Neemia, studio sui primi 4 capitoli

Premessa

Questi quattro capitoli del Libro di Nehemia sono stati il soggetto dello studio annuale di fine anno nei giorni 6, 7 e 8 Dicembre 2003 a Pesaro.

Alcuni credenti, con i quali l’Associazione “Il Buon Seme” è in contatto attraverso la corrispondenza dei corsi biblici, saputolo, ci hanno chiesto di relazionarli su quanto era stato detto in quegli incontri.

Pur avendo il desiderio di esaudirli, ci siamo ben presto resi conto dell’impossibilità di trascrivere tutte le considerazioni fatte durante l’arco di tre giorni. Abbiamo, perciò, pensato di limitarci a redigere alcune considerazioni che abbiamo ritenute importanti e che scaturiscono dalla meditazione di questi capitoli.

Questi “Appunti su Nehemia 1, 2, 3 e 4” sono dedicati, in un modo tutto speciale,  ai nostri fratelli Izzillo e Savarese.

Un particolare ringraziamento va fatto ad alcuni giovani fratelli che hanno svolto il grosso lavoro di stesura di queste pagine ed a quei fratelli anziani che lo hanno letto e corretto ed hanno dato il loro saggio contributo.

Non è mancato l’aiuto di sorelle che lo hanno interamente corretto da tutti gli errori ed “orrori” di grammatica.

Coloro i quali desiderassero conservare una copia personale di questo scritto sono da noi autorizzati a farne la fotocopia.

Il Signore benedica la Sua Parola nei nostri cuori.

A nome di tutti coloro che hanno contribuito alla buona riuscita di questo lavoro:

Daniele Calamai

Introduzione

Date da ricordare.

Nell’anno 606 a.C., avviene la prima deportazione a Babilonia degli abitanti del regno di Giuda (2 Cronache  36:20) ed il tempio è distrutto dai Caldei.

Da 2 Cronache 36:21 apprendiamo anche che dovevano trascorrere 70 anni di deportazione e desolazione (secondo la profezia di Geremia cap 25:9/12) prima che Dio “destasse il cuore“ di un re pagano che  permettesse di iniziare la ricostruzione della casa di Dio a Gerusalemme.

Per comprendere meglio gli avvenimenti riferibili a quel periodo può essere utile il seguente specchietto cronologico:

  • Anno 606 a.C. – Deportazione del regno di Giuda (inizio profezia Geremia) che avviene in 3 fasi fino al 586 a.c.
  • Anno 537/536 a.C. – Editto di Ciro per la ricostruzione del tempio. Ritorno dei Giudei con Zorobabele di circa 50.000 persone (Esdra 2:64/65) – termine della profezia di Geremia.
  • Anno 536 a.C. – Messe le fondamenta del tempio; lavori subito interrotti.
  • Anno 520 a.C. – Ricominciano i lavori (cfr: Esdra 4:24).
  • Anno 515 a.C. – Termine dei lavori (cfr: Esdra 6:15).
  • Anno 458 a.C. – Rientro a Gerusalemme d’Esdra (1755 Giudei) Esdra 7:1.
  • Anno 445 a.C. – Nehemia è inviato a Gerusalemme per ricostruire la città (inizio profezia Dan. 9:25).

Personaggi dell’epoca

  • Daniele – È un nobile ed occupa una posizione molto particolare
  • Zorobabele – Discendente di Davide
  • Mardocheo – Un Giudeo che lavora per il bene dei Giudei in cattività
  • Esdra – Un sacerdote ed uno scriba
  • Nehemia – Un israelita qualunque, ma in una particolare posizione

Preparazione ad un risveglio

Il re Nabucodonosor innalza Daniele in dignità, lo colma di numerosi e ricchi doni, gli dà il comando di tutta la provincia di Babilonia e lo fa capo supremo di tutti i saggi (Daniele 2:48) e decreta che chiunque, indipendentemente a quale popolo, nazione o lingua appartenga, e “che dica male del Dio di Sadrac, Mesac  e Abed-Nego, sia fatto a pezzi e la sua casa ridotta ad un letamaio” (Daniele 3:29). In seguito, per ordine di Baldassar, Daniele viene rivestito di porpora, gli viene messa al collo una collana d’oro e viene proclamato “terzo nel governo del regno” (Daniele 5:29).

Dopo di lui, Dario scrisse un decreto che ordinava che in tutto il suo regno si temesse e si rispettasse “il Dio di Daniele”. Daniele prosperò durante il regno di Dario e durante il regno di Ciro il Persiano (Daniele 6:26/28).

Il giudeo Mardocheo è alla corte di Assuero, occupa una posizione di rilievo essendo il secondo dopo il re.  Grande fra i Giudei e amato dalla moltitudine dei suoi fratelli, cercò il bene del suo popolo e parlò per la pace di tutta la sua razza (Ester 10:3). Ester era allora la regina di Persia.

Nel primo anno di Ciro, re di Persia, il re fa proclamare un editto “a voce e per scritto” per tutto il suo regno (Esdra 1:1) ordinando che chiunque del popolo d’Israele fosse stato disposto a tornare in Patria poteva farlo. Zorobabele rientra con circa cinquantamila uomini (Esdra 2:64/65).

Artaserse decreterà che chiunque nel suo regno fra il popolo, i sacerdoti ed i Leviti d’Israele, fosse disposto a partire per tornare a Gerusalemme poteva andare (Esdra 7:13). Esdra parte con circa 1700 persone ed arriva a Gerusalemme (Esdra 7:1).

Nehemia tornerà per concessione di Artaserse e riedificherà le mura della città.

Cosciente che Dio era stato ed era con lui, può raccontare come “la benefica mano” di Dio era stata su di lui.

Se cerchiamo dei paragoni possiamo pensare ad un risveglio caratterizzato dalla predicazione della Parola (un risveglio evangelistico), ad un risveglio caratterizzato dalla spiegazione della Parola (un risveglio ecclesiastico) e poi anche un risveglio di carattere morale, che vuol fare dei discepoli veri testimoni, persone felici e con buona reputazione di cui non si debba dire nulla di male e di cui il mondo veda le opere buone.

Il lavoro svolto

E’ con il risveglio del cuore di Ciro, re di Persia che finisce il libro delle Cronache ed inizia il libro di Esdra.

Questo re diede la libertà al residuo giudeo (sotto la guida di Zorobabele) di tornare a Gerusalemme e ricostruire il Tempio, ma dopo l’inizio dei lavori, questi furono subito interrotti e furono i profeti, tra cui Aggeo e Zaccaria (Esdra 5:1), a parlare al cuore dei Giudei, affinché sentissero il dovere di occuparsi della casa del SIGNORE. In effetti “si davano premura solo per la propria casa“ mentre la casa di Dio era in rovina (cfr. Aggeo 1:9).

Possiamo riflettere su questo fatto: il SIGNORE, tramite il profeta Aggeo, non rimprovera il popolo perché si occupava della propria casa, questo è più che legittimo, ma il rimprovero viene fatto perché la sola ed unica preoccupazione del popolo erano le loro case, mentre la casa del SIGNORE era totalmente ignorata; in poche parole: l’unico scopo era verso sé stessi e non verso il loro Dio.

Ma dal momento che iniziamo ad occuparci delle cose del SIGNORE, della Sua casa, possiamo contare su quest’incoraggiamento: “…ma da questo giorno io vi benedirò” (Aggeo 2:19).

Esdra 6:14 ci dice: “… e gli anziani dei Giudei poterono continuare i lavori e a far avanzare la costruzione, aiutati dalle parole ispirate dal profeta Aggeo e di Zaccaria …”. Potevano, quindi, contare sull’assistenza di questi profeti come ci conferma  Esdra 5:2.

Il settimo anno del re Artaserse, Esdra, lo scriba esperto nella legge, sale a Gerusalemme ed eserciterà ciò per cui il suo Dio lo aveva formato: istruire il popolo di Dio.

Tra l’arrivo di Esdra e quello di Nehemia, trascorrono 13 anni (dal settimo anno del re Artaserse (Esdra 7:7) al ventesimo anno, indicato in Nehemia 2:1)

Resta ancora un lavoro da svolgere: la ricostruzione delle mura.

È il compito che Dio ha affidato a Nehemia, che in questo è un esempio di fermezza che tutti dovremmo imitare. Piange sul misero stato dei suoi fratelli, lo confessa, ammette l’autorità di re pagani, ma non mischia mai i credenti con gli increduli. I nemici sono gli stessi per Zorobabele, Esdra e Nehemia: Samaritani e pagani (stranieri!).

Oggi il cristianesimo è pieno di “Samaritani”, che, con ogni evidenza, appaiono alleati di popoli non cristiani, ma che vorrebbero offrire collaborazione. Nehemia non accetta compromessi con nessuno di loro. Al capitolo 6 fa appello alla loro dignità (anche noi siamo figli di Dio) ed all’importanza del lavoro che svolgeva (anche noi lavoriamo per il Signore) e questa consapevolezza gli impedisce di scendere a patti con il mondo o di fare cose sconvenienti.

Preparati per uno scopo preciso

Fin qui abbiamo considerato vari personaggi che hanno avuto ruoli diversi l’uno dall’altro in questa vicenda:

  • Mardocheo – si occupa del bene del popolo in cattività
  • Zorobabele – si occupa del Tempio
  • Esdra – si occupa dell’insegnamento e della vita religiosa
  • Nehemia – si occupa delle condizioni morali del popolo

e che sicuramente, anche senza rendersene conto, sono stati di aiuto l’uno all’altro ed hanno coperto i vari bisogni del popolo di Dio in quel momento.

Tutti questi eminenti personaggi hanno preso a cuore il popolo di Dio ed hanno svolto il compito che Dio gli aveva affidato.

Possiamo porci molte domande come quella sul perché, Esdra e Nehemia, non siano partiti insieme a Zorobabele, o perché Esdra non sembra rendersi conto della rovina delle mura e possiamo darci diverse risposte.

Tutto potrebbe spiegarsi in modo semplice, affermando che, dopo tutto, erano uomini e certamente non erano servitori perfetti ma a noi piace più pensare che Dio ha un servitore per ogni compito specifico e che lo usi al momento più opportuno secondo vie che a noi possono sembrare incomprensibili.

 

Lo scopo delle mura

Le mura hanno certo parecchi significati e rientrano nel pensiero di Dio: “Tutte queste città erano fortificate, con alte mura, porte e sbarre” (Deuteronomio 3:5).

Un primo significato può essere sicurezza: “La gente abiterà in essa … Gerusalemme se ne starà al sicuro” (Zaccaria 14:11), ma queste conferivano anche prestigio ai loro abitanti davanti agli uomini: “osservate le sue mura, considerate i suoi palazzi, perché possiate dire alla generazione futura …” (Salmo 48:13) e davanti a Dio: “Ecco, io ti ho scolpita sulle palme delle mie mani; le tue mura mi stanno sempre davanti agli occhi”(Isaia 49:16). Inoltre evitavano il disprezzo dei nemici (Nehemia 2:17) e, non ultimo, esprimevano difesa e separazione dai nemici.

Dobbiamo, inoltre, tenere ben presente che le mura, da sole, non sono sufficienti perché all’interno non si possano commettere cose assai peggiori di quelle che si praticano “in esilio” dove si manifestava sicuramente un grande amore fraterno:  “io vedo violenza e rissa nella città … dentro di essa sono iniquità e vessazioni” (Salmo 55:9/10).

Lo scopo delle porte

Oltre alle mura dovevano essere ricostruite le porte che dovevano avere la possibilità di essere sbarrate. Esse dovevano rimanere chiuse durante la notte e, per necessità, anche l’intero giorno del Sabato, per impedire di profanarlo (Nehemia 7:3 – 13:19).

Durante il giorno esse dovevano rimanere aperte, ma sorvegliate!

Ai sorveglianti era affidato questo compito: fare entrare i fratelli, ma tenere fuori i nemici.

Può  capitare che dalla “Porta delle Pecore” entrino dei “lupi rapaci”, ma la soluzione non consiste nel chiudere la porta e sbarrarla ma nel sorvegliarla bene, senza confondere i fratelli (deboli) con i nemici (forti).

Nehemia affidò questo compito di gran responsabilità a Hanani (suo fratello) ed a Hanania (governatore del castello) e di quest’ultimo testimonia che “era un uomo fedele e timorato di Dio più di tanti altri” (Nehemia 7:2).  Il Signore voglia darci fratelli e sorelle che sanno vegliare sul gregge di Dio!

Capitolo 1

Il carattere di Nehemia è di un uomo di preghiera, che ama i suoi fratelli e per loro soffre e si mette all’opera. Facendo un paragone con quanto c’è rivelato nel Nuovo Testamento, potremmo affermare che questo servitore ha  il carattere del pastore.

Se consideriamo le tre figure: Zorobabele, Esdra e Nehemia, e ne facciamo un’applicazione spirituale per i nostri tempi, possiamo dire che:

  • il primo, Zorobabele, ha il carattere di evangelista, in quanto ha portato con sè a Gerusalemme molti Israeliti (50.000):
  • il secondo, Esdra, ha il carattere di dottore, cioè colui che insegna e rende le Scritture chiare al popolo, lo istruisce e lo ammaestra (Esdra 7:25);
  • il terzo, Nehemia, ha il carattere di pastore, vedremo più avanti perchè.

Il ventesimo anno del re Artaserse, Nehemia incontra Anani, suo fratello, ed altri con lui di ritorno da Gerusalemme e s’informa sullo stato della città e di coloro che erano ritornati dalla cattività. Il suo cuore era vicino a coloro che erano là ed è il desiderio di conoscere il loro stato che lo spinge ad informarsi.  Nehemia ha a cuore la sorte dei suoi fratelli e, all’udire lo stato triste nel quale si trovavano, piange.

Nonostante che l’altare fosse stato ricostruito, dando, quindi la possibilità di accostarsi al SIGNORE e di lodarLo, nonostante  che anche il Tempio fosse finito e che tutto ciò che riguardava il servizio di Dio fosse   ristabilito, le mura giacevano in rovina e le porte rimanevano consumate dal fuoco, proprio come sono descritte in 2 Cronache 36:19. Nell’udire questo Nehemia, come dovrebbe fare ogni credente, non cade nella disperazione, ma, seppure nel dolore, si rivolge al SIGNORE e prega.

Nella sua preghiera, non imputa le colpe per ciò che è accaduto solo ai suoi fratelli, ma si associa a loro e ripete per ben quattro volte la parola “abbiamo”, mostrando una piena identificazione con il popolo ed una presa di coscienza del proprio stato e delle proprie responsabilità.

La sua non e’ una preghiera breve, il versetto 6 ci dice che durò giorno e notte.

Nehemia prega incessantemente per quattro mesi (dal mese di Chisleu ver.1 al mese di Nisan indicato nel cap 2:1)(*) conscio che non era da solo, ma altri servi del Signore avevano a cuore quest’argomento e pregavano per esso. Non pensiamo mai di essere soli nella preghiera, non cadiamo in questo peccato di arroganza. Il SIGNORE dimostra ad Elia che altri settemila Israeliti non avevano piegato le loro ginocchia davanti a Baal: non era l’unico! (1 Re 19:18).

Ricordiamoci, perciò delle parole del Signore che c’insegna a bussare “ripetutamente” alla sua porta (Luca 11:9), e l’esortazione di Ebrei 4:16 di “accostarsi con piena fiducia … per essere soccorsi al momento opportuno”, ricordiamoci di perseverare nella preghiera senza perderci d’animo (Colossesi 4:2).

La richiesta finale della sua preghiera era di  trovare grazia agli occhi del re Artaserse, definito da Nehemia “quest’uomo” (1:11). Di fronte al “Dio del cielo, Dio grande e tremendo” (1:5) anche il più illustre personaggio della storia dell’epoca diventava un uomo e niente di più! L’Ecclesiaste, a tal proposito, ci ricorda che “sopra un uomo in alto veglia uno che sta più’ in alto, e sopra  di loro sta un Altissimo” (Ecclesiaste 5:8).

Il capitolo uno termina con la professione di Nehemia: coppiere del re, una posizione sicuramente elevata e di responsabilità per un uomo della sua epoca,  ma per il SIGNORE, Nehemia era, prima di tutto un uomo che amava i suoi fratelli, che s’informa del loro stato, che piange per loro, che prega per loro e solo alla fine è: coppiere del re.

Consideriamo questo ed impariamo la lezione che ci viene data: siamo, forse, abituati a rendere troppo evidenti i nostri successi, la nostra posizione sociale, i nostri beni materiali.

(*)Qualcuno potrebbe notare che il mese di Kisleu (1:1) è nel calendario ebraico dopo il mese di Nisan (2:1) ed obbiettare che non vi è cronologia negli avvenimenti. È solo un’apparente contraddizione. Nehemia, evidentemente, non segue il calendario sacerdotale, ma più probabilmente quello civile, o, forse, conta i mesi dal mese in cui Artaserse è salito al trono.

Lo schema riportato qui sotto aiuta a comprendere meglio questa cronologia.

Calendario civile Calendario sacerdotale Nome del mese Inizio col novilunio di: Riferimenti biblici  
7 1 Nisan o Aib Marzo o Aprile Nehemia 2:1
8 2 Zif o Ziv Aprile o Maggio 1 Re 6:1
9 3 Sivan Maggio o Giugno Ester 8:9
10 4 Tammuz Giugno o Luglio  
11 5 Ab Luglio o Agosto  
12 6 Elul Agosto o Settembre Nehemia 6:15
1 7 Tishri o Ethainim Settembre o Ottobre 1 Re 8:2
2 8 Bul Ottobre o Novembre 1 Re 6.38
3 9 Kisleu Novembre o Dicembre Nehemia 1.1
4 10 Tebeth Dicembre o Gennaio Ester 2:16
5 11 Scebat Gennaio o Febbraio Zaccaria 1:7
6 12 Adar Febbraio o Marzo Ester 3:7

Capitolo 2

Nel mese di Nisan, il re Artaserse  si accorge che sul volto del suo servo vi è la tristezza e non la gioia e ne domanda subito il perché: “perché hai l’aspetto triste, eppure non sei malato …”.

Per il mondo la malattia é soggetto di tristezza più di ogni altra cosa, ma il re la esclude subito ed immagina una preoccupazione. Anche Paolo era preoccupato per lo stato delle chiese (2 Corinzi 11:28): è la sorte di chi sente il compito che Dio gli ha affidato, un incarico da svolgere con serietà, fiducia, zelo ed amore. Nehemia spiega il perché della sua tristezza, con semplicità e sincerità, ma alla domanda del re su cosa intendesse ricevere, prega nuovamente il Dio del cielo, Dio che conosceva bene e sul quale “… gettava ogni preoccupazione” (1 Pietro 5;1).

Nehemia, dopo le lacrime e la preghiera, passa all’azione, non rimane nello stato di tristezza durato quattro mesi. La sua richiesta è di poter partire per costruire le mura della città dove erano le tombe dei suoi padri.

Così risponde ed il re, segno di una certa affezione, s’informa subito sul tempo della sua assenza. Che buona testimonianza doveva aver reso Nehemia durante gli anni del suo servizio!

Poi chiede del legname ed il necessario per le porte della fortezza annessa al tempio, per le mura della città e per la casa dove abiterà; in questo vediamo la preminenza dei diritti di Dio (fortezza annessa al tempio), il bene comune (le mura della città) e, da ultimo, in ordine di importanza noi stessi, (la casa che abiterà).

Ecco che, nuovamente, Nehemia ha ben chiaro le priorità delle cose: prima i diritti di Dio, poi i suoi fratelli, poi se stesso.

Nel viaggio, è scortato da ufficiali e cavalieri, che Nehemia, a differenza di Esdra, non ha rifiutato, ma non vi sono né servi, né schiavi per svolgere i lavori. Il Signore ha parlato al cuore del Suo servitore ed il Suo servitore parte.

Quando un servitore ha a cuore di servire il Signore, subito il nemico “n’è informato” (vers. 10) e ne rimane contrariato, come nel caso di Samballat e Tobia, al tempo di Nehemia. Il fastidio del nemico sta nel fatto che Nehemia era un uomo che “cercava il bene dei figli di Israele”. In ogni tempo i veri servitori di Dio hanno sempre avuto a cuore il bene dei fratelli. Possiamo vedere questi caratteri in Mardocheo (Ester 10: 3) e nel giovane Timoteo (Filippesi 2:19-21) e noi possiamo domandarci se abbiamo lo stesso sentimento.

Al suo arrivo Nehemia, benché avesse delle notizie precise da Anani suo fratello, preferisce constatare di persona, toccare con mano lo stato delle mura e delle porte di Gerusalemme, e lo fa di notte. Non per sfiducia nei confronti di suo fratello, ma è necessario un coinvolgimento personale nelle cose del Signore. Non si può agire per conto d’altri o in nome d’altri: il servizio è una cosa personale, così come lo è per la salvezza (Giovanni 4:42) ed il nutrimento spirituale (Atti 17:11).

E’ bello considerare ciò che Nehemia incontra e in che ordine, nella sua uscita notturna.

La prima porta che vede è “la porta della Valle” che ci ricorda (lo vedremo meglio più avanti), le sofferenze che possiamo incontrare; segue poi la sorgente del Dragone che ci parla dell’influenza negativa del nemico e “la porta del Letame” (o della spazzatura), ciò che in noi, nel nostro modo di comportarci è da scartare. Ma dopo queste porte, ecco la porta della Sorgente, che ci parla dello Spirito Santo che ci nutre con la Parola, quell’acqua fresca che fa crescere rigoglioso l’albero del Salmo 1. L’ultima cosa che incontra è “il serbatoio del Re”: sempre pieno, sempre a disposizione, inesauribile, al quale possiamo sempre attingere: chi e’ il proprietario del serbatoio? Il Re, il nostro Dio, ora nostro Padre.

Nehemia, dopo essersi reso conto dello stato delle mura e delle porte, non si ferma a piangere, né ad accusare coloro che abitavano la città: parla al cuore del popolo e “… racconta loro come la benefica mano di Dio” era stata su di lui. Questo parla al cuore del popolo che risponde con energia: “sbrighiamoci e mettiamoci a costruire!”.

Questo fatto ci riporta indietro di qualche anno quando il re Asa, di cui è detto “fece ciò che e’ buono e retto agli occhi del suo Dio”, parlò al cuore del suo popolo; il risultato fu lo stesso: si misero a costruire e prosperarono (2 Cronache 14:6).

Quando si ha a cuore qualcosa per il Signore e si considera la bontà di Dio verso di noi, non si può far altro che mettersi all’opera con gioia. Consideriamo più spesso ciò che il Signore ha fatto per noi, ogni piccolo servizio che prima ci sembrava “pesante” ci sembrerà più leggero!.

Ecco che ad ogni slancio positivo del credente, il nemico reagisce e Samballat, Tobia e Ghesem si fecero beffe e disprezzarono il popolo. Ma quando si è vicini al Signore la risposta è una sola: “Il Dio del cielo ci farà ottenere successo! Ma voi non avete né parte, né diritto, né memoria a Gerusalemme”.

Ad uno sguardo distratto potrebbero apparire parole fin troppo dure, ma se leggiamo Deuteronomio 23:3, capiamo il perché: Dio vietava all’Ammonita ed al Moabita di entrare nell’assemblea del Signore: erano dei nemici di Dio.

Capitolo 3

Possiamo meditare questo capitolo che ci parla della ricostruzione delle mura di Gerusalemme in molti modi, considerando, ad esempio, le persone elencate e ciò che hanno fatto, e soprattutto come lo hanno fatto. Ma sicuramente uno dei più belli e edificanti è considerare la ricostruzione delle 10 porte che ci sono presentate, come 10 tappe della vita del credente, il suo sviluppo e ciò che il Signore si aspetta da lui. È ciò che ci apprestiamo a fare.

Il numero 10 spesso rappresenta Scrittura la responsabilità dell’uomo. I dieci comandamenti sono contemporaneamente ciò che Dio si aspetta dall’uomo e ciò che esso deve fare. Se consideriamo le 10 porte come le tappe della vita del credente ecco che ognuna di esse assume un’importante significato.

La porta delle Pecore

All’inizio vediamo il sommo sacerdote Eliasib che con i suoi fratelli insieme a Zaccur, Imri e gli uomini di Gerico ricostruiscono la porta delle Pecore (3:1) sino alla torre di Mea e a quella di Cananeel.

La porta delle Pecore non ci ricorda forse le parole del Signore: “Io sono la porta delle pecore …” in Giovanni 10:7? Essa ci parla, quindi, della conversione, punto di partenza senza la quale non è possibile nessun’altra tappa successiva: dobbiamo attraversare quella porta!

Il nome del sommo sacerdote Eliasib ha un significato per noi meraviglioso: “Dio fa che si convertano”, ossia la richiesta fatta a Dio, che attira (Giovanni 6:44), tramite la convinzione di peccato dello Spirito Santo (Giovanni 16:8), per mezzo dell’opera del Signore Gesù (Luca 19:10), possiamo dire dunque che per la conversione dell’incredulo è all’opera tutta la Trinità.

La parola Mea in ebraico indica il numero 100, mentre Cananeel: “la grazia di Dio”.

La salvezza del credente si basa, quindi, sulla grazia di Dio, che raggiunge tutti, nessuno escluso; il numero cento ci parla della pienezza come quel chicco di grano che, crescendo nella buona terra, porta il cento per cento del frutto.

Gerico era una città maledetta, così, dunque, i suoi abitanti: ma l’evangelo della grazia non è forse per i peccatori rinchiusi sotto la maledizione? E se Zaccur (che significa: “ricordare”) ci parla del Dio che non dimentica l’uomo, ma che teneva già pronto avanti la fondazione del mondo l’Agnello perfetto per noi, Imri (che significa: parola) ci ricorda che Dio ha mandato la Sua Parola che si è fatta carne per noi, riscattandoci e liberandoci proprio da quella maledizione menzionata prima.

Come è bello, dunque, considerare che la volontà di Dio è che tutti (100) si convertano (Eliasib), che la Sua grazia (Cananeel) è a disposizione di tutti i peccatori (Gerico), e questo grazie all’opera del Signore (Parola). Un’ultima considerazione su questa porta: non ci è detto che avesse le serrature! Questo ci dice che la grazia è tuttora disponibile per l’incredulo: la porta del cielo è aperta, in ogni momento chiunque può entrare!

“La porta delle Pecore” é menzionata anche nel Nuovo Testamento nell’evangelo. di Giovanni al cap. 5.
Al v.2 di questo capitolo ci è detto: “Or a Gerusalemme presso la porta delle Pecore c’è una vasca, chiamata in ebraico Betesda (casa di misericordia), che ha cinque portici. Sotto questi portici giaceva un gran numero d’infermi, di ciechi e di zoppi, di paralitici“. Pensiamo che il Signore é passato in quel luogo ed ha visto delle persone sotto le conseguenze del peccato nelle sue diverse forme (infermi, ciechi, zoppi, paralitici). Se anche noi avessimo gli stessi sentimenti del Signore e dirigessimo gli sguardi verso la porta delle Pecore, vedremmo delle persone che hanno necessità di fare il bagno nella piscina di Betesda, cioè di sperimentare la misericordia di Dio per essere liberate dalla schiavitù del peccato. Se ci rendiamo conto che nella nostra vita l’interesse per gli altri, l’evangelizzazione hanno avuto poco posto, é venuto il momento di darci da fare per restaurare la porta dei Pesci, rispondendo all’invito del Signore: “Seguitemi e vi farò pescatori di uomini”.

 

La porta dei Pesci

La seconda tappa del credente, dopo la conversione, è tipificata nella “porta dei Pesci” (3:3).

Essa ci fa tornare in mente le parole del Signore in Matteo 4:19 “… vi farò pescatori d’uomini…”

Dopo essere stati l’oggetto della grazia del Signore (Giobbe 33:24) non possiamo tenerci tutto questo per noi (cfr. 2 Re 7:9). Dobbiamo comunicare questa buona novella, dobbiamo essere “pescatori d’uomini” come il Signore richiede. Tra gli altri lavorarono a questa porta, Meremot e Uria, i cui nomi significano: uno “amarezza della morte” e l’altro “luce dell’Eterno”. Cosa annunciare, dunque, agli increduli se non l’amarezza della morte di Colui che si è dato per noi (1 Giovanni 3:16) e la Luce di Dio che si è manifestata per mezzo del Suo Figliolo? (Giovanni 8:12). È singolare che solamente in questa porta alcune persone non abbiano servito il Signore, restaurandola! Non tutti i Tecoiti a dire il vero, ma solo le persone più in vista, i più importanti, hanno ritenuto opportuno non impegnarsi per questo lavoro: che questo ci sia di monito!

Che la nostra posizione sociale, il nostro lavoro, il nostro carattere e, in definitiva, il nostro orgoglio non ci impediscano mai di parlare del Signore agli increduli con franchezza: è per i malati che il Signore è venuto nel mondo, ricordiamocelo. Ricordiamoci anche di quella sentinella (Ezechiele 3:17) che aveva il solo compito di avvisare il popolo: che compito e … che responsabilità!

Per inciso pare che la porta dei Pesci fosse chiamata così, perché i pescatori della Galilea passavano da essa per vendere il loro pesce.


La porta Vecchia

La porta vecchia, o del vecchio muro, o porta d’angolo (3:6) ci parla della terza tappa del cammino del credente.

Il cristiano non è una persona in “evoluzione”, i suoi punti di riferimento non cambiano col tempo o con le mode degli uomini, essi sono immutabili. Ecco di cosa ci parla questa porta: il riscattato deve sempre tornare alla fonte, fare riferimento solo e sempre alla Scrittura, alle parole del suo Maestro. Ricordiamoci degli avvertimenti che ci dà l’epistola ai Colossesi: “nessuno vi inganni con parole seducenti, vani raggiri, tradizione degli uomini, culto d’angeli, proprie visioni”!

Ci vengono, dunque, in aiuto i passi di Geremia 6:16 e I Giovanni 1:1 “… dal principio…”. Per non essere confusi torniamo sempre a quel principio che i nostri cuori hanno conosciuto, udito, visto e toccato. 

La porta della Valle

Dopo aver considerato la conversione, l’evangelizzazione e il fondamento del credente, la quarta porta, la porta della Valle (3:13) ci ricorda che il cammino del riscattato si svolge in questo mondo, attraversando anche delle difficoltà e delle sofferenze.

Siamo alla scuola del Signore ed a volte Egli ci fa incontrare la sofferenza affinché impariamo ciò che vuole insegnarci. Pietro, nella sua prima epistola, ci dice che a volte le prove sono “… necessarie ...”  per testare la nostra fede e per sperimentare che il nostro Dio è un Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione (2 Corinzi 1:3). Il credente non è uno stoico, non deve dimostrare agli altri che è insensibile al dolore, che può dominarlo. È ciò che proclamavano gli stoici che sono nominati in Atti 17:18.

Il credente spande il suo cuore davanti all’Eterno, sapendo che può contare sul Suo amore e sulla Sua consolazione (cfr: 1 Samuele 1:15 – Lamentazioni 2:19).

Impariamo a “… gettare su Lui ogni nostra preoccupazione ...” e sperimenteremo come molti altri credenti la presenza, l’aiuto e l’incoraggiamento del Signore (1 Pietro 5:7).

Il Salmista poteva dire: “quando attraversano la Valle di Baaca (valle del pianto) essi la trasformano in luogo di fonti e la pioggia d’autunno la ricopre di benedizioni” (Salmo 84:6) ed ancora: “quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte io non temerei alcun male perché tu sei con me” (Salmo 23:4)

Ecco ciò che ci insegna questa porta: attraversare con il Signore le valli nella nostra vita!

La porta del Letame

Dopo aver imparato una lezione così grande, dobbiamo dedicarci alla porta del Letame (3:14).

Essa ci parla di ciò che nella nostra vita è da gettare via: è letame! Non solo dobbiamo considerare come l’apostolo Paolo ogni cosa, di fronte all’eccellenza della conoscenza del Signore (Filippesi 3:8), spazzatura, cioè cose senza alcun valore, ma dobbiamo anche liberarci da ogni contaminazione nella nostra vita. Così come il letame veniva posto fuori dalla città, così anche noi dobbiamo gettare via tutto ciò che nella nostra vita è spazzatura. Ci viene in aiuto il passo di 1 Giovanni 1:9. Solo confessando i nostri errori al Signore, siamo perdonati da Lui e purificati; via la spazzatura da noi!

Considerando la porta precedente si può dire anche che, talvolta, il Signore utilizza le circostanze difficili della nostra vita, le prove, le difficoltà per farci vedere la nostra miseria, le cose che non vanno in noi, affinché si produca un frutto per la Sua gloria, con una sempre maggiore conformità alla Sua santità: “togli dall’argento le scorie e ne uscirà un vaso per l’artefice” (Prov. 25:4). Quante scorie vi sono in noi! Quante cose da giudicare ed ancora: “poiché tu ci hai messi alla prova o Dio, ci hai passati al crogiuolo come l’argento” (Salmo 66:10), quindi, talvolta, la prova è necessaria per poter “togliere il letame”.

La porta della Sorgente

Il cammino del credente prosegue e incontra un’altra tappa nella porta della Sorgente (3:15).

La sorgente qui menzionata ci riporta a quella sorgente dalla quale sgorga acqua viva: lo Spirito Santo, come ci spiega Giovanni 7:37. Il lavoro di questa persona divina non è solo quello di “convincere di peccato” come abbiamo già visto nella prima porta, ma è di presentare al nostro cuore la persona del Signore, le Sue bellezze, le Sue glorie (Giovanni 16:13/14), e ciò può avvenire solo dopo aver fatto “pulizia” nella nostra vita.

Un’altra attività, svolta dallo Spirito Santo a favore dei credenti, è quella di renderli capaci di svolgere il proprio servizio per il Signore attraverso i doni che lo Spirito Santo elargisce come Egli vuole per l’utile comune (1 Corinzi 12:7) e che sono essenziali,perché la Chiesa possa crescere “all’altezza della statura perfetta di Cristo” (Efesini 4:13).

La sottomissione allo Spirito Santo ci permetterà di vivere sotto l’impulso della grazia e di fare un buon uso dei doni ricevuti.

Non è, dunque, lavoro dello Spirito far provare “sensazioni” o “esperienze”, ma condurci, piuttosto, alla piena libertà sotto la Sua azione e 1 Corinzi 14:32 ci ricorda anche che “gli spiriti dei profeti sono sottoposti ai profeti”. È sotto questo aspetto che possiamo comprendere perché questa porta fosse una di quelle che avevano le sbarre.

Possiamo considerare, inoltre, che i lavori includono “il Serbatoio di Siloe presso il Giardino del re fino alla scalinata che scende dalla città di Davide”.

Il “serbatoio” è tutto quello che teniamo in serbo dei pensieri di Dio ed è un’opera dello Spirito Santo che, non solo ci rivela i pensieri di Dio: “… prenderà del Mio e ve lo annunzierà …”(Giovanni 16:14) ma, anche per mezzo di Lui, possiamo custodirli come un ”buon deposito” (2 Timoteo 2:14).

Questo serbatoio si trova presso il “giardino del re”, immagine che ci parla di un luogo dove vi sono ogni genere di alberi dai frutti deliziosi ed ogni sorta di piante dagli aromi deliziosi (cfr. Cantico dei Cantici 4:13/14). Di questo possiamo rendere grazie a “Dio che sempre ci fa trionfare in Cristo e che per mezzo nostro spande dappertutto il profumo della sua conoscenza. Noi siamo infatti davanti a Dio il profumo di Cristo fra quelli che sono sulla via della salvezza e fra quelli che sono sulla via della perdizione” (2 Corinzi 2:14/15).

Tutto ciò che viene attinto da questo serbatoio presso il giardino potrà essere portato nella città per essere messo a beneficio di tutti i suoi abitanti. Il percorso da fare è la “scalinata che scende” e che ci parla della strada che è “la via per eccellenza”: l’amore messo in opera con umiltà (1 Corinzi 12:31b).

La porta delle Acque

La porta successiva è quella delle Acque (3:26). Ad una lettura superficiale sembrerebbe essere una ripetizione della porta precedente, ma non è così.

La Scrittura rappresenta con l’acqua la Parola di Dio. Questa porta, dunque, ci parla dell’azione purificatrice della Parola in noi, proprio ciò che è espresso in Efesini 5:26 e del fatto che lo Spirito Santo ci parla attraverso la Parola per rivelarci ciò di cui abbiamo bisogno.

Notiamo, inoltre, che sempre nel libro di Nehemia, il popolo ascoltava la spiegazione della Scrittura data da Esdra, presso la porta delle Acque (Nehemia 8:3). Queste due ultime porte sono strettamente collegate: lo Spirito Santo ci porta sempre alla Scrittura! Non è, dunque, lavoro dello Spirito, come abbiamo già detto, far provare “sensazioni” o “esperienze”, ma condurci alla Scrittura per essere purificati nel nostro cammino. Questa porta ci esorta a leggere la Scrittura e ad applicare al nostro cuore ciò che insegna. Non preoccupiamoci della nostra memoria, forse non ricorderemo tutto ciò che leggiamo, ma sebbene il secchio sia pieno di fori e l’acqua che entra esce velocemente, nondimeno il secchio resterà pulito! Ecco che l’azione della Parola fa il suo effetto!

La porta dei Cavalli

La porta dei Cavalli (3:28) è la successiva tappa nello sviluppo del cristiano.

I cavalli ci parlano principalmente della velocità e della corsa. Erano, all’epoca, il mezzo di trasporto più diffuso. Se leggiamo in Filippesi (che significa “quelli che amano i cavalli”) 3:14 abbiamo più chiaro il concetto: “corro verso la meta …”. Così anche Ebrei 12:1 “… corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta ...”. Il sentiero del credente quaggiù può, talvolta, passare per delle valli, ma una volta che ha imparato la lezione che presso Gesù vi sono le consolazioni, liberato della spazzatura accumulata, purificato dall’acqua della Parola attraverso il lavoro della Sorgente (lo Spirito Santo), non può far altro che essere rinvigorito e correre verso il cielo!

La nostra corsa, dunque, non è casuale e senza una direzione precisa! Consideriamo le parole dell’epistola agli Ebrei: “… fissando lo sguardo su Gesù …” (Ebrei 12:2). Ecco su chi dobbiamo posare i nostri occhi per non perdere la bussola: Sulla persona del Signore Gesù!

Anche il mondo nel quale viviamo corre la sua corsa, ma dove va? Il profeta Osea ci ricorda che “il popolo, che non ha discernimento, corre alla rovina”. Ecco dove va: alla rovina!

Sta a noi avvertirlo, come ci ha insegnato la porta dei Pesci: avvertirlo che la porta delle Pecore è ancora aperta, è ancora il tempo della grazia!

La porta Orientale

Se abbiamo attraversato, per così dire, tutte le porte analizzate fino ad ora, arriveremo alla porta Orientale (3:29). È dalla porta Orientale che si vede sorgere il sole. È da lì che quella luce prima debole prende vigore e, brillando sempre di più, illumina la nostra vita.

La conoscenza del Signore si farà sempre più chiara, se con Lui avremo attraversato la sofferenza, se con Lui avremo fatto “pulizia” nel nostro cammino, se con Lui avremo applicato la forza di quell’acqua alla nostra vita, se verso di Lui corriamo la gara proposta!

Possiamo vedere la progressione nell’apprezzamento del valore dell’opera di Cristo nel racconto che l’apostolo Paolo fa della sua conversione. In Atti 9:3 ci è detto che vide una “luce dal cielo”. In Atti 22:6 vide “una gran luce”, ma solo in Atti 26:13 vide “una luce più splendente del sole”! Paolo aveva imparato a conoscere meglio il suo Signore!

Così è per noi. Lo sviluppo normale del credente, previsto da Dio, prevede anche una maggiore conoscenza di Colui che ha dato la sua vita per noi. Il cieco nato poteva dire che sapeva solo una cosa: era cieco e ora ci vedeva e ciò per merito di “quell’uomo”. Più tardi quell’uomo era diventato “…un profeta ...” (Giovanni 9:17) e la crescita continua ed al versetto 33 per il cieco guarito il Signore è già un “… uomo da Dio …”. Ma al versetto 38 può dire: “Signore io credo”.

La vita dell’apostolo Paolo si apre con una domanda: “Chi sei Signore?” (Atti 9:5) e potremmo dire che si conclude con una meravigliosa affermazione: “io so in Chi ho creduto” (2 Timoteo 1:12).

Proverbi 4:18 ci dice: “… il sentiero dei giusti è come la luce che spunta e va sempre più risplendendo, finché sia giorno pieno”. Attendiamo con gioia ed ansia questo giorno pieno in cui vedremo il sole nel suo splendore e considerando il breve tempo che resta, adoperiamoci per il Signore compiendo quelle buone opere che ha innanzi preparato affinché le pratichiamo (Efesini 2:10).

La porta di Amifcad

Consideriamo ora la porta di Amifcad (3:31), ultima delle dieci porte considerate nel capitolo tre.

Il nome Amifcad significa “convocato” nel senso di “giudizio”.

Sappiamo che per il credente non vi è più giudizio, in senso di condanna, ma sappiamo altresì che tutti compariremo davanti al tribunale di Cristo (2 Corinzi 5:10). Ecco l’ultima tappa prima di essere manifestati in gloria con il nostro Signore.

Sappiamo che il tribunale di Cristo è un tribunale di ricompensa, nel quale le opere cattive vengono bruciate, mentre il rimanente, oro argento e pietre preziose, viene premiato dal Signore.

La nostra “corsa” è, dunque, breve in confronto all’eternità, ma molto importante, addirittura determinante per il nostro premio nel cielo!

Il giro delle mura

Dopo aver considerato queste dieci porte, alla fine del capitolo 3 è menzionata nuovamente la Porta delle Pecore (Nehemia 3:32).

Siamo nel cielo, abbiamo compiuto tutte le tappe che abbiamo esaminato e, voltandoci, indietro possiamo vedere la fedeltà di Dio che ci ha accompagnato dalla nostra conversione fino alla gloria.

Dio ha voluto che ci convertissimo (Eliasib), ha adempiuto la Sua Parola in noi facendoci dei pescatori d’uomini, ci ha tenuti fermi nella Sua Parola, ci ha condotto per la mano nelle valli della sofferenza e della prova incontrate, era con noi quando gettavamo via la sporcizia nella nostra vita, ci ha dato lo Spirito Santo e per mezzo di Esso ha fatto brillare davanti ai nostri occhi la persona del Signore, ci ha dato la Sua Parola, era con noi durante la corsa fino al cielo. Possiamo affermare veramente che nella nostra vita tutto è stato grazia, tutto viene da Lui e con un sentimento di vera riconoscenza possiamo unirci alle parole dell’apostolo Paolo: “… io so che Colui che ha iniziato in voi un’opera buona la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù …” (Filippesi 1:6).

Capitolo 4

Questo capitolo ci presenta gli ostacoli che provengono dai nemici, dagli estranei al popolo di Dio. Questi, talvolta, riescono ad introdursi per mezzo di legami di parentela come nel caso di Tobia. Tra l’altro, si può notare che il nome Tobia significa “bontà di Dio”, questo ci fa pensare che dietro un’apparenza di pietà si può nascondere il nemico. La seconda epistola ai Corinzi ci ricorda che Satana si traveste da angelo di luce (2 Corinzi 11:14).

Tutte le volte che un credente, una famiglia, un’assemblea di credenti mettono in atto una difesa, una diga contro il male, il nemico attacca e, talvolta, come ci è detto dall’apostolo Paolo, si può cadere nel laccio di Satana (1 Timoteo 3:7).

L’opposizione fatta dai nemici di Nehemia è molto simile all’opposizione messa in atto nei confronti dei primi cristiani all’inizio del libro degli Atti. In Atti 4 i discepoli sono minacciati e viene ingiunto loro di non parlare più del Signore Gesù. A seguito di queste minacce i discepoli pregano, così accade per Nehemia e gli uomini che lavorano con Lui: vengono minacciati e, di conseguenza, pregano (anche se la preghiera ha un carattere diverso, stante il periodo). Le accuse, le opposizioni del nemico sono sempre le stesse, ma anche le risposte dei credenti devono essere sempre le stesse: “non possiamo smettere l’opera che Dio ci ha affidato”. Se siamo sicuri della potenza di Dio e del Suo aiuto non smetteremo un lavoro iniziato. Non scoraggiamoci, perché un soldato scoraggiato è un soldato vinto, noi invece siamo più che vincitori in virtù di Colui che ci ha amati.

Il capitolo 4 ci fa notare che non solo era necessario lavorare, ma anche essere armati.

Questo capitolo fa anche risaltare il carattere di un uomo di preghiera. Nehemia, non solo ha pregato prima di iniziare il lavoro, ma lo ha anche fatto durante lo svolgimento dello stesso. La preghiera, in questo frangente (al v.9), è collettiva e facendone un’applicazione per noi possiamo dire che coloro che lavorano insieme per il Signore devono anche pregare insieme, a questo proposito è bene che ciascuno di noi consideri quanto sia importante che le riunioni di preghiera non vengano disertate.

Nel libro di Nehemia l’opposizione del nemico assume un carattere crescente: è contrariato (2:10), si fa beffe (4:1), si indigna moltissimo (4:7), si é messo ad attaccare (4:8). Più cresce l’impegno ed il lavoro per il Signore, più cresce l’opposizione. Non siamo lasciati, però, a noi stessi, se il Signore permette l’opposizione, ci dà anche le risorse per combattere ed a questo proposito Efesini 6 ci invita a rivestirci completamente dell’armatura di Dio per stare saldi contro le insidie del Diavolo.

Il v. 16 ci presenta un equilibrio nel lavoro: metà degli uomini ricostruiscono e l’altra metà è armata, ciò ci presenta due lavori diversi fatti da due categorie di persone. Il v.17 ci dice che quelli che costruivano e quelli che portavano i pesi con una mano lavoravano e con l’altra tenevano la loro arma, possiamo, perciò, vederci due lavori compiuti da una stessa categoria di persone. Dobbiamo, quindi, identificare secondo i tempi ed i momenti ciò che dobbiamo fare, che il Signore ci dia di coordinare l’attività sotto la guida dello Spirito Santo e nella Sua dipendenza.

Il v. 10 ci fa comprendere come lo scoraggiamento possa portare al pessimismo: “Le forze vengono meno ai portatori di pesi e le macerie sono molte; e noi non riusciremo a costruire le mura”. Questo accade perché erano portati a guardare a ciò che vi era da fare e non a ciò che era già stato fatto e come Dio li aveva guardati fino a quel momento, infatti le mura erano già innalzate fino a metà altezza (v. 6). Se le forze vengono meno e se interviene lo scoraggiamento, come è bello per noi ricordare le parole del profeta Isaia: “Egli dà forza allo stanco e accresce il vigore a colui che è spossato. I giovani si affaticano e si stancano, i più forti vacillano e cadono, ma quelli che sperano nell’Eterno acquistano nuove forze, si alzano a volo come aquile, corrono e non si stancano, camminano e non si affaticano” (Isaia 40:29/31).

A questo proposito possiamo evidenziare che le stesse persone (i portatori di pesi) che al v. 10 non avevano più forze, le ritroviamo al v. 17 che lavoravano con una mano sola. Quanto è importante fortificarsi in Dio.

Nel capitolo 3 si ricostruisce e nel capitolo 4 si combatte contro tutto ciò che può essere un impedimento posto dal Diavolo. La malavoglia, il disinteresse, la stanchezza, la mancanza di tempo, tutto questo è nemico, c’è una guerra da fare. Il credente da quando si converte è arruolato e ricordiamoci che “non c’è congedo in tempo di guerra”.

Nel lavoro che si fa per il Signore bisogna evitare di pensare che gli altri siano dei fannulloni. Abbiamo ricevuto un compito: facciamolo. Facciamo il lavoro che ci è stato assegnato dal Signore con umiltà, perché l’umiltà precede la gloria (Proverbi 15:33 – 18:12). Se mettiamo davanti la gloria questo precede la rovina, perché questo atteggiamento viene dall’orgoglio. Qualcuno risponde ad una lettera, ha un ministerio orale o scritto (combatte per i fratelli v. 14), qualcuno alleva i figli in disciplina e ammonizione nel Signore (combatte per i figli e figlie v. 14). In generale possiamo dire che il fatto che non vediamo altri che lavorano, non deve essere un impedimento per portare avanti il lavoro del Signore e non dobbiamo soffermarci a giudicare chi non sta lavorando insieme a noi. Al cap. 3 non è nominato nella ricostruzione un servitore importante come Esdra (era occupato ad un altro lavoro cfr. Nehemia 8) ed al v. 30 è detto che alla ricostruzione ha partecipato Canun, sesto figlio di Salaf, potremmo chiederci e gli altri 5 dove erano? Che il Signore ci incoraggi a lavorare per Lui anche se dei servitori eminenti non sembrano essere partecipi del nostro lavoro, o se i nostri familiari nella carne sembrano disinteressarsi dell’attività per Cristo.

Il v. 13 ci presenta 3 tipi di armi utilizzate per il combattimento: Spade, lance e archi.

La spada può essere utilizzata quando il nemico è vicino: ricordiamoci del Signore Gesù, il nemico era vicino durante la tentazione ed Egli ha usato la Parola per sconfiggerlo.

La lancia serve per tenere il nemico a distanza.

L’arco è un’arma che colpisce il nemico lontano, il lavoro dell’arco lo possiamo paragonare alla preghiera.

Considerando i cap. 3 e 4 possiamo notare la grazia di Dio nei confronti dei suoi: infatti vengono ricordati tutti i nomi di chi ha lavorato, ma non di chi si è scoraggiato.

Alla fine del v. 18 ci è presentata la figura del trombettiere che stava accanto a Nehemia, possiamo fare un parallelo con quei fratelli che, avendo una particolare comunione con il Signore, sono in grado di avvertire gli altri dei pericoli che possono arrivare.

Facendo un excursus dei libri di Esdra e Nehemia come fossero un tutt’uno si può notare che ci sono stati 150 anni di preoccupazioni sotto le minacce del nemico, senza che poi queste si siano trasformate in qualcosa di concreto (solo in Esdra 5 vi è una costrizione ad interrompere i lavori a mano armata). Tante volte anche noi siamo così preoccupati delle circostanze, di quello che potrebbe accadere, e che in realtà non accade, che distogliamo i nostri sforzi dall’opera per il Signore, Aggeo ci ricorda: “Questo popolo dice: non è ancora venuto il tempo in cui si deve ricostruire la casa del SIGNORE”.

Talvolta è il nostro stesso comportamento la causa di dolore, di scoraggiamento, di mancanza di progresso spirituale e numerico in mezzo a noi. Ricordiamoci che il Signore non ci libera dalle sofferenze che noi stessi ci procuriamo.

Cerchiamo, invece, di fortificarci nel Signore e nella forza della Sua potenza, perché è con la Sua forza che potremo combattere e vegliare e portare a termine il lavoro che Egli ci ha affidato.

“Le mura furono portate a termine il venticinquesimo giorno di Elul, in cinquantadue giorni. E quando tutti i nostri nemici lo seppero, tutte le nazioni circostanti furono prese da timore, e provarono una grande umiliazione perché riconobbero che questa opera si era compiuta con l’aiuto del nostro Dio.”

 Nehemia 6:15/16

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