Capitolo 1 – Introduzione
Una corretta applicazione delle Scritture
Che cos’è una dispensazione?
Le espressioni “dispensazione” ed “economia”
La rivelazione progressiva di Dio
Le responsabilità dell’uomo
Le cose immutabili
Capitolo 2
Schema delle diverse dispensazioni
Il tempo dell’innocenza
Dalla caduta al diluvio
Dal diluvio ad Abraamo
L’epoca dei patriarchi
La legge
Il ministerio di Gesù
La chiesa e il periodo cristiano
I giudizi futuri
Il millennio
Premessa
Nel linguaggio cristiano vengono chiamati dispensazioni o economie i vari periodi della storia dell’uomo nei suoi rapporti con Dio; non i periodi definiti dai grandi eventi mondiali, ma quelli caratterizzati dalle rivelazioni che Dio ha fatto agli uomini in quelle diverse epoche e dalle disposizioni da Lui prese verso di loro nella Sua sovranità.
La rivelazione di Dio è stata progressiva. Non che l’intelligenza dell’uomo col passare del tempo sia migliorata al punto da comprendere sempre meglio quel che riguarda Dio, ma è a Dio che è piaciuto di far conoscere per tappe successive la Sua propria volontà, i Suoi pensieri, i Suoi piani. In ciascuna tappa la rivelazione è in relazione sia alla condotta dell’uomo rispetto alla rivelazione precedente, sia ai disegni sovrani di Dio.
Le comunicazioni divine hanno posto gli uomini che le hanno ricevute – che si tratti di Adamo, Noè, Abraamo, il popolo di Israele o altri – in una particolare posizione di responsabilità. La storia biblica ci mostra che l’uomo è sempre stato mancante nelle cose che dipendevano da lui e che gli erano affidate. Molto più spesso, però, alla deprimente storia umana corrisponde la rivelazione gloriosa della grazia di Dio, che è “sovrabbondata” là dove il peccato è abbondato (cfr. Romani 5:20).
Oggi che possediamo l’intera rivelazione di Dio, come possiamo fare buon uso di ciò che è stato comunicato ad altre persone nei tempi che ci hanno preceduti? Senz’altro ricevendo per fede tutto ciò che la Bibbia ci dice, dal principio alla fine. E’ però anche importante comprendere le differenze delle condizioni in cui si trovavano gli uomini ai quali Dio si rivelò. Questo ci eviterà di commettere errori, come quello di applicare ai cristiani elementi specifici del sistema della Legge istituito anticamente da Dio per Israele, il che ci priverebbe delle piene benedizioni che il Nuovo Testamento rivela. L’Antico Testamento non va messo da parte, però va letto e studiato alla luce del Nuovo Testamento.
L’argomento che questo studio affronta è molto vasto, trattandosi delle rivelazioni di Dio, di ciò che l’uomo ne ha fatto e delle vie di Dio verso di lui nel corso dei tempi. Quindi non si potrà far altro che schematizzare il soggetto per grandi linee. I numerosi riferimenti biblici contenuti nel testo permetteranno al lettore non solo di verificare ciò che è esposto, ma anche di estendere le proprie conoscenze andando alla sorgente, in modo che le sue convinzioni siano basate solo sulla Parola di Dio.
Schema
- Introduzione
- Schema delle diverse dispensazioni
- Il popolo di Israele, le nazioni e la Chiesa
- I patti
- Il regno di Dio
- La Legge e la grazia
- Il “governo” di Dio
- Conclusioni
Come si vede, l’opera non è concepita come una presentazione cronologica delle varie dispensazioni. Per aiutare il lettore a meglio comprendere analogie, differenze e contrasti è sembrato preferibile suddividere il soggetto in grandi temi abbraccianti ciascuno un lungo periodo della storia umana. Perciò, ogni capitolo tratta diverse dispensazioni, quel che Dio ha voluto rivelare in esse e le disposizioni da Lui stabilite.
Questa struttura dell’opera implica un certo numero di ripetizioni.
CAPITOLO 1
Introduzione
Una corretta applicazione delle scritture
La lettura della Parola di Dio ci pone spesso di fronte a situazioni che sembrano ben lontane dalle circostanze attuali. Le persone sono di epoche lontanissime e le civiltà assai diverse dalla nostra. Può quindi sorgere la domanda: in quale misura possono riguardare noi le cose che furono dette a loro, le cose che vennero loro richieste o quelle che accaddero nella loro vita?
Parlando ai cristiani di Corinto dei fatti accaduti al popolo di Israele circa quindici secoli prima, al momento dell’uscita dall’Egitto, l’apostolo Paolo dice: “Ora, queste cose avvennero loro per servire da esempio e sono state scritte per ammonire noi” (1 Corinzi 10:11). Nell’Antico Testamento ci sono racconti storici e prescrizioni religiose che hanno per noi valore di esempio. Vi sono anche molte figure di cose che sarebbero venute in seguito; e questa è una parte assai ricca dell’insegnamento che Dio si è compiaciuto di darci.
Per fare un esempio, a proposito di una prescrizione riguardante i buoi, che troviamo in Deuteronomio 25:4, Paolo pone la domanda: “Forse che Dio si dà pensiero dei buoi? O non dice così proprio per noi?”; poi dà la risposta: “Certo, per noi fu scritto così” (1 Corinzi 9:9-10). E’ quindi facile, in questo caso, cogliere la duplice portata di un insegnamento che sembrerebbe non riguardarci affatto. Nel suo senso primario, l’ordine di “non mettere la museruola al bue che trebbia il grano” manifesta la bontà di Dio verso le Sue creature, anche se sono animali; ma Paolo, guidato dallo Spirito Santo, ne fa un’applicazione a colui che dedica la propria vita alla diffusione del Vangelo e che ha il diritto di essere sostenuto dalla chiesa (v. 14).
Paolo dice ancora: “Tutto ciò che fu scritto nel passato, fu scritto per nostra istruzione, affinché mediante la pazienza e la consolazione che ci provengono dalle Scritture, conserviamo la speranza” (Romani 15:4); e anche: “Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia” (2 Timoteo 3:16). E’ dunque fuor di dubbio che l’intera Bibbia, l’Antico e il Nuovo Testamento, sia scritta proprio per noi.
D’altra parte è del tutto evidente che nel corso dei secoli molte cose sono cambiate. Per esempio, leggiamo nella Lettera agli Ebrei: “Così, qui vi è l’abrogazione del comandamento precedente a motivo della sua debolezza e inutilità (infatti la legge non ha portato nulla alla perfezione); ma vi è altresì l’introduzione di una migliore speranza, mediante la quale ci accostiamo a Dio” (Ebrei 7:18-19); e nella Lettera ai Galati: “La legge è stata come un precettore per condurci a Cristo, affinché noi fossimo giustificati per fede. Ma ora che la fede è venuta, non siamo più sotto precettore” (Galati 3:24-25).
Mentre leggiamo la Bibbia, abbiamo bisogno di discernimento spirituale per sapere se i suoi insegnamenti ci riguardano direttamente o no, e qual è la giusta applicazione che possiamo farne.
Nell’Esodo, la legge del sabato è definita “un patto perenne” (31:16). Ma, allora, i cristiani devono osservare il sabato? La risposta non è difficile da scoprire: basta leggere attentamente il passo che segue: “I figli d’Israele quindi dovranno osservare il sabato, lo celebreranno di generazione in generazione, come un patto perenne. Esso è un segno perenne tra me e i figli d’Israele” (Esodo 31:16-17).
Alcuni argomenti sono un po’ più difficili. Al momento del risveglio che avvenne al tempo di Neemia, vediamo che, dopo un’attenta lettura del libro della legge (Neemia 8:18), gli Israeliti fecero un patto stabile al quale apposero il loro sigillo. Si impegnarono con giuramenti a camminare secondo la legge di Dio e a praticare i suoi comandamenti e si imposero una tassa per il servizio della casa di Dio (10:28-32). Dovremmo seguire il loro esempio? Che abbiano avuto l’approvazione di Dio è fuori discussione. La storia di Israele ci mostra però che per quanti impegni l’uomo abbia preso, non è mai riuscito a rispettarli. Che un popolo sotto la legge si imponga degli obblighi è nello spirito della legge; ma un simile modo di fare non corrisponde per nulla allo spirito del cristianesimo. Comunque, possiamo fare un’applicazione utile di questi passi anche per noi: per esempio, un incoraggiamento ad osservare i comandamenti del Signore e ad avere a cuore la “casa di Dio”.
Dopo una pressante esortazione alla preghiera, il Signore Gesù dice: “…quanto più il Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!” (Luca 11:13). Questo significa forse che dobbiamo chiedere lo Spirito Santo? Se siamo consapevoli che, nell’epoca cristiana (cioè a partire dal giorno della Pentecoste), tutti coloro che credono sono sigillati dallo Spirito Santo e che esso abita in loro, come leggiamo in Efesini 1:13 e Romani 8:11, è evidente che non è il caso di chiedere ciò che già possediamo. Però, possiamo chiedere a Dio di essere ripieni dello Spirito, cioè in uno stato di cuore in cui lo Spirito sia libero di agire.
Dio promette a Giosuè: “Io non ti lascerò e non ti abbandonerò” (Giosuè 1:5). La Lettera agli Ebrei dice che questa promessa è anche per noi: “Siate contenti delle cose che avete; perché Dio stesso ha detto: «Io non ti lascerò e non ti abbandonerò». Così noi possiamo dire con piena fiducia: «Il Signore è il mio aiuto; non temerò»” (Ebrei 13:5). Questo passo ci incoraggia ad appropriarci di promesse che troviamo nel l’Antico Testamento sebbene rivolte ad altri e in circostanze che non sono le nostre, ma non sarebbe giusto riferire ai cristiani le promesse riguardanti una lunga vita o l’abbondanza di ricchezze né, tantomeno, la distruzione dei nostri nemici.
Di fronte a dichiarazioni dell’Antico Testamento ‒ alcune da prendere letteralmente, altre da adattare, e altre da non poter fare nostre ‒ potremmo sentirci inadeguati e chiederci come capire quel che davvero è per noi. Grazie a Dio, abbiamo a che fare con un Padre che desidera insegnarci le Sue vie; ci ha dato la Sua Parola ed è Lui che fa in modo che operi in noi secondo il Suo volere (Isaia 55:10-11). Essa è la “parola vivente e permanente di Dio” (1 Pietro 1:23). Essa opera in noi che crediamo (1 Tessalonicesi 2:13). Possiamo dunque contare su di Lui perché ci illumini per mezzo del Suo Spirito affinché facciamo di ogni parte della Parola di Dio una giusta applicazione. D’altronde, non dobbiamo restare nello stato di piccoli fanciulli; Dio vuole che avanziamo “allo stato di uomini fatti” (Ebrei 4:13, 6:1), che cresciamo nella conoscenza dei Suoi pensieri.
Che cos’è una dispensazione?
E’ molto utile per ogni credente avere una comprensione chiara dello sviluppo delle rivelazioni che Dio ha fatto agli uomini nel corso dei tempi e delle relazioni che Egli ha stabilito con coloro ai quali si è rivelato. In altre parole, bisogna sapere qualcosa sulle dispensazioni.
Questa parola definisce i periodi e i caratteri delle decisioni prese da Dio e dei Suoi decreti. La dispensazione della Legge, per esempio, definisce la condizione in cui si è venuto a trovare il popolo di Israele per il fatto di aver ricevuto la legge di Mosè, ma definisce anche il periodo che va da Mosè sino alla venuta del Signore Gesù sulla terra.
La conoscenza delle dispensazioni – almeno nelle grandi linee – è essenziale affinché ogni servitore di Dio “dispensi rettamente la parola della verità”, come scriveva Paolo a Timoteo (2 Timoteo 2:15).
Dio si è rivelato agli uomini per la loro benedizione e per manifestare i diversi aspetti della propria gloria. Questa rivelazione è avvenuta in modo progressivo. In ogni dispensazione l’uomo è stato messo alla prova, e il risultato è stato il fallimento su tutta la linea. Tuttavia, mano a mano che l’uomo dimostrava il basso livello della propria natura, Dio traeva dal Suo tesoro nuove ricchezze. Lo studio del disegno di Dio attraverso la rivelazione che Egli ha fatto di Se stesso è una sorgente di arricchimento che ci fa crescere nella conoscenza di Dio e del Signore Gesù.
Le espressioni “dispensazione” ed “economia”
Il concetto di dispensazione è chiaramente presentato nella Bibbia, ma questo termine non viene quasi mai menzionato. Nella versione “Nuova Riveduta”, per esempio, compare in Efesini 3:2 come traduzione della parola greca “oikonomia” (parola che sta evidentemente all’origine del nostro termine “economia”). In Efesini 3:9 la parola “oikonomia” è tradotta come “piano seguito da Dio” mentre in Colossesi 1:25 con “incarico”. In quei passi si tratta del “mistero” della Chiesa che Dio, nella Sua sovranità, aveva tenuto nascosto “per tutti i secoli e per tutte le generazioni”, per poi rivelarlo “quando i tempi fossero compiuti” (Efesini 1:10), per mezzo dell’apostolo Paolo.
In 1 Corinzi 4:1-2 Paolo si presenta come uno degli “amministratori (cioè economo – oikonomos) dei misteri di Dio”, e ricorda che “quel che si richiede agli amministratori è che ciascuno sia trovato fedele”. La parola “oikonomia” si trova anche in Luca 16:2-4 dove è messo bene in evidenza il concetto di una gestione affidata ad un amministratore, della quale dovrà rendere conto.
Come termini “tecnici”, per designare il soggetto del nostro studio le parole dispensazione ed economia sono equivalenti. Il vantaggio del primo – benché non appartenga al linguaggio corrente – è di evocare l’idea di dispensare, cioè di accordare o donare. Così, le “dispensazioni di Dio” sono ciò che Egli dispensa nella Sua sovrana amministrazione.
La rivelazione progressiva di Dio
“Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Ebrei 1:1-2).
Questo passo indica un punto di svolta fondamentale nelle comunicazioni divine: la venuta del Signore Gesù sulla Terra. Tutto quello che precede era un po’ come un pallido albeggiare, la cui luce crescente annuncia il levarsi del sole. “Il popolo che stava nelle tenebre, ha visto una gran luce; su quelli che erano nella contrada e nell’ombra della morte una luce si è levata” (Matteo 4:16, citazione di Isaia 9:2).
L’Antico Testamento è stato scritto in ebraico, la lingua di Israele, da autori che appartenevano tutti a quel popolo. Si tratta di una rivelazione affidata a Israele, benché anche noi possiamo trarne grande beneficio. Il Nuovo Testamento – la piena rivelazione di Dio – è stato scritto in greco, la lingua più diffusa nei paesi civilizzati dell’epoca (Dio aveva permesso che Alessandro Magno imponesse il greco come lingua ufficiale del suo impero), e il Signore ha ordinato ai discepoli di annunciare il Vangelo “per tutto il mondo” e “ad ogni creatura”. Le comunicazioni fatte dal Signore e dagli apostoli hanno una portata universale.
L’Antico Testamento ci presenta quattro grandi periodi.
1°. I tempi che hanno preceduto la chiamata di Abraamo in Genesi, fino al capitolo 11. Le nazioni sono senza Dio e giacciono nella corruzione e nell’idolatria (*). Tuttavia, vi sono delle comunicazioni da parte di Dio a uomini di fede.
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(*) Salvo casi particolari come Melchisedec, Giobbe e forse altri. (Ndr)
2°. L’epoca dei patriarchi in Genesi, a partire dal capitolo 12. Dio è in relazione con la famiglia di Abraamo, al quale si è rivelato e ha fatto delle promesse.
3°. L’epoca della Legge nel resto dell’Antico Testamento. Dio è in relazione con Israele, che ha riscattato dalla schiavitù dell’Egitto e che ha scelto come Suo popolo. Prima per mezzo del ministero di Mosè, poi tramite quello dei profeti, Dio rivela a quel popolo chi Egli è e quali sono i Suoi piani. In particolare, annuncia la venuta del Messia. Grazie all’esperienza vissuta da Israele si possono comprendere le caratteristiche dell’essere umano e, fortunatamente, anche quelle di Dio. 4°. L’epoca della rivelazione di benedizioni future nei Libri dei profeti. Questo stato di cose è descritto con molti dettagli, ma la cronologia degli eventi non è sempre di facile comprensione. Una parte delle loro profezie si è compiuta al momento della venuta di Cristo; il resto si compirà al tempo della Sua seconda venuta. Si tratta della restaurazione di Israele attraverso grandi sofferenze alle quali seguirà la benedizione del regno millenniale. Le profezie dell’Antico Testamento hanno sempre principalmente per oggetto Israele e la benedizione particolare di quel popolo che conserverà nel futuro un posto speciale.
Il Nuovo Testamento ci mostra invece tre periodi.
1°. Nei Vangeli: il periodo della vita del Signore sulla terra. Il Messia viene presentato a Israele. È la meravigliosa prova dell’amore di Dio che dà il Figlio Suo per riscattare gli uomini perduti, ma anche la dimostrazione della condizione dell’uomo, del suo stato incurabile, della sua assoluta necessità di un Salvatore.
2°. Negli Atti e nelle Lettere degli apostoli: il tempo della Chiesa. E’ la rivelazione di un mistero che Dio aveva sempre tenuto nascosto. Si può dire che non si tratta del compimento di qualche profezia dell’Antico Testamento, ma di una parentesi nelle vie di Dio. Il popolo di Israele è per il momento “ripudiato” (Romani 11:15) e il Vangelo viene predicato anche alle nazioni.
3°. Nell’Apocalisse e in molti altri passi: i tempi futuri. Le benedizioni future ci saranno dopo i terribili giudizi che colpiranno il mondo. Quelle benedizioni vanno anche al di là delle promesse fatte a Israele. Il Nuovo Testamento ci rivela che ci sarà il regno di Cristo sulla terra e che questo regno finirà, seguito poi dallo stato eterno.
Le responsabilità dell’uomo
In ogni tempo e in ogni luogo gli uomini sono stati responsabili davanti a Dio a seconda della misura di quanto Dio aveva fatto loro conoscere di Se stesso, dei Suoi pensieri e della Sua volontà, e secondo la natura delle relazioni che aveva stabilito con loro. C’è un principio: “Quel servo che ha conosciuto la volontà del suo padrone e non ha preparato né fatto nulla per compiere la sua volontà, riceverà molte percosse; ma colui che non l’ha conosciuta e ha fatto cose degne di castigo, ne riceverà poche. A chi molto è stato dato, molto sarà richiesto; e a chi molto è stato affidato, tanto più si richiederà” (Luca 12:47-48). Il servo viene giudicato in base alla propria condotta in quanto è in una relazione di servo col padrone. Se “ha conosciuto la volontà del suo padrone”, cioè se ha ricevuto una precisa comunicazione da parte sua, la sua responsabilità è tanto più grande. Attenzione, però: non aver ricevuto una simile comunicazione riduce la responsabilità, ma non la cancella.
Ogni uomo, in quanto creatura di Dio dotata di intelligenza, ha già una responsabilità verso il suo Creatore. “Le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo essendo percepite per mezzo delle opere sue; perciò essi sono inescusabili” (Romani 1:20). Inoltre, dalla caduta di Adamo in poi, l’uomo è dotato di una coscienza, che gli dà una certa comprensione del bene e del male, e di conseguenza una responsabilità. Dei pagani è detto che “la loro coscienza ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda” (Romani 2:15).
Ad ogni tappa delle comunicazioni divine, gli uomini che le hanno ricevute sono stati posti in una determinata relazione con Dio. Ognuna di queste relazioni implica una responsabilità che vi corrisponde. La chiamata di Abraamo ha messo lui e la sua discendenza in una relazione privilegiata con Dio. Lo stesso si può dire del popolo di Israele, che Dio ha chiamato, liberato e condotto a Sé. La stessa cosa si può dire dei cristiani, che sono “partecipi della celeste vocazione”. Queste relazioni costituiscono la base della responsabilità di coloro coi quali Dio le ha stabilite, e questo in misura ancora maggiore se i privilegi che esse accordano sono grandi.
Tra i popoli in cui vi è stata una certa conoscenza del vero Dio (cioè Israele, poi le nazioni cristianizzate), una responsabilità particolare deriva da quel che si può definire “eredità spirituale”. In senso lato, dai genitori non si ereditano soltanto beni materiali, non soltanto educazione e istruzione, ma anche quello che trasmettono della loro conoscenza di Dio. Questo implica una certa responsabilità, proporzionata a quanto ci è stato trasmesso, e che dobbiamo a nostra volta comunicare.
Questo compito è formalmente ricordato nel Salmo 78: “Egli stabilì una testimonianza in Giacobbe, istituì una legge in Israele e ordinò ai nostri padri di farle conoscere ai loro figli, perché fossero note alla generazione futura… Questi le avrebbero così raccontate ai loro figli, perché ponessero in Dio la loro speranza e non dimenticassero le opere di Dio, ma osservassero i suoi comandamenti” (v. 5-7). L’apostolo Paolo ricorda a Timoteo la fede di sua madre e di sua nonna, e gli insegnamenti da loro ricevuti (2 Timoteo 1:5; 3:15). A proposito di questa trasmissione, la Parola sottolinea sia i doveri dei genitori sia quelli dei figli (Deuteronomio 6:6-9; Proverbi 1:8-9; 6:20-23).
Quando la stampa non esisteva ancora e la gente per lo più non sapeva leggere, la trasmissione orale svolgeva un ruolo fondamentale. Ma noi, che possediamo l’intera Parola di Dio scritta, abbiamo la responsabilità di conservare l’eredità spirituale che abbiamo ricevuto e di trasmetterla a nostra volta, risalendo sempre alla sua sorgente con l’atteggiamento degli abitanti di Berea, i quali esaminavano “ogni giorno le Scritture per vedere se le cose stavano così” (Atti 17:11).
Le cose immutabili
Quando ci occupiamo dei cambiamenti dovuti alle diverse disposizioni prese da Dio, dobbiamo ricordarci che Egli non cambia. Egli è “lo stesso”, “l’eterno Dio” che dice: “Io, il SIGNORE, non cambio” (Salmo 102:27; Romani 16:26; Malachia 3:6). Di conseguenza, quello che agli occhi di Dio è buono o cattivo non cambia a seconda della dispensazione. Le norme relative a ciò che è male e bene sono le stesse nel corso di ogni tempo.
Vi sono principi immutabili che possiamo riscontrare attraverso tutte le dispensazioni. Facciamo qualche esempio.
– L’amore divino è la fonte di tutte le relazioni di Dio con l’uomo, che si tratti dei patriarchi, di Israele o dei cristiani (Deuteronomio 4:37; 7:8; Efesini 2:4). Per questo motivo Dio si aspetta da coloro che sono in relazione con Lui che manifestino dell’amore. “L’amore è l’adempimento della legge”, ed è il segno che contraddistingue i discepoli di Gesù (Romani 13:10; Giovanni 13:35).
– L’accettazione di un uomo peccatore da parte del Dio santo non può aver luogo che sulla base di un sacrificio. Ci vuole un sostituto che ne porti la colpa davanti a Dio. Il solo vero sostituto è Cristo; prima della Sua venuta, i sacrifici offerti rappresentavano Lui agli occhi di Dio.
– In tutti i tempi, se l’uomo può entrare in relazione con Dio è solo per mezzo della fede: è anche l’insegnamento di Ebrei 11.
– Dalla Genesi all’Apocalisse, Dio si presenta come il giusto Giudice “che giudica senza favoritismi, secondo l’opera di ciascuno” (1 Pietro 1:17). Questo è vero anche per coloro che sono stati messi al riparo del giudizio eterno e che invocano Dio come Padre.
– Benché possa presentare aspetti diversi, il governo di Dio sugli uomini esiste tuttora. “Quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà” (Galati 6:7). La grazia non annulla questo principio.
– Il timore di Dio è l’atteggiamento che si addice all’uomo (Giobbe 28:28; Salmo 111:10). Se, nel cristianesimo, i credenti non hanno più da temere il giudizio finale, nondimeno devono servire Dio “con riverenza e timore” (Ebrei 12:28).
– Nel Nuovo Testamento, come del resto anche nell’Antico, Dio si aspetta che quelli che hanno relazione con Lui camminino in santità, nella separazione dal male. “Come colui che vi ha chiamati è santo, anche voi siate santi in tutta la vostra condotta, poiché sta scritto: «Siate santi, perché io sono santo»” (1 Pietro 1:15-16).
– Sia ad Israele “sotto la legge” che a noi che siamo “sotto la grazia” (Romani 6:15), Dio si è presentato come un Dio di misericordia (Esodo 33:19; 34:6; Luca 1:50; Efesini 2:4); e il Signore ci dice: “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro” (Luca 6:36).
– Fin dai primi passi dell’umanità Dio si è fatto conoscere come il Dio della pazienza (Romani 15:5; 1 Pietro 3:20). Tutto l’Antico Testamento è una testimonianza dell’immensa pazienza di Dio verso Israele, e ancora oggi, con “le ricchezze della sua bontà, della sua pazienza e della sua costanza”, Dio spinge gli uomini al pentimento (Romani 2:4). Per questo Dio si aspetta che i Suoi mettano in pratica la pazienza, nella loro vita e nel loro servizio per il Signore, nelle prove e nelle loro relazioni reciproche (Colossesi 1:11; 1 Tessalonicesi 1:2, 5:14; Giacomo 5:11).
Capitolo 2
Schema delle diverse dispensazioni
In questo capitolo ci proponiamo di esaminare le dispensazioni in modo progressivo, in quanto si tratta di successive tappe della rivelazione di Dio agli uomini, a partire dalla creazione. Considereremo nove periodi, con la consapevolezza che la suddivisione del tempo potrebbe essere effettuata anche in modo diverso.
- Il tempo dell’innocenza fino alla caduta
- Dalla caduta al diluvio
- Dal diluvio ad Abraamo
- L’epoca dei patriarchi
- La Legge
- Il ministero di Gesù Cristo
- La Chiesa ed il periodo cristiano
- I giudizi futuri
- Il Millennio
Il tempo dell’innocenza
La Parola ci dice poco sulla condizione dell’uomo nel giardino di Eden. Sappiamo che Adamo ed Eva hanno infranto l’unico divieto che Dio aveva dato loro. Sin dall’inizio l’uomo ha fallito! “Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato la morte, e così la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato” (Romani 5:12). E’ dalla caduta che l’uomo dispone di una facoltà di origine divina: la conoscenza del bene e del male, cioè la “coscienza”.
E’ interessante notare che proprio a quei tempi risale l’istituzione divina del matrimonio, ed è ad essa che il Signore Gesù fa riferimento (quello che era “da principio”, Matteo 19:3-9) quando gli viene posta una domanda riguardo al divorzio. Il principio “saranno una stessa carne” (Genesi 2:24) è ricordato più volte nella Scrittura e costituisce il fondamento morale per cui la rottura del legame coniugale, la fornicazione e l’adulterio sono proibiti (Matteo 19:6; 1 Corinzi 6:16-17).
La storia di Adamo ed Eva ci mostra un esempio dei due modi in cui l’Antico Testamento annuncia Cristo: mediante figure e mediante profezie. Il sonno durante il quale Adamo riceve una compagna, “ossa delle mie ossa e carne della mia carne” (Genesi 2:23), è un’immagine, una figura della morte di Cristo, per mezzo della quale Egli si acquista una sposa, la Chiesa; “poiché siamo membra del suo corpo” (Efesini 5:30). Più tardi, dopo la caduta, pronunciando il giudizio sul serpente, Dio fa una delle dichiarazioni profetiche più chiare sulla discendenza della donna, che è Cristo: “Questa progenie ti schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno” (Genesi 3:15). Il Signore sarà fermato momentaneamente nel Suo cammino, alla morte della croce, ma proprio lì riporterà su Satana una vittoria definitiva.
Dalla caduta al diluvio
Nel tempo intercorso fra l’entrata del peccato nel mondo e il verificarsi del diluvio, la Parola ci mostra da un lato la famiglia di Caino, ben inserita nel mondo, crudele e incurante dell’istituzione divina del matrimonio (Genesi 4:19); dall’altro lato, una famiglia nella quale “si cominciò ad invocare il nome del Signore” (4:26). E’ in quest’ultima che si trovano uomini di fede – Set, Enoc, Noè – ai quali Dio fa delle rivelazioni personali (Genesi 5:24; 6:9-22; Giuda 14). La corruzione e la violenza si sviluppano però al punto che “il SIGNORE si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra” (Genesi 6:6). Non avendo gli uomini ascoltato “Noè, predicatore di giustizia” (2 Pietro 2:5), “il diluvio portò via tutti quanti” (1 Pietro 2:5; Matteo 24:39). Possiamo notare che le rivelazioni fatte da Dio in quell’epoca sono il giudizio che sarebbe venuto ed il modo di sfuggirvi, i principali argomenti del Vangelo predicato ai giorni nostri.
Dal diluvio ad Abraamo
Dopo il diluvio, Dio introduce qualcosa di nuovo. Per frenare la violenza, affida il “governo” all’uomo. Egli diventa responsabile di mettere a morte l’assassino: “Il sangue di chiunque spargerà il sangue dell’uomo sarà sparso dall’uomo, perché Dio ha fatto l’uomo a sua immagine” (Genesi 9:6). Dio permette all’uomo di mangiare la carne, ma gli vieta di mangiarne il sangue (9:3-4), simbolo della vita. Lo stesso divieto è confermato nella legge di Mosè (Levitico 17:11) e all’inizio dell’era cristiana (Atti 15:20-29).
Quelli appena ricordati sono i tratti distintivi di quest’epoca; per il resto, essa è uguale alla precedente salvo per il fatto che la responsabilità dell’uomo è aumentata, avendo egli conosciuto il giudizio di Dio attraverso il diluvio, cosa che avrebbe dovuto produrre in lui il timore di Dio. E’ sempre in quell’epoca che Dio fa delle comunicazioni individuali ad alcuni uomini che lo temono, come Giobbe, Eliu, Melchisedec. Purtroppo, però, sulla terra si sviluppa l’idolatria ed è proprio da un simile stato di cose che Dio chiama fuori Abraamo (Giosuè 24:2).
Per le genti delle nazioni questa dispensazione proseguirà sino all’inizio del cristianesimo. La loro depravazione è descritta in Romani 1:18-32.
L’epoca dei patriarchi
Quanto abbiamo visto fin qui occupa i primi undici capitoli della Genesi. Dal cap. 12 al 50 troviamo la storia dei patriarchi: Abraamo, Isacco e Giacobbe. Dio sceglie Abramo e lo chiama a Sé. Gli fa delle promesse la cui portata giunge sino alla fine dei tempi: una discendenza numerosa e un paese. Non solo: nella sua discendenza “tutte le nazioni della terra saranno benedette” (22:16-18). Abraamo, l’“amico di Dio”, e come lui Isacco e Giacobbe, vivono una vita di fede come stranieri nel paese che doveva essere dato loro in eredità, attaccati alle benedizioni promesse. Era compito di Abraamo di ordinare “ai suoi figli, e alla sua casa dopo di lui, che seguano la via del SIGNORE” (18:19).
Che genere di comunicazioni Dio fa ai patriarchi? Essenzialmente si tratta di promesse; occasionalmente, di ordini relativi a qualcosa da compiere. Alle promesse si attacca la loro fede, agli ordini risponde la loro ubbidienza. In queste pagine della Genesi troviamo poche istruzioni morali, pochi precetti. Tuttavia, Dio si aspetta dai Suoi un comportamento all’altezza della loro chiamata. Dice ad Abraamo: “Cammina alla mia presenza, e sii integro” (17:1). La Lettera agli Ebrei ci conferma che Dio “non si vergogna di essere chiamato loro Dio” (Ebrei 11:16). Il racconto della loro fedeltà o delle loro mancanze è una sorgente ricchissima di esempi pratici.
Al di fuori di questa famiglia privilegiata, Dio osserva le vie degli uomini e, quando il male si aggrava, esercita il Suo giudizio. E’ così che Sodoma e Gomorra subiscono una completa distruzione.
Se la rovina di quelle città, così come il diluvio, mette in evidenza il governo di Dio sotto la forma di un giudizio di distruzione definitiva, la storia dei patriarchi ci rivela un altro aspetto di questo agire di Dio: la disciplina. Dio vede le azioni di quelli che sono in relazione con Lui e agisce verso di loro di conseguenza.
Questo principio di retribuzione (o retribuzionalista) è messo in evidenza soprattutto nella vita di Giacobbe e nella storia dei fratelli di Giuseppe. Questa forma di governo non è solo l’esigenza di un Dio che deve a Se stesso di esercitare la giustizia, ma è anche l’espressione della Sua bontà che vuole formare i Suoi, per una loro più grande benedizione. Queste cose nella Genesi non ci sono mostrate sotto forma di principi astratti, ma di fatti concreti.
La legge
Giacobbe e la sua famiglia scendono in Egitto, al tempo di Giuseppe. La discendenza dei patriarchi si moltiplica enormemente, ma soffre l’oppressione e la schiavitù. Dio ode il loro grido e si ricorda delle promesse fatte ad Abraamo, Isacco e Giacobbe. Fatto significativo, riconosce la loro discendenza come “Suo popolo”.
Per la prima volta, Dio stabilisce una relazione con un popolo. Israele avrebbe dovuto essere, in mezzo ad altri popoli, un “regno di sacerdoti, una nazione santa”, testimoni dell’unico vero Dio (Esodo 19:6). Dopo la liberazione dall’Egitto, al Sinai, Dio dà la Legge dei dieci comandamenti, oltre a numerosi altri ordinamenti. Comincia così un nuovo periodo di prova per l’uomo (in particolare per Israele) che durerà sino alla venuta di Cristo.
La responsabilità particolare di Israele è fondata, sin dall’inizio, su due grandi fatti. Innanzitutto, il popolo è stato riscattato dalla schiavitù d’Egitto, liberato dalla potenza del faraone; ha visto le meraviglie dell’Eterno, ha sperimentato la Sua bontà, e ha visto il giudizio contro i suoi oppressori (Esodo 19:4). In secondo luogo, in tutta la solennità del fuoco e dei tuoni del Sinai, il popolo ha udito la voce di Dio (Deuteronomio 4:33-35).
La Legge fa conoscere le esigenze del Dio santo, ma non dà all’uomo la capacità di soddisfarle. Il popolo di Israele, non conoscendo il cuore umano, grida ad una voce: “Noi faremo tutto quello che il SIGNORE ha detto” (Esodo 19:8, 24:3-7); ma poco tempo dopo, ecco che la Legge, non appena donata, viene infranta proprio nel suo primo comandamento, in occasione del fatto del vitello d’oro.
Questo fornisce a Dio l’occasione di introdurre un nuovo elemento, ben diverso dalla Legge, senza il quale l’uomo peccatore non potrebbe sussistere davanti a Lui: la misericordia. “Farò grazia a chi vorrò fare grazia e avrò pietà di chi vorrò avere pietà” (Esodo 33:19). Nella Sua sovranità Dio “fa misericordia a chi vuole” (Romani 9:18). Vi è qui un mistero profondo, ma quando l’oggetto di questa grazia immeritata siamo noi, allora non possiamo far altro che ringraziare ed adorare.
In tutta la storia successiva, dal deserto del Sinai sino a Cristo, Israele resta un popolo sotto la Legge. Dio lo avverte, lo sopporta, lo riprende, lo castiga. Più il tempo passa, più si manifestano lo stato incurabile dell’uomo e l’immensa pazienza di Dio; e quando questa prova dell’uomo ha dimostrato che “dalle opere della legge nessuno sarà giustificato” (Galati 2:16), è giunto per Dio il momento di inviare il Figlio Suo sulla terra.
Nella storia di Israele, come ce la racconta l’Antico Testamento, Dio si manifesta in due modi, per nostra istruzione: da un lato, nelle Sue vie verso il Suo popolo; dall’altro, nelle nuove rivelazioni che gli fa.
Le Sue vie sono i Suoi modi di agire. Egli vede la condotta del popolo e, per mezzo dei profeti, parla al suo cuore per ricondurlo a Sé. Lo disciplina, come un padre disciplina i propri figli. Le Sue vie ci rivelano che Egli è un Dio santo, che non sopporta il male e deve a Se stesso di punirlo; ma allo stesso tempo è un Dio di pazienza, lento all’ira, che non prova “piacere se l’empio muore”, ma “piuttosto quando egli si converte dalle sue vie e vive” (Ezechiele 18:23). “Il SIGNORE… mandò loro a più riprese degli ammonimenti, per mezzo dei suoi messaggeri perché voleva risparmiare il suo popolo e la sua casa; ma quelli si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti, finché l’ira del SIGNORE contro il suo popolo arrivò al punto che non ci fu più rimedio” (2 Cronache 36:15-16).
I profeti avevano anche un altro servizio: erano i canali per mezzo dei quali Dio dava delle nuove rivelazioni. Benché il popolo fosse ancora sotto la Legge, Dio si compiaceva di annunciare i Suoi piani di grazia e la straordinaria opera che avrebbe compiuto un giorno in favore del popolo: “Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra, e vi darò un cuore di carne” (Ezechiele 36:26); ma l’argomento principale è la venuta del Messia.
Sotto forme più o meno velate, il Messia è annunziato lungo tutto l’Antico Testamento. Per questo il Signore Gesù potrà spiegare ai discepoli “in tutte le Scritture, le cose che lo riguardavano” (Luca 24:27). Certo, è stato necessario che il Signore aprisse le Scritture e la loro mente, perché potessero comprendere (v. 32 e 45).
Nell’Antico Testamento, sorgente inesauribile di insegnamenti per crescere nella conoscenza del nostro Salvatore, il Signore Gesù ci è presentato principalmente in quattro modi:
– per mezzo di personaggi che lo raffigurano (come Giuseppe e Davide)
– per mezzo di istituzioni levitiche (come i sacrifici)
– attraverso esperienze vissute dai fedeli (come nei Salmi)
– mediante specifici annunci profetici (come Isaia 7:14; 9:6-7; 49:1-9; 53:1-12).
Si può dire che la Legge abbia conosciuto un certo cambiamento per via dell’introduzione del ministero profetico, a partire da Samuele. E’ vero, i profeti avevano la missione di ricondurre il popolo alla Legge, ma Dio li ha utilizzati in modo speciale anche per manifestare la Sua grazia, nella misura in cui ciò era possibile in quella dispensazione. La loro importanza morale fu tale che, per caratterizzare questa dispensazione, il Signore utilizzerà l’espressione “la legge e i profeti”. E dirà: “La legge e i profeti hanno durato fino a Giovanni; da quel tempo è annunziata la buona notizia del regno di Dio” (Luca 16:16). Proprio questo passo ci mostra il momento preciso che segna la fine della “dispensazione della Legge”.
Il ministerio di Gesù
Gli anni del ministero di Gesù sulla terra costituiscono un periodo di transizione tra la dispensazione della Legge e quella della Chiesa. Essi appartengono già al tempo della grazia, ma non ancora a quello della Chiesa, che comincerà solo alla Pentecoste.
E’ naturale che i cristiani cerchino nei Vangeli, negli insegnamenti di Cristo stesso, i fondamenti della fede. Le parole e gli atti di Gesù hanno un valore inestimabile per il cuore di ogni vero credente. Tuttavia, il Signore stesso ha detto: “Ho ancora molte cose da dirvi; ma non sono per ora alla vostra portata; quando però sarà venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità” (Giovanni 16:12-13). Il cristianesimo non poteva essere rivelato nella sua pienezza prima del compimento dell’opera di Cristo alla croce e della Sua elevazione in gloria.
Il Signore è venuto sulla terra per compiere ciò che di Lui era stato annunciato nell’Antico Testamento. Tutte le speranze degli Israeliti fedeli erano concentrate su Colui che sarebbe venuto e sul regno glorioso che avrebbe instaurato (cfr. Matteo 11:3). Naturalmente, il rifiuto del Messia era già conosciuto da Dio e i profeti ne avevano parlato, ma il Signore non si è presentato a Israele come il Re rigettato. Si è presentato come Colui che doveva essere accolto e questo conferisce un carattere particolare al Suo messaggio, per lo meno all’inizio del Suo ministero.
All’inizio, si è rivolto ad un popolo che aveva delle speranze terrene e aspettava il regno di Dio sulla terra. Ed è a poco a poco, mentre il rifiuto del popolo nei Suoi confronti si manifestava sempre più chiaramente, che il Signore ha fatto conoscere ai Suoi che non dovevano aspettarsi nulla sulla terra. Il regno di Dio è chiamato il regno dei cieli, espressione tipica del vangelo di Matteo. Il regno è effettivamente per la terra, ma il Re sarà per un certo tempo nascosto nei cieli. La forma di un tale regno fu tenuta nascosta nelle età passate (Romani 16:25-26), non annunciata nell’Antico Testamento. In Matteo, la progressione del rifiuto di Gesù è molto ben evidenziata; in Giovanni, invece, il Signore ci è presentato come rifiutato sin dal primo capitolo (v. 5, 10, 11).
La testimonianza del Signore Gesù tra i Giudei è per loro una nuova messa alla prova, dopo quella della Legge. Nella parabola del fico, il padrone dice al vignaiuolo: “Ecco, sono ormai tre anni che vengo a cercar frutto da questo fico, e non ne trovo; taglialo; perché sta lì a sfruttare il terreno?” (Luca 13:7). Il fico raffigura Israele. Quel popolo avrebbe dovuto essere tolto di mezzo, dal momento che a dispetto delle migliori cure che gli erano state prodigate rimaneva incapace di portare del frutto per Dio. Di fatto, si è trattato di un test per l’uomo carnale.
Molti degli insegnamenti del Signore ai Suoi discepoli hanno un carattere giudaico assai marcato, specialmente nei discorsi profetici (Matteo 24 e 25; Marco 13; Luca 21). Quando il Signore parla del Suo ritorno, si tratta quasi sempre della Sua venuta in gloria sulla terra e nella prospettiva delle promesse fatte ad Israele, che sono tutte relative alla terra. Il ritorno per rapire i credenti è annunciato in Giovanni 14:3. Il periodo della Chiesa si inserisce, come una meravigliosa parentesi, nella storia di Israele. Per questo motivo, nello sviluppo di questa storia, la “generazione” che precede l’apertura della parentesi e quella che la seguirà immediatamente dopo sono viste come una stessa cosa. Per questo il Signore può dire: “Questa generazione non passerà prima che tutte queste cose siano avvenute” (Luca 21:32).
E’ a quella generazione che il Signore insegna la preghiera conosciuta sotto il nome di “Padre nostro” (Matteo 6:9-13). Questa preghiera, pur da inquadrare nell’ambito di un insegnamento dato ai discepoli per quel periodo, è senz’altro ricca di insegnamenti anche per noi, come del resto tutte quelle che troviamo nell’Antico Testamento, ma non è specifica per la dispensazione cristiana. In quest’ultima, il principio medesimo di una preghiera imparata a memoria e recitata non si accorda con la risorsa dello Spirito Santo, per mezzo del quale noi possiamo pregare e che ci guida ad esprimere i nostri bisogni particolari (Efesini 6:18; Giuda 20).
Lo sconcerto dei discepoli al momento della crocifissione di Cristo ci mostra che non avevano ancora afferrato il disegno di Dio. “Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele…” (Luca 24:21). Persino dopo la risurrezione gli chiederanno: “Signore, è in questo tempo che ristabilirai il regno a Israele?” (Atti 1:6). Le cose diventeranno chiare solo dopo la discesa dello Spirito Santo, alla Pentecoste.
Potremmo dire, un po’ paradossalmente, che i Vangeli non costituiscono tutto il Vangelo. In quelli vediamo il Signore Gesù, il Figlio di Dio diventato uomo, portare la grazia e la verità. Lo vediamo mosso a compassione per le Sue creature perdute, agire in grazia e in bontà. Lo vediamo anche come la luce divina che manifesta il vero stato di ogni uomo, quello del fariseo orgoglioso della propria giustizia come quello del più grande dei peccatori. Una luce che mostra che tutti sono perduti e hanno bisogno di un Salvatore, ed che è proprio Lui colui che può salvare; e fa appello alla fede di coloro ai quali si rivolge dando la vita eterna a quelli che credono in Lui. Certo, tutto questo è il Vangelo, ma sono le Lettere apostoliche a completare il messaggio.
La venuta di Cristo nel mondo, la Sua vita, la Sua morte, la Sua risurrezione e la Sua elevazione in gloria, sono i fatti che costituiscono il fondamento dell’Evangelo predicato dagli apostoli. La loro predicazione sarà in principio proprio la proclamazione di quei grandi avvenimenti, confermati da molti testimoni (cfr. Atti 2:32; 4:20; 5:32; 13:31; 1 Corinzi 15:1-8). In seguito, lo Spirito di Dio svilupperà, per mezzo loro, tutto quello che deriva dall’opera di Cristo. E’ nelle Lettere che si trova l’insegnamento completo riguardante la rovina dell’uomo, la certezza della salvezza, le due “nature” del credente, la nostra morte con Cristo, l’affrancamento, l’azione dello Spirito Santo, la chiamata celeste, la predicazione del Vangelo a tutti gli uomini.
La chiesa e il periodo cristiano
Il Signore aveva parlato della Chiesa come di una cosa futura: “Edificherò la mia chiesa” (Matteo 16:18). Essa ha cominciato ad esistere il giorno della Pentecoste, al momento della discesa dello Spirito Santo. La presenza del Figlio dell’uomo glorificato in cielo e quella dello Spirito Santo sulla terra – legame tra i credenti e Cristo nel cielo – danno al cristianesimo il suo carattere particolare.
Torneremo in seguito sull’argomento della Chiesa e sulle differenze tra questa dispensazione e quelle che la precedono e la seguono. Faremo qui qualche cenno sulle rivelazioni divine che incontriamo in questo periodo.
Il Signore Gesù, l’abbiamo ricordato poco prima, aveva ancora molte cose da dire ai discepoli, ma essi non erano ancora pronti. Prima della Sua morte, della Sua resurrezione e della Sua elevazione in gloria, certe cose non potevano ancora essere dette, perché non potevano essere comprese se non per mezzo dell’azione dello Spirito Santo in quelli a cui erano dirette (Giovanni 16:12-13). Per i credenti, possedere lo Spirito Santo è un privilegio inestimabile. “Lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio… Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio, per conoscere le cose che Dio ci ha donate” (1 Corinzi 2:10-12).
A Paolo, che prima era “un bestemmiatore, un persecutore e un violento”, viene affidato un servizio speciale riguardante la “dispensazione della grazia di Dio” (Efesini 3:2). Un mistero, mai dato a conoscere nelle generazioni precedenti, è rivelato dallo Spirito agli apostoli e profeti del Nuovo Testamento (3:5), in particolare a Paolo: “A me, dico, che sono il minimo fra tutti i santi, è stata data questa grazia di annunziare agli stranieri le insondabili ricchezze di Cristo” (3:8).
Le Lettere di Paolo sviluppano queste ricchezze. Sarebbe impossibile esporle qui, ma sottolineiamo almeno due fatti importanti.
1°. Con quello che è stato rivelato agli apostoli, in particolare a Paolo, si completa il ciclo delle rivelazioni di Dio agli uomini. Paolo parla dell’incarico che gli è stato affidato di “annunziare nella sua totalità la parola di Dio” (Colossesi 1:25). Ogni pretesa di nuove rivelazioni è pertanto un inganno.
2°. Benché il Signore non abbia potuto esporre tutti gli elementi della verità cristiana, non ha mancato di porre il Suo sigillo su di essi per mezzo di brevi citazioni. E’ una constatazione molto incoraggiante! Facciamo qualche esempio.
– Il ritorno del Signore per rapire a sé i Suoi è sviluppata nelle Lettere di Paolo (in particolare 1 Corinzi 15:51-58, 1 Tessalonicesi 4:13-18), ma il Signore Gesù ne ha riferito l’essenziale in Giovanni 14:3: “Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi”.
– La dottrina della Chiesa è presentata nelle Lettere, ma il Signore vi fa chiare allusioni in Matteo 16 e 18.
– L’introduzione delle nazioni nei privilegi che discendono dalle promesse fatte a Israele non avviene che dopo la rivelazione fatta a Pietro in Atti 10. La posizione particolare di quel popolo durante il periodo della Chiesa è esposta nelle Lettere. Ciononostante, il Signore, peraltro non inviato ad altri “che alle pecore perdute della casa d’Israele”, vi aveva già fatto allusione. Aveva detto: “Molti verranno da Oriente e da Occidente e si metteranno a tavola con Abraamo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, ma i figli del regno saranno gettati nelle tenebre di fuori” (Matteo 8:11-12).
– L’unione del credente con Cristo, ampiamente sviluppata nelle Lettere apostoliche, era già stata descritta con qualche parola dal Signore: “In quel giorno conoscerete che io sono nel Padre mio, e voi in me e io in voi” (Giovanni 14:20).
I giudizi futuri
I credenti dell’epoca attuale – ai quali saranno aggiunti quelli di tutti i tempi passati, risuscitati per la potenza del Signore Gesù – saranno innalzati al cielo al Suo ritorno. Da quel momento non ci saranno più i cristiani sulla terra, né la Chiesa, se non quel che rimarrà delle sue forme esteriori: una professione senza vita – la grande Babilonia – sulla quale cadrà un tremendo giudizio (Apocalisse 17 e 18). Nel libro dell’Apocalisse, la storia della Chiesa è abbozzata profeticamente nei cap. 2 e 3, per mezzo delle lettere alle sette chiese. Si tratta delle cose “che sono” (1:19). A partire dal cap.4 troviamo “quelle che devono avvenire in seguito” (1:19; 4:1), cioè i terribili giudizi che cadranno sulla terra. Coloro la cui responsabilità è particolarmente grande, per il fatto di essere stati messi in contatto con la verità, saranno oggetto di un giudizio assai severo: “Perciò Dio manda loro una potenza d’errore perché credano alla menzogna; affinché tutti quelli che non hanno creduto alla verità ma si sono compiaciuti nell’iniquità, siano giudicati” (2 Tessalonicesi 2:11-12). Questo sarà il destino delle nazioni cosiddette cristiane.
Tuttavia, in mezzo ai dolori inimmaginabili di questo periodo, l’Apocalisse ci mostra la presenza di un residuo giudeo fedele, perseguitato e desideroso di liberazione. Le sue sofferenze raggiungeranno il culmine nel periodo di tre anni e mezzo chiamato “la grande tribolazione” (Matteo 24:21), durante la quale la prova avrà un’intensità mai vista prima sulla terra. Per mezzo di queste sofferenze Dio produrrà un lavorio nella coscienza di molti cuori, che saranno così condotti al pentimento (Ezechiele 36:24-32; Osea 2:14-23; Zaccaria 12:8-14).
Al termine di questo lavoro Dio riannoderà le sue relazioni con Israele, che chiamerà di nuovo “mio popolo” (Osea 2:23).
Numerose profezie dell’Antico e del Nuovo Testamento riguardano questo periodo. E’ il caso dei Salmi, di cui molti narrano i sentimenti, le angosce e le suppliche dei fedeli, e addirittura le loro richieste di vendetta che, pur non essendo in linea con lo spirito del cristianesimo, sono ricchi di insegnamenti anche per noi. E’ anche il caso di buona parte dei discorsi profetici del Signore, nei primi tre Vangeli.
Il Vangelo del regno, che il Signore aveva annunciato all’inizio del Suo ministero, sarà di nuovo proclamato, ma questa volta a tutte le nazioni, per annunciare l’arrivo del regno milleniale (Marco 13:10). Il Vangelo è chiamato, in Apocalisse 14:6, Vangelo eterno. Molti lo riceveranno nel proprio cuore (Isaia 2, 3, 4; Zaccaria 8:22-23). Comunque sia, volentieri o per forza, ogni uomo dovrà inchinarsi davanti al Dio onnipotente, Creatore e Giudice, e rendergli gloria.
Il millennio
Quando la terra sarà stata purificata dai giudizi, quando tutto ciò che si oppone a Dio sarà stato spazzato via, giungeranno “i tempi di ristoro”, i tempi “della restaurazione di tutte le cose, di cui Dio ha parlato fin dall’antichità per bocca dei suoi santi profeti” (Atti 3:19-21).
E’ proprio nell’Antico Testamento che troviamo il maggior numero di informazioni circa questo regno di giustizia e di pace. L’Apocalisse, che fissa la sua durata in mille anni, ci dice che in quel periodo Satana sarà legato, imprigionato, messo nell’impossibilità di sedurre (20:1-3, 7).
Non dimentichiamo, però, che questo regno milleniale è il regno di Cristo sulla terra. E’ soprattutto questo il fatto messo in evidenza nei passi delle Lettere che ne parlano. A questa ultima dispensazione la Lettera agli Efesini dà il nome di “pienezza dei tempi”. E’ il periodo del compimento di tutti i disegni e di tutte le vie di Dio per la gloria di suo Figlio.
Dio ci ha fatto “conoscere il mistero della sua volontà, secondo il disegno benevolo che aveva prestabilito dentro di sé, per realizzarlo quando i tempi fossero compiuti (o nella pienezza dei tempi). Esso consiste nel raccogliere sotto un solo capo, in Cristo, tutte le cose: tanto quelle che sono nel cielo, quanto quelle che sono sulla terra” (Efesini 1:9-10). “Al presente però non vediamo ancora che tutte le cose gli siano sottoposte” (Ebrei 2:8), benché sia già così (Efesini 1:22). Glorificato ed esaltato, Egli è capo su “tutte le cose”, e come capo è stato dato alla Chiesa, che ne è il corpo.
L’esistenza del male sulla terra (e nel cielo, visto che Satana vi si trova ancora), l’esistenza di volontà umane opposte a quella di Dio, sono elementi di disordine che impediscono la realizzazione dell’unità perfetta sotto la mano di Cristo; ma Dio vuole raccogliere sotto un solo capo tutte le cose, nei cieli e sulla terra, in un’armonia e in un ordine perfetti. Questo si realizzerà con l’assoggettamento a Cristo di tutte le cose.
“In lui siamo anche stati fatti eredi”, aggiunge Paolo (v. 11): è il privilegio inestimabile della Chiesa. Coloro che sono uniti a Cristo in quanto membri del Suo corpo sono così introdotti nella Sua relazione col Suo Dio e Padre, gli saranno associati nella Sua posizione gloriosa di capo su tutte le cose, e regneranno con Lui (Apocalisse 5:10). Così, colui che fu oggetto di disprezzo su questa terra di peccato, sarà un giorno onorato come ne è degno. (*)
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(*) Il Signore regnerà su tutto. Allora, i credenti risuscitati parteciperanno alla Sua gloria celeste, e i credenti viventi nel loro corpo sulla terra parteciperanno alla Sua gloria terrena. La sposa celeste sarà formata da tutti i credenti risuscitati al “rapimento” e dai martiri della grande tribolazione, e la sposa terrena da tutti i credenti che vivranno e regneranno con Lui per mille anni. (NdR)
Alla fine di questa ultima e gloriosa dispensazione, Cristo rimetterà il regno a Dio Padre (1 Corinzi 15:24). Un passo di Apocalisse ci dipinge brevemente gli ultimi eventi che accadranno sulla terra: “Quando i mille anni saranno trascorsi, Satana sarà sciolto dalla sua prigione e uscirà per sedurre le nazioni” (Apocalisse 20:7-8). Il regno di pace e di giustizia non avrà cambiato il cuore dell’uomo; infatti, tutti quelli che si saranno sottomessi fingendo (Salmo 18:44) si lasceranno trascinare da Satana alla rivolta contro Cristo e contro “i santi” (Apocalisse 20:9). Ma il giudizio di Dio li distruggerà. “Il primo cielo e la prima terra” spariranno per lasciare posto a “nuovi cieli e nuova terra, nei quali abiti la giustizia” (Apocalisse 21:1; 2 Pietro 3:7, 10, 13).
Si giungerà così allo stato eterno, che non può essere considerato una dispensazione. In questo stato di gloria e perfezione, quindi, l’uomo non sarà più in una condizione di responsabilità verso Dio perché non depositario di una rivelazione particolare da parte Sua.
Edizioni Il Messaggero Cristiano