di F.B. Hole
Articolo tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 11-2007
Molti credenti di Corinto avevano grande stima di se stessi, dei loro doni e delle loro azioni. L’intellettualismo che alcuni ostentavano li portava a negare, o per lo meno a mettere in dubbio, la risurrezione dai morti, verità fondamentale del Vangelo.
Il Vangelo ci salva se crediamo al suo messaggio e lo “serbiamo” fermamente.
Il messaggio del Vangelo è basato su fatti. In primo luogo il fatto della morte di Cristo per i nostri peccati, come l’avevano annunziato le Scritture, ad esempio Isaia 53:5 e 8. In secondo luogo, i due fatti (che l’apostolo Paolo raggruppa qui) del seppellimento e della risurrezione del Signore, conformemente alle Scritture, ad esempio Isaia 53:9 e 10.
Il primo e il secondo di questi avvenimenti non erano messi in dubbio; tutti li conoscevano. Invece, il terzo – la risurrezione di Cristo – non era riconosciuto pubblicamente e vediamo negli Atti che costituiva il tema essenziale della predicazione degli apostoli. Era questo terzo fatto ad essere messo in dubbio dai Corinzi. Ecco perché Paolo ricorda loro che c’era una testimonianza irrefutabile alla sua veridicità. Egli cita sei occasioni distinte in cui il Signore è stato visto risuscitato, l’ultima era quella che lo riguarda personalmente, nella quale il Signore risuscitato gli era apparso nella gloria del cielo. L’apostolo aggiunge che questa lista non era neppure completa, poiché non cita nessuna delle occasioni in cui il Signore Gesù era apparso alle donne.
Paolo si presenta come uno dei testimoni e questo gli offre l’occasione di ricordare che, quando gli apostoli avevano visto il Signore risuscitato, egli stesso era ancora un oppositore e un persecutore. Questo pensiero lo umilia e lo spinge a sentirsi indegno di essere annoverato tra gli apostoli. Nel contempo, gli riempie il cuore del sentimento della grazia di Dio, grazia che non solo l’aveva chiamato, ma l’aveva anche spinto a vivere per il suo Salvatore una vita di faticoso lavoro.
Eppure, la loro testimonianza era univoca. Che si trattasse dei dodici discepoli o di lui stesso, tutti avevano ugualmente predicato il Vangelo del Cristo risuscitato. Da parte di tutti gli apostoli, i Corinzi non avevano udito altro Vangelo e avevano creduto in un Cristo risorto.
Tutta la verità della risurrezione dipende dalla risurrezione di Cristo. Lo dimostra il v. 12. Come si può negare la risurrezione se Cristo è risuscitato?
Così Paolo espone la sua argomentazione in modo ben ordinato. Prima esamina l’ipotesi che non ci sia risurrezione e ne elenca le conseguenze logiche. E’ l’argomento dei v. 13 a 19. E’ evidente che, se non c’è risurrezione, Cristo non è risuscitato; e se così fosse ne deriverebbe una serie di conseguenze. La predicazione di Paolo sarebbe inutile, perché predicherebbe un mito e non un fatto. La loro fede sarebbe dunque vana, perché basata su un mito. Questo spiega quanto è detto alla fine del v. 2. L’espressione “a meno che non abbiate creduto invano” non si riferisce a una fede inferiore o difettosa, ma a una fede che si appoggia su un fondamento errato.
Inoltre, ciò avrebbe implicato che gli apostoli non erano onesti, ma falsi testimoni, e che i Corinzi stessi, nonostante la loro fede nella testimonianza degli apostoli, erano ancora nei loro peccati. Avrebbe anche sottinteso che i credenti già morti, non erano entrati nella felicità eterna, ma erano “periti” (v. 18). Tutti i benefici e le speranze derivanti da Cristo sarebbero così limitati alle cose di questa vita. Che tragedia! La brillante speranza di un’eternità di gloria sarebbe annientata nella notte di una morte senza risveglio. Tutto quello che Cristo ci ha portato si ridurrebbe a un buon esempio, utile forse per migliorare un poco la nostra breve vita in questo mondo.
Se così è, “noi siamo i più miseri fra tutti gli uomini” (v. 19)!
Ogni cristiano, degno di questo nome, che ha voltato deliberatamente le spalle ai piaceri corrotti di questo mondo e rifiuta tutto ciò che potrebbe procurargli i piaceri e la soddisfazione delle proprie concupiscenze, lo fa nella speranza di un futuro eterno di gloria. Ma senza la risurrezione questo futuro non esisterebbe!
Al v. 20, Paolo passa da una forma di ragionamento negativo a un argomento positivo. Egli parte dal fatto glorioso che Cristo è risuscitato dai morti, come “la primizia” – o il primo frutto – di quelli che sono morti nella fede, i quali sono i frutti che vengono dopo la primizia. Questa verità è ampiamente sviluppata nell’ultima parte del capitolo. Qui è indicata implicitamente con l’uso della parola “primizia”. Nessuno presenterebbe una prugna come primo frutto della raccolta delle mele. Benché Cristo sia Dio, è diventato uomo; e come uomo risuscitato è la primizia dei credenti di ogni epoca, che saranno risuscitati alla venuta di Cristo. La sua risurrezione implica necessariamente la risurrezione di tutti quelli che gli appartengono.
Questo punto è così importante che Paolo interrompe per un momento il suo ragionamento e lo sviluppa nei v. 20 a 23. “Poiché per mezzo di un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione”. Adamo ha portato la morte, e tutti quelli che sono “in lui”, della sua razza, sono sotto la sentenza di morte. Cristo ha introdotto la risurrezione, e tutti quelli che sono in lui, della sua discendenza, devono essere “vivificati”. Questa nuova vita è solo per quelli che hanno la vera fede. Quelli che non hanno creduto saranno risuscitati anch’essi, ma alla fine dei mille anni del regno di Cristo, per comparire davanti al “grande trono bianco”; la loro risurrezione non sarà quindi una risurrezione “di vita” ma “di giudizio” (Giovanni 5:29). Solo i salvati entreranno in ciò che è propriamente “la vita”.
Nella risurrezione sarà osservato un ordine: “ciascuno al suo turno” (v. 23). Come abbiamo visto Cristo, che per primo è risuscitato dai morti, ha il posto preminente. In seguito, al suo ritorno, i credenti viventi verranno trasformati ma quelli deceduti, sia appartenenti alla Chiesa sia quelli dei tempi antecedenti alla Chiesa, verranno risuscitati. Ci sarà poi anche la risurrezione dei credenti deceduti nel periodo della grande tribolazione perché regnino con Cristo (Apocalisse 20:4).
“Poi verrà la fine”, dopo che, finito il millennio, saranno risuscitati gli increduli (la “risurrezione di giudizio”); non ne è parlato esplicitamente in questo capitolo, ma leggendo Apocalisse 20:11 a 21:4, si capisce che la morte è abolita, che “non sarà più”, dopo che saranno stati risuscitati i malvagi.
Un fatto chiaramente stabilito in questo brano è che, per opera della risurrezione, sarà completamente soggiogata ogni potenza nemica, perché tutto sia assoggettato a Dio, che deve essere “tutto in tutti”. Questo ci porta allo stato eterno a cui fa allusione 2 Pietro 3:13. Il millennio avrà un governo perfetto e, quando sarà terminato, ci sarà la distruzione dell’”ultimo nemico”, la morte (1 Corinzi 15:26).
A questo punto l’opera completa della redenzione e della nuova creazione avrà raggiunto il suo scopo, e il Figlio consegnerà il regno al Padre. Fattosi uomo, il Figlio ha preso una posizione di sottomissione ma, in quanto Dio, non era in nulla inferiore al Padre. Nello stato eterno Dio deve essere “tutto e in tutti”. Dio è Padre, Figlio e Spirito, ma Figlio manterrà le glorie acquisite col suo sacrificio.
Dunque, la negazione della risurrezione – considerata nelle sue conseguenze logiche – ci lascerebbe nei nostri peccati e in una miseria senza speranza; ma il fatto della risurrezione di Cristo ci conduce in uno stato eterno di gloria.
I v. 20 a 28 sono, in qualche modo, una parentesi. Il v. 29 riprende il filo del v. 19 e prosegue l’argomento, anche se il suo significato può sembrare un po’ oscuro. La parola “per” in questo versetto (“battezzati per i morti”) ha, noi riteniamo, il significato di “al posto di”. Un gran numero di quelli che erano morti, tra i primi cristiani, avevano sofferto come martiri. Paolo vede i nuovi convertiti come introdotti, con il battesimo, al posto di quelli che erano caduti come martiri, diventando essi stessi dei bersagli per gli avversari. Prendere questo posto era un atto coraggioso che però, senza la risurrezione, sarebbe stato assurdo ed inutile.
Il v. 30 conferma l’interpretazione del v. 29. Perché Paolo e coloro che gli erano associati si esponevano ai pericoli se non c’è risurrezione? Persecuzioni e sofferenze erano per lui la dura realtà di tutti i giorni; poco tempo prima aveva dovuto affrontare il terribile tumulto nel teatro di Efeso, come riferisce Atti 19, in cui uomini feroci come belve avevano combattuto contro di lui. Ogni giorno la sua vita era in pericolo. Senza la risurrezione, sarebbe stato tutto un’assurdità.
A questo punto, Paolo rivolge un’esortazione ai Corinzi (v. 33-34). Si erano fatti ingannare, e questo cattivo insegnamento poteva avere gravi conseguenze anche di ordine morale. Dovevano dunque “svegliarsi”, ridiventare “sobri per davvero e non peccare”.