e nessuno gli darà aiuto» (v. 44-45). Allora il Signore combatterà contro di lui e contro le nazioni a lui alleate come combatté «tante volte nel giorno della battaglia» (Zaccaria 14:3). Sarà un intervento visibile e personale del Signore Gesù stesso, quando «in quel giorno i suoi piedi si poseranno sul monte degli Ulivi» (Zaccaria 14:4). In tale maniera il re del settentrione, l’Assiro della fine, «sarà infranto senza intervento umano» (Daniele 8:25) finché «la completa distruzione, che è decretata, non piombi sul devastatore» (Daniele 9:27).
La sconfitta dell’antico Assiro, di Sennacherib e del suo esercito di 185.000 uomini, non è quindi che una pallida immagine della fine spaventosa dell’ultimo re del settentrione. Vi sarà un’immane carneficina e, per avere un’idea di quell’immensa e terribile sconfitta, dobbiamo leggere Zaccaria 14:12-15 e Ezechiele i capitoli 38 e 39. Allora il residuo fedele d’Israele parteciperà a quella vittoria e «le ricchezze di tutte le nazioni circostanti saranno ammassate: oro, argento, vesti in grande abbondanza» (Zaccaria 14:14).
Si potrebbero riempire pagine e pagine d’altri passi delle Scritture e della loro spiegazione riguardante questo conflitto finale e ciò che avverrà al potere dell’Occidente.
Ma una cosa potremo domandarci: mentre il re del Settentrione ed i suoi eserciti saranno oggetti di una distruzione completa da parte del Signore stesso, che cosa avverrà dell’Anticristo che si trova in Gerusalemme? Il re del Settentrione non potrà trattare con lui; sarà il Signore Gesù in persona che avrà a che fare con quest’empio «che il Signor Gesù distruggerà col soffio della sua bocca, e annienterà con l’apparizione della sua venuta» (2 Tessalonicesi 2:8). In tal modo si concluderà il grande conflitto del tempo della fine, e la dimora eterna degli strumenti satanici del tempo della fine (la “bestia” o «il capo che verrà»; l’Anticristo e il re del settentrione) sarà «lo stagno di fuoco e di zolfo». Oh! come noi dobbiamo inchinarci e lodare Dio che nella Sua infinita grazia ci ha strappati da una così terribile morte, dalla separazione eterna da Dio che è «la morte seconda» (Apocalisse 20:14).
Capitolo 12
Fine della profezia.
La grande tribolazione e la liberazione d’Israele.
Epilogo.
Dalle prime parole del capitolo 12 di Daniele si vede benissimo che il soggetto di questo capitolo è strettamente legato agli avvenimenti che poco prima abbiamo meditato studiando gli ultimi versetti del capitolo 11. «In quel tempo». Quale tempo? Il tempo in cui l’Anticristo signoreggerà sui Giudei e commetterà i suoi atti malvagi in Gerusalemme e il tempo in cui il re del settentrione sarà entrato «nel paese splendido» (11:41).
Il tempo di distretta e la liberazione d’Israele
Questo è il tema dei versetti 1 a 3:
«In quel tempo sorgerà Michele, il grande capo, il difensore dei figli del tuo popolo; vi sarà un tempo di angoscia, come non ce ne fu mai da quando sorsero le nazioni fino a quel tempo; e in quel tempo, il tuo popolo sarà salvato; cioè, tutti quelli che saranno trovati iscritti nel libro. Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno; gli uni per la vita eterna, gli altri per la vergogna e per una eterna infamia. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento e quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno».
Si presentano dunque alla nostra meditazione importanti verità profetiche. Come già detto, questo capitolo si riferisce completamente al tempo della fine, ossia agli ultimi tre anni e mezzo. Qui siamo informati che questo tempo sarà, per il popolo di Daniele, «un tempo di angoscia, come non ce ne fu mai da quando sorsero le nazioni fino a quel tempo; e in quel tempo» (v. 1).
E questa dichiarazione è ripetuta dal Signore in Matteo 24, nella parte del sermone del Monte degli Ulivi che si riferisce al popolo giudeo e che contiene la sua profezia riguardante la settantesima settimana. In quell’occasione il Signore disse: «Perché allora vi sarà una grande tribolazione, quale non v’è stata dal principio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà» (Matteo 24:21).
Nel versetto 15 dello stesso capitolo di Matteo, il Signore menziona Daniele e «l’abominazione della desolazione», abominazione che secondo le parole del nostro Signore, introdurrà il tempo di angoscia e di distretta che è la grande tribolazione. Che meravigliosa armonia si vede in tutto questo! E ancora più significativo è che quest’abominazione è ricordata in Daniele 12:11.
Ora, vi sono molti che sostengono che ciò che disse il Signore in Matteo 24 si riferisce esclusivamente a ciò che accadde a Gerusalemme nell’anno 70 d. C. In realtà questa è l’interpretazione che si dà generalmente al sermone del Signore, ma tale interpretazione viene contraddetta dal capitolo 12 di Daniele. Come vedremo, la liberazione del popolo di Daniele e la sua restaurazione sono associati al tempo d’angoscia e di distretta. Allora chiediamoci: i Giudei nell’anno 70, quando i Romani presero la città, furono forse liberati e restaurati come popolo? No; come abbiamo visto nel capitolo 11, la città e il santuario vennero distrutti e la nazione stessa dispersa fra tutti i paesi della terra. Oltre a ciò, vi è un’altra interpretazione errata: cioè che la vera Chiesa, composta da tutti i credenti salvati, sarà sulla terra durante quel tempo d’angoscia; così si include la Chiesa nella lettura del capitolo 24 di Matteo. Ma il tempo d’angoscia non è per la Chiesa, bensì per il popolo di Daniele! Quando avrà inizio la settantesima settimana profetica la vera Chiesa avrà già lasciato la terra.
Michele, il gran capo, il difensore dei figliuoli del popolo giudeo, è qui ricordato di nuovo. Egli apparirà e avrà una parte molto importante negli eventi che avranno luogo in quel tempo. Nell’Apocalisse (cap. 12:7) vediamo che vi sarà un conflitto in cielo, cioè nei luoghi celesti, dove Satana ha ora il suo dominio come “principe della potenza dell’aria” (Efesini 2:2). Michele, aiutato dai suoi angeli, combatterà contro il dragone, che è il Diavolo, e contro i suoi angeli e li vincerà costringendoli a scendere sulla terra. Quando Satana e suoi angeli, saranno cacciati sulla terra, avrà inizio la grande tribolazione (Apo. 12:12). Allora Michele parteciperà attivamente alla liberazione completa del popolo di Daniele. Non ci è però rivelato nulla di ciò che farà.
La liberazione di cui leggiamo in quei versetti, e il risveglio di quelli «che dormono nella polvere della terra» (v. 2), sono stati pure malamente interpretati. Molti studiosi, essendo incorsi nel grave errore di non applicare tutto questo esclusivamente ai Giudei nella loro storia futura nel paese di Canaan, hanno introdotto anche qui la Chiesa e pretendono anche che la risurrezione di cui è parlato sia quella del giudizio universale! Ma ora vedremo ciò che significa la liberazione del popolo di Daniele.
«In quel tempo, il tuo popolo sarà salvato; cioè, tutti quelli che saranno trovati iscritti nel libro» (vers. 1).
Il popolo di Daniele è l’oggetto di quella liberazione in quel tempo d’angoscia; nondimeno, vi è un ulteriore ragguaglio descrittivo: non «tutto» il popolo di Daniele, ma soltanto «quelli che saranno trovati iscritti nel libro», cioè i pii Giudei, il residuo fedele del tempo della fine al quale il Signore manderà il suo soccorso in modo che siano salvati da quel tempo di distretta; per loro quei giorni saranno abbreviati: «Se quei giorni non fossero stati abbreviati, nessuno scamperebbe; ma, a motivo degli eletti, (gli eletti non della Chiesa, ma del residuo giudaico) quei giorni saranno abbreviati» (Matteo 24:22).
La loro liberazione sarà una liberazione dalle terribili condizioni del tempo della fine; e poiché saranno stati fedeli «fino alla fine» (Matteo 24:13) entreranno nel regno millenario che allora sarà stabilito. La gran massa dei Giudei sarà colpita dai giudizi e sterminata, come vediamo in altre parti delle Scritture: « “In tutto il paese avverrà”, dice il SIGNORE, “che i due terzi saranno sterminati, periranno, ma l’altro terzo sarà lasciato”» (Zaccaria 13:8). Quelli dell’«altro terzo» attraverseranno i terribili giudizi, ossia il tempo d’angoscia o distretta, e alla fine il Signore, il Re, dirà loro: «”È il mio popolo!”, ed esso dirà: “Il SIGNORE è il mio Dio!”» (Zaccaria 13:9).
La dottrina fondata sull’erronea interpretazione della frase che dice: «Tutto Israele sarà salvato» (Romani 11:26), e che insegna non solo la salvezza dei Giudei empi e malvagi di tutte le generazioni, ma anche di quelli che si uniranno all’Anticristo, viene chiaramente contraddetta da questo passo citato e da tanti altri simili. Non è la risurrezione fisica quella che è insegnata nel v. 2 di questo capitolo perché, se così fosse, questo passo sarebbe in aperta contraddizione con la rivelazione del Nuovo Testamento, riguardo alla risurrezione. Non vi è per nulla una risurrezione universale, ma vi sarà la prima risurrezione, alla quale solo i giusti parteciperanno, e la seconda risurrezione, cioè il risorgere di tutti gli empi per il loro eterno e consapevole castigo. E fra le due risurrezioni vi è un intervallo di mille anni (Apocalisse 20), che è il regno di Cristo.
Ripetiamo che questo passo non ha nulla a che fare con la risurrezione fisica. La risurrezione fisica è qui usata come figura della rinascita nazionale d’Israele; fino a quel giorno Israele ha dormito, come nazione, nella polvere della terra, sepolto fra le altre nazioni. Ma in quel tempo avverrà la sua restaurazione nazionale, quando «le ossa» di Giuda e d’Israele saranno riunite. È ciò che esprime la figura usata da Ezechiele nella vivificazione delle ossa secche di cui parla il cap. 37. Di questa vivificazione si servono continuamente quelli che hanno inventato la teoria della “seconda opportunità” e della “larga speranza” per quelli che sono morti nell’empietà. Ma chiunque può vedere che ciò non riguarda le nazioni, ma il popolo Giudeo, e che non è una risurrezione corporale, ma un ripristino ed una restaurazione nazionale di quel popolo. Non le loro “tombe”, prese alla lettera (Ezechiele 37:12), saranno aperte, ma i loro sepolcri nazionali, e il Signore li raccoglierà da tutti i paesi dove vivono dispersi. La grande massa dei Giudei che avranno rifiutato la fede in Dio e nella Sua Parola, che avranno accettato «l’uomo del peccato», l’Anticristo, affronteranno una infamia eterna che rimarrà su di loro; ma il residuo fedele entrerà in pieno possesso di tutte le promesse, ed erediterà «il regno… preparato (per loro) fin dalla fondazione del mondo» (Matteo 2:34). E oltre a godere delle benedizioni terrene, possederanno la vita eterna, perché sono nati di nuovo.
I savi dei quali è parlato al versetto terzo e quelli che ne avranno condotti molti alla giustizia, riceveranno allora la ricompensa. Questi sono i testimoni, gli araldi giudei, i dottori (in Ebraico «Maschillim»), che lo Spirito di Dio illuminerà nel tempo della fine e che renderanno grande servizio nel testimoniare della verità, probabilmente la verità riguardo agli eventi di quel momento, e nell’esortare al ravvedimento e a vivere secondo giustizia. Di loro è parlato altrove nella Scrittura profetica; come speciale ricompensa, verranno date loro cariche onorevoli nel Regno di mille anni, come anche è indicato nelle parole: «risplenderanno come le stelle in eterno» (Daniele 12:3).
La ricompensa dei santi che compongono la Chiesa, di quelli che attualmente testimoniano della verità riguardante la grande misericordia di Dio e ne rivelano tutti i consigli ad essa inerenti (Efesini 3:2-12), non è quella di cui si parla qui. Una cosa sappiamo: che la ricompensa che noi avremo nella «Gerusalemme celeste», allorquando abiteremo nella Casa del Padre, sarà di gran lunga superiore a quella del Regno terreno. Questo dovrebbe stimolarci tutti ad essere più fedeli e più affezionati al Signore Gesù, il quale è pronto a ritornare dal cielo per prenderci con Sé nella gloria (Giovanni 14:1-3)!
Ordine a Daniele
Dopo questa profezia concernente il tempo della fine, dopo la descrizione della grande tribolazione, della restaurazione nazionale, del giudizio degli apostati e delle benedizioni per il residuo fedele della nazione, qualcuno parla all’uomo «molto amato»: «Tu, Daniele, tieni nascoste queste parole e sigilla il libro sino al tempo della fine. Molti lo studieranno con cura e la conoscenza aumenterà» (vers. 4).
Sigillare il libro significa che quella profezia doveva restare un libro chiuso per il tempo in cui viveva Daniele. Che contrasto sorprendente con la rivelazione del Nuovo Testamento, l’Apocalisse, dove lo scrittore Giovanni ricevette l’ordine di «non sigillare le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino» (cap. 22:10).
A Daniele molto rimaneva oscuro riguardo alle profezie ricevute; il suo libro doveva essere sigillato. Ma nel Nuovo Testamento non vi è niente di sigillato o di oscuro.
Lo Spirito Santo è venuto e noi abbiamo in mano una rivelazione completa. Il grande libro profetico del Nuovo Testamento, «la rivelazione di Gesù Cristo», l’Apocalisse, è stato dato «per mostrare ai Suoi servi le cose che devono avvenire fra breve» Apocalisse (1:1), e per mezzo del sublime messaggio in esso contenuto possiamo apprezzare che Dio, nella Sua grazia infinita, ci ha permesso di capire qualcosa delle visioni e delle profezie di Daniele riguardo al tempo della fine. Spesso udiamo persone che dicono che non vale la pena leggere l’Apocalisse o il libro di Daniele, poiché per loro sono libri sigillati. Anche alcuni predicatori e dottori cristiani sono di questo parere, e lo confessano pubblicamente. Ma non dobbiamo essere né ignoranti né pigri nella lettura delle cose che Dio ci ha dato e che vuole rivelare ai nostri cuori.
Con tutto ciò, per il popolo d’Israele incredulo questo libro è tuttora sigillato, mentre per noi Cristiani, che possediamo lo Spirito Santo, è un libro aperto. Quando giungerà il tempo della fine, «i savi» di quel popolo vedranno e intenderanno anch’essi ogni cosa. Quello sarà il tempo in cui «molti lo studieranno con cura e la conoscenza aumenterà».
Daniele vede degli angeli. L’Uomo vestito di panni lini. La domanda di Daniele
Ci avviciniamo alla fine del libro di Daniele. Ciò che trascriviamo è l’epilogo:
«Poi io, Daniele, guardai, ed ecco altri due uomini in piedi: l’uno su questa sponda del fiume e l’altro sulla sponda opposta. Uno di essi disse all’uomo vestito di lino che stava sulle acque del fiume: “Quando sarà la fine di queste cose straordinarie?” Udii l’uomo vestito di lino, che stava sopra le acque del fiume. Egli alzò la mano destra e la mano sinistra al cielo e giurò per colui che vive in eterno dicendo: “Questo durerà un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo; e quando la forza del popolo santo sarà interamente spezzata, allora tutte queste cose si compiranno”. Io udii, ma non compresi e dissi: “Mio signore, quale sarà la fine di queste cose?” Egli rispose: “Va’ Daniele; perché queste parole sono nascoste e sigillate sino al tempo della fine. Molti saranno purificati, imbiancati, affinati; ma gli empi agiranno empiamente e nessuno degli empi capirà, ma capiranno i saggi» (12:5-10).
Non entreremo nella descrizione minuziosa di queste parole. Il fiume è lo stesso di quello del cap. 10, il fiume Tigri dove si vedono due angeli e l’uomo vestito di panni lini. Non c’è dubbio alcuno che l’uomo vestito di panni lini sia lo stesso che apparve a Daniele al principio di questa grande visione finale (10:5). Egli è il Signore stesso, e a Lui uno degli angeli rivolge una domanda, dicendo: «Quando sarà la fine di queste meraviglie?» in altre parole: «quanto durerà il tempo d’angoscia, di distretta?».
Possiamo qui citare Apocalisse capitolo 10:1-6:
«Poi vidi un altro angelo potente che scendeva dal cielo, avvolto in una nube; sopra il suo capo vi era l’arcobaleno; la sua faccia era come il sole e i suoi piedi erano come colonne di fuoco. Egli aveva in mano un libretto aperto e posò il suo piede destro sul mare e il sinistro sulla terra; poi gridò a gran voce, come un leone ruggente; e quand’ebbe gridato, i sette tuoni fecero udire le loro voci. Quando i sette tuoni ebbero fatto udire le loro voci, io stavo per mettermi a scrivere, ma udii una voce dal cielo che mi disse: “Sigilla le cose che i sette tuoni hanno dette, non le scrivere”. Allora l’angelo che avevo visto con un piede sul mare e un piede sulla terra, alzò la mano destra verso il cielo e giurò per colui che vive nei secoli dei secoli, il quale ha creato il cielo e le cose che sono in esso, e la terra e le cose che sono in essa, e il mare e le cose che sono in esso, dicendo che non ci sarebbe stato più indugio».
In questo brano dell’Apocalisse abbiamo la stessa persona sotto l’aspetto di un angelo possente. La descrizione che qui è fatta di lui non corrisponde a nessun altro se non al Signore Gesù. Egli risponde alla richiesta di Daniele dicendo che quelle cose dureranno «un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo», cioè 42 mesi (un anno + due anni + mezzo anno), che è il periodo della «grande tribolazione», durante il quale il piccolo corno (il capo dell’Impero Romano, la bestia che sale dal mare. Vedere Daniele 7:25) e l’Anticristo (la bestia che sale dalla terra), sotto il potere di Satana, domineranno, e il re del Settentrione invaderà la terra d’Israele.
La durata di questa grande distretta è ancora una volta precisata e, quando essa avrà fine, terminerà anche la parte nefasta che avrà, in quest’opera, il piccolo corno. Daniele dopo aver udite queste cose dovette aggiungere: «E io udii, ma non compresi», benché fosse stato testimone oculare e fosse tanto vicino al Signore. Di nuovo, tutto gli era misterioso.
Quale privilegio abbiamo noi rispetto a Daniele! Quanto è maggiore il favore che abbiamo noi nel possedere non solo la Parola di Dio nella sua pienezza, ma anche lo Spirito Santo che abita dentro di noi, il quale ci «guida in tutta la verità… e ci annuncia le cose a venire» (Giovanni 16:13)!
Poi Daniele si rivolge al suo Signore e dice: «Signor mio, qual sarà la fine di queste cose?»; e il profeta tanto favorito, l’uomo grandemente amato, ode una parola d’amore da parte del suo Signore: «Va’, Daniele; poiché queste parole son nascoste e sigillate sino al tempo della fine». Il v. 10 si applica al tempo della fine e non ai nostri tempi. Come abbiamo già visto, il popolo di Daniele sarà diviso in due classi: i credenti e fedeli che saranno purificati, imbiancati e affinati passando attraverso la fornace ardente della grande tribolazione, e la massa incredula che opererà empiamente e sarà accecata. Condizioni simili si verificano nella cristianità. Voglia Dio che tutti quelli che sono Suoi abbiano un sano intendimento. Purtroppo, la maggioranza dei cristiani è accecata dal dio di questo mondo, e non comprende le cose di Dio.
La fine di queste cose. I 1290 e i 1335 giorni
Daniele ricevette una risposta affettuosa dal Signore il quale rispose alla sua richiesta: «Dal momento in cui sarà abolito il sacrificio quotidiano e sarà rizzata l’abominazione della desolazione, passeranno milleduecentonovanta giorni. Beato chi aspetta e giunge a milletrecentotrentacinque giorni!» (12:11-12) (*).
Qual è il significato di questi 1290 giorni e 1335 giorni? Si tratta di «giorni» effettivi e non di anni. Chi ci autorizza a fare di questi giorni degli anni? Ora, la grande tribolazione durerà 1260 giorni; qui vediamo che vi sono aggiunti 30 giorni, ossia un mese intero.
Il Signore apparirà sul finire della grande tribolazione di 1260 giorni, ossia tre anni e mezzo, e Matteo 24:29-31 ci insegna questo. Il mese in più sarà necessario forse per rendere possibili certi avvenimenti che riguardano il giudizio, specialmente per abbattere le nazioni venute contro a Gerusalemme e completare il giudizio delle nazioni descritte in Matteo 25:31. Tutto ciò non possiamo darlo per certo. Però è del tutto sicuro che 1335 giorni dopo che l’abominazione dell’Anticristo sarà stata eretta nel tempio in Gerusalemme, cioè 75 giorni (due mesi e mezzo) dopo il tempo della gran tribolazione, ci saranno la piena benedizione d’Israele e l’instaurazione del governo glorioso del Re d’Israele; il Signore Gesù Cristo, un tempo rigettato, ritornerà perché sta scritto: «Beato chi aspetta e giunge a milletrecentotrentacinque giorni!» (vers. 12). Fino a questo punto ogni commentatore può giungere senza pericolo, e qui dunque ci fermiamo anche noi nel nostro studio.
Cosa avvenne a Daniele, l’«uomo molto amato», il servitore fedele e leale verso il suo Dio, il Daniele perseverante, il veggente delle più grandi visioni, simili alle grandi visioni del discepolo che Gesù amava? «Tu avviati verso la fine; tu ti riposerai e poi ti rialzerai per ricevere la tua parte di eredità alla fine dei tempi» (vers. 13).
Parole benedette! Egli è già entrato nel riposo, nel riposo che i santi del Signore godono nella Sua santa presenza. Nel giorno glorioso, che può giungere improvviso, in cui «il Signore stesso, con un ordine, con voce d’arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo, e prima risusciteranno i morti in Cristo», Daniele parteciperà a quella gloria futura, parte di tutti i riscattati dal sangue di Cristo. Quanto meraviglioso sarà quel momento per Daniele, quando i santi di tutti i tempi, risuscitati o tramutati, se saranno ancora viventi, andranno ad incontrare il Signore nell’aria! «E così saremo sempre col Signore» (1 Tessalonicesi 4:16).
Il nostro compito è finito. Umilmente collochiamo questo studio breve ed imperfetto sul libro di Daniele ai piedi del nostro benedetto e misericordioso Signore, affinché Egli si compiaccia di rendere utile quanto abbiamo scritto, confidando nella Sua grazia, per dare animo ai Suoi che gli appartengono, mentre Lo aspettiamo dal cielo. Il tempo è vicino. Non vi è mai stato tanto bisogno, come ai nostri tempi, di studiare le meravigliose profezie di Daniele e del libro corrispondente a questo, cioè l’Apocalisse.
Voglia Dio che tutti i Suoi redenti camminino nell’intima comunione col Signore e manifestino, con la loro vita, la grazia del Signore Gesù Cristo.
Appendice
L’autenticità del libro di Daniele
Ecco gli argomenti principali che mostrano l’autenticità del libro.
1°. Il Nuovo Testamento dà una testimonianza incontestabile all’esistenza e all’autorità del libro. Cristo stesso fa riferimento ad esso (Matteo 24:15) e in base all’espressione contenuta in Daniele 7:13 Egli si attribuisce il titolo di Figlio dell’uomo; anche gli apostoli vi fanno ricorso come ad una autorità, come alla Parola di Dio (1 Corinzi 6:2, 2 Tessalonicesi 2:3; Ebrei 11:33 ecc.).
All’obiezione che Cristo e gli scrittori del Nuovo Testamento non sono valida autorità in quanto si adattavano alle nozioni ed alle vedute giudaiche, rispondiamo che l’autenticità del libro di Daniele è strettamente legata alla veridicità del suo contenuto; in altre parole, è impossibile dubitare della sua autenticità senza sospettare, allo stesso tempo, che il suo contenuto sia un inganno, una frode consapevolmente premeditata; in questo caso, un accomodamento di Gesù e degli apostoli alle vedute nazionali giudaiche equivarrebbe ad una colpevole sanzione di una frode imperdonabile, il che è inaccettabile.
2°. Il periodo dell’esilio sarebbe incomprensibile senza l’esistenza di un uomo come Daniele, che esercitò una grande influenza sul suo popolo, il cui ritorno in Palestina avvenne tanto per la sua alta carica nello Stato quanto per la speciale provvidenza di Dio, dal quale Daniele era così tanto amato. Senza questo sarebbe impossibile spiegare lo stato continuo d’insofferenza del popolo di Dio durante quel periodo di tempo e l’interesse di Ciro negli affari di esso.
La deportazione e la sua fine sono caratterizzati da interventi di Dio non comuni verso quest’uomo eminente e favorito, e la comparsa in quel libro di un uomo come Daniele è un requisito indispensabile per la giusta comprensione di questa parte della storia giudaica.
3°. In Giuseppe Ebreo (Antich. XI, 8, 4) è fatto un cenno importante all’esistenza del libro di Daniele al tempo di Alessandro, secondo cui le profezie di Daniele furono fatte notare a quel re al suo ingresso in Gerusalemme. È vero che il fatto, nei suoi dettagli, può essere stato abbellito da Giuseppe; tuttavia è innegabile che Alessandro accordò grandi favori ai Giudei, e ciò si spiega anche accettando per vero il fatto riportato da Giuseppe.
4°. Il primo libro dei Maccabei, quasi contemporaneamente agli eventi che tratta, non solo fa presupporre l’esistenza del libro di Daniele, ma ne palesa la familiarità con la versione Alessandrina dello stesso (si confronti 1° Maccabei 1:57 con Daniele 9:27; 1° Maccabei 2:59 con Daniele 3), il che prova che il libro di Daniele dev’essere stato scritto molto tempo prima di quel periodo.
5°. Se il libro di Daniele fosse del tempo dei Maccabei, probabilmente in quel periodo sarebbero stati scritti altri libri profetici e apocalittici, composti da Giudei di Palestina; ma di simili opere non se ne ha minima traccia, di modo che se il nostro libro fosse opera dei Maccabei, rappresenterebbe un fenomeno isolato e del tutto a sé nella letteratura giudaica posteriore.
6°. L’inserimento di questo libro nel canone delle Sacre Scritture è un’altra evidenza della sua autenticità. Al tempo dei Maccabei il canone era già stato completato e chiuso; e poi non sarebbe verosimile che in un tempo in cui si aveva tanta deferenza solo verso ciò che era consacrato dal tempo e in cui la letteratura biblica era già fiorente, non sarebbe verosimile, dicevamo, che un libro di recente produzione fosse innalzato al grado di libro canonico.
7°. Abbiamo pure un’importante testimonianza per l’autenticità del libro di Daniele contenuta in Ezechiele 14:14 e 20; 28:3. Daniele è rappresentato là in modo insolito, come modello di giustizia e di sapienza, a cui era stato concesso una superiore conoscenza e una rivelazione da Dio. Questo è in perfetta armonia con il contenuto del nostro libro.
8°. Il libro palesa una conoscenza così profonda delle usanze, della storia e della religione caldee, che non si può dire, se non in mala fede, che lo scrittore non fosse contemporaneo ai fatti che racconta. Così la descrizione, per esempio, dei magi caldei e le loro regole si trovano in piena armonia con i racconti dei classici. Il racconto dell’infermità e della pazzia di Nabucodonosor è confermata da Beroso (Giuseppe Ebreo, c. Apion 1:20). L’editto di Dario di Medo (Daniele 6) può benissimo spiegarsi con le nozioni particolari della religione medo-persiana, con l’importanza in cui essa teneva il re e come venerava i sovrani, che erano considerati come deità incarnate.
9°. Le vedute religiose, l’ardente credo nel Messia, la purezza circa quel credo, l’assenza di qualsiasi pratica cerimoniale nel giudaesimo posteriore e l’armonia del libro, sotto questi aspetti, con gli altri libri profetici ispirati da Dio – in modo speciale con i profeti durante e dopo l’esilio – tutto ciò rende testimonianza all’autenticità del libro di Daniele.
10°. Il carattere linguistico del libro è un’altra prova della sua autenticità. In primo luogo la sua lingua, ebraico ed aramaico, è particolarmente notevole. Questo libro ha una stretta analogia con quello di Esdra. L’autore dev’essere stato certamente padrone di entrambe le lingue senza difficoltà di sorta, ciò che è verosimile per un Giudeo in cattività, ma certamente non per un autore del tempo dei Maccabei, quando la lingua ebraica, sostituita dal vernacolo aramaico, aveva da molto tempo cessato di essere linguaggio parlato. Inoltre, l’Ebraico di Daniele è molto affine a quello degli altri libri posteriori del Vecchio Testamento e in particolare ha espressioni in comune con Ezechiele. Anche l’Aramaico del libro di Daniele differisce dal dialetto prevalente delle posteriori versioni parafrasistiche caldee del Vecchio Testamento, e ricorda molto lo stile del libro di Esdra.
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