La lettera di Giuda

Pubblicato con il permesso di Edizioni Il Messaggero Cristiano

La lettera di Giuda


Il commentario è il risultato di una serie di studi biblici tenuti a Parigi nel 1946.

La seconda Lettera di Pietro, la prima di Giovanni e questa di Giuda sono come tre sentinelle che denunciano in anticipo il male che già al tempo degli apostoli si stava introducendo nella cristianità. La Lettera di Giuda, in particolare, tratta la storia dell’apostasia, cioè dell’abbandono della verità che Dio ci ha trasmesso.
E’ una Lettera breve, ma di grande importanza. Con uno stile energico, l’autore ispirato ci rivela che l’apostasia era già iniziata e avrebbe continuato a svilupparsi fino a raggiungere il culmine prima del “giorno del Signore” (2 Pietro 3:10), poiché quel giorno inizierà, dopo il rapimento della Chiesa, proprio con il giudizio di questa apostasia.
Troveremo nel corso di tutta la Lettera i caratteri dell’apostasia, come si manifesta e come si sviluppa. E’ bene che il credente conosca i pensieri di Dio per poter discernere ciò che non proviene da Lui ma dall’ “anticristo”, sapendo che le risorse che Dio mette a disposizione dei Suoi per far fronte al male sono date ancora oggi, e costituiscono la nostra salvaguardia fino alla venuta del Signore.
I primi versetti sono di presentazione; poi, fino al v. 16, è abbordato il soggetto fondamentale.
I versetti da 17 a 23 presentano le risorse, e gli ultimi, così preziosi, ci mostrano che Dio è capace di custodirci in ogni tempo.
Il v. 17 ci fa ritenere che questa Lettera sia una delle ultime che sono state scritte. Gli apostoli cominciavano a scomparire, ma il male purtroppo si era già infiltrato; ed ecco che Giuda, mettendo da parte ogni argomento di gioia di cui avrebbe voluto occuparsi riguardante la “nostra comune salvezza”, ritiene più importante mettere in guardia i credenti. Giuda è come una sentinella che avvisa del pericolo.
Questa Lettera segnala la corruzione totale dell’uomo nel suo stato naturale e il fallimento di una professione di fede puramente esteriore. Essa ci riguarda personalmente per il fatto che ci troviamo negli “ultimi giorni”, nei quali si va affermando sempre più la potenza del male. Ma Dio ha cura dei Suoi figli.

Giuda, servo di Gesù Cristo e fratello di Giacomo, ai chiamati che sono amati in Dio Padre e custoditi da Gesù Cristo: misericordia, pace e amore vi siano moltiplicati.” (v. 1  e  2)

 La Parola ci dà pochi dettagli su Giuda; sappiamo che è uno dei fratelli del Signore come Giacomo. Quando si presenta si dichiara “servo” di Gesù Cristo. Egli è servo di un padrone meraviglioso; è geloso della Sua gloria e non può tollerare che venga oltraggiato. Uno dei mali segnalati in questa Lettera è proprio il disprezzo di ogni “autorità”, specialmente di quella del Signore. “Nessuno può servire due padroni” (Matteo 6:24) aveva detto il Signore; ciò che caratterizza un servo è di essere totalmente sottomesso alla volontà del suo padrone e di non avere alcuna volontà propria. Così dev’essere anche di noi. In fondo, l’apostasia non è altro che l’ostentazione della volontà dell’uomo che non tiene conto di quella di Dio. Ogni apostasia è dovuta al fallimento dell’uomo nella sua responsabilità verso Dio: apostasia dei cristiani, apostasia degli Ebrei, apostasia dell’uomo in generale.
Nella sua prima Lettera, Pietro scrive che siamo “eletti… mediante la santificazione dello Spirito, a ubbidire e a essere cosparsi del sangue di Gesù Cristo” (1 Pietro 1:2). Si diventa adoratori al momento della conversione; ma quando si tratta del cammino, bisogna ubbidire e manifestare in questo mondo l’amore del Signore e la realtà della fede.
“Ai chiamati, che sono amati in Dio Padre e custoditi da Gesù Cristo”. Tutto proviene da Dio. Giuda sta per dipingere un quadro assai tetro, ma prima, e per contrasto, segnala la posizione dei veri credenti. Tutto sta per crollare e quello che Dio ci dice è un vero incoraggiamento per la fede. Diverse volte troviamo nel Nuovo Testamento da una parte le preziose certezze della vera fede, dall’altra l’annuncio da parte di Dio della potenza del male e della rovina della testimonianza cristiana. E questo affinché non perdiamo di vista che Dio è con noi, che non abbiamo nulla da temere, perché le risorse ci sono fornite e non mancheranno mai, fino alla fine.
E’ particolarmente piacevole leggere l’augurio del v. 2. In molte lettere vediamo la pace e la grazia augurate ai santi; ma qui troviamo “misericordia, pace e amore vi siano moltiplicati”.
Dio vuole benedirci; Egli comprende la nostra debolezza e usa compassione verso di noi, e questo è motivo di grande gioia, poiché ognuno di noi sente quanto abbiamo bisogno della misericordia del nostro Dio e delle Sue tenere compassioni che “si rinnovano ogni mattina” (Lamentazioni 3:23).
Poi c’è la pace che realizziamo restando vicino a Lui, vivendo in armonia coi Suoi pensieri.
Infine l’amore, la cosa più preziosa per i nostri cuori: l’amore di Dio, l’amore del Figlio, e quell’amore che è sparso nei nostri cuori dallo Spirito Santo. E’ bello vedere che, in un tempo di rovina come quello che Giuda descrive, queste cose devono venire moltiplicate. In Dio c’è abbondanza anche in tempi in cui l’apostasia finale si sta sviluppando. Beati noi se non poniamo ostacoli alla Sua benedizione! E’ bene rilevare che qui non si fa riferimento a un’assemblea, ma all’insieme dei credenti, e questo ci mostra l’ampia portata di questa Lettera e le risorse inesauribili messe a disposizione di ogni credente nel tempo del suo pellegrinaggio.

Carissimi, avendo un gran desiderio di scrivervi della nostra comune salvezza, mi sono trovato costretto a farlo per esortarvi a combattere strenuamente per la fede, che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre.” (v. 3)
Col v. 3 inizia l’argomento di questa Lettera. Giuda desiderava scrivere ai santi per parlar loro della salvezza, e sarebbe stato felice di occuparsene con loro; ma qualcos’altro si è affacciato alla sua mente: il male era all’orizzonte e stava avanzando. Si tentava di sovvertire ciò che Dio aveva trasmesso e, come dice il Salmo 11, “quando le fondamenta sono rovinate, che cosa può fare il giusto?” (v. 3). Così Giuda lancia un grido di allarme. Non decide lui quale tipo di insegnamento trasmettere, ma deve scrivere quello che Dio vuole. Che esempio per ogni servitore! Dio ha voluto che sapessimo come porre argine al male, e in certi momenti questo è più importante di altri insegnamenti positivi e gioiosi.
L’apostolo esorta dunque a “combattere strenuamente per la fede, che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre”. Che beneficio hanno portato questi versetti a coloro che, nel corso del tempo, hanno saputo leggerli! Quante volte è stato necessario sostenere dei combattimenti per la fede (intendendo qui la dottrina cristiana) che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre!
L’attività dei santi deve svolgersi nella comunione con Dio in ogni tempo. Così era stato per gli Ebrei ritornati dalla deportazione (vedi Neemia 4:3): bisognava in primo luogo che l’altare fosse rimesso nella sua posizione e che le fondamenta della casa fossero poste. Ma era arrivato il momento in cui si doveva pensare alle mura che andavano restaurate. I nemici dicevano che quelle mura non erano solide e che una volpe le avrebbe fatte crollare; è quello che il nemico cerca sempre di fare. Si devono porre le fondamenta, ma anche realizzare la separazione dal mondo e rimanere saldi dalla parte di Cristo.
Quello che qui viene chiamato la “fede” è un grande tesoro. Non conosceremo mai il valore di tutte le verità che Dio ha trasmesso nella Sua Parola e che noi possediamo. Bisogna combattere per custodire questa fede, perché il nemico fa di tutto per attaccarla.
Com’è grande la fedeltà del Signore verso i Suoi! Egli sa in anticipo che la testimonianza cristiana avrebbe fallito e dà per tempo una serie di avvertimenti e di incoraggiamenti. Noi oggi ne abbiamo bisogno ancor più dei credenti del tempo di Giuda. Non c’è più un Giuda oggi, ma possono esserci dei servitori del Signore che si trovano nella necessità di agire come lui, ognuno secondo le proprie capacità. Nessuno se non il Signore e lo Spirito Santo dettava a Giuda ciò che doveva scrivere. Nessuno conosce come Lui i bisogni del Suo popolo nei vari momenti del suo percorso sulla terra.
Il ministero “ispirato” ha un valore e un’importanza tali che nulla è in grado di sostituire. Il tempo di quel ministero è finito, ma in qualunque epoca ogni servizio richiede molta dipendenza e ubbidienza al Signore.
Una parola in merito all’espressione: “La fede che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre”. Essa era stata insegnata oralmente dagli apostoli. Noi invece possediamo la Scrittura e siamo tanto più responsabili in quanto abbiamo anche ricevuto un insegnamento da fratelli fedeli e dotati che Dio ha scelto e formato.

Perché si sono infiltrati fra di voi certi uomini (per i quali già da tempo è scritta questa condanna); empi che volgono in dissolutezza la grazia del nostro Dio e negano il nostro unico Padrone e Signore Gesù Cristo” (v. 4)
“Combattere per la fede” si può intendere in diversi modi. Spesso significa semplicemente presentare con forza la verità di fronte alla corruzione che dilaga, perché in Giuda abbiamo a che fare essenzialmente col rinnegamento dell’autorità del “Padrone e Signore”, e con la dissolutezza e la corruzione morale.
La vita cristiana nella sua totalità è un combattimento, e questo costituisce una delle sue caratteristiche. Si tratta qui di mettere in guardia da individui che si sono infiltrati nel cristianesimo nascente e, da allora, sono diventati molto numerosi, probabilmente ancora più numerosi dei veri cristiani. In tutti gli scritti degli apostoli trapela l’amarezza di prevedere i danni che il nemico avrebbe causato alla testimonianza, ma il tutto controbilanciato dalla fiducia nel Signore.
Di fronte a questi danni che noi oggi constatiamo, potremmo forse essere indifferenti o negligenti? Se abbiamo compreso ciò che è l’assemblea (la chiesa locale), se siamo consapevoli che il Signore ci ha messi lì, non pensiamo che sia un luogo in cui possiamo abbandonarci all’indolenza. In presenza della rovina e in mezzo ai pericoli che ci minacciano, non possiamo riposarci. Colui che è servo del Signore combatterà incessantemente per la fede che è stata  trasmessa ai santi una volta per sempre.
Il diavolo ha seminato la zizzania. Basta avere una nozione anche molto vaga della storia della Chiesa per restare sgomenti e comprendere la solennità delle profezie che troviamo qui. Quanti falsi dottori si infiltrano tra i santi! Questo fa percepire la responsabilità di coloro che devono aprire la porta o chiuderla perché non si infiltri nessuno di quelli che non appartengono al Signore e cercano di introdurre falsi insegnamenti. E’ di dipendenza che abbiamo bisogno, non di sapienza umana. E questo è uno dei punti vitali della testimonianza di ogni tempo.
Quegli uomini che si erano infiltrati si distinguono, come abbiamo detto, per due gravissimi errori: volgevano la grazia di Dio in dissolutezza e rinnegavano il nostro Signore. Il rinnegamento può avvenire per gradi diversi, così come esistono diversi modi di volgere la grazia di Dio in dissolutezza. Il livello morale si abbassa, si tollerano cose che prima non si tolleravano, e proseguendo su questa strada, si arriva nel giro di pochi anni a tollerare ogni cosa, a grave danno della testimonianza.
“La saggezza che viene dall’alto” (Giacomo 3:17) rende decisi nel combattimento e fa capire che un piccolo cedimento di oggi, in breve tempo può causare un danno molto grave. E’ la spiritualità che scorge il pericolo prima che si manifesti, ed è la fedeltà al Signore, unita all’amore per i santi, che spingono a segnalare quel pericolo. Ci sono momenti, come qui, in cui si gioca il destino del popolo di Dio e allora un Giuda si alza e dice: Ecco a che punto siamo arrivati, e non esistono compromessi né cedimenti possibili. Ma grazie al Signore ci saranno fino alla fine dei credenti fedeli. C’è una chiamata per ognuno di noi in questi giorni della fine.
Giuda guarda e descrive ciò che vede in termini che noi non avremmo mai osato impiegare; dice che è la rovina, il naufragio; ma dice anche: combattete. Ecco la fede. In nome della larghezza di vedute si sono fatte delle concessioni che Dio non può approvare. Giuda non ne fa, perché Dio non ne fa.
Ci sono sempre stati dei momenti in cui la sorte del popolo di Dio è dipesa da un modo di agire particolare. Pensiamo a Mosè dopo l’episodio del vitello d’oro: Dio avrebbe potuto distruggere il Suo popolo. E Mosè, da un lato ha interceduto ma dall’altro ha rivendicato i diritti del SIGNORE. Così, alcuni fedeli della tribù di Levi hanno brandito la spada e hanno tolto via i disubbidienti (Esodo 32:26-28). Questo è avvenuto secondo Dio, tant’è vero che Dio ha poi preso i Leviti per ricoprire una carica di onore.
Noi abbiamo la responsabilità di combattere per quello che abbiamo ricevuto dal Signore. Coloro che rinnegano questo se la vedranno con Lui. “Si sono infiltrati fra di voi certi uomini”; non si tratta di cristiani, ma di “gente sensuale, che non ha lo Spirito”, come vedremo più avanti (v. 19). Di conseguenza, non hanno che “la carne”, e la carne, quando si imbeve di cristianesimo, o è legalista o è dissoluta.
Qui è l’elemento della dissolutezza che Giuda ci presenta, cioè l’abbattimento di ogni principio morale: è l’apostasia morale. Questo, del resto, può benissimo procedere di pari passo con la pretesa alla giustizia. Ed è la cosa più spaventosa perché equivale a dire: Dio è buono, dunque possiamo abusare della Sua bontà. È un principio satanico che si è infiltrato tra i cristiani, non come una dottrina soltanto, bensì incarnato nelle persone che vivono con quel principio; e sono molte. La Parola ci parla di grazia e di verità, inseparabilmente unite. Ma quegli eretici parlano solo della grazia senza la verità; di conseguenza, c’è la dissolutezza. Non hanno timore di Dio, pur non avendo la pretesa di essere giusti. Questo principio si propaga anche oggi e rischia di contagiarci. Non è tanto il legalismo puro a rappresentare un pericolo per noi; di rado lo si vede accettato come principio generale.
È bene ricordare che l’aumento delle conoscenze può benissimo procedere con una diminuzione della sensibilità di coscienza. La gente del mondo si trova oggi ad un livello superiore, sotto certi aspetti, a quello del tempo di Giuda, ma la loro coscienza non è scrupolosa, non è più vicina a Dio.  E se la conoscenza cristiana non rende la nostra coscienza più scrupolosa, la grazia di Dio è volta in dissolutezza. Qui si tratta, ovviamente, di non convertiti, di increduli, di semplici professanti; ma se non vegliamo, rischiamo tutti, col pensiero che il sangue di Gesù Cristo ci purifica da ogni peccato, che Dio sopporta, perdona e dimentica, di allentare le briglie che frenano gli impulsi della nostra vecchia natura, e in questo modo la testimonianza si indebolisce. Non che questo  si traduca sempre in dottrina, ma in pratica si scivola verso una debolezza morale.
Non bisogna leggere questa Lettera come adatta ai cattolici, o ai protestanti, o a qualche altra denominazione cristiana, ma leggerla come rivolta a noi. Dove non c’è vita ci sarà il giudizio eterno. Ma non dimentichiamo che Dio agisce anche in “governo”, vale a dire esercita il Suo giudizio mentre siamo in vita. Possiamo quindi incoraggiarci a vegliare.
Troppo spesso ci accontentiamo di un cristianesimo facile, caratterizzato da negligenza e permissivismo. Dobbiamo certo riconoscere che sbagliamo tutti in diversi modi, ma c’è una differenza: qui, coloro che sbagliano non si giudicano, la carne è nutrita e alimentata; il credente, invece, se c’è in lui devozione, quando sbaglia si giudica, e soffre; ed è questo che dobbiamo incoraggiarci a fare.

Volgere “in dissolutezza la grazia del nostro Dio” mette al servizio del male quello che c’è di più grande, di più bello, di più puro; disprezzare e distorcere a tal punto l’insegnamento di questa grazia è inconcepibile! E’ meglio un uomo senza conoscenza, ma convertito e che teme Dio con un santo timore, piuttosto che uno con tanta conoscenza, ma con la coscienza indurita. E in qualcuno che si è appena convertito, non pretendiamo di vedere molta conoscenza. Ciò che si deve vedere è in primo luogo il timore di Dio, l’amore del Signore, la pace, il bisogno di camminare con Dio.
Quanto è bella la vita cristiana quando i diritti del Signore sono rispettati! Il cristiano più prezioso al Signore è colui che cammina nella santità e nell’obbedienza. Il Signore vuole che contiamo su di Lui, che preghiamo molto per la Sua Chiesa, ma esige che siamo fedeli e non chiamiamo bene il male e male il bene, la carne Spirito e lo Spirito carne. Solo così la presenza di Dio si fa sentire, ed è il cielo sulla terra.

Ora voglio ricordare a voi che avete da tempo conosciuto tutto questo, che il Signore, dopo aver tratto in salvo il popolo dal paese d’Egitto, fece in seguito perire quelli che non credettero.” (v. 5)
Nei versetti seguenti, vari esempi mostrano che i caratteri dell’apostasia si erano manifestati già nei tempi passati. Il popolo d’Israele era stato liberato dalla schiavitù e dal paese d’Egitto; eppure, di quei seicentomila uomini adatti a combattere, usciti dall’Egitto, soltanto due sono entrati nel paese della promessa, soltanto due sono stati fedeli fino in fondo. Dio “fece in seguito perire quelli che non cedettero” per non aver saputo glorificare Dio credendo alla Sua parola e obbedendogli (vedi Numeri 14).
Il giudizio di Dio è stato severo. Tutto quel popolo aveva conosciuto la notte della Pasqua, l’attraversamento del Mar Rosso; aveva cantato il cantico di liberazione, aveva sentito annunciare la Parola di Dio, ma poi è stato decimato nel deserto. “La parola della predicazione” non era stata “assimilata per fede da quelli che l’avevano ascoltata” (Ebrei 4:2). Così è anche oggi. Non basta udire la Parola e sapere tante cose su di essa; bisogna che sia creduta, rispettata, assimilata, radicata nel cuore e nella mente.
Dio non ci parla degli Israeliti per fare storia antica, ma per esporre il principio morale di sempre, e cioè che si è in relazione vivente con Dio solo per mezzo della fede. Ogni esteriorità senza vita è una forma di apostasia, e questo è vero oggi più che mai. Degli innumerevoli cosiddetti cristiani che hanno intrapreso un cammino pensando di arrivare in cielo, quanti sono periti e quanti periranno strada facendo! E noi che possediamo la Sua rivelazione completa siamo ancor più responsabili di quanto non lo fosse il popolo d’Israele in quell’epoca.
Le chiese cristiane dell’inizio costituivano una garanzia per i cristiani. Lo Spirito usava una tale autorità che anche una menzogna, come nel caso di Anania a Saffira, venne immediatamente punita con la morte; così pure a Corinto, quando alcuni partecipavano con leggerezza alla cena del Signore (1 Corinzi 11:30). Inoltre, l’autorità apostolica, quand’era presente, costituiva una tutela, e dov’era necessario Paolo si serviva dalla propria autorità (1 Corinzi 5:3-5). Oggi c’è evidentemente l’autorità del Signore alla quale l’assemblea deve sottomettersi in ogni azione e in ogni eventuale decisione da prendere.
Questo primo esempio degli Israeliti mostra dunque che non basta possedere gli oracoli di Dio; bisogna custodirli nel proprio cuore come fecero Caleb e Giosuè. Gli altri perirono perché erano increduli (Ebrei 3:19) e, una volta liberati, preferirono l’Egitto, il mondo. Il cristiano solo di nome è un mondano rivestito di cristianesimo: preferisce il mondo a Cristo. Consideriamo il passo di Numeri 13:30 in cui Caleb dice: “Saliamo pure e conquistiamo il paese, perché possiamo riuscirci benissimo”. Ecco come parla un uomo il cui cuore non era rimasto in Egitto. La fede, l’energia della fede, l’operosità, si manifestavano nell’atteggiamento di Caleb. “Saliamo pure e conquistiamo il paese”. Lì risiede la chiave di tutto il problema. La parola ricevuta si accompagna alla fede, una fede vivente e operante, che dispiega tutta la sua energia per andare avanti e mette a tacere coloro che vogliono resistere al pensiero di Dio.
Un vero cristiano, uno che ha la vita, che ha creduto, che fa parte della Chiesa, può aver sbagliato al punto di esser fatto uscire di scena; ma non perde la vita in Cristo. E’ necessaria quindi molta vigilanza. Se non avessimo tutte queste Lettere che ci mettono in guardia, potremmo trovarci confusi. Fortunatamente, però, Dio ci ha avvertiti in anticipo di queste cose.
Non dobbiamo tuttavia scoraggiarci leggendo queste righe dell’apostolo Giuda. Dobbiamo rivolgere lo sguardo in alto, verso il Signore, fissarlo su di Lui, e occuparci non del male ma del bene. Se ci occupiamo esclusivamente del bene, Dio ci guarderà dal male; e se ci parla del male lo fa per il nostro bene.

Egli ha pure custodito nelle tenebre e in catene eterne, per il gran giorno del giudizio, gli angeli che non conservarono la loro dignità e abbandonarono la loro dimora.” (v. 6)
Abbiamo qui il secondo esempio: “gli angeli che non conservarono la loro dignità e abbandonarono la loro dimora”.
Ecco una categoria di esseri che non ci saremmo aspettati di trovare qui. Ciò che li caratterizza è legato a un dato momento della storia dell’uomo, prima del diluvio. E’ un fatto misterioso su cui la Parola è molto sobria (si veda Genesi 6), ma che ci mostra a quale grado di corruzione l’umanità era arrivata; degli angeli hanno partecipato a quella corruzione e a quel disordine morale che il diluvio ha poi spazzato via. Non si tratta della caduta di Satana e dei suoi angeli, ma della caduta di angeli che hanno peccato con degli esseri umani, “che non conservarono la loro dignità”; si tratta di una forma di apostasia. Essi non sono rimasti nella condizione in cui Dio li aveva posti.
Proprio prima del diluvio, a proposito di questo fatto, Dio dice che “tutti erano diventati corrotti sulla terra” (Genesi 6:12), e con questo ci mostra quanto Egli sia sensibile al disordine morale, al fatto che le Sue creature escano dal giusto binario e dalle Sue leggi. Oggi si dimentica il pensiero di Dio nei riguardi di molte cose. Le libertà di comportamento che gli uomini vantano nel mondo cristiano, spacciandole per una forma di progresso e di apertura mentale, altro non sono che una forma e un risultato dell’apostasia.

Allo stesso modo Sodoma e Gomorra e le città vicine, che si abbandonarono, come loro, alla fornicazione e ai vizi contro natura, sono date come esempio, portando la pena di un fuoco eterno.” (v. 7)
Ora si parla di Sodoma e Gomorra che si abbandonarono alla fornicazione e ai vizi contro natura, e “sono date come esempi, portando la pena di un fuoco eterno”. Gli angeli sono custoditi per il gran giorno del giudizio, nelle tenebre e in catene eterne; e sono là, in attesa di quel giudizio. Invece, per Sodoma e Gomorra il giudizio fu definitivo; esse subirono la pena di un fuoco eterno. Non ci si burla di Dio e non è senza conseguenze che si disobbedisce o si abbandona la condizione da Lui assegnata.
Abbiamo visto così che il giudizio di Dio è piombato sul Suo popolo incredulo, sugli angeli “che non conservarono la loro dignità” e su quelle città che furono distrutte dal fuoco. Questi esempi devono suscitare in noi del timore, ma anche tanta gratitudine verso Dio per averci fatto conoscere la Sua santità. Egli ha risposto, mediante la croce di Cristo, alla corruzione in cui ci trovavamo per natura. Al suo popolo terreno diceva: “Siate santi, perché io sono santo” (Levitico 11:44) e le stesse parole sono rivolte anche a noi (1 Pietro 1:15-16). Questo è il primo modo di glorificare Dio. Se non c’è santità si possono vantare tutti i titoli, i vantaggi e i privilegi, ma si calpesta la gloria di Dio.
Vi è un dato di fatto su cui possiamo riflettere: Dio, che è santo, ha ritenuto opportuno informarci sul male. Ci si sarebbe potuti aspettare che Dio parlasse solo del bene, invece no; la Bibbia è un libro in cui il male e il bene appaiono continuamente. Perché? Perché descrive l’uomo e ne dà un’immagine realistica. Se si avesse qualche pretesa di moralizzare l’uomo e di migliorarlo, basta considerare questi fatti e si capisce che la natura umana non può essere cambiata. Ribadiamo che questi avvertimenti non sono rivolti a dei pagani ma a dei cristiani. Se abbiamo compreso questo, le sofferenze espiatorie del Signore vengono onorate e messe in evidenza. Il Signore non è morto invano. E’ in cielo che capiremo pienamente ciò ch’Egli ha fatto, e comprenderemo meglio la santità e la gloria di Dio.
A volte ci sorprendiamo che i princìpi di corruzione che hanno segnato fin dall’antichità la storia dell’uomo si ritrovino nel cristianesimo. Leggendo la descrizione che è fatta in Apocalisse della “grande prostituta”, vediamo che tra i suoi caratteri figura l’immoralità. Perciò il giudizio cade su di lei. Ricordiamoci che a Sodoma c’era un giusto che avrebbe fatto meglio a non entrare mai in quella città corrotta. Dovremmo noi mescolarci al mondo per contribuire a rimetterlo in buono stato davanti a Dio? No. Noi dobbiamo separarci dal mondo pur portando agli increduli il messaggio salvifico del Vangelo. E abbiamo il dovere di essere vigilanti riguardo alla corruzione morale che pare essere proprio il lato debole della testimonianza negli ultimi tempi.

Ciò nonostante, anche questi visionari contaminano la carne nello stesso modo, disprezzano l’autorità e parlano male delle dignità.” (v. 8)
Questi visionari sono coloro che si abbandonano alla propria fantasia e non lasciano agire lo Spirito di Dio. Nessuno ha il diritto di avere opinioni personali sulle cose di Dio. Le nostre opinioni non valgono nulla, sono opinioni di poveri peccatori. Ciò che conta è il pensiero di Dio che conosceremo nella misura in cui saremo in comunione con Lui, leggendo la Parola e non contristando lo Spirito. Allora, invece di anteporre il nostro punto di vista e di giustificare le nostre cadute, diremo: ecco quello che Dio pensa. Un abisso separa l’avere un’opinione sulla Parola di Dio e avere il pensiero di Dio che si trova nella Parola. Ognuno di noi può ben sentire il bisogno, non per gli altri ma per se stesso, di essere guardato dal male e di avere una volontà sottomessa a quella di Dio. E’ qui che risiede la vera felicità sulla terra.

“Invece, l’arcangelo Michele, quando contendeva con il diavolo disputando per il corpo di Mosè, non osò pronunziare contro di lui un giudizio ingiurioso, ma disse: “Ti sgridi il Signore!” (v. 9)
Dopo Sodoma viene l’esempio dell’arcangelo Michele che, “quando contendeva con il diavolo” non ha osato “pronunziare contro di lui un giudizio ingiurioso”. Questo episodio non ci viene riferito nell’Antico Testamento, ma solo da Giuda che certamente era guidato dallo Spirito. Dio non ci ha rivelato tutto, né nell’Antico Testamento né nel Nuovo Testamento, come possiamo leggere nella conclusione del Vangelo di Giovanni (20:30-31), ma ci ha detto abbastanza perché non troviamo delle scuse se la nostra condotta non è buona. Tutti questi esempi ci fanno capire l’importanza di non cedere mai all’andazzo del presente secolo o all’idea di doversi adeguare ai tempi, di doversi modernizzare. Non contribuiamo, col nostro modo di essere, a indebolire il peso della Parola di Dio, e a suscitare o alimentare questa corrente di apostasia.
Se ci rendessimo più conto della forza di seduzione del diavolo, avremmo un timore salutare, ci affideremo maggiormente a Dio e ci terremo il più possibile lontani dal male. La Parola ci dice che il diavolo va aggirandosi cercando chi potrà divorare come fa il leone (1 Pietro 5:8). Satana conosce il cuore dell’uomo e sa come impadronirsene.
Sotto questo aspetto il semplice fatto di far parte di un’assemblea non costituisce una garanzia: “si sono infiltrati fra di voi certi uomini”. E’ una ragione in più per essere vigilanti. Un cristiano che non ha la dottrina di Dio e che sovverte la verità, sia dottrinale sia morale, non lo si potrebbe ricevere nella chiesa né condividere con lui la cena del Signore. Dio non rinuncia al proprio onore né a nessuno dei Suoi diritti, ed è proprio per non rinunciare a nessuno dei Suoi diritti che ha dovuto colpire il Figlio Suo e accettare che pagasse per le nostre colpe. Si dice: Dio è pieno di amore. Senza dubbio; ma pensiamo a cosa sono state per il Signore le tre ore di tenebre sulla croce!

Questi, invece, parlano in maniera oltraggiosa di quello che ignorano, e si corrompono in tutto ciò che sanno per istinto, come bestie prive di ragione.” (v. 10)
Che paragone! “Questi” (in contrasto con i “carissimi” a cui Giuda scrive) non hanno alcuna comprensione dei pensieri di Dio, “parlano in maniera oltraggiosa” e “si corrompono”. Così un giudizio dev’essere pronunciato contro di loro: “Guai a loro!”. Essi si dicono cristiani e “si sono infiltrati” tra i veri credenti.
Solo “l’uomo spirituale giudica ogni cosa” (1 Corinzi 2:15). “Quanto a voi, avete ricevuto l’unzione dal Santo e tutti avete conoscenza” (1 Giovanni 2:20). Il credente, avendo lo Spirito di Dio, conosce i Suoi pensieri rivelati nella Parola, ma gli altri non conoscono nulla. Si corrompono in tutto ciò che l’intelligenza umana può comprendere per istinto; sono “come bestie prive di ragione”.
Dobbiamo quindi desiderare la saggezza che proviene da Dio, la sola saggezza che serve per comprendere ciò che Egli ci rivela e mette alla nostra portata. Giobbe 28:28 ci fornisce un insegnamento in merito alla saggezza e all’intelligenza: “Ecco, temere il Signore, questa è saggezza, fuggire il male è intelligenza!”.
Dobbiamo vigilare affinché nulla si infiltri tra i credenti che possa indebolirli o distruggere la forza della loro testimonianza. Relativismo e razionalismo portano all’allontanamento da Dio. Dobbiamo aver timore di guastare la Sua opera, di inquinare le verità della Parola, di sviare i credenti.
Nei Salmi, queste due parole “ma io” sono spesso ripetute in contrasto coi malvagi, con coloro che vivono nell’empietà. Se la testimonianza versa in una stato di rovina, ognuno di noi ha la sua parte di responsabilità; dobbiamo confessarlo. Come il Signore insegna nei Vangeli (Matteo 13:25), il male è stato fatto entrare perché coloro che avevano la responsabilità di vigilare dormivano, e il nemico ha fatto il suo lavoro . Oggi la vigilanza è tanto più necessaria perché sappiamo in questi tempi della fine il male sarà tanto più grave nel seno del cristianesimo.
Vedremo più avanti l’atteggiamento che i credenti devono assumere di fronte a questo stato di cose: non essere passivi, ma avere “pietà di quelli che sono nel dubbio” e salvarli “strappandoli dal fuoco” (v. 22-23). Ma per avere questo atteggiamento positivo e attivo, bisogna edificare sé stessi sulla “santissima fede”.

Guai a loro! Perché si sono incamminati per la via di Caino, e per amor di lucro si sono gettati nei traviamenti di Balaam, e sono periti per la ribellione di Core.” (v. 11)
Ora si parla della via di Caino, dei traviamenti di Balaam e della ribellione di Core.
In contrasto con Abele, che aveva compreso la necessità di offrire a Dio una vittima per essere da Lui graditi, Caino offriva a Dio ciò che proveniva dall’uomo, dal proprio lavoro. La sua immaginazione lo aveva indotto a pensare di poter offrire il prodotto di un suolo che Dio aveva maledetto (Genesi 3:17)! Geloso che suo fratello fosse gradito da Dio, lo uccise. È un frutto della “carne”, di quella “religiosa” che si manifesta molto prima dell’avvento della Legge.
Che profondità vi è nella dichiarazione così semplice che ci è data da 1 Giovanni 3:12: “Caino… uccise il proprio fratello. Perché l’uccise? Perché le sue opere erano malvagie e quelle di suo fratello erano giuste”. L’uomo ha odiato il Signore per quella stessa ragione; le Sue opere erano tutte perfette e quello che diceva era solo la verità.
L’uomo, nella sua natura di peccato, odia Dio e odia coloro che appartengono a Dio. Tale odio ha animato molti persecutori dei credenti a partire dall’epoca in cui la lettera di Giuda è stata scritta. Quante persone che esteriormente invocavano Dio hanno acceso dei roghi per i veri cristiani!  “Si sono incamminati per la via di Caino”, e questo può avvenire in varia misura, anche senza arrivare all’omicidio.
Si legge in Romani 8:7 che “ciò che brama la carne è inimicizia contro Dio”. Non pensiamo solo alla carne degli altri, ma in primo luogo alla nostra carne. È necessaria tutta la potenza di Dio per farci accettare una tale realtà; ma che grazia e che liberazione quando abbiamo ricevuto una nuova vita e restiamo vicini a Dio amandolo e servendolo!
Purtroppo, il male non si limita a seguire la via di Caino: “Per amor di lucro si sono gettati nei traviamenti di Balaam”. Balaam era un profeta, ma un profeta che, invece di dipendere da Dio, bramava una ricompensa e, al fine di ottenerla, non aveva timore di seguire delle vie che sono definite “traviamento”. Per lui la verità non aveva valore. Questo è un terreno dove si trova a suo agio l’uomo naturale: assumere delle apparenze, senza però mettere le anime in contatto con la verità; l’essenziale è avere il proprio tornaconto, un onore, un vantaggio economico. Balaam ha causato molto male al popolo di Dio. Anche l’apostolo Pietro parla della via di Balaam in termini estremamente negativi.
L’attrattiva del guadagno ha indotto Balaam a cercare di maledire il popolo di Dio e, non riuscendovi, lo ha poi trascinato alla fornicazione nel fatto di Peor (Numeri 31:15). Si può dire che tutti i cattivi pastori di Israele di cui si parla nei profeti hanno più o meno seguito la via di Balaam ingannando il popolo per “vile guadagno”. E i cattivi pastori cristiani, purtroppo, non agiscono diversamente.
Balaam “insegnava a Balac il modo di far cadere i figli di Israele” (Apocalisse 2:14). Stiamo attenti anche noi a non mettere, con la nostra condotta, delle pietre d’inciampo davanti ai figli di Dio. Tutto ciò che riguarda l’attività nell’ambito delle cose di Dio dev’essere privo di ogni motivo di interesse personale. Pietro poteva dire: “Dell’argento e dell’oro non ne ho; ma quello che ho te lo do” (Atti 3:6). Anche Paolo avrebbe potuto ricevere del denaro dai credenti, ma non l’ha mai preteso né ricercato. “Non ho desiderato ‒ egli scrive ‒ né l’argento, né l’oro né il vestito di nessuno” (Atti 20:33). Vi è qui un insegnamento che non dobbiamo perdere di vista. Il servitore deve compiere il suo lavoro mantenendosi assolutamente puro in tutte le sue motivazioni, sia nel campo dalle cose materiali sia, tanto più, nelle cose spirituali.
Un servitore di Dio va trattato “in modo degno di Dio” (3 Giovanni 6) quando vive e serve in un modo che è degno di Dio.
Il motivo per cui Balaam è incorso in quel “traviamento” è perché si è allontanato dalla presenza di Dio. In Numeri 24:1 leggiamo che ricorreva alla magia. Dio non gli bastava, gli occorreva qualcos’altro. Non aveva un animo retto e il nemico ha trovato facilmente il mezzo per farlo inciampare facendogli desiderare una ricompensa che alla fine, poi, non ha mai ricevuto.
Un servitore del Signore è servitore di tutti; si dà per gli altri, ma dipende solo da Dio. “Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo” (Galati 1:10), scriveva Paolo. In 2 Pietro 2:15-16 è detto: “Lasciata la strada diritta, si sono smarriti seguendo la via di Balaam… che amò un salario di iniquità, ma fu ripreso per la sua prevaricazione”.
L’apogeo del male arriva con quella che viene definita “la ribellione di Core” (vedi Numeri 16). Core era un levita che serviva nel tabernacolo, ma non si accontentava del posto che Dio gli aveva assegnato; ambiva a un servizio di cui Dio non l’aveva incaricato. Allora capeggiò una ribellione, e per la gravità di quel peccato subì un terribile castigo.
La rivolta di Core è una figura di quello che farà l’anticristo. Core era in rivolta aperta contro Mosè, “re in Iesurun” (Deuteronomio 33:5), e contro Aronne, il sommo sacerdote. La regalità e il sacerdozio sono prerogative di Cristo, che è al contempo re e sommo sacerdote, e sono proprio questi caratteri di Cristo che la ribellione dell’uomo nega e negherà. Tutto questo era già manifesto fin dall’epoca di Giuda. Da molto tempo si è parlato e scritto contro le Sue prerogative, stabilite e definite dalla Parola di Dio. Simile è la ribellione di Core. Oggi sarebbe assai facile individuare i fatti caratteristici della ribellione di Core: si negano le Scritture, si lotta contro di esse, si avversa apertamente Cristo.
Per evitare il giudizio che doveva cadere su Core e su coloro che si trovavano con lui, era necessario allontanarsi dalla loro dimora. Quelli che restarono vicini a loro furono anch’essi inghiottiti dalla terra. Bisogna separarsi dal male; è questo che Dio ci chiede. Che giudizio solenne! Altre duecentocinquanta persone che offrivano l’incenso furono consumate dal fuoco.
La faccenda non si è risolta tra Mosè e Aronne da una parte e Core dall’altra, è stata risolta da Dio. La sorte di quelle anime riguardava Dio. Pertanto, se incontriamo delle persone privilegiate, come lo era Core, che ad un certo punto si ribellano contro l’autorità di Cristo, non abbiamo da combatterle, ma da avvisarle dell’errore e, se non si ravvedono, separarcene.
Dunque, Caino rappresenta l’ostinazione della carne, Balaam la cupidigia, Core l’impudenza, la rivolta aperta contro i piani di Dio. Non è facile strappare un Caino dalla sua via o un Balaam dal suo traviamento o un Core dalla sua impudenza. Noi dobbiamo presentare Cristo rendendoci conto che è necessaria tutta la potenza di Dio per spezzare un cuore che versa in quelle condizioni.

Essi sono delle macchie nelle vostre agapi quando banchettavano con voi senza ritegno, pascendo se stessi; nuvole senz’acqua, portate qua e là dai venti; alberi d’autunno senza frutti, due volte morti, sradicati; onde furiose del mare, schiumanti la loro bruttura; stelle erranti, a cui è riservata l’oscurità delle tenebre in eterno.” (v. 12 e 13)
Ora, Giuda utilizza alcune figure che presentano un aspetto del modo di essere di quegli uomini che si infiltrano tra i cristiani.

  1. La prima è questa: “Essi”, in contrasto con i credenti, “sono delle macchie nelle vostre agapi…” Questa prima figura è relativa ai conviti (le cosiddette “agapi fraterne”) che i santi facevano insieme. La gioia di appartenere al Signore riempiva il loro cuore, la Sua persona era al centro dei loro affetti. L’amore guidava quelle agapi sotto lo sguardo di Dio; amore per il Signore e amore tra i fratelli.

Quei brutti personaggi mangiavano coi credenti, ma erano delle “macchie”; per molti aspetti, quindi, riconoscibili. È detto che non hanno alcuno scrupolo e assumono facilmente il modo di esprimersi dei credenti, ma non parlano il linguaggio del vero credente. In fondo si occupano di sé stessi, “pascono sé stessi”, mentre in quei convegni di affetto fraterno ognuno doveva pensare all’altro, avere cura dell’altro, sia materialmente che spiritualmente, senza alcun egoismo.
Si trova la stessa figura in 2 Pietro 2:13. “Essi… sono macchie e vergogne; godono dei loro inganni mentre partecipano ai vostri banchetti”. I veri credenti dovrebbero avere abbastanza discernimento per identificarli perché una macchia viene resa evidente dalla luce. All’inizio degli Atti degli Apostoli, la minima macchia non sarebbe durata: quand’anche si fosse trattato di veri credenti, ogni deviazione era subito messa in evidenza. Oggi siamo, per così dire, immersi in una massa di persone che dicono di essere cristiani; alcuni lo sono davvero, ma altri mettono in dubbio le Scritture, o negano l’opera salvifica di Cristo o la risurrezione o le certezze dell’Evangelo. Altri addirittura mettono in dubbio l’esistenza stessa di Dio… Dobbiamo fare molta attenzione.
Dove non si tengono abitualmente delle agapi, la comunione fraterna si può sperimentare in altri modi, nelle riunioni o in altri informali incontri nei quali Cristo è comunque il centro delle conversazioni.
Troviamo in altre Lettere gli insegnamenti relativi al modo in cui i santi devono comportarsi e insegnano che i veri cristiani non devono rassegnarsi al male. Qui Giuda parla dell’aspetto morale. Per quanto rapida sia la progressione verso l’apostasia, la separazione dal male è un dovere assoluto per il cristiano e per l’assemblea.
Come siamo felici quando pensiamo al momento in cui nel cielo, in un’immensa agape che non finirà mai, godremo della comunione col Signore e con tutti i santi!
Oggi, nelle chiese non c’è più la presenza degli apostoli, che era una garanzia, e spesso manca la potenza dello Spirito e la santità di condotta. Tuttavia, anche oggi ogni chiesa locale può avere il ruolo di protezione dal male se è in grado di mettere i suoi membri alla prova per verificarne la fedeltà; ma se si presta ad un qualsiasi cedimento, ogni garanzia viene meno. Inoltre, la validità della testimonianza di un’assemblea non va valutata in base alla consistenza numerica di coloro che la compongono. Ciò che le conferisce importanza è la sottomissione al Signore, la libera azione dello Spirito Santo e l’impegno dei suoi membri nell’opera di testimonianza. Se abbiamo coscienza che il Signore è presente, avremo anche coscienza che le Sue esigenze devono essere rispettate. Non basta leggere Matteo 18.20 per dire che il Signore è in mezzo a noi; bisogna tradurlo in realtà.

  1. La seconda immagine, quella delle “nuvole senza acqua portate qua e là dai venti”, è semplice ma molto significativa. La terra ha bisogno di pioggia e quindi di nuvole che contengano l’acqua. Ma vi sono degli uomini che hanno l’apparenza e la pretesa di portare dell’acqua a chi ha bisogno, ma purtroppo non si sono mai recati alla sorgente per dissetare sé stessi, e di conseguenza non potranno dissetare gli altri. “Portati qua e là dai venti”, nulla di stabile. Anche a noi potrebbe capitare di assomigliare a nuvole senz’acqua. Bisogna prima attingere, bere noi stessi per poi darne ad altri. “Chi crede in me… fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno” (Giovanni 7:38). Il Signore era sempre pronto a dissetare gli altri; la donna Samaritana ne ha fatto l’esperienza!

Un servizio che spetta alla Chiesa ci viene presentato alla fine dell’Apocalisse: “Chi ha sete venga; chi vuole prenda in dono dell’acqua della vita” (22:17). Che privilegio essere gli strumenti per chiamare gli increduli alla fede e portare ad altri quell’acqua vivificante con cui noi stessi ci dissetiamo! Che prezioso servizio e che responsabilità!

  1. Poi viene la terza figura: “Alberi d’autunno senza frutti, due volte morti, sradicati”. In primavera e in estate ci si può aspettare dei frutti, ma qui è giunta la stagione buona e il frutto non c’è stato. Per portare “molto frutto” (Giovanni 15:8) bisogna sapere che senza il Signore non possiamo far nulla (15:5). Quelle povere anime di cui è parlato qui non sono mai state in contatto col Signore; non sono che legno morto senza il minimo segno di vita. Due volte morti: morti per natura, in quanto figli di Adamo, e morti per quanto riguarda la loro testimonianza.
  2. C’è ora una quarta immagine: quei falsi cristiani sono paragonati a “onde furiose del mare, schiumanti la loro bruttura”. Quelle persone non sono stabili. Quando il mare è agitato, le onde vanno ad infrangersi sulla scogliera. Questi uomini che non hanno mai saputo cos’è l’amore del Salvatore, non hanno la pace, non assomigliano a Maria di Betania che, nella quiete, stava seduta ai piedi di Gesù. Dimostrano di essere attivi, ma la loro attività è carnale. Il risultato non può essere che la morte, per loro stessi e per quelli che li seguono. In Isaia 57:20-21 si legge: “Ma gli empi sono come il mare agitato, quando non si può calmare e le sue acque cacciano fuori fango e pantano. «Non c’è pace per gli empi», dice il mio Dio”.

La mancanza della conoscenza di Dio produce fatalmente l’instabilità morale, l’agitazione, il disordine. La sola professione esteriore cristiana non protegge dal male.
È necessaria la fede per poter smascherare tali persone; l’uomo naturale o il credente poco spirituale si lasciano influenzare facilmente da ciò che costoro dicono. È umiliante pensare che tra i veri cristiani abbiano potuto infiltrarsi persone simili. È colpa nostra. Ci siamo addormentati e il nemico ha seminato la zizzania. Dobbiamo saper vedere questa mescolanza di credenti e non credenti che c’è nell’ambito cristiano, e la Parola mostra che la fede possiede questo discernimento. Leggiamo nella seconda Lettera a Timoteo: “si ritragga dall’iniquità chiunque pronuncia il nome del Signore” (2:19). Non solo si può discernere l’iniquità e separarsene, ma si può camminare “con quelli che invocano il Signore con un cuore puro” (2:22).
Molti conduttori cristiani si lasciano influenzare da idee politiche o da correnti religiose perché manca loro quel fondamento che solo la conoscenza di Dio può dare. Non si prendono del tempo per ascoltare e imparare dalla Bibbia, e spesso non danno alla Bibbia la fiducia e l’autorità che merita. Per insegnare agli altri bisogna rimanere alla scuola di Dio e ricevere quel nutrimento di cui la fede ha bisogno. La letteratura cristiana è oggi molto abbondate, ma in alcuni casi si è allontanata dalla sorgente e trasmette poco o nessun vero nutrimento. Dobbiamo tutti chiedere al Signore che ci mantenga attaccati alla Sua Parola. La nostra salvaguardia sta in quello che Paolo scriveva in 2 Timoteo 3:14-17: “Tu, invece, persevera nelle cose che hai imparate e di cui hai acquistato la certezza… le quali possono darti la sapienza che conduce alla salvezza mediante la fede in Gesù Cristo”; e anche: “Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona”.

  1. Nella quinta figura, gli uomini da cui Giuda ci mette in guardia sono paragonati a “stelle erranti, a cui è riservata l’oscurità delle tenebre in eterno”. Una stella emette luce; è posta da Dio in un ordine stabilito; le stelle erranti, come le comete, non hanno una posizione fissa. In senso morale questo dice molto. La stessa immagine la si trova più volte in Apocalisse; alcune “stelle” cadono, hanno perso ogni autorità morale; causano disordini spaventosi, perdono il loro carattere e disorientano le masse. Questi capi religiosi, qui, non hanno né una linea di condotta coerente né una dottrina coerente; non è dunque possibile fare affidamento sui loro insegnamenti né sull’esempio che danno.

Il vero cristiano dovrebbe essere come una stella che mantiene la sua posizione, restando ferma, che si tratti della dottrina, del cammino o del comportamento morale: “Considerando quale sia stata la fine della loro vita, imitate la loro fede” (Ebrei 13:7). Ecco delle stelle che sono rimaste al loro posto. In Filippesi 2:15 è detto che i credenti risplendono come astri nel mondo in mezzo ad una generazione storta e perversa. Questo ci fa pensare anche alle sette stelle delle sette chiese, che hanno la loro responsabilità nelle rispettive chiese. Se in una delle chiese la stella è errante, è a lei che il Signore si rivolgerà in primo luogo per condannarla.
Ma a queste stelle erranti è riservata una triste la fine! “L’oscurità delle tenebre in eterno”!

Anche per costoro profetizzò Enoc, settimo dopo Adamo, dicendo: “Ecco il Signore è venuto con le sue sante miriadi per giudicare tutti; per convincere tutti gli empi in mezzo a loro di tutte le opere di empietà che hanno empiamente commesse e di tutti gli insulti che gli empi peccatori hanno pronunciato contro di Lui”. Sono dei mormoratori, degli scontenti; camminano secondo le loro passioni; la loro bocca proferisce cose incredibilmente gonfie e circondano d’ammirazione le persone per interesse.” (v. 14-16)

Nei v. 14-16 Giuda parla di una rivelazione fatta a Enoc, il “settimo dopo Adamo”. Già al suo tempo Dio gli aveva concesso di prevedere il giudizio degli empi e lui ne aveva profetizzato. È sorprendente che solo nel penultimo libro della Parola di Dio si venga a sapere ciò che Dio aveva rivelato, prima ancora del diluvio, riguardo all’uomo empio e alle conseguenze della sua empietà. L’unità della Parola di Dio e la potenza dello Spirito risplendono così di una viva luminosità. Grazie allo Spirito Santo, Giuda risale nel passato fino a Caino, e per mezzo dello stesso Spirito Enoc si era proiettato nel futuro. Anche noi non possiamo esaminare le Scritture se non mediante lo Spirito di Dio.
I pensieri di Dio non mutano. Egli conosce il male, lo vede e lo giudica, e il Suo verdetto non è cambiato, nonostante il tempo trascorso.
In contrasto con Noè che attraversò il giudizio del diluvio, Enoc fu rapito in cielo. Quest’uomo benedetto, il cui rapimento parla ai nostri cuori, conosceva anche il giudizio di Dio sul male. Nel mondo vengono commessi anche oggi peccati orribili e sembra che Dio non se ne occupi; ma se il giudizio non è subito eseguito è solo perché Dio ha pazienza e attende che i malvagi si ravvedano (Ecclesiaste 8:11). Ma quando l’ora del giudizio suonerà, non sarà possibile sfuggirgli.
È scritto che Enoc ha camminato con Dio trecento anni, e siccome camminava con Lui ha potuto conoscere il Suo pensiero. Anche noi, se camminiamo con Dio, potremo conoscere i Suoi pensieri rivelati nella Parola. Siamo giunti alla vigilia dei giudizi che cadranno su tutto il mondo non appena l’apostasia avrà raggiunto il suo culmine. Facciamo attenzione a serbare l’insegnamento di Dio e incitiamo coloro che non credono a pentirsi e ad accettare la salvezza che Dio offre per mezzo di Cristo prima che sia troppo tardi.
Enoc è vissuto mentre Adamo era ancora in vita, e Dio già gli aveva rivelato la venuta del Signore per giudicare gli empi! In Ebrei 11 è scritto: “Per fede Enoc fu rapito perché non vedesse la morte… ebbe la testimonianza di essere stato gradito a Dio… Senza fede è impossibile piacergli”. Che bella testimonianza! Che si possa dire altrettanto di noi.
Notiamo che la profezia di Enoc non si ferma al diluvio, ma preannuncia un giudizio finale. Nemmeno la cristianità sarà risparmiata perché è scritto che il giudizio deve incominciare dalla casa di Dio (1 Pietro 4:17). Ma, dopo i giudizi, la terra conoscerà finalmente, sotto il regno di Cristo, la giustizia e il riposo. “Quando i tuoi giudizi si compiono sulla terra, gli abitanti del mondo imparano la giustizia” (Isaia 26:9).
Enoc ha profetizzato questa solenne scena di giudizio, ma Dio gli ha concesso la grazia di vedere il Signore “con le sue sante miriadi”. Questo infonde una grande gioia, perché se da un lato si vede il male che viene compiuto dagli empi, dall’altro si vede l’opera di Dio e i fedeli che lo accompagneranno.
Se c’è una tale separazione tra questi due gruppi di persone, manteniamola moralmente anche nel tempo attuale. Tutti noi che abbiamo creduto saremo insieme a Colui che giudicherà il mondo!
Il v. 16 mostra l’infelicità delle persone che saranno giudicate. Mormorano e si lamentano di continuo, senza apprezzare le benedizioni che Dio ha messo alla loro portata; non ne godono e tuttavia si dichiarano cristiani. Sostengono di essere guidati da un ideale elevato, “la loro bocca proferisce cose incredibilmente gonfie”, ma in realtà sono spinti unicamente dalle loro brame. Il vero cristiano dovrebbe avere una sola ambizione: compiere la volontà del suo Signore. “Il mondo passa con la sua concupiscenza, ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1 Giovanni 2:17).
La fine del versetto mostra anche che quei falsi cristiani adulano gli altri, circondando “le persone per interesse”. Adulare gli altri è male, e lo è tanto più quando, come qui, l’adulazione viene fatta in modo bugiardo per interessi personali.
È sorprendente che Dio abbia voluto intervenire in grazia, per mezzo di Gesù Cristo, per liberare quante più anime possibile “dal potere delle tenebre” e trasportarle “nel regno del suo amato Figlio” (Colossesi 1:13). “Dio mostra il proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Romani 5:8).

Ma voi, carissimi, ricordatevi di ciò che gli apostoli del Signore nostro Gesù Cristo hanno predetto quando vi dicevano: «Negli ultimi tempi vi saranno schernitori che vivranno secondo le loro empie passioni». Essi sono quelli che provocano le divisioni, gente sensuale, che non ha lo Spirito.  (v. 17-19)
L’inizio di questa Lettera mostra la progressione del male fino all’apostasia finale, e Giuda si rivolge ai “carissimi” per mettere in evidenza le risorse che sono in grado di preservarli da questo male. Non solo li aiuta a discernere ciò che si trova in questo mondo, ma fornisce loro quanto è necessario per camminare con Dio.
Questi carissimi sono i “voi” del v. 20. In Daniele 10:11 Dio definisce il suo servitore, rimasto attonito davanti alle rivelazioni divine, “uomo molto amato”, riconoscendone la fedeltà e dandogli dignità. Simile titolo è stato dato da Dio a Suo Figlio quando ha detto “questo è il mio diletto (amato) Figlio” (Marco 9:7); e ancora “a lode della gloria della sua grazia che ci ha concessa nel suo amato Figlio” (Efesini 1:6).
La prima cosa che i “carissimi” sono esortati a custodire è la Parola di Dio, quella che anche noi abbiamo udito, la Parola immutabile ed eterna. In essa il male viene chiamato col suo nome e denunciato, ma vengono anche presentati gli strumenti per proteggersi da esso.
Giuda non insegna cose nuove, ma fa riferimento a cose che i fratelli già conoscono. Nel v. 5 scriveva “voi che avete da tempo conosciuto tutto questo”, e nel v. 17 “ricordatevi di ciò che gli apostoli… hanno predetto”. Anche l’apostolo Giovanni inizia la sua prima Lettera parlando di “quel che era dal principio…”. Non v’è nulla di nuovo per noi che abbiamo creduto. Quel che era dal principio è ciò che dobbiamo sapere, custodire nei nostri cuori e mettere in pratica. Lo Spirito dice alla chiesa di Filadelfia: “Hai serbato la mia parola e non hai rinnegato il mio nome” (Apocalisse 3:8).
Nel primo versetto i “carissimi” sono “amati in Dio Padre”, quindi sono al sicuro. E dopo aver terminato il triste quadro di empietà e di castigo, Giuda si rivolge nuovamente a loro. Di fronte a tutte quelle miserie e ai successi del nemico, ecco che il riposo e la sicurezza si trovano soltanto in Dio e nella Sua Parola. Più si andrà avanti, più ci sarà bisogno di fede e di fermezza per conservare la Parola nella sua integrità e non adattarla ai principi del mondo. Non è sempre facile, tant’è vero che Giuda esorta, già all’inizio, a “combattere strenuamente per la fede” (v. 3). La nostra sicurezza risiede nella pura grazia di Dio; il mezzo per goderne non sarà mai allontanarci dalla Parola. È ciò a cui si riferiva l’apostolo Paolo quando scriveva “ho combattuto il buon combattimento… ho conservato la fede” (2 Timoteo 4:7).
La testimonianza di Dio è data da una minoranza di persone. Il titolo di “santi” qui non costituisce tanto la loro forza, quanto la posizione che Dio nella Sua grazia ha dato loro.
I credenti non sono chiamati a vivere facendo finta che in loro e attorno a loro tutto vada bene. Ma Dio, per incoraggiarli, si rivolge a loro con la tranquillità di chi non può essere toccato dal male né turbato dalle difficoltà. Egli dice che “negli ultimi tempi” i credenti si sarebbero trovati circondati da persone che avrebbero trattato il cristianesimo come una dottrina superata, come un tentativo fallito.
Pietro ha scritto: “negli ultimi giorni verranno schernitori beffardi, i quali si comportano secondo i propri desideri peccaminosi” (2 Pietro 3:3). Il cammino del cristiano non è dunque facile. Le difficoltà da superare vanno ad aggiungersi a quelle che dipendono dalle nostre circostanze, dalle prove e dalle debolezze. È il tempo in cui la fede viene mezza alla prova, ed è necessaria la saggezza che Dio dà per portare a termine la nostra corsa.
La Parola di Dio ci è stata data “completa”. In 2 Pietro 3:2, Pietro scrive “perché vi ricordiate le parole già dette dai santi profeti”, ovvero l’Antico Testamento, e “il comandamento del Signore e Salvatore, trasmessovi dai vostri apostoli”, ovvero il Nuovo Testamento. È la Bibbia nella sua interezza.
Gli schernitori che vivono secondo le proprie passioni non hanno relazione con Dio, ma sono guidate dai loro istinti carnali (“gente sensuale, che non ha lo Spirito”). Il cristiano possiede invece lo Spirito di Dio che lo accompagna ad ogni passo. È il “sigillo” della nostra appartenenza a Dio, è “l’unzione” che ci fa conoscere le cose di Dio, è uno “Spirito di adozione mediante il quale gridiamo: Abbà! Padre!” (Romani 8:15). La “gente sensuale” non ha nulla di Dio; come potremmo avere comunione con loro?
La vita eterna è un tesoro prezioso. Essa ha per fine la gloria e l’eternità, e ha le sue origini nell’eternità. Se la vita eterna è promessa prima di tutti i secoli, comprendiamo che è al sicuro da ogni ingiustizia e da ogni errore. La nostra fede trova qui un fondamento stabile che Dio stesso ha posto, e ciò che Dio fa non può essere alterato perché è immutabile, “d’eternità in eternità” (Salmo 90:2).
Siamo conservati in Gesù Cristo per grazia, come abbiamo visto all’inizio di questa breve Lettera, ed è solo Lui che può preservarci, come vediamo alla fine. Ma spetta a noi entrare nel piano di Dio, andargli, per così dire, incontro nelle disposizioni della nostra anima. Tutte le persone della Trinità sono a disposizione di ogni singolo cristiano e anche della testimonianza collettiva.

“Ma voi, carissimi, edificando voi stessi nella vostra santissima fede, pregando mediante lo Spirito Santo, conservatevi nell’amore di Dio…” (v. 20)
L’amore di Dio ci prende per mano, per condurci attraverso le fitte nebbie che invadono sempre di più il mondo religioso. È prezioso avere una mano fidata che ci guida con sicurezza fino alla tanto desiderata meta. La parola di Dio è una lampada ai nostri piedi, e una lampada è tanto più utile quanto più è grande l’oscurità. Abbiamo già ricordato che Dio ci riporta sempre alla Sua Parola. È la conoscenza dei pensieri di Dio che ci rivela tutto ciò che è male e quale ne sarà la fine, ma ci rivela come ne siamo preservati.
Se prestiamo attenzione alla Parola di Dio, saremo preservati da tante cadute. Nel Suo libro, Dio ci parla spesso di cadute e lo fa con saggezza, per la nostra istruzione. Ci mostra in che modo alcune dei suoi “carissimi”, che tuttavia l’hanno glorificato, siano caduti e quali ne sono state le cause e le conseguenze.
Davide, ad esempio, camminò con Dio fuorché in alcune circostanze una delle quali è stata particolarmente triste (2 Samuele 11). Salomone, che così bene aveva iniziato e proseguito la sua vita di credente, alla fine dei suoi anni si è allontanato da Dio. Perché? Certamente perché ha dimenticato alcuni insegnamenti della Parola che erano tuttavia facili da memorizzare e che lui avrebbe dovuto leggere e rileggere tutti i giorni della sua vita.
Dio non ci descrive sempre nei dettagli le cose che non dobbiamo fare. Spesso l’insegnamento è generale, come in 1 Giovanni 2:25: “Non amate il mondo ne le cose che sono nel mondo”. Non vengono spiegate nei particolari tutte le cose “che sono nel mondo”, ma Dio ce le fa comprendere; ciò che è nel mondo si riassume in 3 concupiscenze, e quelle cose non hanno nulla a che fare con il Padre.
La Parola di Dio rischiara il campo visivo dell’uomo di fede. Dio vuole fargli discernere qual è la Sua volontà e quali sono le insidie che Satana pone sul cammino. Ma bisogna evitare queste insidie, e la Parola di Dio ci mette in grado di evitarle.
Anche Daniele era un uomo “carissimo” (o “molto amato”) e Dio gli ha rivelato un futuro assai cupo. Egli era angosciato e stupito, ma non appena Dio gli ha parlato, ha ripreso animo. La voce di Dio, la Sua Parola, non solo fa vedere il male, ma infonde anche la forza per evitarlo.
Sembra che Dio ci dica: il nemico compie la sua opera, il male aumenterà. Bisogna che tu corra per la tua strada, e io ti darò la forza necessaria. “Ma voi carissimi”, ripete Giuda. In un contesto generalmente malvagio c’è quindi un’eccezione, un cammino distinto, totalmente differente da quello descritto e nel quale le risorse abbondano. Per prima cosa “edificando voi stessi nella vostra santissima fede”, perché mediante la fede il credente progredisce nella conoscenza di Dio e vive alla Sua Santa presenza.
Nella prima Lettera di Giovanni, i figli di Dio, sono considerati nell’ottica di una crescita normale. Alla conversione sono come bambini; ma se non edificano se stessi sulla loro santissima fede, nella conoscenza di Dio Padre, non ci sarà crescita e resteranno in uno stato anomalo. Per edificare noi stessi dobbiamo nutrirci quotidianamente della Parola. Il Signore stesso ha detto: “investigate le Scritture…esse sono quelle che rendono testimonianza di me” (Giovanni 5:39). La seconda risorsa è “pregando mediante lo Spirito Santo”. Che Dio ci guardi da pregare in altro modo. Ma come capire che si prega per mezzo dello Spirito Santo? La Parola ci insegna che il Suo ruolo consiste sempre nel glorificare il Signore; bisogna dunque che le nostre preghiere abbiano come fine Sua gloria. Lo Spirito Santo agendo in noi, ci distoglie dalla preoccupazione egoista di noi stessi e dalla nostra tendenza a pensare soprattutto a noi e al nostro benessere. Siamo pur certi che ad ogni richiesta fatta con semplicità, con Cristo nel cuore, c’è una risposta. Le nostre preghiere sono deboli e imperfette perché siamo dei “vasi” di terra; è una grazia che lo Spirito ci venga in aiuto. Senza di Lui, il nostro modo di esprimerci e il nostro modo di pensare difficilmente raggiungerebbero Dio. Lo Spirito possiede il Suo linguaggio proprio; è il sospiro di cui Dio conosce il significato e che esprime in questo caso il nostro reale bisogno. Questo sospiro esce dai nostri cuori, e noi non sempre ci rendiamo conto dell’importanza che ha per Dio che sa discernere ogni cosa e che sa come rispondere.
La preghiera procede di pari passo con la conoscenza del Signore. Non appena Paolo si è convertito, la parola di Dio ha cominciato a fare il suo lavoro: è detto di lui “egli è in preghiera” (Atti 9:11). Quella preghiera era iniziata così, sulla via di Damasco: “Signore, che devo fare?” (Atti22:10). Ecco in cosa consiste la vita cristiana.

“…aspettando la misericordia del nostro Signore Gesù Cristo, a vita eterna.” (v.21).
Due elementi sono presentati, a completamento dei primi due. In primo luogo, siamo esortati a conservarci nell’amore di Dio. L’atmosfera nella quale di trovano i “carissimi” è quella dell’amore. Che gioia pensare all’amore di Dio, così grande, così profondo, così vasto, e che tuttavia è per noi! Dio è amore. L’amore del Padre e l’amore del Figlio fanno un tutt’uno, come si legge in 2 Tessalonicesi 2:16: “Ora lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio nostro Padre, che ci ha amati…”. I due sono uno solo. Questo amore risale all’età passata; è stato manifestato non appena la creazione è uscita dalle mani di Dio e l’uomo ha fatto la sua comparsa. Il primo pensiero che ci viene dato in Genesi 2 è il pensiero dell’amore: Dio circonda di benedizioni coloro che aveva creato e posto sulla terra.
L’amore di Dio è il terreno immutabile su cui si fondano la nostra relazione con Lui e le nostre benedizioni ; è un amore profondo che nulla può inaridire. Il nostro amore per Lui proviene dal fatto che ci ha amati per primo; è il frutto della Sua grazia in noi e non una facoltà della carne. Nel donarci il Figlio, Dio ci ha amati in modo totale e gratuito; poi ha riversato il Suo amore nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Per il credente, Cristo è tutto. Egli diceva ai discepoli “Dimorate nel mio amore” (Giovanni 15:10). Una delle astuzie del nemico  è di farci vedere la mano di Dio separata dal Suo cuore, quando, se è necessario esercita la disciplina. Ma anche quando la Sua mano ci stringe da vicino per indurci ad abbandonare ciò che non gli è gradito, il Suo cuore, giuda sempre la sua mano! In Romani 8:28 Paolo dice: ”Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio”. Non dice: ”Comprendiamo” perché spesso non comprendiamo le vie di Dio, ma dice: “Sappiamo”. È una completa fiducia nel fatto che Dio benedice i Suoi santi in ogni situazione. Siamo così conservati nell’amore di Dio. All’inizio della Lettera troviamo l’espressione: “custoditi da Gesù Cristo”. È la posizione nella quale Dio ci ha posto. In un tempo in cui il male abbonda, noi non possiamo fare nulla per migliorare le cose, ma il cammino della fede è sicuro e tranquillo perché è fatto con Dio. Lo Spirito Santo dirige e si ha la consapevolezza che l’amore di Dio non può venire meno perché ci circonda da ogni parte. Non si deve essere indifferenti al male ma fiduciosi nel cuore di Dio. Per essere confermati nel Suo amore è necessario un continuo esercizio; tra sapere questo e averne la consapevolezza c’è una grande differenza. Ciò che lo Spirito vuol dire qui è essere conservati nel godimento dell’amore di Dio e nella forza di quest’amore, e custodire nel cuore tutto il Suo valore.
L’esperienza di ogni credente insegna che ciò non si realizza se non attraverso la nostra “santissima fede” e pregando mediante lo Spirito. Essere confermati nell’amore di Dio costituisce la molla della vita cristiana nei tempi di rovina. C’è miseria ovunque, attorno a noi e in noi, ma l’amore di Dio può colmare i nostri cuori perché Lui è sempre lo stesso. Si può pensare all’esordio del Vangelo di Luca. C’era anche allora uno stato desolante, ma c’erano alcune anime che ne erano state preservate, delle anime felici che godevano in Dio e lo servivano. Tutti i danni che il nemico aveva arrecato in mezzo al popolo del Signore non avevano potuto scoraggiarli. Del resto se non abbiamo l’amore di Dio, cosa ci rimane? Questa esortazione è collettiva. Lo Spirito prevede che siano in molti quelli che intendono ciò che Lui dice: conservatevi, fratelli e sorelle. Si è ben ricompensati delle proprie fatiche se pregando ed esortandoci si gode insieme dell’amore di Dio! Facciamoci coraggio. Queste cose sono dette a credenti, a credenti in tempo di rovina, e noi lo stiamo vivendo. Dio rimane lo stesso e il Suo amore rimane alla portata dei nostri cuori. Così, quando ci lamentiamo, a volte troppo, della mediocrità e della rovina di ogni cosa, Dio potrebbe dirci: “ma il mio amore è sempre alla vostra portata; in mezzo al deserto c’è una sorgente bevete a quella!”. Le tre grandi risorse che Dio da alla fede per attraversare i tempi di degrado spirituale e morale, ossia la conoscenza e la pratica della parola di Dio, la preghiera è il rimanere nel Suo amore, si legano le une alle altre. La conoscenza dei pensieri di Dio ci insegna a servirlo ed ad assumere un atteggiamento di dipendenza e di fiducia che si esprime poi nella preghiera. È in questa disposizione che sperimentiamo sempre cos’è l’amore del nostro Padre.
Questo amore si manifesterà in modo meraviglioso quando invierà il Signore Gesù per prenderci. È l’ultima parte del v. 21: “aspettando la misericordia del nostro Signore Gesù Cristo, a vita eterna”.
I tempi difficili sono già incominciati e avranno uno sviluppo sempre maggiore; ma com’è bello rimanere in questa atmosfera divina, in cui la fede può conservarci e nella quale le risorse non mancano. Non solo la misericordia del Signore verrà a trarci fuori dalla scena del male, ma ci sarà la vita eterna, la comunione con Padre e con Figlio per sempre, senza impedimenti, senza nube alcuna. Che gioia! Questo sarà il paradiso. Ma perché ci è detto di aspettare la misericordia del Nostro Signore Gesù Cristo per ricevere la vita eterna? La vita eterna ci è data da Lui, e noi credenti la possediamo già come tesoro attuale. Ma quando si parla di aspettare la vita eterna si tratta della vita eterna in gloria, della Sua pienezza gloriosa. Noi possediamo già la vita eterna ed è la stessa vita di cui godremo per sempre in cielo, ma non la conosciamo ancora nella sua pienezza infinita. Capiamo dunque perché, dopo la descrizione dello stato della cristianità, nella quale tuttavia ci sono dei veri credenti, la misericordia venga presentata in vista della vita eterna. Bisogna che l’amore del Signore sia la garanzia sicura del nostro ingresso in quella vita eterna in gloria. Giuda ci fa rialzare il capo mostrandoci questa speranza che porrà fine a tutte le prove legate alle cose descritte nei v. 20 e v. 21. Doversi sempre edificare, sempre pregare, comporta un impegno, un atteggiamento continui di combattimento e di vigilanza; ma è un atteggiamento che non possiamo abbandonare nemmeno un istante. Non c’è riposo possibile; se ci lasciamo andare, il nemico ne approfitterà.
Qui dunque la venuta del Signore è presentata come consolazione ed incoraggiamento per quei santi provati in tanti modi.

Abbiate pietà di quelli che sono nel dubbio; salvateli, strappandoli dal fuoco; e degli altri abbiate pietà mista a timore, odiando perfino la veste contaminata dalla carne” (v. 22-23)
Il v. 22 ci insegna ad avere del discernimento in modo da non confondere coloro che guidano con coloro che sono guidati. I primi hanno una grande responsabilità; alcuni di loro però hanno la pretesa di insegnare e dirigere, ma introducono contese e dispute; fanno in qualche modo ciò che Giuda ha detto riguardo a Satana che contendeva e disputava con l’arcangelo Michele. Quando si tratta di questa categoria di persone è necessario riprenderle e farle tacere; è una cosa da fare nell’assemblea di Dio.
Ma ci sono gli altri che si lasciano sedurre e attrarre da voci estranee finendo su un terreno scivoloso. Quelli dobbiamo “salvarli” con timore e strapparli dal fuoco. È l’atteggiamento dell’amore. L’amore gioisce con la verità e si impegna, dovunque sia possibile, a coprire una moltitudine di peccati. Ma bisogna che adempiamo la missione che ci è assegnata con quel timore che si addice e che non può trovare un’espressione concreta se non nella misura in cui dipendiamo dal Signore e siamo piccoli ai nostri propri occhi, per ricevere tutto da Lui.
Alla fine della Lettera di Giacomo, si trova un passo preciso: “Fratelli miei, se qualcuno tra di voi si svia dalla verità e uno lo riconduce indietro, costui sappia che chi avrà riportato indietro un peccatore dall’errore della sua via salverà l’anima del peccatore dalla morte e coprirà una gran quantità di peccati” (5:19-20). Quando la Parola di Dio impiega quest’espressione “gran quantità di peccati” allude a manifestazioni dell’infermità individuale che possono essere sopportate, alleviate, guarite nell’amore, “coperte”. Non si tratta di tenere nascosto o di sottovalutare un peccato grave che costituisce un’offesa al Signore e un oltraggio alla Sua santa maestà. Qui gli insegnamenti della Parola sono ben diversi. Bisogna che il peccato grave sia messo in luce e giudicato.
Nel v. 22 di 1 Timoteo 5:20 è scritto: “Quelli che peccano, riprendili in presenza di tutti, perché anche gli altri abbiano timore”. Se qualcuno viene ripreso apertamente e pubblicamente, perché la gloria e la testimonianza sono calpestate, si presume che ci siano discernimento spirituale ed energia sufficienti in chi smaschera il male in questo modo.
All’inizio della Lettera abbiamo visto che i credenti erano invitati a combattere per la fede; qui, alla fine, troviamo alcune precisazioni sull’atteggiamento richiesto in presenza delle difficoltà. I due versetti precedenti ci hanno mostrato l’esercizio necessario affinché lo stato interiore del credente sia in ordine. Non è ad apostoli che questo v. 22 è rivolto, ma a dei santi. Paolo aveva l’autorità e il potere di consegnare a Satana l’incestuoso di Corinto, ma è evidente che questo richiede una grande autorità morale. Non è bene, comunque, che un credente o un’assemblea sopportino ogni cosa senza mai intervenire. Una delle esortazioni che l’apostolo dà a Timoteo è “esorta, rimprovera” (2 Timoteo 4:2).
Se fossimo abbastanza devoti e spirituali, potremmo realizzare tutta questa gamma di interventi gli uni nei confronti degli altri; e queste cose, realizzate alla dipendenza di Dio, sortirebbero eccellenti risultati.
La riprensione fa parte dell’esercizio dell’amore fraterno, e dev’essere esercitata sotto l’impulso di questo amore. Spesso ci immaginiamo che l’amore consista nel lasciar correre ogni cosa, e allora la vigilanza e i doveri verso i nostri fratelli si attivano solo quando il male è palese e si è obbligati a intervenire. L’amore, invece, previene il male e parla a tempo debito. Notiamo che queste cose ci vengono dette in una lettera in cui è descritta la rovina, e di conseguenza vengono molto a proposito nel nostro tempo.
La questione è di sapere se l’autorità morale conferita dal Signore a qualche Suo eminente servitore viene o meno rispettata. Se è rispettata e la sua voce ascoltata, una situazione apparentemente senza speranza può essere completamente e rapidamente ristabilita. Ma se non si vuole ascoltare ciò che viene detto da parte del Signore, la situazione peggiorerà. È dunque auspicabile che vi siano dei fratelli e delle sorelle qualificati per intervenire all’occorrenza.
Che vigilanza deve produrre, nel credente che vuole seguire la Parola, l’amore che egli nutre per i suoi fratelli! Una delle ragioni delle nostre umiliazioni è proprio quella di non aver saputo pensare abbastanza ai nostri fratelli, di non aver pregato per chi era caduto nel laccio del diavolo e non averlo avvertito in tempo.
Inoltre, ci è detto di odiare la veste contaminata dalla carne. Ci sono molte cose che Dio odia e noi dobbiamo fare lo stesso. Alla Chiesa di Efeso è scritto: “Tuttavia hai questo: che detesti le opere dei Nicolaiti, che anch’io detesto” (Apocalisse 2:6). “Il timore del Signore è odiare il male” (Proverbi 8:13). Il male non è un’astrazione, ma un orientamento perverso che si concretizza in azioni contrarie alla volontà del Signore. L’assemblea deve vigilare affinché non si introduca un principio che porti alla dissoluzione della testimonianza; se l’assemblea cessa di essere “colonna e sostegno della verità” (1 Timoteo 3:15) in tutti i sensi, della verità nel mondo non resta più traccia.

A Colui che può preservarvi da ogni caduta e farvi comparire irreprensibili e con gioia davanti alla Sua gloria, al Dio unico, nostro Salvatore per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, siano gloria, maestà, forza e potere prima di tutti i tempi, ora e per tutti i secoli. Amen.” (v. 24-25)
Ora lo Spirito orienta i nostri sguardi verso la risorsa suprema. Questa breve Lettera ci ha descritto dei tempi penosi, in cui il male predomina ed è difficile non inciampare; ma c’è una risorsa permanente ed è divina. Dio ci dice: contate su di me! Vi amo abbastanza non solo per darvi la salvezza delle vostre anime, ma anche per farvi comparire con gioia alla mia presenza. Che epilogo felice e benedetto per il credente! Abbandoniamoci, docili e dipendenti, a Colui che vuole e può preservarci da ogni caduta, senza ostacolarlo nel Suo lavoro.
Il nostro prezioso Salvatore ha proseguito e terminato la sua corsa alla gloria del Suo Dio e Padre, ma lo si sente dire nel Salmo 16:1 “Proteggimi, o Dio, perché io confido in Te”; e nel v. 8 “Io ho sempre posto il Signore davanti agli occhi miei”. C’è gloria per Dio quando salva un peccatore, ma c’è anche gloria quando Egli tiene per mano uno dei suoi redenti e gli fa sentire che solo Lui può condurlo, custodirlo e provvederlo del necessario perché rimanga in piedi.
La Lettera non si conclude con le istruzioni e le esortazioni date alla fine del paragrafo precedente (v. 17-23). Il pericolo sarebbe stato che quelle esortazioni ci inducessero a fare affidamento sui nostri esercizi spirituali, anche i migliori e secondo Dio. Ma non possiamo mai fare affidamento sulla nostra devozione né sul sentimento che possiamo avere della nostra responsabilità. Dopo la descrizione di questo naufragio generale, Dio presenta Sé stesso ed è proprio di Lui che abbiamo bisogno.
In questo scenario di afflizione, di difficoltà e di pericoli, possiamo dare testimonianza al Signore e “combattere strenuamente per la fede, che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre” (v. 3). Non c’è in noi alcuna forza che ci premetta di preservarci da soli. Ma Dio, il solo Dio nostro Salvatore, possiede questa potenza che è l’unica in grado di custodirci, malgrado tutte le difficoltà che incontriamo attorno a noi o le inclinazioni malvagie che troviamo in noi.

È così che leggiamo in 2 Pietro 3:14-15: “perciò, carissimi, aspettando queste cose, fate in modo di essere trovati da Lui immacolati e irreprensibili nella pace e considerate che la pazienza del nostro Signore è per la vostra salvezza”.

Che incoraggiamento! Siamo limitati e deboli, ma possiamo farci istruire da Dio stesso ed entrare così nei piano del Suo amore verso di noi, in vista di un cammino e di una testimonianza fedeli, nella separazione dal momento e in santità, fino al momento in cui ci sarà dato di comparire irreprensibili e con gioia davanti alla Sua gloria. Vediamo anche nel bel v. 24 che c’è abbondanza di “gioia”, e tutto questo ci induce a lodare, a benedire e adorare il nostro Dio che così amorevolmente ci assiste in ogni istante della nostra vita. In questa Lettera che denuncia l’apostasia, lo Spirito di Dio fa risplendere davanti a noi questo titolo meraviglioso “Dio Salvatore”. Non significa soltanto che Dio salva i peccatori accordando loro il perdono dei peccati; certo e da qui che bisogna iniziare perché è la base di tutto il resto, è la liberazione dalla condanna del peccato; ma c’è ancora la “salvezza” del corpo alla venuta del Signore, la liberazione dalla presenza del peccato (Filippesi 3:21) e la salvezza intesa come l’insieme delle liberazioni che Dio ci accorda giorno per giorno in questo mondo difficile. C’è poi la salvezza per quanto concerne il cammino e la testimonianza, la liberazione dalla potenza del peccato, fino al momento in cui raggiungeremo la meta gloriosa che è dinnanzi a noi. Dio ha il potere di preservarci da ogni caduta, di fare in modo che non inciampiamo, che non cediamo alle lusinghe del peccato. La grande questione per noi è dunque di confidare in Lui e non in noi stessi, ricordiamoci di queste parole di Piero: “Siete custoditi dalla potenza di Dio mediante la fede” (1 Pietro 1:5). È Dio che custodisce, ma bisogna che la fede sia attiva. Mediante la fede noi traiamo profitto dalla potenza di Dio. Abbiamo bisogno di pregare, di vigilare, di odiare il male con il cuore rivolto a Dio. È un esercizio che deve essere mantenuto attivo quotidianamente. Una delle più ardenti richieste nelle nostre preghiere dovrebbe essere che Dio ci aiuti a vedere le cose chiaramente, che i nostri giorni siano pieni della Sua luce, per non camminare sotto l’impulso dei nostri pensieri e delle nostre emozioni, né sotto l’influenza del mondo. Sono un bel cantico questi versetti 24 e 25! Esso glorifica Dio attraverso il Signore Gesù Cristo. La vista di tanto male ci fa apprezzare la grazia di avere un salvatore così grane! Gli apostati cadono lungo il cammino, ma la fede fa giungere alla meta. Il pensiero che presto saremo nella gloria, ci porta alla lode. Un Dio così eccelso e così maestoso è lieto di trovarla nei nostri cuori e sulle nostre labbra. È senza dubbio la Sua grazia a produrla, ma siamo noi che la esprimiamo. Dio ci ha scelti affinché il cielo sia riempito del profumo dell’adorazione, come ne fu piena la casa quando Maria di Betania sparse l’olio profumato sui piedi del Signore (Giovanni 12:3).