Una applicazione pratica di Genesi 38 ai nostri tempi.
PREFAZIONE
Il soggetto.
Il credente deve, ogni giorno, confrontarsi con scelte difficili: può decidere di vivere per dar gloria al suo Signore o preferire una vita sotto l’influenza del mondo. Quando il Signore Gesù viveva sulla terra, ha detto che i credenti vivono nel mondo, ma non sono del mondo (Gv. 17: 11, 14, 16). Il Signore Gesù è vissuto nel mondo ma ora non c’è più, mentre noi ci siamo ancora, anche se non gli apparteniamo più. Noi non facciamo più parte del suo “sistema”, caratterizzato dal peccato e dominato da Satana, il capo del mondo; ormai preferiamo le cose che sono in alto (Col. 3:1). Quando facciamo queste affermazioni, non dobbiamo dimenticare che viviamo ancora quaggiù.
Il diavolo fa di tutto per rendere appetibili le cose di questo mondo, che ci offre molto sotto tutti gli aspetti: “live”, in forma scritta o virtuale. La nostra vecchia natura peccatrice è attratta da questo mondo vivace e brillante. Giovanni scrive, a questo proposito: “Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo” (1 Gv. 2:16). Conosciamo bene queste tentazioni:
- La concupiscenza della carne si manifesta in ogni occasione e tenta di impadronirsi di noi.
- I nostri occhi sono una porta particolare per mezzo della quale Satana tenta di sedurci: noi guardiamo… e desideriamo.
- L’egoismo caratterizza la vita di molte persone e il credente non deve sottovalutare questo pericolo.
Per questo Giacomo ci esorta a conservarci puri dal mondo (Gm. 1:27), se vogliamo evitare di sporcarci.
La Bibbia ci mette in guardia, a più riprese, contro i pericoli del mondo e possiamo vederne un esempio in Genesi 38, un capitolo di cui conosciamo l’esistenza ma che abbiamo, forse, cercato di evitare: racconta un avvenimento triste, ma che può essere molto istruttivo. Sarebbe imprudente sorvolare su questo capitolo, perché contiene un messaggio che può riguardare tutti. Il Nuovo Testamento, infatti, ci dice che ogni scrittura – Genesi 38 compresa – “è ispirata,,, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2 Ti. 3:17).
In questo capitolo si parla di Giuda, uno dei figli del patriarca Giacobbe; vi troviamo un monito, attraverso la storia di un peccato. Alla fine del racconto, tuttavia, vediamo la luce: non termina con il caos ma con la grazia. Là dove noi uomini corrompiamo e roviniamo tutto, Dio trova una via di uscita… e questo ci incoraggia.
Proveremo ad occuparci, in quindici lezioni, di questa storia così particolare. Nessuno si aspetti una interpretazione versetto per versetto, questo non è lo scopo del libro; vorremmo piuttosto vedere che cosai possiamo imparare, in pratica, dallo studio di questo capitolo.
A chi si rivolge?
- In primo luogo ai giovani che hanno accettato il Signore Gesù come loro Salvatore. L’esperienza dimostra che il diavolo vi tiene d’occhio in modo particolare: vivete in un’epoca in cui è difficile per un credente nuotare contro corrente ed opporsi ai comportamenti dei più.
- In secondo luogo vorrei indirizzarmi ai credenti di mezza età ed anche a quelli che sono già più vecchi: nessun credente è insensibile a ciò che Satana porge su un piatto d’argento. L’attrattiva del mondo ci riguarda tutti.
. L’autore è naturalmente un uomo, tentato come tutti; preghiamo perché il Signore Gesù ci tenga sempre vicino a Lui, che solo sa proteggerci affinché non diventiamo vittime delle astuzie del diavolo.
Gli esempi che sono riportati in questo libro non sono inventati di sana pianta ma, per riguardo alle persone cui si riferiscono, i nomi e gli avvenimenti sono stati modificati in modo che non sia possibile riconoscerli.
La mia preghiera è che questo libro sia un aiuto e una benedizione per ogni lettore. Per questo, è necessario, per prima cosa, leggere attentamente tutto il capitolo 38 del libro della Genesi: così potremo trarne profitto.
G E N E S I 38
In quel tempo Giuda si separò dai suoi fratelli e andò a stare da un uomo di Adullam, di nome Chira. Là Giuda vide la figlia di un Cananeo di nome Sua; se la prese e si unì a lei. Ella concepì e partorì un figlio, che egli chiamò Er. Poi ella concepì di nuovo e partorì un figlio, che chiamò Onan. Partorì ancora un figlio e lo chiamò Sela. Giuda era a Chezib, quando ella lo partorì. Giuda prese per Er, suo primogenito, una moglie che si chiamava Tamar. Ma Er, primogenito di Giuda, era perverso agli occhi del SIGNORE; e il SIGNORE lo fece morire. Allora Giuda disse a Onan: «Va’ dalla moglie di tuo fratello, prenditela in moglie come cognato e suscita una discendenza a tuo fratello». Onan, sapendo che quei discendenti non sarebbero stati suoi, quando si accostava alla moglie di suo fratello, faceva in modo d’impedire il concepimento, per non dare discendenti al fratello. Ciò che egli faceva dispiacque al SIGNORE, il quale fece morire anche lui. Allora Giuda disse a Tamar sua nuora: «Rimani vedova in casa di tuo padre, finché Sela, mio figlio, sia cresciuto». Perché diceva: «Badiamo che anche egli non muoia come i suoi fratelli». E Tamar se ne andò e abitò in casa di suo padre.
Passarono molti giorni e la figlia di Sua, moglie di Giuda, morì; e, dopo che Giuda si fu consolato, salì da quelli che tosavano le sue pecore a Timna: c’era con lui il suo amico Chira, l’Adullamita. Tamar ne fu informata. Le dissero: «Ecco, tuo suocero sale a Timna a tosare le sue pecore». Allora ella si tolse le vesti da vedova, si coprì d’un velo, se ne avvolse tutta e si mise seduta alla porta di Enaim che è sulla via di Timna; infatti, aveva visto che Sela era cresciuto, e tuttavia lei non gli era stata data in moglie. Come Giuda la vide, la prese per una prostituta, perché ella aveva il viso coperto. Avvicinatosi a lei sulla via, le disse: «Lasciami venire da te!» Infatti non sapeva che quella fosse sua nuora. Lei rispose: «Che mi darai per venire da me?» Egli le disse: «Ti manderò un capretto del mio gregge». E lei: «Mi darai un pegno finché tu me lo abbia mandato?» Ed egli: «Che pegno ti darò?» L’altra rispose: «Il tuo sigillo, il tuo cordone e il bastone che hai in mano». Egli glieli diede, andò da lei ed ella rimase incinta di lui. Allora Tamar si alzò e se ne andò; si tolse il velo e si rimise le vesti da vedova. Giuda mandò il capretto per mezzo del suo amico, l’Adullamita, al fine di ritirare il pegno dalle mani di quella donna, ma egli non la trovò. Interrogò la gente del luogo, dicendo: «Dov’è quella prostituta che stava a Enaim, sulla via?» Quelli risposero: «Qui non c’è stata nessuna prostituta». Egli se ne tornò da Giuda e gli disse: «Non l’ho trovata e, per di più, la gente del luogo mi ha detto: “Qui non c’è stata nessuna prostituta”». Giuda disse: «Si tenga pure il pegno, e non esponiamoci agli scherni! Ecco, io ho mandato questo capretto e tu non l’hai trovata».
Circa tre mesi dopo, vennero a dire a Giuda: «Tamar, tua nuora, si è prostituita e, per di più, eccola incinta in seguito alla sua prostituzione». Giuda disse: «Portatela fuori e sia bruciata!» Mentre la portavano fuori, mandò a dire al suo suocero: «Sono incinta dell’uomo al quale appartengono queste cose». E disse: «Riconosci, ti prego, di chi siano questo sigillo, questi cordoni e questo bastone». Giuda li riconobbe e disse: «È più giusta di me, perché non l’ho data a mio figlio Sela». Ed egli non ebbe più relazioni con lei.
Quando venne il tempo in cui doveva partorire, ecco che Tamar aveva in grembo due gemelli. Mentre partoriva, l’uno di essi mise fuori una mano e la levatrice la prese e vi legò un filo scarlatto, dicendo: «Questo qui esce per primo». Ma egli ritirò la mano, ed uscì suo fratello. Allora la levatrice disse: «Perché ti sei fatta questa breccia?» Per questo motivo gli fu messo nome Perez (breccia). Poi uscì suo fratello, che aveva alla mano il filo scarlatto; e fu chiamato Zerac (sorgere).
L E Z I O N E 1
Introduzione – “Ogni scrittura è ispirata da Dio”
Nella prima lezione vorremmo dare una panoramica di tutto il capitolo, che non è inserito a caso nella storia di Giuseppe. In questo capitolo, infatti, notiamo due principi importanti nel modo in cui Dio si occupa degli uomini: il “governo di Dio” e quello della “grazia”.
Un’interruzione voluta.
Il lettore attento della Bibbia nota che il nostro capitolo interrompe brutalmente la storia di Giuseppe: infatti, Genesi 37 ci descrive l’inizio della sua storia. Giuseppe è mandato da suo padre ai suoi fratelli per informarsi della loro salute, ma è accolto da odio e ostilità. I fratelli non sono contenti del suo arrivo, lo maltrattano, lo gettano in una cisterna e poi lo vendono i mercanti madianiti che lo portano in Egitto. Genesi 39 riprende il filo di questa storia: troviamo Giuseppe in Egitto, dove è messo in prigione ingiustamente a causa dell’intrigo di una donna che cerca di sedurlo.
Precisamente fra questi due capitoli si trova la storia di Giuda e delle sue cattiva condotta. Perché è così? Non sarebbe stato meglio se la storia fosse stata raccontata in un altro punto?[1] Evidentemente no! Quando lo Spirito Santo interrompe intenzionalmente un racconto ha sempre uno scopo particolare.[2]
[1] Tutto lascia supporre che almeno l’inizio degli avvenimenti di Genesi 38 si ponga cronologicamente prima degli avvenimenti di Genesi 37, però sono stati riferiti in questo punto.
[2] Questo vale per molti altri passi nella Bibbia. Ogni volta che pensiamo che il discorso sia interrotto, dobbiamo fare particolarmente attenzione, perché Dio non fa mai niente senza uno scopo preciso. Egli vuole che riflettiamo sul perché di queste interruzioni.
Una prima spiegazione.
Troviamo una prima risposta alla nostra domanda nella portata profetica di questo capitolo. Non ci soffermeremo molto su questo aspetto, ma per il lettore della Bibbia interessato vorremmo nondimeno accennarvi brevemente:[3]
[3] Molti avvenimenti dell’Antico Testamento contengono, oltre alla loro applicazione pratica per noi, un senso profetico. Chi si occupa più in dettaglio della Bibbia, con lo scopo di imparare a conoscere la verità di Dio, dovrebbe essere disposto anche a soffermarsi sulla portata profetica dell’Antico Testamento. Questo può sembrare pesante, ma ne vale la pena. Vi è anche della buona letteratura di cui possiamo servirci per comprendere meglio.
Negli avvenimenti della Genesi, Giuseppe è un‘immagine particolarmente bella del Signore Gesù, il cui cammino, attraverso le sofferenze, ha portato alla gloria (Luca 24:26). Questo è esattamente ciò che vediamo, in figura, nella storia di Giuseppe. Al capitolo 37 Giuseppe si trova nelle mani dei suoi fratelli che non vogliono saperne di lui e lo gettano in una cisterna. I fratelli di Giuseppe sono un’immagine dei Giudei, per i quali il Signore Gesù è venuto. “È venuto in casa sua e i suoi non lo hanno ricevuto” (Gv. 1:11). Il modo di agire dei fratelli di Giuseppe ricorda la responsabilità dei Giudei nella morte del Signore Gesù, essi sono diventati i suoi uccisori (At. 7:52).
Al capitolo 39 Giuseppe si trova nelle mani degli Egiziani che lo hanno gettato in prigione. Essi rappresentano le nazioni che si sono, nello stesso modo, rese responsabili della morte del Signore Gesù (At. 4:27). È un Romano che ha dato ordine di crocifiggere Gesù Cristo. Giuseppe in prigione in Egitto ci parla, in figura, della morte del Signore Gesù. La dignità a cui Giuseppe viene elevato ci fa pensare al Signore Gesù come lo vediamo ora, con gli occhi della fede: alla destra di Dio, coronato di gloria e di onore.
Il capitolo 38, inserito fra questi due, ci mostra profeticamente qualche aspetto della storia dei Giudei, dopo che hanno crocifisso il Signore. È una storia caratterizzata dal peccato e dal declino. Giuda si allea a un uomo che non appartiene alla famiglia di Giacobbe e in questo vediamo la relazione dei Giudei con il mondo. Per molti secoli i Giudei non hanno posseduto il loro paese; erano dispersi nel mondo intero. Hanno raccolto quello che avevano seminato. Avevano gridato: “il Suo sangue ricada su noi e suoi nostri figli” (Mt. 27:25) e questo si è realizzato nella storia dei Giudei e si realizzerà ancora di più nei giudizi della fine dei tempi. Nondimeno, per il residuo di questo popolo, in un tempo futuro, ci sarà ancora grazia che si realizzerà quando il Signore Gesù si leverà come sole di giustizia con la guarigione nelle Sue ali (Mal. 4:2). D’altronde è questo che ci viene ricordato nel significato dei nomi dei gemelli che Tamar partorisce: i loro nomi sono Perez (breccia) e Zerak (sorgere). Dalle rovine di ciò che è rimasto del popolo Giudeo, il Signore Gesù brillerà come il sole di giustizia. Stabilirà la pace e la giustizia su questa terra.
Una seconda spiegazione.
La seconda spiegazione ci porta ad un’applicazione pratica di questo capitolo che è di importanza rilevante per noi oggi. Da qui in avanti seguiremo questa linea.
Nella storia di Giuseppe, nei capitoli 37 e 39 vediamo come un ragazzo (e anche una ragazza) può vivere la sua vita in giustizia e in purezza (Sl. 119:9). Genesi 37 ci mostra un Giuseppe giusto che serve i suoi fratelli, ma che è da loro odiato e rigettato. In Genesi 39 vediamo che la moglie di Potifar non riesce a indurlo a peccare. In una situazione estremamente critica e difficile, Giuseppe dice in modo chiaro e deciso: “No”. Tutti noi possiamo imparare da questo comportamento; Giuseppe fugge davanti al peccato. Non ha giocato con il fuoco, ed è pronto a subire le conseguenze della sua fedeltà.
Troviamo esattamente il contrario al capitolo 38. Il contrasto fra i tre capitoli (37,38,39) non potrebbe essere più grande. La Bibbia ci mostra qui due uomini totalmente differenti: da una parte la giustizia e la purezza di Giuseppe e dall’altra l’ingiustizia e l’immoralità di Giuda. I due avevano lo stesso padre ma, da un punto di vista morale, erano diametralmente opposti. Davanti alla brillante immagine della grandezza e della purezza morale di Giuseppe, il peccato di suo fratello Giuda sembra ancora più terribile. Qui noi impariamo attraverso il contrasto.
Governo e grazia.
Lasciando che il capitolo nel suo insieme faccia il suo effetto su di noi, osserviamo due principi importanti del modo in cui Dio agisce verso gli uomini: li ritroviamo continuamente nella Bibbia, non solo nel linguaggio figurativo dell’Antico Testamento ma anche negli insegnamenti del Nuovo Testamento. Questi due principi sono il “governo” e la “grazia. Per prima cosa leggiamo due versetti del Nuovo Testamento che ci mostrano di che si tratta.
Il principio del “governo”
“Non vi ingannate; non ci si può beffare di Dio; perché quello che l’uomo avrà seminato quello pure mieterà” (Gal. 6:7)
Dio agisce verso noi uomini secondo principi ben precisi. I Suoi figli, cioè noi i credenti, non fanno eccezione. Uno di questi principi è che raccoglieremo ciò che abbiamo seminato. È così nella natura; colui che semina frumento non raccoglierà patate; chi pianta un melo non coglierà ciliegie. Nella vita spirituale non è diverso “perché chi semina per la sua carne, mieterà corruzione dalla carne; ma chi semina per lo Spirito mieterà dallo Spirito vita eterna” (Gal. 6:8). In Osea 8:7 leggiamo: “seminano vento e raccoglieranno tempesta”. La mietitura dunque è più grande della semina. Genesi 38 ce lo mostra molto chiaramente.
Il principio della “grazia”
“Ma dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata” (Ro. 5:20). La grazia di Dio è sempre presente, anche quando noi pecchiamo. Non c’è alcun peccato, nella vita di un credente, che sia così grande che Dio non possa perdonarlo; anche in una vita piena di rovina può manifestarsi potentemente. Il “figliol prodigo” in Luca 15 doveva soffrire per le tristi conseguenze del suo cammino sbagliato (il principio del governo) ma, malgrado tutto questo, il padre lo accoglie nuovamente presso di se. Questa è la grazia. Anche la storia di Giuda termina con la grazia, uno dei suoi discendenti è nientemeno che il Signore Gesù. Nella Sua genealogia troviamo Tamar, la moglie di Giuda (Mt.1:3).
Concludendo, possiamo dire che quando Dio agisce in grazia, agisce in un modo che noi non abbiamo meritato; quando agisce in governo, invece, ci tratta come meritiamo. I due aspetti sono ambedue veri e non si contraddicono, anzi si completano.
Genesi 38 è un capitolo di avvertimenti, non ignoriamoli! Nello stesso tempo è un capitolo che ci incoraggia: nessuna vita è rovinata al punto che Dio non possa fare più niente.
LEZIONE 2
Una cattiva scelta: il cammino verso il mondo.
Nella lezione precedente abbiamo visto che Genesi 38 è una triste storia, che ci dà un serio avvertimento: infatti, ci indica l’importante principio che ogni uomo miete quello che ha seminato. Nello stesso tempo sottolinea il fatto che la grazia di Dio può trionfare anche in una vita spezzata. La lezione due ci mostra chiaramente che ogni cammino malvagio ha un inizio e che le prime scelte sono fondamentali.
Una decisione dalle gravi conseguenze.
Il nostro capitolo inizia con le parole: “In quel tempo Giuda si separò dai suoi fratelli” (1). Giuda aveva molti fratelli e vivevano insieme nella casa del loro padre Giacobbe. Cosa è che ha fatto maturare in Giuda la decisone di lasciare i suoi fratelli? Non lo sappiamo esattamente; in ogni i caso li ha lasciati per andare presso un uomo che viveva ad Adullam.
Nella nostra vita prendiamo molte decisioni, alcune importanti e altre meno; spesso agiamo istintivamente, senza riflettere molto; qualche volta, invece, riflettiamo, valutiamo con cura e poi agiamo. Alcune decisioni restano senza conseguenze, altre invece hanno conseguenze molto gravi. Il figlio più giovane di Luca 15 ha certo riflettuto prima di prendere la decisione di lasciare la casa del padre. Da un lato sentiva l’oppressione della casa paterna, dall’altro la libertà, che sembra infinita, del mondo. Da una parte una noiosa vita borghese fatta di costrizioni ed esteriorità; dall’altra gli amici, con i quali poteva cambiare la notte per il giorno. Anche Lot ha certamente riflettuto prima di separarsi da suo zio Abramo. Da un lato vedeva la montagna con le sue fatiche, dall’altro la pianura di Sodoma con i suoi pascoli ricchi per il nutrimento del bestiame.
E’ possibile che le ragioni di Giuda siano state del tutto differenti da quelle del giovane di Luca 15 o da quelle di Lot, tuttavia la decisione che prende non è meno fatale. Giuda significa “lode” quindi la sua vita avrebbe dovuto essere a onore e lode di Dio… Il suo comportamento esprime invece l’esatto contrario. Chira significa “nobiltà, nobile di nascita”. Il mondo non presenta sempre il suo lato peggiore e, a prima vista, non sembra essere così corrotto, spesso anzi ci fa l’effetto contrario. Il nome di Chira ci ricorda che nel mondo ci sono delle cose apparentemente desiderabili e nobili. Chi non amerebbe fare carriera? Chi non vorrebbe assaporare qualche frutto della gloria di questo mondo? Essere, per una volta, sul gradino più alto del podio? Tutto questo può essere motivo di stimolo e incitarci a voltare le spalle ai nostri “fratelli”.
Un’altra cosa completa il quadro: Adullam significa “giustizia del popolo”. E questo può parlarci dell’ apparenza pia e religiosa di questo mondo. La giustizia del popolo non è augurabile? E’ interessante il fatto che il nome dell’ultima chiesa alla quale Giovanni scrive una lettera , in Apocalisse 2 e 3, significa: “i diritti del popolo” (Laodicea). E questa chiesa riceve un giudizio inconfutabile dalla bocca del Signore Gesù: “Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente, io ti vomiterò dalla mia bocca” (Ap. 3:16). La disapprovazione del Signore non potrebbe essere espressa in maniera più netta.
Lontano dai suoi fratelli.
Giuda lascia i suoi fratelli e di conseguenza la casa di suo padre; lascia la sua casa .Vuole essere padrone della propria vita, desidera camminare come meglio gli piace, prendere da solo le decisioni. Quale prezzo ha per noi la comunione con il Signore e con i nostri fratelli e sorelle in Cristo? Ci rallegriamo di essere in compagnia di coloro che appartengono al Signore Gesù? Oppure troviamo tale compagnia noiosa, insignificante e priva di entusiasmo? Senza dubbio il mondo ha molto da offrire… ma è davvero rischioso abbandonare la comunione con il Signore e con i fratelli e le sorelle in Cristo per unirci agli increduli. Giuda ne ha fatto l’amara esperienza nel resto della sua vita. Il saggio Salomone ha avvertito due volte il suo figliolo con le parole: “C’è una via che all’uomo sembra diritta, ma essa conduce alla morte” (Prov. 14:12 e 16:25).
La vita del credente non è una vita da eremita: i redenti sono fatti per la comunione, in primo luogo con il Signore. Abbiamo il privilegio di imparare a stare sempre presso di Lui. Davide ha detto una volta ad un uomo che cercava protezione presso di lui: “Resta con me, non temere … con me sarai al sicuro” (1 Sam. 22:23). In questo passo Davide è l’immagine del Signore, se qualcuno sa proteggerci questi è certamente il Signore Gesù. Barnaba, ad Antiochia, incoraggia i credenti: “… ad attenersi al Signore con cuore risoluto” (Atti 11:23). Se realizziamo questo, possiamo essere protetti dalle tentazioni di questo mondo.
In secondo luogo, siamo nello stesso modo protetti nella comunione con i fratelli e le sorelle in Cristo. Quando Ruth, la Moabita, arriva nel campo di Boaz egli le dice: “Ascolta figlia mia: non andare a spigolare in un altro campo; e non allontanarti da qui, ma rimani con le mie serve” (Ruth 2:8). Questo è precisamente il buon consiglio di Boaz che, come Davide, è una figura del Signore Gesù. Le serve nel campo di Boaz ci parlano di persone che stanno vicine al Signore, che leggono la Bibbia, la Parola di Dio, e che conducono una vita di purezza. Paolo, nella seconda lettera a Timoteo scrive un’importante esortazione: “Fuggi le passioni giovanili e ricerca la giustizia, la fede, l’amore, la pace con quelli che invocano il Signore con un cuore puro”. (2 Ti. 2:22). Giuda ha fatto esattamente il contrario, non è fuggito dalla concupiscenza; ha giocato con il fuoco. Non ha – insieme ai suoi fratelli – ricercato la giustizia, la fede, l’amore e la pace. Li ha lasciati.
Ancora una volta dobbiamo porci questa domanda: Che valore ha per noi la comunione con il Signore e con i fratelli e sorelle in Cristo? Dobbiamo darci una risposta. Il Signore, che ha fatto tutto per noi, vuole proteggerci; se noi lo lasciamo, se lasciamo i nostri fratelli e sorelle in Cristo, possiamo essere certi che questo sarà l’inizio di un cammino che ci porterà al caos. D’altra parte ci sono dei sintomi che preludono a certi sviluppi e che possono presentarsi in vari modi:
- Non troviamo più gioia nel leggere la Bibbia
- Non abbiamo più una vita attiva di preghiera
- Troviamo le riunioni noiose
- Non ci sentiamo più a nostro agio alla presenza dei nostri fratelli e sorelle in Cristo.
Se vediamo in noi questi sintomi, tutte le spie rosse dovrebbero accendersi; siamo su una strada pericolosa e dovremmo reagire cambiando immediatamente direzione.
Il cammino verso il mondo.
Giuda lascia i suoi fratelli… ma per andare dove? Il suo cammino ci mostra quello di un credente che se ne va verso il mondo. Abbiamo già considerato come egli potesse avere diversi motivi per intraprendere questa strada ed abbiamo anche visto che il mondo si presenta sotto aspetti diversi. Ma una cosa deve essere sempre chiara: i modi di vivere del mondo brillano sempre di molteplici colori attraenti. A qualcuno piace scatenarsi in discoteca con gli amici, tra feste, alcol e così via; un altro è spinto verso il mondo per soddisfare le sue voglie e i desideri sessuali; vuole liberarsi delle imposizioni della piccola vita borghese di una famiglia cristiana. Un altro ancora è attratto dal mondo “colto”: cerca il proprio appagamento nella scienza, nella cultura o nella filosofia. Il denaro e l’onore di questo mondo possono essere ugualmente motivi di tentazione: si vorrebbe diventare ricchi, essere uno sportivo coperto di gloria; un manager di successo o un politico popolare. Chi potrebbe restare insensibile a queste cose?
Bisogna riconoscerlo: il mondo offre molto – veramente molto – ma c’è un’altra cosa che non può essere messa in dubbio: il mondo pretende sempre di più di quello che offre. Lot e Sansone lo hanno vissuto sulla propria pelle, il figlio più giovane di Luca 15 ne ha fatto l’esperienza e troviamo la stessa situazione anche nella storia di Giuda. Non lasciamoci ingannare: pagheremo sempre infinitamente più di quello che ne riceviamo. Per questo motivo è importante fare la buona scelta di non imboccare mai la via che porta verso il mondo.
Tre segnali d’avvertimento.
Dio non ci lascia senza avvertimenti. Ricordiamoci tre consigli importanti che troviamo nel Nuovo Testamento. Sono tre “stop” che Dio ci pone davanti perché la nostra vita non finisca in un disastro.
Primo segnale di avvertimento: non conformatevi a questo mondo!
“Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà” (Rom. 12:2).
Il cammino verso il mondo inizia con il nostro adattamento al modo di pensare e ai comportamenti di questo mondo. Non si tratta, all’inizio, di fare quel che fanno gli altri, ma soprattutto di accettare il loro comportamento. Come possiamo vedere nel nostro passo, si parla del “rinnovamento della nostra mente”. Iniziamo a pensare come il mondo? Cominciamo a giudicare come il mondo? Oppure in tutte le nostre decisioni ricerchiamo quale sia, prima di tutto, la volontà del Signore, buona, gradita e perfetta. Attraverso questa indicazione, Dio ci fornisce anche il mezzo di protezione.
Secondo segnale d’avvertimento: Non amate il mondo.
“Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui. Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1 Gv. 215-17).
Chi adotta il modo di pensare del mondo, ben presto si troverà ad amarlo. Dio ci invia il secondo segnale di pericolo: l’amore del mondo si oppone diametralmente all’amore di Dio. Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui. Giovanni arriva subito all’essenziale; non esistono zone grigie, nessuna via di mezzo. Nello stesso tempo Dio ci dimostra che non vale la pena di amare il mondo. È un dato di fatto: il mondo se ne va con tutta la sua cupidigia, mentre è altrettanto vero che chi fa la volontà di Dio dimora in eterno. Non vale mai la pena di scegliere la prima opzione, mentre l’altra è sempre quella giusta.
Terzo segnale di avvertimento: Non essere amico del mondo.
“… non sapete che l’amicizia del mondo è inimicizia verso Dio? Chi dunque vuol essere amico del mondo si rende nemico di Dio” (Giac. 4:4).
Qui il pericolo non è solo nell’amore del mondo: chi ignora il secondo segnale di avvertimento e finge di non vedere lo “stop” che Dio gli ha messo davanti, si trova ad essere amico del mondo. Ancora una volta Dio mostra in maniera chiara e netta che cosa significa questo. Colui che vuole essere amico del mondo diventa nemico di Dio. Niente può essere cambiato in questa affermazione, non può essere addolcita, Dio dice così. In questo caso è così; che lo vogliamo o no, non cambia niente.
Vogliamo veramente lasciare che le cose arrivino a questo punto? Giuda ha ignorato tutti i segnali di avvertimento, tutti gli “stop”, andando dritto a testa bassa. Chira è chiamato, nel nostro capitolo, per due volte, “amico” di Giuda (v. 12 e 20) che ha fatto in partenza una cattiva scelta, prendendo la direzione sbagliata. Dio ci invia tutti i Suoi segnali di avvertimento: vogliamo capirli oppure chiudiamo gli occhi e le orecchie?
Il cammino in discesa:
Il testo biblico dice espressamente che Giuda “discese” (Vers. Riveduta) verso Adullam. Il cammino verso il mondo è sempre un cammino in discesa; un cammino che ci allontana dalla comunione con il Signore e i nostri fratelli e sorelle in Cristo. La Bibbia ci parla di diversi personaggi che hanno intrapreso un cammino in discesa e la cui fine raramente è felice. Vediamone almeno tre esempi:
- Abraamo (Gen. 12:10), che era un uomo di fede, scese, in un momento di debolezza, in Egitto. Vede la fame nel suo paese e pensa di aver trovato la soluzione a questo problema “scendendo” in Egitto. Le conseguenze negative di questa “discesa” lo hanno seguito per tutta la sua vita.
- Sansone (Giudici. 14:1), il giudice forte di Israele, è “sceso” a Timna, non è rimasto sulle alture in comunione con il suo Dio; era attratto dalla pianura. Là ha visto una donna dei Filistei, l’ha presa e l’infelicità lo ha seguito fino alla fine.
- Giona (Giona 1 : 3-5; 2 : 7). Il profeta disobbediente pensava di poter fuggire dalla presenza dell’Eterno. Prima scese a Giaffa, poi, salito su una nave, si nascose proprio nel fondo del vascello. Alla fine il suo cammino lo ha portato nelle profondità del mare. Se la grazia di Dio non l’avesse salvato, sarebbe perito miseramente.
Vigilare sul proprio cuore e sui propri pensieri.
Nella nostra vita, le cattive decisioni dove hanno avuto il loro inizio? Nel nostro cuore e nei nostri pensieri! Per questo la Bibbia dice con insistenza: “custodisci il tuo cuore più di ogni altra cosa, poiché da esso provengono le sorgenti della vita” (Prov. 4:23). Se Giuda l’avesse fatto sarebbe stato risparmiato da molte esperienze negative. Il cuore parla dei nostri affetti, di ciò che proviamo e delle nostre emozioni; nello stesso tempo, è il centro della nostra personalità. Il cammino verso il mondo comincia raramente dai piedi; essi non fanno che seguire quello che si sviluppa nell’ambito dei nostri pensieri e delle nostre emozioni. Per questo motivo siamo esortati a “fare prigioniero ogni pensiero fino a renderlo obbediente a Cristo” (2 Co. 10:5). Se lasciamo i nostri pensieri “vagabondare” in maniera incontrollata, non stupiamoci poi se un seme che non può produrre che erba cattiva si insinua nei nostri cuori. Per questo leggiamo: “ Figlio mio, dammi il tuo cuore, e gli occhi tuoi prendano piacere nelle mie vie” (prov. 23:26). L’amore e l’attaccamento per il nostro Signore, che ci ha tanto amato, sono il mezzo migliore per salvaguardarci dal prendere una cattiva strada nei nostri pensieri e in seguito con i nostri piedi.
LEZIONE 3
Il cammino dell’empio – Un cammino verso l’oscurità.
La seconda lezione ci ha chiaramente mostrato che ogni cammino cattivo ha un inizio – è così anche del cammino del credente verso il mondo. Dio non ci lascia senza avvisi, mette sul nostro cammino dei segnali di avvertimento che noi facciamo bene a rispettare. Tutto inizia dal fatto che adottiamo il modo di pensare di questo mondo, poi amiamo il mondo e poi ci costituiamo amici del mondo. Questo nasce dai nostri cuori, che sono il punto di partenza dello sviluppo di ogni cammino. Dobbiamo vigilare. Ora vedremo cosa avviene a coloro che disprezzano gli avvertimenti. Il cammino continua a scendere.
Due strade.
Il libro dei proverbi paragona il cammino del giusto con quello dell’empio: “… il sentiero dei giusti è come la luce che spunta e va sempre più risplendendo, finché sia giorno pieno. La via degli empi è come il buio; essi non scorgono ciò che li farà cadere” (Prov. 4:18-19). La storia di Giuseppe ci mostra il sentiero del giusto, quella di Giuda il cammino dell’empio. Nella prima tutto si sviluppa verso l’alto, verso la luce; nella seconda tutto si sviluppa verso il basso, verso l’oscurità. Quale via scegliamo?
L’attacco del diavolo.
“Là Giuda vide la figlia di un Cananeo di nome Sua; se la prese e si unì a lei” (Ge, 38:2). Appena Giuda lascia la sua casa, incontra la tentazione. Vede la figlia di un uomo Cananeo: gli piace; la prende e si unisce a lei: Questa storia, raccontata in così poche parole, si è ripetuta miliardi di volte, e la viviamo ancora oggi. Quanti giovani di famiglie cristiane si sono uniti a degli increduli pensando di trovare la vera felicità! Ma questo può essere un’illusione che Satana mette davanti ai nostri occhi. Il principio resta lo stesso: noi vediamo; bramiamo; non possiamo più dominarci.
Satana è maestro nel suo campo, sa esattamente come può accalappiarci. Talvolta si presenta come una leone ruggente e vorrebbe spaventarci; altre volte è un serpente astuto per prenderci nel suo laccio. Le due tattiche sono ugualmente efficaci e pericolose, per cui il Nuovo Testamento ci mette in guardia a non lasciarci raggirare da Satana. Paolo aggiunge. “ … infatti non ignoriamo i suoi disegni” (2 Co. 2:11). Malgrado tutto, sperimentiamo spesso che ci lasciamo sedurre da lui. Quindi è raccomandata una grande vigilanza.
Tentazioni.
Nella vita di ogni credente vi sono delle tentazioni e riguardo a questo soggetto vorremmo imparare a distinguere due tipi di tentazione che sono fondamentalmente diversi.
- Ci sono delle tentazioni che Dio manda per provare la nostra fede. Abraamo ha conosciuto una simile prova; ha ricevuto un ordine che sembra incredibile: sacrificare il suo unico figlio, Isacco. Anche Giuseppe ha vissuto una prova molto dura: ha sofferto da parte dei suoi fratelli ed è stato imprigionato ingiustamente. Il Nuovo Testamento descrive questo tipo di tentazione (o prova) come segue: “Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate, sapendo che la prova della vostra fede produce costanza” (Giac. 1:2-3). Pietro scrive su questo soggetto: “Perciò voi esultate anche se ora, per breve tempo, è necessario che siate afflitti da svariate prove, affinché la vostra fede, che viene messa alla prova, che è ben più preziosa dell’oro che perisce, e tuttavia è provato con il fuoco, sia motivo di lode, di gloria e di onore al momento della manifestazione di Gesù Cristo” (1 Pi. 1:6-7). In tali prove noi dobbiamo essere fermi: infatti esse ci fortificano perché possiamo diventare dei servitori del Signore che siano utili.
- Ci sono delle tentazioni che hanno origine dal peccato che abita in noi. Anche a questo riguardo Giacomo ha qualche cosa da dirci: “Nessuno, quand’è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato dal male, ed egli stesso non tenta nessuno; invece ognuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce. Poi la concupiscenza, quando ha concepito, partorisce il peccato; e il peccato, quando è compiuto, produce la morte” (Giac. 1:13-15). Questa verità del Nuovo Testamento trova conferma in maniera impressionante nella vita di Giuda. Satana usa il peccato che abita in noi come punto di partenza per sedurci e portarci a commettere delle cattive azioni. Se poi ci mette davanti anche delle cose che stimolano il peccato che abita in noi, il pericolo è doppiamente grande. Davide vi ha ceduto: ha visto una bella donna che faceva il bagno; la concupiscenza si è risvegliata in lui e ne è seguito il disastro (1 Sam. 11).
Combattimento o fuga?
Nessuno di noi può evitare di essere tentato; la questione è soltanto di sapere come reagiamo e l’esempio di Giuseppe ci mostra la via da seguire. Quando era al servizio nella casa di Potifar, la moglie di quest’ultimo l’ha apertamente invitato con insistenza a unirsi con lei, ma Giuseppe non è caduto davanti alla tentazione. Quale è il segreto della sua vittoria? Per quanto paradossale possa sembrare, in fin dei conti, vinse con la fuga. Giuseppe sapeva molto bene che non poteva resistere a questa tentazione se non fuggendo; era un codardo per questo? Certamente no! La fuga è talvolta una viltà, ma in certi casi è il solo mezzo per riportare una vittoria. Troviamo le due situazioni nel Nuovo Testamento: da un lato siamo incoraggiati a combattere e dall’altro siamo esortati a fuggire.
Incoraggiamenti a combattere.
- “Sottomettetevi dunque a Dio; ma resistete al diavolo, ed egli fuggirà da voi. Avvicinatevi a Dio, ed egli si avvicinerà a voi” (Giac. 4:7).
- “Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli stando fermi nella fede” (1 Pi. 5:8-9).
Esortazioni a fuggire.
- “Fuggite la fornicazione” (1 Cor. 6:18).
- “Fuggite l’idolatria” (1 Cor. 10: 14)
- “Fuggi queste cose” (1 Tim. 6:11)
- “Fuggi le passioni giovanili” (2 Tim. 2:22).
Poniamoci la domanda: quando dobbiamo combattere e resistere? Quando dobbiamo fuggire? La risposta può essere così formulata: il combattimento e la resistenza sono di rigore quando il diavolo attacca, per esempio per stravolgere una verità biblica. La fuga è l’unica strada per la vittoria, quando ci confrontiamo con qualche cosa che eccita la nostra carne. Purtroppo il problema è che sovente noi ci ritiriamo con debolezza al momento in cui dovremmo combattere e, invece, quando si impone la fuga, pensiamo di poter dimostrare quanto siamo forti. Tutte e due queste attitudini portano certamente ad una disfatta.
Una illusione.
Continuiamo a seguire il cammino di Giuda. Sposa la figlia di un certo Sua, ma non ne conosciamo il nome perché non è menzionato. Sua significa “gioia e ricchezza”. Non è precisamente quello che Giuda cercava? Ha preso la figlia di un Cananeo pensando seriamente che così avrebbe trovato la gioia e sarebbe divenuto ricco. In questo risiede la grande tragedia e l’illusione della sua vita. Noi ci nutriamo ancora oggi della stessa illusione, se pensiamo di trovare la felicità e la ricchezza della nostra vita in questo mondo. “La gioia può finire in dolore” (Prov. 14:13); questa è un’altra realtà di cui ci parla la Bibbia.
Il diavolo è un campione nella seduzione, è lui che dipinge le illusioni davanti ai nostri occhi; non era così anche quando si avvicinò ad Eva nel giardino di Eden? Quando seminò il dubbio nel suo cuore riguardo alle parole che Dio aveva detto? Dio aveva veramente detto ad Adamo e a lei che non dovevano mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male? Se veramente Dio lo aveva detto non era perché non li amava realmente? Dio non voleva privarli di qualche cosa, vale a dire di essere uguali a Lui? Tutto questo sembrava autentico e logico. Tuttavia era una menzogna, una seduzione, non era niente altro che un’illusione.
Il diavolo ci fa vedere un mondo immaginario di palloni, di banderuole colorate e bolle di sapone brillanti. Se ascoltiamo la sua voce, non troviamo né gioia né soddisfazione. Non lasciamoci ingannare, il diavolo mente. Malgrado tutto ci lasciamo spesso sorprendere da lui. Vi possono essere anche interi periodi nella nostra vita in cui ascoltiamo ancora la sua voce e cediamo alla tentazione.
Sansone sulle ginocchia di Dalila – un errore carico di conseguenze.
Conosciamo bene la storia di Sansone. Dobbiamo confessare che è un esempio molto chiaro e molto istruttivo nello stesso tempo. Sansone – uomo dallo forza straordinaria – è divenuto debole sulle ginocchia di una donna seducente; come è potuto avvenire? Non aveva già fatto delle cattive esperienze con delle donne? Non avrebbe potuto facilmente capire quale era lo scopo a cui tendeva questa donna? Sansone era uscito indenne per tre volte dalle insidie di Dalila, ma alla quarta volta essa ha raggiunto il suo scopo con la simulazione e i nemici hanno vinto con facilità. Si potrebbe chiedere: “Caro Sansone, come hai potuto essere così stupido e ingenuo? Non ti sei accorto di ciò che questa donna aveva in mente fin dall’inizio? Era necessario mettere in gioco la tua vita intera per il breve piacere di una notte?” Conosciamo la fine di Sansone.
Ha trascorso il resto della sua vita come prigioniero di guerra dei nemici del popolo di Dio. È solo per la grazia di Dio che ha riportato una vittoria più grande nella sua morte che in tutta la sua vita.
Il figlio prodigo nel mondo – un piacere di breve durata.
Conosciamo bene anche la storia del figliol prodigo, che ci presenta un esempio chiaro e, anche questo, molto istruttivo. Un giovane di buona famiglia si è stufato e vuole uscire dalla ristrettezza della propria vita famigliare; stanco di ascoltare le esortazioni del padre, vorrebbe “esplodere”. In definitiva godersela, per una volta, nel mondo. Non occorre molta immaginazione per raffigurasi quale vita di lusso e di sfarzo ha vissuto. Ogni sera una festa; ogni sera divertirsi a non finire: alcool, musica, belle donne e quanto altro… ma la fine è presto arrivata.
È arrivata brutalmente, all’improvviso: un giovane di buona famiglia si è ritrovato seduto vicino a dei maiali e ha dovuto rendersi conto che non vi era più nessuno che potesse dargli una qualsiasi cosa, non c’era più nessuno che lo aiutasse; tutti i suoi presunti amici erano spariti. Anche qui potemmo chiedere: “Caro giovane, perché hai lasciato la casa? Non avevi un padre che si prendeva cura di te, che ti amava? Non avevi più di quanto avessi bisogno? Non sapevi quanto sia effimera la gioia di questo mondo e superficiale? Dovevi arrivare al punto di essere seduto fra i maiali?” Anche nella vita di quest’uomo è la grazia che riporta la vittoria, tuttavia egli avrebbe potuto risparmiarsi queste amare esperienze. I divertimenti hanno sempre vita breve! Lasciamoci avvertire dagli esempi della Bibbia. Non è necessario fare l’esperienza di Sansone e nemmeno quella del figliol prodigo; Dio vorrebbe risparmiarle, a te e a me. Pensiamo ancora una volta alla vita di Giuseppe; possiamo trovarci un esempio da seguire.
Tre tappe sul cammino verso la perdizione.
Il testo biblico di Genesi 38 ci mostra le tre tappe del camino che hanno portato Giuda verso l’oscurità e ad essere completamente legato dal mondo:
- Primo: Giuda ha visto la donna.
- Secondo: Giuda ha preso la donna.
- Terzo: Giuda si è unito alla donna.
Questo non ci ricorda il modo in cui il peccato è entrato nel mondo? Cosa è avvenuto nella storia di Eva? Satana ha fatto balenare, agli occhi di Eva qualche cosa e poi essa ha fatto gli stessi passi:
- Primo: Eva ha visto “che l’albero era buono per nutrirsi, che era bello da vedere e che era desiderabile per acquistare conoscenza”.
- Secondo: essa “prese del frutto”
- Terzo: “ne mangiò”.
È così che la rovina ha seguito il suo corso nel giardino di Eden; è così che la rovina ha seguito il suo corso con Giuda, ed è nello stesso modo che la rovina segue ancora oggi il suo corso. Gli occhi sono l’organo sensuale per mezzo del quale percepiamo, senza dubbio, la maggior parte delle impressioni. Per questo Satana utilizza oggi più che mai questa stessa “porta” per rendere il mondo il più attraente possibile. Vediamo qualche cosa, la troviamo desiderabile, pensiamo che possa darci delle soddisfazioni. Forse all’inizio sentiamo ancora qualche scrupolo: una leggera cattiva coscienza. Ma quando guardiamo troppo a lungo, finiamo per afferrare: noi “prendiamo”. Facciamo infine tacere definitivamente la nostra cattiva coscienza e “mangiamo”. Di Giuda è detto che si unì alla donna e, fatta astrazione del significato preciso – che tratteremo nel prossimo capitolo – questo dimostra l’unione completa con il mondo.
D’altronde, il cammino verso il mondo è raramente breve. La maggior parte delle volte è un processo che inizia lentamente ma che può, all’improvviso, subire un’accelerazione. Ascoltiamo ancora una volta l’avvertimento che ci viene dato per tempo: “il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1 Giov. 2:17). È una dichiarazione di Dio, essa è vera e assolutamente certa.
LEZIONE 4
Giuda sposa una donna straniera.
Messa in guardia contro un giogo
male assortito nel matrimonio.
Il matrimonio di Giuda con la figlia di Suacimostra, in figura, la sua unione con il mondo: Satana è astuto e tenta sempre di trascinarci lontano dal cammino del Signore. Ma questo atto di Giuda non è soltanto una seria messa in guardia contro un legame con questo mondo in generale; ci mostra anche quanto avviene quando un cristiano si mette sotto il giogo male assortito del matrimonio con un incredulo. È per questo che vogliamo occuparci in maniera più dettagliata di questo importante soggetto – nella lezione quattro – per essere un aiuto a coloro che non sono ancora sposati, ma anche come informazione per i genitori e gli amici.
Un esempio.
Petra era un bella giovane, figlia di genitori cristiani. Nella sua giovinezza aveva avuto un incontro personale con il Signore Gesù e aveva confessato di averlo accettato come suo Salvatore; poco dopo si era fata battezzare ed era la gioia dei suoi genitori. Nel pieno della sua adolescenza tuttavia, quasi all’improvviso, la sua vita prese una piega diversa: cercava con insistenza l’amicizia di giovani uomini e donne. Fu messa in guardia contro i pericoli di certe amicizie, ma alla età di 18 anni lasciò la casa della sua famiglia, per vivere in modo indipendente, alloggiando in un’altra città ben lontana dalla sua; di nuovo ricevette altri consigli… ma invano; i contatti con la famiglia si fecero sempre più rari. Arrivò alla fine la notizia: Petra si era sposata con un uomo che si opponeva assolutamente al cristianesimo. In seguito si venne a sapere che Petra aveva partorito un bambino, e contemporaneamente il marito l’aveva lasciata e frequentava altre donne. In conclusione: il matrimonio termina con un divorzio e il bambino cresce senza padre,
Petra torna a casa, i suoi fratelli e sorelle in Cristo l’accolgono di nuovo. Essa confessa i suoi peccati ma non si vede un vero cambiamento. Passa poco tempo ed essa riallaccia dei legami con uomini increduli; viene di nuovo avvertita del pericolo ma, ancora, invano. Si sposa per la seconda volta, nasce un nuovo figlio e apparentemente tutto sembra filare liscio e in armonia. Tuttavia il dramma si ripete: una nuova separazione, un nuovo divorzio. Oggi Petra alleva da sola i suoi due figli; nella solitudine, incattivita e senza nessuna vera prospettiva per la sua vita.
Un caso particolare?
Si tratta di un caso particolare? Certamente no! Ci sono innumerevoli casi di giovani uomini e donne di famiglie cristiane che si sono sposati con un coniuge incredulo e che hanno dovuto raccogliere quello che avevano seminato. Non si chiede al Signore; con leggerezza ci si beffa degli avvertimenti pieni di amore dei genitori, dei fratelli e delle sorelle in Cristo, degli amici. Si capisce meglio di tutti gli altri, si vuole seguire la propria strada.
Spesso questa fatale evoluzione inizia già nella giovinezza.”L’amore rende ciechi” dice un proverbio ma, nella maggior parte dei casi, è del tutto giustificato chiedersi se questo era veramente amore o se altri motivi non siano stati preponderanti.
La questione è troppo seria per venir trattata alla leggera. La scelta di un coniuge è probabilmente, con la conversione, la decisione più importante che un essere umano prenda. Secondo i pensieri di Dio il matrimonio non può essere rotto; Dio lo ha dato come unità ininterrotta di vita e di amore e questo per tutto il tempo in cui i congiunti vivono. “Io odio il ripudio” dice Dio già nell’Antico Testamento (Mal. 2:16). Nel Nuovo Testamento troviamo le parole del Signore Gesù stesso: “Chiunque manda via sua moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei” (Marco 10:11); anche nelle epistole troviamo conferma, Paolo scrive: “Ai coniugi poi ordino, non io ma il Signore, che la moglie non si separi dal marito … e che il marito non mandi via la moglie”. (1 Cor. 7:10-11). Queste dichiarazioni sono chiare, non si può cambiare niente:. Sono ragioni sufficienti per chiedere al Signore la Sua volontà e ascoltare i consigli dei genitori quando si tratta della scelta di un coniuge.
Un coniuge incredulo – un divieto chiaro.
La Bibbia è chiara a questo riguardo: il matrimonio con un coniuge incredulo non è preso in nessuna considerazione; Dio non lo vuole. Ci sono delle dichiarazioni che non si prestano a nessun dubbio riguardo a questo soggetto, tanto nel Vecchio che nel Nuovo Testamento.
È vero che nel Vecchio Testamento non è fatta menzione di “credente” o di “incredulo”, tuttavia ci viene mostrato che coloro che appartenevano al popolo di Dio non dovevano legarsi con persone appartenenti ad altri popoli. Questo può senza dubbio applicarsi alla relazione di un credente con un incredulo.
Nella legge di Mosè, è detto senza ambiguità, a proposito delle nazioni che abitavano intorno al popolo d’Israele: “Non t’imparenterai con loro, non darai le tue figlie ai loro figli e non prenderai le loro figlie per i tuoi figli, perché distoglierebbero da me i tuoi figli che servirebbero dèi stranieri e l’ira dell’Eterno si accenderebbe contro di voi. Egli ben presto vi distruggerebbe” (Deut. 7:3-4). Questo versetto non contiene soltanto un chiaro divieto, ma mostra anche le conseguenze quando il divieto non è rispettato: il credente è tirato verso il basso dall’incredulo.
Colpisce il fatto che queste parole non siano indirizzate direttamente ai giovani (anche se la questione li riguarda), ma ai genitori. Certamente non sono loro che prendono la decisione ma, in qualità di genitori, abbiamo una responsabilità riguardo al matrimonio dei nostri figli; quanto meno è nostro dovere di attirare subito la loro attenzione sulla portata della scelta e avvertirli seriamente quando prendono una via sbagliata. Non possiamo e non dobbiamo mai approvare il matrimonio dei nostri figli con un coniuge incredulo.
A questo riguardo il Nuovo Testamento non permette nessun compromesso. Paolo scrive: “Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è per voi; infatti che rapporto c’è tra la giustizia e l’iniquità? O quale comunione tra la luce e le tenebre? E quale accordo fra Cristo e Beliar? O quale relazione c’è tra il fedele e l’infedele? E che armonia c’è fra il tempio di Dio e gli idoli? Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente” (2 Cor. 6:14-16). Naturalmente questa indicazione non può essere limitata all’unione coniugale di un credente con un incredulo, ma essa è molto pertinente a questo soggetto. È notevole di vedere quanto è ricco questo passo. Si tratta:
- Di rapporto
- Di comunione
- Di accordo
- Di relazione
- Di armonia
In seguito troviamo cinque paia di parole che indicano cose contrarie, che non vanno assolutamente insieme:
- Giustizia e iniquità
- Luce e tenebre
- Cristo e Beliar
- Fedele e infedele
- Tempio di Dio e gli idoli
Possiamo immaginare riunite le parole di uno di questi gruppi? Impossibile! Allora come potrebbero un credente ed un incredulo accordarsi nel matrimonio? Il giogo è un attrezzo col quale due animali sono uniti l’uno all’altro, con lo scopo di tirare un carico insieme; essi ci riescono solo se tirano nella stessa direzione. Il profeta Amos pone la domanda: “Due uomini camminano forse insieme, se prima non si sono accordati?” (Amos 3:3). Il fatto di “mettersi d’accordo” può significare, per il credente, soltanto sposarsi “nel Signore”. Senza questa base comune come potrà funzionare un matrimonio? In fin dei conto uno tira nella direzione del cielo e l’altro nella direzione dell’inferno.
Un “vecchio” principio – sempre valido.
Prima che Dio iniziasse la sua opera creatrice con la terra, “essa era informe e vuota e vi erano tenebre sulla faccia dell’abisso” (Gen. 1:2) ed è allora che Dio introduce, nel primo giorno della creazione, la luce nelle tenebre. Appena avvenuto questo, leggiamo delle parole significative: “Dio vide che la luce era buona; e Dio separò la luce dalle tenebre” (Gen. 1:4). Questo principio resta valido ancora oggi; Dio vuole che ci sia una separazione fra le tenebre e la luce. Il credente è “luce nel Signore”, mentre l’incredulo, da un punto di vista spirituale, vive nelle tenebre. Come potrebbero camminare insieme? È impossibile. Dei matrimoni misti, fra credenti e increduli, diventano rapidamente “l’inferno sulla terra”.
Una spiegazione biblica.
Dio non dà mai dei comandamenti o dei divieti al fine di limitarci o privarci di qualche cosa ma, al contrario, Egli vuole benedirci; vorrebbe che tutto andasse bene per noi. È per questo che ci ha dato il matrimonio, che è un’immensa benedizione di Dio, una benedizione che ci è stata conservata fino dal paradiso. Dio non voleva che l’uomo restasse solo e ha messo nel cuore dell’uomo il desiderio di avere un coniuge. “Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne” (Gen. 2:24). Il matrimonio è un’unità di vita e di amore che riguarda lo spirito, l’anima e il corpo; vivere sposati significa infinitamente di più del fatto di avere (soltanto) un compagno per il letto. Il matrimonio è pensato per essere un’unità, prima di tutto spirituale in seguito affettiva e infine fisica. La ragione per la quale il matrimonio di un credente con un coniuge incredulo non può avere luogo diviene allora molto chiara. Come potrei formare un’unità spirituale con un incredulo? Come potrei, nel senso più profondo, formare un’unità affettiva con un incredulo? La sola forza dell’attrazione fisica non è mai sufficiente per trovare la gioia nel matrimonio. Questa vernice si scrosta rapidamente; ciò che resta non è sufficiente per trovare appagamento e gioia.
Ancora una cosa: il matrimonio è un’immagine magnifica di una verità divina molto più elevata. Paolo scrive a questo proposito nell’epistola agli Efesini e parlando del matrimonio cita il racconto della creazione: “Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diverranno una carne sola. Questo mistero è grande; dico questo riguardo a Cristo e alla chiesa.” (Ef. 5:31-32).
Il legame terrestre del matrimonio è la figura del legame celeste fra Cristo e la Sua Chiesa. Puoi tu immaginare di rappresentare questo legame fra Cristo e la Sua Chiesa se sei sposato con un coniuge incredulo? Questo è semplicemente impossibile.
Dio vuole unire nel matrimonio due persone credenti e solo una tale unione può essere “nel Signore”; e mai un’altra. Tuttavia – e questo è un pensiero molto solenne – ogni matrimonio è unito da Dio in quanto Creatore. Sposarsi “nel Signore” è tutta un’altra cosa. Per questo un matrimonio fallito fra un credente e un incredulo non può essere rotto con il pretesto che non è unito da Dio; non è un argomento valido. Davanti a Dio ogni matrimonio è valido, anche se non è stato concluso “nel Signore”.
Una vecchia scusa.
Conosci la vecchia scusa? Essa proclama: “Ma se io lo/a sposo, allora potrei portarlo/a al Signore con il matrimonio”. Questo non suona male, ma non porta la benedizione di Dio. L’intenzione forse sembra nobile, ma il mezzo non è certamente buono. Voler portare delle persone al Signore è buono ma il mezzo del matrimonio non è il più conveniente per questo scopo; vi sono altre vie e altre possibilità per arrivare a questo.
Una giovane donna si è avvicinata una volta ad un predicatore ben conosciuto, al tempo del risveglio, C. H. Spurgeon. Era sul punto di sposarsi con un uomo incredulo e voleva chiedere al predicatore, già avanti negli anni, di pregare con lei per questo giovane uomo. Spurgeon, che era conosciuto per la sua originalità, chiese alla giovane di salire su un tavolo e tirarlo sopra. Malgrado tutti gli sforzi che questa giovane faceva, non riusciva a sollevare l’uomo sul tavolo. Poi Spurgeon tirò la donna per la mano ed essa si trovò subito in basso. L’insegnamento è chiaro: l’incredulo tirerà il credente verso il basso e non il contrario.[4]
[4] Il fatto che nella Sua grazia il Signore può nondimeno portare un coniuge incredulo al pentimento e alla fede è un’altra cosa. Se questo è il caso, possiamo ben ringraziare il Signore con tutto il nostro cuore, ma non esiste nessuna promessa divina a questo riguardo. Se ci mettiamo sotto un giogo male assortito, non abbiamo nessuna promessa del Signore riguardo al nostro matrimonio. Diversa è la situazione quando due increduli si sposano e in seguito uno di loro viene alla fede. Questo soggetto è trattato in 1 Corinzi 7 : 12 e seguenti.
Una parola personale.
In questa occasione vorrei rivolgere un pensiero molto personale al lettore, particolarmente a coloro che non sono (ancora) sposati: rifiuta a priori il pensiero di un’unione con un coniuge incredulo! Non hai alcuna promessa del Signore dalla tua parte su questo cammino; al contrario, ti opponi a Lui. Non accordare neppure un pensiero a questo progetto anzi, tiraci una riga sopra una volta per tutte. Per favore lascia cadere anche il flirt con giovani uomini o donne increduli: può essere che tu susciti della false speranze. Non accettare con leggerezza un invito ad uscire con qualcuno o un appuntamento, il pericolo e molto, molto grande. Satana è astuto e se tu gli dai un dito egli si prenderà l’intero braccio. Sii cortese e aperto/a con tutti, rendi testimonianza della tua fede ma evita ogni contatto intimo con l’altro sesso. Gli inizi sembrano spesso tranquilli ma nessuno può dirti prima come finirà. Tu perdi il controllo di te stesso e delle tue emozioni più presto di quanto pensi e se ti rendi conto che un uomo/una donna incredulo/a si interessa a te, mostra la tua bandiera e digli fino dal primo minuto in modo chiaro e netto che tu appartieni al Signore Gesù. Non fare un mistero del fatto che un legame di amicizia o di matrimonio non può essere preso in considerazione. Prima metti in chiaro le cose meglio è.
La Bibbia è piena di esempi per metterci in guardia, ma anche per incoraggiarci:
- Abraamo. Per lui era molto importante che suo figlio Isacco non sposasse una donna delle nazioni fra le quali viveva; voleva assolutamente che fosse una donna del suo paese e del suo parentado (Gen. 24:3). Applicato a noi questo significa che non possiamo sposarci con qualcuno del mondo che ci attornia, ma bisogna che sia qualcuno che appartiene al popolo di Dio.
- Amram padre di Mosè (Es. 6.20) era un giovane della tribù di Levi e, quando ha cercato una moglie, ne ha presa una della tribù di Levi (Es. 2:1). Non era sufficiente per Amram avere una moglie del popolo d’Israele; doveva essere una donna della sua stessa tribù. Tribù che in seguito è stata particolarmente consacrata a Dio. Veglia affinché il tuo coniuge condivida i tuoi stessi pensieri nelle questioni essenziali della fede e che possiate servire il Signore di uno stesso cuore. Questo comprende anche che siate d’accordo riguardo al cammino del radunamento dei figli di Dio.
- Nella vita di Esaù troviamo invece il contrario. Infatti leggiamo a tale proposito: “Or Esaù, all’età di quarant’anni, prese in moglie Giudit, figlia di Beeri, l’Ittita, e Basmat, figlia di Elon, l’Ittita. Esse furono causa di profonda amarezza per Isacco e per Rebecca” (Gen. 26:34-35).
- Sansone ha agito anche lui contrariamente al desiderio dei suoi genitori; ha imposto la sua volontà, senza tener conto del loro consiglio. Il testo biblico ci dice: “Sansone scese a Timna e vide là una donna tra le figlie dei Filistei. Tornato a casa, ne parlò a suo padre e a sua madre, e disse: «Ho visto a Timna una donna tra le figlie dei Filistei; prendetemela dunque per moglie». Suo padre e sua madre gli dissero: «Non c’è tra le figlie dei tuoi fratelli in tutto il nostro popolo una donna per te? Devi andare a prenderti una moglie tra i Filistei incirconcisi?» Sansone rispose a suo padre: «Prendimi quella perché mi piace» (Giu. 14:1-3) La fine del suo cammino con questa donna è sufficientemente conosciuta.
La Bibbia è molto chiara sul soggetto del matrimonio con un coniuge incredulo. Conosciamo bene la volontà di Dio: se gli obbediamo saremo benedetti, se seguiamo il nostro desiderio ne porteremo le conseguenze. “I dolori di quelli che corrono dietro ad altri dèi saranno moltiplicati” (Salmo 16:4). Dio vuole renderci felici nel matrimonio: per questo le prime scelte sono così importanti.
LEZIONE 5
La vita di coppia e la famiglia di Giuda –
Il dramma continua.
Il giogo male assortito sotto cui Giuda si mette non rimane senza conseguenze. La vita di coppia di Giuda non è armoniosa e molto rapidamente si manifestano i primi strappi e poi la rottura. Le conseguenze divengono veramente evidenti quando i figli crescono: Dio deve fare morire il primogenito perché è malvagio; il secondo subisce ugualmente la stessa sorte, Dio lo toglie ed è così che una vita di coppia e una famiglia si sfasciano letteralmente. Anche se la Bibbia non parla molto della vita di coppia e della famiglia di Giuda, vi sono alcune indicazioni di cui vorremmo occuparci per il nostro bene e per nostro avvertimento.
Pericolo di sfascio del matrimonio No. 1 – Lo scambio dei ruoli dati da Dio.
Uno dei più grandi pericoli per la vita di coppia (dei credenti) è lo scambio dei ruoli che Dio ha dato. In quanto creatore, Dio ha dato, nel matrimonio, un certo ruolo all’uomo e uno alla donna. L’uomo e la donna non sono del tutto simili (anche se hanno lo stesso valore): Dio ha creato l’uomo “maschio e femmina” (Gen. 1:27) e queste differenze non riguardano unicamente il corpo; l’uomo e la donna “funzionano” in modo completamente differente e, conformemente a queste differenze, Dio ha dato all’uomo e alla donna, nel matrimonio, un ruolo differente di compiti e responsabilità.
Il matrimonio è un’unione di vita e di amore dell’uomo e della donna e in questa unione l’uno è presente per l’altro e lo aiuta. Tuttavia, secondo il pensiero di Dio, è l’uomo che deve essere la guida; deve amare sua moglie, nutrirla e aver cura di lei. In questo modo non sarà difficile per la donna prendere il posto di sottomissione che Dio le ha dato: accetta l’uomo nel suo ruolo di responsabilità e l’aiuta nel modo migliore.
Sembra che nella vita di coppia di Giuda non sia stato così. Non sappiamo quale direzione abbia preso il matrimonio; è soltanto quando nascono i figli che certi problemi vengono a galla: il figlio primogenito riceve il suo nome dal padre, è invece la madre che dà il nome al secondogenito e quando nasce il terzo figlio Giuda non è neppure in casa e nuovamente è la madre che gli dà il nome.
Senza voler andare troppo lontano, si può tuttavia, leggendo fra le righe, avere la percezione che non doveva essere tutto in ordine nella vita di questa coppia. Giuda non sembra essersi assunto i suoi obblighi e le sue responsabilità.
Un problema vecchio come il mondo.
La prima coppia, Adamo ed Eva, ha già vissuto lo scambio di ruoli che vediamo qui. Quando il seduttore si è avvicinato ad Eva e le ha posto l’astuta domanda: “Come! Dio vi ha detto …” (Ge. 3:1), essa ha lasciato la posizione che Dio le aveva dato: non si consulta con suo marito e prende autonomamente la decisione le cui conseguenze sono note. Quando è andata da Adamo, gli ha dato del frutto proibito e anche lui ne ha mangiato. Con il suo silenzio egli accetta che la moglie abbia preso la decisione in questo affare; si è lasciato dirigere dalla donna. È così che il peccato è entrato nel mondo. La problematica dell’abbandono del ruolo che Dio ha dato è dunque vecchia come il mondo; ha accompagnato gli uomini attraverso tutti i secoli e noi credenti ci troviamo in una zona conflittuale che oggi conosciamo anche troppo bene.
Pericoli per l’uomo.
Vorremmo qui attirare l’attenzione su due grandi pericoli per i mariti.
Pericolo numero uno:
Il primo pericolo consiste nel fatto che noi uomini abusiamo della posizione che Dio ci ha data per reprimere e dominare le nostre mogli. Attraverso i secoli, questa attitudine ha contrassegnato l’Occidente cristiano; l’uomo comandava e la donna doveva obbedire, atteggiamento che si può osservare ancora oggi in diverse culture. Uno sguardo alla pratica della vita coniugale mostra tuttavia che vi sono ancora oggi della coppie cristiane dove il predominio dell’uomo ha distrutto il matrimonio dall’interno. Il Nuovo Testamento ci mette esplicitamente in guardia a questo proposito:
- “Anche voi, mariti, vivete insieme alle vostre mogli con il riguardo dovuto alla donna, come a un vaso più delicato. Onoratele, poiché anch’esse sono eredi con voi della grazia della vita, affinché le vostre preghiere non siano impedite” (1 Pietro 3:7).
- “Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei (Efesi 5:25).
- “Mariti, amate le vostre mogli, e non v’inasprite contro di loro” (Col. 3:19).
Amare veramente la propria moglie e abitare con lei “con il riguardo dovuto alla donna” esclude ogni durezza e dominio. Chi ama sua moglie veglia per darle il meglio in tutto.
Pericolo numero 2:
Questo pericolo consiste nel fatto che noi uomini cediamo (volontariamente o involontariamente) alla nostra moglie il ruolo di conduttore che ci è stato affidato. Dio non vuole certamente dei mariti governati dalle mogli, ma vorrebbe dei mariti che compiono i loro doveri con fedeltà e amore ma senza nessuna durezza. Nell’Antico Testamento gli uomini erano formalmente messi in guardia a non portare dei vestiti da donna (Deut. 22:5). Questa era un’abominazione per l’Eterno e, applicata al nostro soggetto, significa che gli uomini non devono prendere il posto e la posizione della donna.
Pericolo per la donna.
Arriviamo così direttamente al pericolo per la donna. Qualche decennio fa si è iniziato nella società – e questo è stato accelerato dall’oppressione della donna durante i secoli – ad allontanarsi sempre di più dai principi biblici riguardanti la posizione della donna.
Il movimento dell’emancipazione aveva lo scopo di rendere la donna uguale all’uomo. Così il
problema che si presenta ora è che si ignora che l’uomo e la donna, pur avendo lo stesso valore, non sono del tutto simili. Oggi le nostre società occidentali sono interamente impregnate del pensiero dell’emancipazione; le donne prendono in (quasi) tutte le posizioni della vita sociale il posto dell’uomo e viceversa. Questo ha conseguenze fatali anche per molte coppie cristiane. È molto alto il pericolo che la donna cristiana lasci la posizione che Dio le ha dato. Il Nuovo Testamento è molto chiaro a questo proposito, anche se non è al passo con lo spirito del nostro tempo. Leggiamo per esempio:
- “Poiché non permetto alla donna d’insegnare, né di usare autorità sul marito, ma stia in silenzio” (1 Tim. 2:12).
- “… le donne anziane abbiano un comportamento conforme a santità … per incoraggiare le giovani ad amare i mariti, ad amare i figli, a essere sagge, caste, diligenti nei lavori domestici, buone, sottomesse ai loro mariti, perché la parola di Dio non sia disprezzata” (Tito 2:3-5).
- “ Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti, come al Signore” (Ef. 5:22).
- “Anche voi, mogli, siate sottomesse ai vostri mariti perché, se anche ve ne sono che non ubbidiscono alla parola, siano guadagnati, senza parola, dalla condotta delle loro mogli, quando avranno considerato la vostra condotta casta e rispettosa. Il vostro ornamento non sia quello esteriore, che consiste nell’intrecciarsi i capelli, nel mettersi addosso gioielli d’oro e nell’indossare belle vesti, ma quello che è intimo e nascosto nel cuore, la purezza incorruttibile di uno spirito dolce e pacifico, che agli occhi di Dio è di gran valore” (1 Pi. 3:4-5).
Queste parole sono così chiare che non hanno bisogno di essere commentate ulteriormente. Dio non vuole né dei “pascià” né dei “mariti governati dalla propria moglie”. Dio non vuole una donna che sia solo una buona amministratrice, ma neppure che sia lei che domina nella coppia. Se desideriamo la benedizione per il nostro matrimonio, dobbiamo seguire le parole del nostro Dio; allora saremo uniti nell’amore e nel reciproco rispetto. L’uomo assuma la sua posizione di responsabilità nella vita di coppia e la donna a sua volta non avrà difficoltà ad essere felice nella posizione che Dio le ha dato.
“Dimorate con loro con il riguardo dovuto alla donna”
Ancora un breve rilievo quanto alla vita di coppia di Giuda. Al momento della nascita del terzo figlio, Giuda non è a casa propria ma da qualche parte in viaggio. In contrasto con questo, leggiamo nel Nuovo Testamento che noi, gli uomini, dobbiamo stare con le nostre mogli; e questo secondo il riguardo che è loro dovuto (1 Pi. 3:7). È certo e senza ombra di dubbio che i pastori di un tempo non potevano essere sempre a casa loro, come non possono esserlo gli uomini di oggi che lavorano. Molti servizi nell’opera del Signore non possono essere realizzati, se noi restiamo seduti a casa nostra; ma non è questo il problema. Si tratta semplicemente di stabilire se noi uomini ci sentiamo a nostro agio nella nostra casa e con la nostra moglie, oppure, se siamo spesso e inutilmente lontani da casa. Le possibilità a questo riguardo sono molto numerose. È un bisogno per noi essere vicino alle nostre mogli (e alla nostra famiglia) oppure utilizziamo il nostro “tempo libero” principalmente per noi stessi (divertimenti, contatti sociali, sport e quant’altro) ? Le nostre mogli hanno diritto che noi ci occupiamo di loro; come potremo altrimenti nutrirle e curarle teneramente “ come anche Cristo fa per la chiesa” (Ef. 5:29)?
Ben inteso, l’uomo e la donna dopo il matrimonio rimangono due personalità autonome con delle predisposizioni e degli interessi individuali, tuttavia essi sono “una stessa carne” nel matrimonio. Se dopo poco tempo di vita in comune ogni coniuge persegue i propri piaceri e non esistono più che pochi interessi in comune, ne seguirà inevitabilmente la rovina del matrimonio.
Nel mondo questo accade molto spesso e noi corriamo il rischio di adattarci al mondo anche su questo punto e riduciamo il matrimonio, nel migliore dei casi, ad una convivenza per opportunità. Questo non è certamente lo sviluppo che Dio voleva per il matrimonio.
Er – Un cattivo consiglio del padre.
Non ci sono dette molte cose a proposito del figlio primogenito di Giuda; ci è detto il suo nome che era Er, che significa “inimicizia”. Effettivamente egli si è comportato come nemico di Dio e per questo Dio lo farà morire.
Prima di tutto leggiamo: “Giuda prese per Er suo primogenito una moglie che si chiamava Tamar” (Ge. 38:6). Non sappiamo cosa abbia spinto il padre a prendere questa moglie per il proprio figlio, ma è evidente che Giuda lo ha fatto di testa propria, senza consultare Dio, ma anche senza accordarsi con la propria moglie. La disgrazia che è uscita da questa unione è stata in ogni caso grande.
Abbiamo già attirato l’attenzione sulla responsabilità dei genitori nella scelta di un coniuge per i propri figli, e in questo passaggio essa è messa ancora in evidenza in modo concreto. Naturalmente, non siamo noi genitori che scegliamo il coniuge per i figli ma, malgrado tutto, ascoltare un buon consiglio da parte dei genitori non può che essere una benedizione per i figli. Vi è responsabilità in ognuna delle due parti. I figli ascoltano quando i genitori danno loro un consiglio? I genitori si curano del coniuge che i figli scelgono? Questa “cura” non significa la messa sotto “tutela” dei giovani, ma non deve neppure iniziare soltanto quando i figli sono in età di matrimonio. Noi genitori dobbiamo essere attenti ai contatti e alle amicizie che i nostri figli stringono. In quanto genitori dobbiamo comunicare apertamente con i nostri figli; dobbiamo dire loro anticipatamente quali meravigliose benedizioni può portare un matrimonio “nel Signore”, e nello stesso tempo non possiamo tacere sui pericoli di un matrimonio con un incredulo. In ogni caso dovremmo imparare da Giuda come non bisogna agire.
Gli occhi dell’Eterno.
In seguito leggiamo: “Ma Er, primogenito di Giuda, era perverso agli occhi dell’Eterno; e l’Eterno lo fece morire” (Ge. 38:7). Il testo ispirato passa sotto silenzio le cattive azioni di Er, non sappiamo cosa abbia fatto concretamente e non vogliamo fare delle speculazioni. Nel Nuovo Testamento leggiamo: “Astenetevi da ogni specie di male” (1 Tess. 5:22). Evidentemente Er non l’ha fatto. Così, nel suo governo, Dio lo ha fatto morire. Il Nuovo Testamento ci dice che il mondo intero giace sotto il potere del maligno (1 Gv. 5:19); è caratterizzato dal male. Questo si manifesta sotto forme diverse: morale, culturale, religioso e per questo occorre una grande vigilanza, per non essere contaminati dal male.
L’affermazione che gli atti di Er erano perversi agli occhi dell’Eterno sembra essere decisiva. Ciò che gli uomini pensano delle nostre azioni e dei nostri gesti non è di capitale importanza; è rilevante, prima di tutto, quello che il Signore pensa. Certamente dobbiamo esseri integri davanti agli increduli ( e anche ai credenti); siamo espressamente esortati a questo (1 Te. 4:12), dobbiamo vivere con saggezza, per guadagnare degli uomini a Cristo (Co. 4:5). Ma è quello che il Signore pensa del nostro comportamento che deve essere al centro dei nostri atti e delle nostre parole.
Da una parte è incoraggiante sapere che gli occhi dell’Eterno percorrono tutta la terra “per spiegare la sua forza in favore di quelli che hanno il cuore integro verso di lui.” (2Cr. 16:9).
Ma a proposito degli stessi occhi dell’Eterno, leggiamo anche: “Gli occhi dell’Eterno sono in ogni luogo, osservano i cattivi e i buoni” (Pr. 15:3). Questo è vero per tutti gli uomini; gli occhi del nostro Signore vedono ovunque, anche quando gli uomini non ci vedono. Tutto è manifesto agli occhi del Signore: “ … non v’è nessuna creatura che possa nascondersi davanti a lui; ma tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo render conto”. (Eb. 4:13). Questo pensiero non deve farci paura, dovrebbe piuttosto renderci prudenti. Quello che noi possiamo nascondere agli uomini (ai nostri genitori, al nostro coniuge, agli amici), non possiamo nasconderlo a Dio, Egli vede in ogni angolo del nostro cuore, conosce ogni atto compiuto in segreto, ogni pensiero nascosto e ogni motivazione.
Er deve morire.
L’Eterno stesso fa morire Er. Questo pensiero è estremamente serio: è possibile che un uomo sia talmente malvagio, da costringere Dio a toglierlo di mezzo con la morte.
A proposito di noi credenti, leggiamo nel Nuovo Testamento, nella prima epistola di Giovanni: “Se qualcuno vede suo fratello commettere un peccato che non conduca a morte, preghi, e Dio gli darà la vita: a quelli, cioè, che commettono un peccato che non conduca a morte. Vi è un peccato che conduce a morte; non è per quello che dico di pregare. Ogni iniquità è peccato; ma c’è un peccato che non conduce a morte” (1 Gv. 5:16-17).
In questo versetto non si tratta della morte eterna ma della morte del corpo. Può esserci, nella vita del credente, un peccato che Dio punisce con la morte. La morte di Anania e Saffira /(At. 5:1-11) ne è un esempio. Tale era anche il caso dei Corinti: molti morivano a causa del loro cattivo comportamento (1Co. 11:30); non erano perduti per l’eternità ma era stato messo un termine alla loro vita terrena. Non possiamo determinare concretamente quale sia un peccato che porta alla morte, la parola di Dio tace a questo riguardo. E’ probabile che questo dipenda, da un lato dalla natura del peccato, dall’altro dalle circostanze esteriori. La storia del primogenito di Giuda ci ricorda il fatto molto serio che esiste un peccato che porta alla morte: questo dovrebbe essere un serio avvertimento per noi.
LEZIONE 6
Il peccato di Onan – l’”io” al centro.
Il dramma nella famiglia di Giuda segue il suo corso. Er, il primogenito è morto, suo fratello più giovane, Onan, è migliore di lui? Probabilmente no, perché Dio fa morire anche lui ma, contrariamente alla storia di Er, Dio ci rivela qual è il peccato di Onan. Impariamo quanto\ possa essere pericoloso e fatale mettere il proprio ”io” al centro – perché questo era precisamente il peccato di Onan. Nello stesso tempo impariamo a conoscere, in questa lezione, qualche cosa del senso biblico della sessualità.
Il peccato di Onan.
Oggi, l’atto di Onan è generalmente assimilato, per errore, alla masturbazione utilizzando per questo, comunemente, il termine “onanismo”. La masturbazione è senza alcun dubbio un peccato (vedere le spiegazioni alla lezione 7) tuttavia il peccato di Onan è stato un altro. Il racconto divino si esprime con poche parole: “Ma Er, primogenito di Giuda, era perverso agli occhi dell’Eterno; e l’Eterno lo fece morire. Allora Giuda disse a Onan: «Va’ dalla moglie di tuo fratello, prenditela in moglie come cognato e suscita una discendenza a tuo fratello». Onan, sapendo che quei discendenti non sarebbero stati suoi, quando si accostava alla moglie di suo fratello, faceva in modo d’impedire il concepimento, per non dare discendenti al fratello. Ciò che egli faceva dispiacque all’Eterno, il quale fece morire anche lui” (Ge. 38:7-10).
A quanto pare, già ai tempi dei patriarchi c’era l’usanza che il fratello di un morto ne sposasse la vedova: in questo modo, essa poteva avere dei discendenti. Più tardi troveremo questo comandamento nella legge di Dio.[5] Per questo motivo Giuda chiede a suo figlio Onan di adempiere il suo dovere di cognato verso la moglie del fratello morto. Onan doveva dunque provvedere che Tamar non rimanesse senza progenie. Per la cultura delle donne di quel tempo, il fatto di restare senza figli rappresentava una grande vergogna; e questa doveva essere risparmiata a Tamar. Onan sapeva, tuttavia, che il figlio che avrebbe potuto nascere da quella relazione non sarebbe stato suo erede legittimo, ma di suo fratello Er; per questo rifiuta di avere un figlio da Tamar. È vero che non ha rifiutato il rapporto sessuale con sua cognata, ma lo ha interrotto. Era d’accordo di avere rapporti con la cognata ma voleva evitare la procreazione di un discendente.
Questo non è egoismo puro; agli occhi di Dio il fatto era talmente grave che lo fece morire.
[5] In Deuteronomio 25:5 troviamo: “Se dei fratelli staranno insieme e uno di loro morirà senza lasciare figli, la moglie del defunto non si sposerà fuori, con uno straniero; suo cognato verrà da lei e se la prenderà per moglie, compiendo così verso di lei il suo dovere di cognato”. Nella storia do Boaz e di Rut, la legge del levirato gioca ugualmente un ruolo significativo. (Rut. 5).
Il senso biblico della sessualità.
Arrivati a questo punto vorremmo riflettere un istante sul senso biblico della sessualità. Alcuni cristiani pensano che la sessualità (desiderio fisico di un sesso per l’altro) sia qualche cosa di cattivo, vietato, una cosa di cui non si dovrebbe neppure parlare. Questo è un grande errore. La sessualità in se stessa non è cattiva, al contrario, essa ci è stata data da Dio nostro Creatore; l’abbiamo, per così dire, ricevuta per nascita. Nessuno si deve preoccupare quando sente nascere la sua sessualità al momento della pubertà; essa diviene un peccato soltanto quando viene esercitata al di fuori del piano stabilito da Dio. L’ambito che Dio ha dato alla sessualità è, e resta fino dall’inizio, il matrimonio! Sperimentare la sessualità prima del matrimonio è peccato. Sperimentarla al di fuori del matrimonio è ugualmente peccato. Questi sono i pensieri di Dio. Chiari! Inequivocabili! Senza ambiguità! Dati per il nostro bene
Leggiamo già nel racconto della creazione che l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie; e saranno una stessa carne (Ge. 2:24). Questo, oggi per noi, equivale alla celebrazione pubblica e legale del matrimonio (cioè il “si” davanti all’ufficiale di stato civile). Il Nuovo Testamento è molto chiaro a questo riguardo: Paolo scrive ai Corinti in maniera dettagliata sul soggetto della fornicazione (vedere a questo proposito la lezione 8) e dice specificatamente. “ ma, per evitare le fornicazioni, ogni uomo abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito” (1 Co. 7:2), è come se dicesse: se vuoi vivere la tua sessualità, sposati; se non lo fai, allora l’esperienza della sessualità – poco importa sotto quale forma – è peccato (qui chiamato fornicazione).
Perché Dio ha dunque dato la sessualità? Il racconto della creazione ci mostra che vi sono almeno due ragioni:
- Dio voleva che fossero generati dei discendenti.
- Dio voleva che l’uomo e la donna trovassero il loro piacere insieme nell’intimità sessuale.
Discendenti.
Dal racconto della creazione leggiamo: “Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina. Dio li benedisse; e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra» (Ge. 1:27-28). Il richiamo è chiaro e senza equivoci: Adamo ed Eva dovevano unirsi per generare dei figli. Questo dovere è ribadito dopo che Dio ebbe giudicato la terra con il diluvio e leggiamo: “Dio benedisse Noè e i suoi figli, e disse loro: «Crescete, moltiplicatevi e riempite la terra… Voi dunque crescete e moltiplicatevi; spandetevi sulla terra e moltiplicatevi in essa»(Ge. 9:1, 7). La caduta di Adamo ed Eva non ha cambiato niente dei disegni di Dio a questo riguardo.
La volontà di Dio è che dal matrimonio vengano dei figli. E’ Lui stesso che apre o chiude la matrice. Quando un matrimonio viene concluso con la ferma intenzione di non avere figli, trascuriamo chiaramente quelli che sono i piani di Dio per il matrimonio. L’affermazione che il mondo in cui viviamo è talmente malvagio che non si può “mettere al mondo dei figli” avendo una buona coscienza, è insensata. Chiediamoci semplicemente fino a che punto il mondo era malvagio, quando Amram e Jochebed hanno generato Mosè; lo hanno fatto per fede e Dio li ha riccamente benedetti per questo.[6]
[6] Se il Signore non accorda dei figli ad una coppia è un’altra cosa; potrebbero esserci delle malattie o delle circostanze particolari. Per molte giovani coppie è un grande angoscia non avere figli. Cerchiamo di avere i sentimenti che si convengono di fronte ad una così grande prova.
Gioia.
Dio voleva che l’uomo e la donna avessero della gioia insieme, nell’intimità sessuale; ce ne siamo già ricordati in Genesi 2. Dio afferma che l’uomo e la donna divengono, nel matrimonio, una sola carne e questo include – come abbiamo visto – i rapporti intimi.[7] In Genesi 2 non c’è assolutamente questione di figli e di discendenza. L’unione dell’uomo e della donna porta gioia e appagamento; deve essere una forma percettibile dell’unione di vita e di amore fra l’uomo e la donna.
[7] Il fatto che l’uomo e la donna divengano “una sola carne” non può essere limitato ai rapporti intimi. Essere “una sola carne” significa molto di più, siamo per così dire una sola “pianta” con il nostro coniuge; è un’unità di spirito, anima e corpo. È significativo che, in relazione con i rapporti sessuali fuori del matrimonio in 1 Corinzi 6, Paolo non scrive che i due divengono una “sola carne” ma dice: “Non sapete che chi si unisce a una prostituta è un corpo solo con lei?” (16). “Un corpo” è verosimilmente tutt’altra cosa che “una carne”. “Un corpo“ è limitato alle cose fisiche, “una carne”, invece, non lo è.
La Bibbia è molto più aperta su questo soggetto di quanto lo siamo noi. Quando un giovane israelita si sposava, era esente dal servizio miliare per un anno. Perché? “Un uomo sposato da poco non andrà alla guerra e non gli sarà imposto alcun incarico; sarà libero per un anno di starsene a casa e farà lieta la moglie che ha sposata” (De. 24:5). Questa gioia includeva i rapporti intimi. Il saggio Salomone è ancora più esplicito e dà a suo figlio il seguente consiglio: “Bevi l’acqua della tua cisterna, l’acqua viva del tuo pozzo. Le tue fonti devono forse spargersi al di fuori? I tuoi ruscelli devono forse scorrere per le strade? Siano per te solo, e non per gli stranieri con te. Sia benedetta la tua fonte, e trova gioia nella sposa della tua gioventù. Cerva d’amore, capriola di grazia, le sue carezze t’inebrino in ogni tempo, e sii sempre rapito nell’affetto suo” (Pr. 5:15-19). Se esaminiamo questi versetti, notiamo che i due – sia l’uomo sia la donna – devono trovare piacere nell’unione sessuale. L’uomo è responsabile di rendere lieta sua moglie e nello stesso tempo gioire di lei, ne ha il diritto. Il rapporto intimo è veramente appagante solo quando i due coniugi provano della gioia; la sessualità non è mai a senso unico – piacere per l’uno e frustrazione per l’altro – Dio non vuole questo.
Il Cantico dei Cantici di Salomone è un esempio, per così dire, classico che ci mostra fino a che punto la Bibbia tratti apertamente il soggetto della sessualità. Il libro intero è una sola storia d’amore (che ha certamente un significato profetico profondo) in cui due persone raccontano in maniera esplicita – e tuttavia decente – il loro amore e la tenerezza dell’uno verso l’altro, però in tutto il libro non si parla mai di discendenza.
Nella sua saggezza, Dio, ha fatto in modo che i due lati (quello della discendenza e quello della gioia) si riunissero nella sessualità. Quando l’uomo e la donna si uniscono non pensano, per forza, a generare figli, ma possono rallegrarsi di quello che il Creatore ha loro donato.
Se, in seguito, il Signore ci dà dei figli, possiamo rallegrarcene di tutto cuore. L’uomo e la donna gioiscono ancora di questa intimità quando sono arrivati ad un’età in cui non possono più avere figli. Non è il pensiero di Dio limitare i rapporti sessuali al solo periodo in cui una donna può procreare.
Un peccato carico di conseguenze.
Il peccato di Onan non è un peccatuccio; agli occhi di Dio è grave, è talmente grave che Dio fa morire Onan. Perché? Onan ha falsato il senso della sessualità dato da Dio, si è comportato in modo egoista. Tutto girava intorno a lui stesso ed era indifferente ai bisogni di Tamar; ha ignorato il suo legittimo desiderio di avere una discendenza.
Il peccato di Onan si è ripetuto un numero incalcolabile di volte fino ad oggi, anche se, forse, non è in una forma così estrema. Colui che gioisce del rapporto sessuale con la propria moglie in maniera da ricercare la propria soddisfazione, ignorando del tutto i sentimenti e le sensazioni della moglie, non si comporta in modo migliore di Onan. Il rapporto intimo è stabilito, senza equivoci, sulla base della reciprocità e ogni coniuge può e deve curarsi dell’appagamento dell’altro. Allora – e unicamente in questo caso – il rapporto intimo è la prova di un vero amore, perché l’amore non cerca mai di compiacere solo se stesso, ma pensa sempre al coniuge, anche nell’intimità sessuale.
L’egoismo è un grave peccato agli occhi di Dio e noi tutti corriamo il rischio di essere infettati da questo virus; l’esperienza mostra che, soprattutto gli uomini, cadono spesso in questo laccio di Satana – che, d’altronde, è anche un modo di conformarsi a questo mondo. In molti matrimoni, l’egoismo dell’uomo porta al fatto che la donna sia ridotta ad un oggetto di desiderio. Non dobbiamo quindi stupirci che la donna si senta sfruttata, né che provi una certa avversione. Da parte sua l’uomo che si comporta così non troverà una vera e durevole soddisfazione; questa non è mai la volontà di Dio. Il piacere della sessualità nel matrimonio dovrebbe, giustamente, essere l’espressione del vero amore; allora, e soltanto allora, sarà una sessualità soddisfacente per ambedue i coniugi. Il rapporto intimo fra l’uomo e la donna nel matrimonio non sarà veramente appagante se la soddisfazione del coniuge, e non la propria, viene messa in primo piano. Onan non l’aveva capito.
Molte coppie soffrono del fatto che i coniugi – soprattutto noi uomini – non hanno imparato, nella loro giovinezza, a controllarsi; chi ha praticato la masturbazione prima del matrimonio farà molta più fatica a concentrarsi sulla soddisfazione del proprio coniuge nel matrimonio. Esiste anche il pericolo che il rapporto intimo nel matrimonio degeneri in una sorta di piacere egoistico: così, quello che Dio ci ha dato per rallegrarci può diventare un tormento a causa del nostro comportamento.
Un discorso personale.
Con questa occasione vorrei ancora attirare l’attenzione su un punto importante: il modo nel quale viviamo si allontana sempre di più dai principi divini. Il dominio della sessualità, in particolare, trattato in modo così vergognoso che ci si domanda dove andrà a finire. I media (giornali, film, internet, musica e altro) hanno una grande responsabilità: già prima del matrimonio i giovani (e anche i bambini!) prendono famigliarità con la vita sessuale dell’uomo e della donna in un modo che è completamente contrario ai pensieri di Dio. La sessualità come merce è una cosa completamente diversa dal rapporto intimo appagante secondo i pensieri di Dio.
Per questo motivo vorrei fare un serio ammonimento: non guardiamo, neppure furtivamente, giornali o film con contenuti pornografici e, per carità, evitiamo di nutrircene regolarmente. Essi ci danno un’immagine della sessualità che è un virus mortale per ogni vita di coppia (tanto più per le coppie cristiane); quello che i media del nostro tempo mostrano a questo riguardo non è che un mondo immaginario e lontano dalla realtà. È precisamente quello che abbiamo visto più sopra: la pura soddisfazione di un’invidia. Niente di più! Chi si nutre di tali cose trasforma davvero la propria personalità. Se lo fai prima del matrimonio, non sarai poi in grado di essere un buon “amante” (nel senso vero della parola) per tua moglie; sarai diventato in un egoista, incapace di amare nel senso della Bibbia. Se lo fai nel matrimonio, tu abusi, in più, del tuo coniuge.
Nutrirsi insieme di film e riviste a contenuto pornografico non arricchirà certamente il tuo matrimonio e la tua vita sessuale. Al contrario! È un peccato e causerà dei grandi danni.
La Bibbia parla apertamente della sessualità e della gioia che possiamo avere nel matrimonio. Se ci fermiamo alle cose che Dio ha previste per noi, allora troveremo appagamento e benedizione – anche nel dominio dell’intimità sessuale. La storia di Onan dovrebbe essere per noi un serio avvertimento.
LEZIONE 7
DIGRESSIONE – “Il piacere solitario” alla luce della Bibbia.
Anche se il peccato del piacere solitario, chiamato anche masturbazione, non era quello commesso da Onan, vorremmo fare una digressione su questo argomento. Questo è un soggetto di cui si parla poco fra i cristiani seri, tuttavia ritengo sia bene prendere atto della sua esistenza, soprattutto perché molti cristiani – in particolare gli uomini – devono lottare contro questo atto.
Un dato di fatto.
Il piacere solitario è un grande problema, in modo particolare (ma non esclusivamente) per i giovani; sono pochi coloro che possono negare di avere questo problema e ancor meno lo ammetterebbero. Molti lo praticano ma non ne parlano, Perché? Probabilmente perché la loro coscienza li accusa; anche se oggi vi sono addirittura dei teologi che consigliano ai giovani di scoprire il loro corpo in questa maniera. Molti sostengono che questo soggetto non è importante per Dio, per questo la Bibbia non ne parla molto. Questo è vero solo in parte, perché la parola in se stessa effettivamente non appare nella Bibbia, ma questo non rende la cosa legittima.
Da sondaggi fatti in Germania si rileva che una grande maggioranza di uomini e donne hanno praticato, o praticano, la masturbazione e sembra che i cristiani non siano risparmiati da questo fenomeno. Molte di queste persone ammettono che, facendolo, sentono che la coscienza li rimprovera.
Che cosa ne dice la Bibbia?
In effetti, a prima vista, la Bibbia tace su questo soggetto, ma solo a prima vista. Vi sono anche altri peccati che non sono nominati esplicitamente nella Bibbia, tuttavia questo non li rende legittimi. Vediamo prima di tutto alcuni versetti della Bibbia che possono includere questo soggetto:
- Colossesi 3:5: “Fate dunque morire ciò che in voi è terreno:… impurità”. Questo comprende anche la masturbazione.
- Romani 13:14 “… non abbiate cura della carne per soddisfarne i desideri” che altro è la masturbazione se non il soddisfare i desideri della carne?
- Galati 5:22 “ Il frutto dello Spirito invece è… autocontrollo”, cioè controllare se stresso e chi pratica la masturbazione non controlla le proprie passioni. Dio vuole che i giovani imparino a controllare la propria sessualità aspettando il momento in cui saranno sposati. Allora potranno gioire della sessualità nel contesto che Dio le ha dato, rallegrarsene e dare piacere al loro coniuge.
- Filippesi 4:8 “Quindi, fratelli, tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche lode, siano oggetto dei vostri pensieri”. Permettetemi di chiedere: i pensieri che sono legati alla masturbazione sono conciliabili con questo versetto? Generalmente sono pensieri impuri, quindi assolutamente il contrario di ciò che Paolo presenta ai Filippesi in questo versetto.
Queste poche citazioni della Bibbia sono certamente già sufficienti a dimostrarci che il piacere solitario non può essere secondo il pensiero di Dio.
La sessualità – Non una strada a senso unico.
Nella lezione numero 5 abbiamo visto come la sessualità non sia mai una strada a senso unico, essa è basata sull’intimità a due. Per prima cosa Dio vorrebbe che gioissimo insieme (un uomo con una donna e non altrimenti) di questo dono del nostro Creatore. Secondariamente, la dobbiamo vivere nella sfera protetta del matrimonio – e unicamente lì. Questo è precisamente quello che disprezziamo quando pratichiamo il piacere solitario e abusiamo da soli del magnifico dono che Dio ha dato agli sposi per gioirne insieme. Questa è una forma di amore egocentrico contro la quale la Bibbia ci mette esplicitamente in guardia e che caratterizza il mondo lontano da Dio. La masturbazione rende egoisti; dirige l’attenzione su noi stessi, sul proprio corpo, sulla soddisfazione del proprio desiderio! Dio vuole esattamente il contrario. Nella relazione spirituale e affettiva del matrimonio è, giustamente, il coniuge che ha la priorità; il vero amore è diretto prima di tutto verso l’altro e non verso se stesso.
Il piacere solitario non è assolutamente una “variante del tutto normale della sessualità umana”; non è neppure una “tappa transitoria comparata ad un gioco per la gioventù nella pubertà” e neppure una “valvola di sfogo” che il Creatore ci ha dato per soddisfarci sessualmente mentre non siamo ancora sposati.[8] Questo semplicemente non è vero. La volontà di Dio è che il (giovane) credente viva la sua vita nella purezza e questo include che eviti questa pratica solitaria. Dio vuole che condividiamo il piacere sessuale con il nostro coniuge, quindi l’intenzione e l’obiettivo della sessualità, così come Dio li ha dati, sono deformati dalla masturbazione. La sessualità biblica necessita di un coniuge – da solo non ha senso.
[8] Alcuni giovani cristiani lo credono seriamente. Non sembrano sapere che il Creatore ha fatto in modo che l’uomo sessualmente maturo abbia, di tempo in tempo, una polluzione notturna (che non è sicuramente un peccato). Se vogliamo dunque parlare di una “valvola di sfogo”, parliamo di questa.
Già l’espressione “piacere solitario” significa chiaramente che cerco di soddisfare me stesso. La masturbazione non è una intimità a due, significa, anzi, isolamento ed egoismo; non è nient’altro che una “sessualità storpiata” – come qualcuno l’ha definita una volta, molto appropriatamente. Diciamocelo chiaramente e senza giri di parole: è un peccato.
Cause.
Le cause di questa pratica possono essere di diversa natura ma, in fin dei conti, trovano tutte la loro radice nel peccato che abita in noi. Se non facciamo attenzione a noi stessi – per dirla con le parole dell’epistola ai Romani – se non facciamo conto di essere morti al peccato (Ro. 6:11), non ci deve stupire se cadiamo nei lacci di Satana.
In pratica, constatiamo che la masturbazione inizia molto spesso nella giovinezza; le ragioni più frequenti sembrano essere la tentazione da parte di compagni e “amici” o la lettura di riviste dal contenuto pornografico. Si “prova”, “piace” e poiché un giovane non sa controllare se stesso, lo fa ancora. Tuttavia, anche uno stimolo esteriore può giocare un ruolo importante, per esempio: il fatto di pensare ad una bella ragazza (o un bel ragazzo); la lettura di libri pornografici, guardare dei film con immagini allusive o troppo esplicite o un contatto troppo stretto con l’altro sesso o quant’altro. Le circostanze del momento possono ugualmente fornire delle occasioni: per esempio, l’ozio, delusioni, frustrazione, dolori, afflizioni, solitudine…
Lo stimolo proveniente dall’esterno è un problema particolare della nostra epoca; spesso non possiamo neppure evitare di subire tali eccitazioni. Viviamo in un tempo di eccesso di sollecitazioni che ci accompagnano nei nostri più piccoli fatti e gesti. Nessuno può impedire che (quasi) tutti i tabù cadano nella pubblicità; o che un poster con una donna nuda sia attaccato sulla porta dell’armadietto di un collega di lavoro; o che la moda sia sempre più “orientata verso il sesso”; il principio del piacere domina il nostro tempo ma quello che noi possiamo fare è distogliere gli occhi e, soprattutto, non seguire ciecamente ogni tendenza!
Giacomo scrive: “invece ognuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce. Poi la concupiscenza, quando ha concepito, partorisce il peccato; e il peccato, quando è compiuto, produce la morte” (Gc. 1:14-15). Questo versetto ci mostra in modo chiaro la relazione: concupiscenza – peccato – morte; la concupiscenza porta alla morte. Il seguente esempio è ben conosciuto: Non è una tua colpa se un uccello si posa sulla tua testa, ma è colpa tua se vi costruisce il nido. Se non giudichiamo e non respingiamo immediatamente i pensieri falsi e malvagi, ci rendiamo colpevoli. Con questo arriviamo ad un’altra ragione essenziale di questa pratica solitaria: non freniamo il corso dei nostri pensieri. I giovani (soprattutto gli uomini) che iniziano a “sognare”, pur essendo svegli, sono in grande pericolo.
Conseguenze.
Le conseguenze di questa pratica possono essere molto varie e non devono in alcun modo essere sottovalutate. La maggior parte dei credenti associano alla masturbazione una cattiva coscienza, certamente con ragione. Il piacere solitario – e in sé questo è contraddittorio – non soddisfa veramente e, in ogni caso non stabilmente; generalmente non resta nessun sentimento di soddisfazione. Al contrario: si è abbattuti, ci si sente vuoti e spossati[9]; non si trova la minima traccia di “gioia nel Signore”! In seguito perdiamo il nostro vigore e la nostra energia spirituale, mentre il Signore vorrebbe impegnarci al Suo servizio fino dalla nostra giovinezza. Il vigore della giovinezza è fortemente richiesto nel regno di Dio ma, anziché impegnarci subito nel Suo servizio, noi sciupiamo le nostre forze in altra maniera. Siamo occupati di noi stessi e soffriamo in seguito per lo scoraggiamento, la frustrazione e la solitudine.
[9] In effetti si può osservare che la masturbazione praticata regolarmente può anche portare ad una depressione, non si trova più la via per uscire dal “buco” delle sconfitte e delle delusioni.
Nessuna crescita spirituale! Colui che non ha imparato a controllare se stesso nella sua giovinezza farà più fatica a essere un servitore utile per il Signore. Questo non toglie che la grazia possa mostrarsi grande nella vita di ogni credente; ma questo è compito di Dio e non quello della nostra responsabilità.
Un’altra conseguenza del piacere solitario è che esso rende difficile, per il ragazzo e la ragazza, la preparazione al matrimonio. Anche dei medici increduli ammettono che la masturbazione può provocare incapacità a portare avanti una vita di coppia per lungo tempo.
Da un punto di vista biblico questo è sicuramente di poca importanza. L’esperienza del servizio pastorale mostra che le persone che si sono spesso masturbate nella loro giovinezza hanno molti più problemi, più tardi, nel loro matrimonio. Dio non può benedire il rapporto sessuale nel matrimonio se non quando gli interessi del congiunto sono in primo piano, A colui che non ha imparato nella giovinezza a vivere nella continenza e a frenare le proprie pulsioni con l’aiuto di Dio, mancherà una condizione assolutamente essenziale per vivere in seguito, nel matrimonio, la sessualità essendo cosciente delle proprie responsabilità.
Aiuto e protezione.
Il contrario della masturbazione (soddisfazione di se stesso) è l’autocontrollo, che inizia sempre dalla propria testa. Una volta un pastore l’ha definita testa come “l’ organo sessuale più importante” e in effetti, essendo (giovane) credente, quello con cui occupo i miei pensieri per stimolarli è di una importanza cruciale. Che cosa leggo? Cosa guardo? Cosa ascolto? La Bibbia ci dice che dobbiamo “fare prigioniero ogni pensiero fino a renderlo obbediente a Dio” (2 Co. 10:5). Questo ci porta lontano, ma è il mezzo migliore per proteggerci.
Nel libro dei Proverbi leggiamo: “Custodisci il tuo cuore più di ogni altra cosa poiché da esso provengono le sorgenti della vita” (4:23). Il cuore è la sede della nostra personalità e dei nostri affetti; per chi batte il nostro cuore? Per il Signore o per il mondo e la sua concupiscenza? Se dei pensieri impuri salgono nei nostri cuori – per una ragione qualsiasi – dovremmo subito giudicarli e confessarli; se non lo facciamo, cadremo. Non è affatto vero che i pensieri sono liberi: in nessuna circostanza dobbiamo lasciarci dirigere dai nostri pensieri, perché se lo facciamo avremo presto perso. Vi sono dei figli di Dio che si sono dati al Signore, ma che mantengono ancora la direzione “dell’anticamera dei pensieri”.
Non possiamo pregare il Signore per chiedere il Suo aiuto, quando siamo tentati nei nostri pensieri. Il nostro cuore ha un gran valore e per questo motivo dobbiamo custodirlo. Attenzione però, il nostro cuore può facilmente trarci in inganno e per questo dobbiamo tenerlo sotto controllo in modo critico e “giudicarlo” sempre alla luce della parola di Dio.
D’altronde, anche in questo caso è meglio prevenire che curare; non dobbiamo attendere che il figlio sia caduto nella fontana; esistono delle “misure preventive” di cui noi possiamo servirci: evitiamo i luoghi in cui la sessualità è eccitata; non leggiamo letteratura immorale e siamo prudenti nell’uso dei media (Internet è diventato la prima trappola quanto alla sessualità!). Nei momenti di solitudine, andiamo a cercare comunione con i fratelli e le sorelle in Cristo; in una situazione di crisi possiamo parlare dei nostri problemi con i genitori o gli amici oppure possiamo iniziare uno studio intensivo della Bibbia. Possiamo – anche se giovani – cercare dei servizi da svolgere nel regno di Dio. Però, prima di ogni altra cosa, dobbiamo chiedere quotidianamente al Signore, in preghiera, di guardarci concretamente perché sappiamo evitare questo piacere solitario.
Chiediamoci però: se malgrado tutto questo avviene? Oppure che fare se è diventata una dipendenza? Dobbiamo rassegnarci e lasciar perdere tutto? Certamente no! Il cammino verso il Signore, con una confessione aperta e sincera, è sempre una via praticabile, il Signore aspetta che andiamo a Lui. Una confessione sincera esprime chiaramente la nostra impossibilità a risolvere il problema da soli. Allora sperimentiamo quello che Paolo scrive in Romani 7: dalla vecchia natura (il peccato in noi) non può venire niente di buono (Ro. 7:25), tuttavia, in quanto credenti, possiamo nello stesso tempo sapere che non siamo più sotto la potenza del peccato (Ro. 8:2).
È vero che possiamo ancora peccare, ma non siamo più obbligati a peccare. Abbiamo lo Spirito Santo che abita in noi ed è Lui che ci porta a rallegrarci in quello che piace a Dio.
Allora, se la concupiscenza assale il nostro cuore, sappiamo che non siamo obbligati a peccare, è l’uomo incredulo che “deve” cedere al peccato, non il credente, che in una situazione critica può chiedere al Signore la forza e l’aiuto. Paolo scrive: “perché se vivete secondo la carne voi morrete; ma se mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, voi vivrete” (Ro. 8:13). Il credente può, dunque, nella potenza dello Spirito, far morire le azioni del corpo e questo include anche che non ha più bisogno di soddisfare se stesso. Nella preghiera riceviamo la forza per resistere al male.
Una parola personale ai genitori.
Essendo padre di cinque figli – in parte già adulti e sposati – so bene quanto è importante, e nello stesso tempo difficile, trattare il soggetto della sessualità (compresa la masturbazione) in maniera conveniente nel quadro dell’educazione dei figli. Noi dobbiamo spiegare, avvertire, dobbiamo tracciare il cammino: non dobbiamo sottrarci a questo dovere. Dio dà ai genitori una responsabilità particolare: è nostro compito trasmettere ai figli un punto di vista biblico sulla sessualità che corrisponda alla loro età: non stretto e con linguaggio cifrato ma neppure banale e indecente, bensì giusto, normale. È proprio in questo che sta la difficoltà, non è facile trovare il momento opportuno e neppure le parole giuste. In ogni modo non c’è una ricetta miracolosa, ogni figlio è diverso. “Insegna al ragazzo la condotta che deve tenere … “ (Pr. 22:6) è ugualmente valido per questo caso. Se desideriamo portare anche in questo i nostri figli su una buona “via”, non dobbiamo passare sotto silenzio il soggetto della sessualità e della masturbazione.
È fatale per i nostri figli ricevere la loro educazione sessuale “dall’esterno”. Non possiamo delegarla a dei professori increduli; essi insegnano un punto di vista anti biblico della sessualità e, neppure, possiamo lasciarla a degli amici dei nostri figli o addirittura ai figli stessi. Non dobbiamo neppure aspettarci che i nostri figli vengano a interrogarci su tale argomento.[10] Alcuni figli non pongono mai delle domande, perché preferiscono informarsi altrove e vi sono poi dei giovani che vanno dove possono trovare un aiuto e dicono: “Si, non ho mai potuto parlare di questo con mio padre o mia madre”. È ugualmente importante “vigilare” sui nostri figli fino dalla giovinezza con un certo distacco. Quando Mosè è stato messo sul Nilo, i genitori si sono curati che non fosse senza sorveglianza. Dovremmo essere informati quando i nostri figli hanno dei corsi di educazione sessuale a scuola e anche quello che verrà insegnato. Un incontro con il professore può essere utile e nello stesso modo dovremmo vigilare su quello che i nostri figli leggono, quello che ascoltano, quello che guardano e gli amici che frequentano. In tutte queste situazioni abbiamo bisogno di una grande saggezza e possiamo trovarla soltanto presso il nostro Signore, in preghiera. Egli ci aiuterà.
[10] È una cosa diversa se noi “provochiamo” delle domande da parte dei nostri figli. In tale maniera si può costatare – soprattutto all’inizio della pubertà – a che punto è il figlio. Questo può – secondo la situazione – essere un mezzo del tutto appropriato.
LEZIONE 8
Il fine e i mezzi – ciò che la Bibbia dice a questo riguardo
Dopo la digressione sul soggetto del “piacere solitario”, vorremmo occuparci in questa lezione di un principio ben conosciuto nel mondo che dice: “Il fine giustifica i mezzi”. Tamar agisce precisamente secondo questo modo di ragionare e vedremo come questo sia un principio che non troviamo nella Bibbia; è, però , comunemente usato nel mondo. Certo è importante che, come cristiani, abbiamo degli obbiettivi chiari che desideriamo raggiungere, tuttavia è importante anche sapere in quale modo li raggiungiamo.
L’ingiustizia di Giuda
Non c’è nessun dubbio: quello che Giuda, essendo padre, aveva fatto con la sua nuora Tamar, era di una ingiustizia che gridava vendetta. Aveva visto che Er, suo figlio primogenito, era morto lasciando sua moglie senza figli; aveva detto a Onan, il secondogenito, di dare una discendenza a suo fratello; Onan aveva accettato, ma solo a parole! Dio è intervenuto e l’ha fatto morire.
Tocca nuovamente a Giuda agire. Allora prende contatto con sua nuora e le dice: “Rimani vedova in casa di tuo padre, finché Sela, mio figlio, sia cresciuto” (11). Nel suo cuore, però, aveva già deciso che suo figlio non si sarebbe sposato con Tamar, affinché “anche egli non muoia come i suoi fratelli” (11). Non ragionava in modo giusto: agli occhi di Dio i due figli erano colpevoli, agli occhi di Giuda la colpevole era Tamar.
Giuda rimanda Tamar a casa di suo padre con questo falsa scusa, ed essa se ne va con la speranza di potere un giorno diventare la sposa del più giovane figlio di Giuda. Ma si sbagliava.
Il punto di vista di Tamar
Non sappiamo quanto tempo sia durato tutto questo, ma al momento opportuno Tamar si è resa conto che era stata ingannata. Il presentimento è divenuto certezza: Giuda non mi dà il suo terzo figlio come marito, il testo biblico dice: “… aveva visto che Sela era cresciuto, e tuttavia lei non gli era stata data in moglie” (14).Questa presa di coscienza ha ferito Tamar. Essa aveva il desiderio di un figlio maschio, desiderio giusto: non voleva vivere con la vergogna di non avere figli.
Ma in che modo ha cercato di soddisfare questo desiderio? Non leggiamo che abbia pregato per questo, non troviamo che abbia esposto la sua causa a Dio, al contrario ricorre all’astuzia. Fa ricorso ad armi umane e carnali – le armi che, in quanto donna, ha a disposizione. Vuole raggiungere il suo scopo con i propri mezzi e lo fa ingannando e smascherando suo suocero in modo tale che egli non possa comprometterla. Il testo biblico dice: “Allora ella si tolse le vesti da vedova, si coprì d’un velo, se ne avvolse tutta e si mise seduta alla porta di Enaim che è sulla via di Timna” (14).
Un travestimento.
Volendo raggiungere uno scopo giusto, ricorre a mezzi completamente falsi: si traveste per non essere riconosciuta. In molti passaggi della Bibbia l’abito parla della nostra testimonianza, della nostra identità e quello che Tamar fa, in realtà, non era niente altro che sbarazzarsi per un istante della propria identità. Nessuno – tanto meno Giuda – doveva riconoscerla.
Nella Bibbia ci sono una quantità di esempi di persone che si sono travestite e queste mascherate raramente sono finite bene. Acab lo ha fatto e anche Giosia, ma sono morti poco tempo dopo. Anche il re Saul lo ha fatto quando si è avvicinato all’occultismo ed è andato da una evocatrice di spiriti. È sempre pericoloso sbarazzarsi della propria identità, comportarsi in modo diverso da quello che si addice alla nostra testimonianza in quanto cristiani. I cristiani sono persone che hanno rivestito Cristo (Ga. 3:27), che hanno rivestito l’uomo nuovo che “è creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità” (Ef. 4:24 – Cl. 3:9). Perché dobbiamo allora fare in modo che non si possa vedere niente del nuovo uomo? Portare degli abiti strani significa far credere agli altri qualche cosa che non è. Quali ragioni abbiamo per non farci conoscere come cristiani? A scuola? Al lavoro? Nel nostro tempo libero? La Domenica con la tenuta impeccabile e un’aria pia al culto… e a partire dal lunedì mattina interamente come il mondo? Possiamo far credere quello che vogliamo agli uomini, non certo a Dio. L’esteriore può essere una dissimulazione perfetta, ma non agli occhi del nostro Signore e le conseguenze sono in ogni caso inquietanti.
Il fine e i mezzi.
Ricordiamoci questo: il desiderio di Tamar di avere una discendenza era normale, ma il mezzo per arrivarci non lo era affatto. Vi sono altri esempi nella Bibbia che ci mostrano la stessa cosa.
Abramo e Sara:
Questa coppia aveva, come Tamar, il grande desiderio di un discendente: Dio conosceva questo desiderio e aveva anche promesso ai due sposi che avrebbero avuto un figlio. Ma, evidentemente, l’attesa è stata troppo lunga, essi invecchiavano ed hanno pensato bene di dare una mano a Dio: Sara pensava anche di aver trovato una buona soluzione. Neppure in questa occasione il fine giustificava i mezzi. Era completamente sbagliato che Abramo prendesse la serva di Sara. Questa coppia così fedele e, sotto molti punti di vista, esemplare, avrebbe potuto risparmiarsi più di una pena se avesse soltanto aspettato che il Signore agisse, e non avesse fatto ricorso alla propria inventiva.
Giacobbe:
Giacobbe era un uomo che voleva assolutamente la benedizione di Dio e questo desiderio era buono, infatti era anche il pensiero di Dio di benedirlo. Tuttavia, un giorno ha temuto che fosse suo fratello Esau a ricevere questa benedizione. Cosa doveva fare Giacobbe? Rimettersi a Dio? Prendere in mano la situazione? Giacobbe ha deciso per la seconda opzione ed è ricorso ai propri mezzi. Consigliato da sua madre, ha utilizzato l’astuzia per ingannare il vecchio padre. Ha ottenuto la benedizione, ma il modo con cui ha raggiunto il suo scopo era completamente sbagliato. Se soltanto avesse avuto fiducia in Dio, tante difficoltà gli sarebbero state risparmiate. Se Dio non fosse intervenuto in suo favore, probabilmente, suo fratello Esaù lo avrebbe ucciso.
Un principio nel Nuovo Testamento.
Gli insegnamenti pratici del Vecchio Testamento sono confermati da un principio del Nuovo Testamento. Paolo scrive al suo collaboratore Timoteo: “Allo stesso modo quando uno lotta come atleta non riceve la corona, se non ha lottato secondo le regole” (2 Ti. 2:5). Il combattente in questo versetto è un atleta e non può riportare una vittoria se non si attiene alle regole. Conosciamo bene quel che avviene nello sport: chi non rispetta le regole viene squalificato; si può vincere una medaglia solo se si sono rispettate le regole.
Lo stesso principio vale nella vita della fede, che è spesso paragonata ad una competizione sportiva. Dio vuole che combattiamo “il buon combattimento della fede”, ma nello stesso tempo vuole anche che rispettiamo le “regole” che ci ha date. Non è unicamente QUELLO che facciamo che conta, è importante anche sapere COME facciamo le cose. Lo scopo è importante e indispensabile. Malgrado tutto, però, dobbiamo interrogarci in maniera critica su quali mezzi impieghiamo per arrivare ad uno scopo buono e giusto.
L’esempio perfetto.
L’esempio perfetto è quello del Signore Gesù stesso. In Getsemani lo vediamo, nell’angoscia del combattimento, in preghiera davanti al Suo Dio. L’evangelista Marco ci descrive così questa commovente scena: “Diceva: «Abbà, Padre! Ogni cosa ti è possibile; allontana da me questo calice! Però, non quello che io voglio, ma quello che tu vuoi»” (Mr. 14:36). Matteo ha davanti agli occhi la stessa scena e ci riferisce: “E, andato un po’ più avanti, si gettò con la faccia a terra, pregando, e dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi»” (Mt. 26:39). Queste testimonianze non si contraddicono, anzi, si completano. Il Signore Gesù non voleva fare niente altro se non quello che il Padre gli aveva dato da fare ma, nello stesso tempo, non voleva farlo in altro modo che non fosse la volontà del Padre.
Abbiamo veramente molto da imparare da tutto questo.
Molti anni più tardi, Pietro ha scritto riguardo al Signore: “Oltraggiato, non rendeva gli oltraggi; soffrendo, non minacciava, ma si rimetteva a colui che giudica giustamente” (1 Pi. 2:23). Molti secoli prima il profeta Isaia aveva già scritto: “Ma io dicevo: «Invano ho faticato; inutilmente e per nulla ho consumato la mia forza; ma certo, il mio diritto è presso l’Eterno, la mia ricompensa è presso il mio Dio»” (Is: 49:4). Questo è il buon criterio per trattare l’ingiustizia, anche se non è facile da mettere in pratica. Nessun uomo è stato trattato più ingiustamente del Signore Gesù, come non vi è stato nessun uomo, se non il Signore, che abbia rimesso completamente la sua causa al Suo Dio. Non ha preso in mano né il “che” né il “come” ma si è affidato completamente al Suo Dio. Questo dà a noi la giusta direzione. Soltanto così siamo protetti dal principio tipicamente mondano: “Il fine giustifica i mezzi”.
LEZIONE 9
Giuda a Timna (1° parte)
Il peccato della fornicazione.
Arriviamo ora al punto decisivo del nostro capitolo. Il cammino di Giuda continua la sua discesa e arriva a Timna dove incontra una donna . Senza sapere chi sia, cade nel peccato della fornicazione[11]con lei. È il punto culminante del cammino immorale di Giuda. La Bibbia, sulla fornicazione, ha da dire molto di più di quello che noi pensiamo credere. Non è certamente un bel soggetto, tuttavia è importante e attuale. Nel mondo in cui viviamo, la si considera, forse, un’ “avventura”, ma agli occhi di Dio è un peccato grave che non possiamo semplicemente ignorare.
[11] Nella versione Elberfelder la parola ebraica “Hurerei” viene tradotta sia “prostituzione” sia “fornicazione”.
Una definizione del termine.
La Bibbia tratta a più riprese il soggetto della fornicazione, sia nell’Antico sia nel Nuovo Testamento. Il termine steso è utilizzato più di 30 volte nella versione “Darby” (la parola prostituzione appare per la prima volta nel nostro capitolo al versetto 24); se si aggiungono tutte le parole che hanno un simile significato come per esempio: prostituta, fornicatore, prostituirsi, commettere fornicazione ecc. si arriva a più di 200 volte nella Bibbia, quindi il soggetto non è senza importanza.
Nell’uso generale della lingua, la fornicazione è messa sullo stesso piano della prostituzione cioé si intende “l’amore venale”[12]. L’”amore venale” è senza alcun dubbio un peccato. L’atto sessuale fra un uomo e una donna deve essere l’espressione dell’unità nella coppia sposata; come si potrebbe fornire una tale “prestazione” per danaro o con altra contropartita? È impossibile.
[12] L’espressione “amore venale” è già in se stessa una contraddizione perché non si può acquistare il vero amore. Il vero amore è quello che dà, che non è basato su una contropartita. Satana è riuscito a deformare l’uso di questa parola, a tal punto che anche il semplice fatto di compiere un atto sessuale è chiamato “amore”. Ma questo non ha niente in comune con l’amore secondo i criteri biblici.
Tuttavia l’idea biblica della “fornicazione” va ben oltre. Nel Nuovo Testamento viene usata l’espressione “porneia”[13] che – come troviamo in alcune traduzioni della Bibbia – può essere tradotta con “cattiva condotta” o “immoralità”. Questa parola significa: vivere l’atto sessuale al di fuori del matrimonio.[14]
[13] Da questa parola proviene l’espressione “pornografia”
[14] Ch. Briem spiega questa parola nel seguente modo: porneia = commettere la fornicazione, darsi alla cattiva condotta. Il verbo corrispondente è spiegato così: commettere immoralità, lasciarsi andare a dei desideri sessuali illeciti (in rapporto con i due sessi).
Al di fuori significa prima e anche nell’imminenza del matrimonio. Così la “fornicazione” va più lontano “dell’amore venale”: è tutto ciò che si fa al di fuori del matrimonio, nella sfera della sessualità. Questo comprende per esempio i rapporti sessuali prima del matrimonio; la convivenza di un uomo con una donna non sposati; l’adulterio (si parla di adulterio quando almeno uno dei due è sposato). Tutto quello che è al di fuori del schema che Dio ha dato è compreso nel termine “fornicazione”.
La fornicazione (cattiva condotta), l’impurità e la dissolutezza sono termini molto vicini. Paolo scrive: “… che al mio arrivo il mio Dio abbia di nuovo a umiliarmi davanti a voi, e io debba piangere per molti di quelli che hanno peccato precedentemente, e non si sono ravveduti dell’impurità, della fornicazione e della dissolutezza a cui si erano dati” (2 Co. 12:21). L’impurità è l’immoralità, il vizio, la dissolutezza; la fornicazione è la cattiva condotta e la dissolutezza è l’assenza di ritegno, il piacere sfrenato e il disprezzo.
Un secondo significato.
Ma la fornicazione ha, nella Bibbia un secondo significato: nell’Antico, come nel Nuovo Testamento, Dio parla di una fornicazione “spirituale” in rapporto, spesso, con l’idolatria.
Nell’Antico Testamento Dio rimprovera a più riprese il suo popolo (collettivamente) di avere commesso fornicazione. A questo riguardo due esempi su questo soggetto, tratti dal profeta Geremia: “Alza gli occhi verso le alture, e guarda. Dov’è che non ti sei prostituita? Tu sedevi per le vie ad aspettare i passanti, come fa l’Arabo nel deserto, e hai contaminato il paese con le tue prostituzioni e con le tue malvagità” (Gr. 3:2). “Io ho visto le tue abominazioni, i tuoi adulteri, i tuoi nitriti, l’infamia della tua prostituzione sulle colline e per i campi. Guai a te, Gerusalemme! Per quanto tempo ancora non ti purificherai? (Gr. 13:27). La fornicazione spirituale, nell’Antico Testamento, significava che il popolo lasciava il suo Dio e si associava con le nazioni che lo circondavano e con i loro dei. Questo era un tradimento perché Israele era pure la sposa di Dio. La Bibbia – nella pratica – associa dunque alla fornicazione il pensiero del tradimento spirituale e il mescolarsi con il mondo (religioso).
Troviamo un pensiero simile nel Nuovo Testamento. L’Assemblea (la Chiesa) è chiamata “la sposa dell’Agnello” (Ap. 21:9); tutti i cristiani nati di nuovo ne fanno parte. Ma vi è anche una imitazione di questa sposa, che è presentata a più riprese, nell’Apocalisse, come una “prostituta”.[15] Essa è Babilonia, la falsa chiesa. Altre due citazioni su questo soggetto: “Poi un secondo angelo seguì dicendo: «Caduta, caduta è Babilonia la grande, che ha fatto bere a tutte le nazioni il vino dell’ira della sua prostituzione»” (Ap. 14:8). “Perché veritieri e giusti sono i suoi giudizi. Egli ha giudicato la grande prostituta che corrompeva la terra con la sua prostituzione e ha vendicato il sangue dei suoi servi, chiedendone conto alla mano di lei” (Ap. 19:2). Qui ci è ugualmente presentato il pensiero del miscuglio e del tradimento. La falsa chiesa si è mischiata con il mondo, l’ha anche dominato, e a questo si aggiunge il pensiero non trascurabile dell’imitazione e dell’inganno, argomenti sui quali torneremo più avanti.
[15] Colpisce il fatto che nell’Apocalisse si trovi la parola “fornicazione” dieci volte e sempre nel senso di fornicazione spirituale. L’ultimo libro della Bibbia, tuttavia, contiene anche un avvertimento molto serio per tutti coloro che si sono dati alla fornicazione corporale (nel senso di un cattivo uso della sessualità). Il versetto dice: “Ma per i codardi, gl’increduli, gli abominevoli, gli omicidi, i fornicatori, gli stregoni, gli idolatri e tutti i bugiardi, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, che è la morte seconda” (Ap. 21:8).
Proseguendo nelle nostre considerazioni, l’accento è messo in primo luogo sulla sfera della mancanza di moralità, senza però dimenticare che il pensiero di miscuglio nel senso più largo – il miscuglio con il mondo in generale e nel dominio religioso – è sempre sottinteso.
La fornicazione è un peccato.
L’adulterio e la cattiva condotta non sono semplici marachelle. Al contrario, la fornicazione è un peccato. Questa è una constatazione di fatto e non possiamo passarci sopra. La Bibbia è assolutamente chiara su questo soggetto e il Nuovo Testamento ci dice senza ambiguità:
- Matteo 15:19 – “Poiché dal cuore vengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri, fornicazioni, furti, false testimonianze, diffamazioni”.
- 1 Corinzi 6: 9-10. – “Non sapete che gl’ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non v’illudete; né fornicatori, né idolatri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriachi, né oltraggiatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio”.
- Galati 5:19 – “Ora le opere della carne sono manifeste, e sono: fornicazione, impurità, dissolutezza “.
- Ebrei 13:4 – “Il matrimonio sia tenuto in onore da tutti e il letto coniugale non sia macchiato da infedeltà; poiché Dio giudicherà i fornicatori e gli adùlteri”.
- Apocalisse 22:15 – “Fuori i cani, gli stregoni, i fornicatori, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna”.
Nell’Antico Testamento troviamo questa verità chiaramente presentata nello stesso modo:
- Levitico 20:10 – “Se uno commette adulterio con la moglie di un altro, se commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adultero e l’adultera dovranno essere messi a morte.
- Proverbi 6:29 –“Così è di chi va dalla moglie del prossimo; chi la tocca non rimarrà impunito.
Questi passaggi della Bibbia non hanno bisogno di ulteriori commenti. Parlano da soli.
La Bibbia mette in guardia.
La Bibbia non mostra soltanto che la fornicazione è un peccato che Dio giudicherà, ma ci mette anche chiaramente in guardia contro questo peccato, sia nel Nuovo che nel Vecchio Testamento.
- Atti 15:29 – “di astenervi … dalla fornicazione; da queste cose farete bene a guardarvi”.
- Romani 13:13-14. – “Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno, senza gozzoviglie e ubriachezze; senza immoralità e dissolutezza; … e non abbiate cura della carne per soddisfarne i desideri”.
- 1 Corinzi 10:8 – “Non fornichiamo come alcuni di loro fornicarono, e ne caddero in un giorno solo ventitremila”.
- Efesi 5:3 – “Come si addice ai santi, né fornicazione, né impurità, né avarizia, sia neppure nominata tra di voi”.
- Colossesi 3:5 – “Fate dunque morire ciò che in voi è terreno: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e cupidigia, che è idolatria”.
- 1 Tessalonicesi 4:11-12. – “Perché questa è la volontà di Dio: che vi santifichiate, che vi asteniate dalla fornicazione”.
- Osea 4:11-12. – “Prostituzione, vino e mosto tolgono il senno. Il mio popolo consulta il suo legno, e il suo bastone gli dà il responso; poiché lo spirito della prostituzione lo svia, esso si prostituisce, allontanandosi dal suo Dio”.
- Proverbi 6:32 – “Ma chi commette un adulterio è privo di senno; chi fa questo vuol rovinare se stesso”.
Una spiegazione.
A dire il vero potremmo accontentarci di questo; quello che Dio dice al riguardo della fornicazione è assolutamente chiaro, non di meno Dio ci dà anche una spiegazione. Non ci fa soltanto capire che la fornicazione è vietata ma ci dice il perché è così. A tale proposito leggiamo un testo tratto dalla prima lettera ai Corinzi.
“ Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo per farne membra di una prostituta? No di certo! Non sapete che chi si unisce alla prostituta è un corpo solo con lei? «Poiché», Dio dice, «i due diventeranno una sola carne». Ma chi si unisce al Signore è uno spirito solo con lui. Fuggite la fornicazione. Ogni altro peccato che l’uomo commetta, è fuori del corpo; ma il fornicatore pecca contro il proprio corpo. Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete ricevuto da Dio? Quindi non appartenete a voi stessi. Poiché siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo” (1 Co. 6:15-19). “Or quanto alle cose di cui mi avete scritto, è bene per l’uomo non toccare donna; ma, per evitare le fornicazioni, ogni uomo abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. Il marito renda alla moglie ciò che le è dovuto; lo stesso faccia la moglie verso il marito” (1 Co. 7:1-3).
Il corpo di ogni credente è il tempio dello Spirito Santo; Dio Spirito Santo abita e agisce in noi e dunque, se qualcuno commette fornicazione, pecca contro il proprio corpo che è l’abitazione dello Spirito santo.Paolo scrive: “Ogni altro peccato che l’uomo commetta, è fuori del corpo; ma il fornicatore pecca contro il proprio corpo” (1 Co. 6:18). Questo è il corpo in cui abita lo Spirito Santo, ed è proprio per questo motivo che non abbiamo il diritto di disporre del nostro corpo; non possiamo usarlo a nostro piacimento. Dobbiamo glorificare Dio nel nostro Corpo.
Paolo, inoltre, mostra chiaramente che i nostri corpi sono membra di Cristo; come è possibile allora prendere delle membra di Cristo per farne le membra di un’altra donna? Che peccato contro Cristo che ha fatto di noi dei suoi membri a prezzo della sua propria vita! In più non dimentichiamo che l’unione fra l’uomo e la donna – come Dio l’ha concepita per il matrimonio – è solo simulata quando si tratta di una relazione sessuale prima o al di fuori del matrimonio. Nelle sue argomentazioni, Paolo si riferisce al racconto della creazione; leggiamo: “e i due saranno una sola carne”. Questa è l’unità di spirito, di anima e corpo che Dio presenta. Nella prima lettera ai Corinzi capitolo 6 leggiamo: “Non sapete che chi si unisce alla prostituta è un corpo solo con lei? Chi commette fornicazione simula soltanto questa unità; è unicamente una unità di corpi e non della carne, una relazione unicamente corporale che trascura del tutto il pensiero di Dio. Non fosse altro che per questa unica ragione, si devono rifiutare categoricamente i rapporti sessuali prima o fuori dall’ambito del matrimonio. Il testo biblico dice ancora: “per evitare le fornicazioni, ogni uomo abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito”. La vita sessuale di un uomo e di una donna ha il proprio posto nel matrimonio – e unicamente lì. È soltanto nel matrimonio che può essere realizzata l’unità fra l’uomo e la donna; in tutti gli altri casi non sono che simulazioni di fatti che non esistono. Nel matrimonio condividiamo tutto: la casa, la tavola, gli interessi, il servizio per il Signore; tutto questo però è escluso quando si tratta solo di un’unione puramente sessuale.
Tutto questo ci mostra in modo molto chiaro che la parola di Dio non permette i rapporti sessuali durante il periodo del fidanzamento, che è una tappa importante alla preparazione del matrimonio ma non è (ancora) il matrimonio. È un periodo in cui l’uomo e la donna imparano a conoscersi ma, secondo i pensieri di Dio, l’unione sessuale non ha luogo che nel matrimonio. Il periodo del fidanzamento in se stesso non crea una condizione appropriata per i rapporti sessuali ma, quando è vissuto secondo il pensiero di Dio, crea le giuste condizioni.
Per l’anima, le conseguenze dei rapporti sessuali prima o fuori del matrimonio sono fatali. Spesso le ferite non guariscono e, in ogni caso, rimangono sempre delle cicatrici. Se oltre a ciò uno sposo è ingannato, subisce delle profonde ferite. Nel mondo si parla scherzosamente di “un’avventura” ma agli occhi di Dio non possiamo passarci sopra in questo modo.
L’adulterio è molto più che una “avventura”. I numerosi esempi che ci vengono dati dal servizio pastorale lo sottolineano in modo impressionante; per questo, ascoltiamo gli avvertimenti! Dio vuole il nostro bene; se seguiamo la sua Parola potremo contare sulla benedizione; se seguiamo i nostri pensieri, la perdita sarà sempre grande.
Una zona pericolosa.
È proprio su questo punto che il credente si trova in una seria zona di pericolo. L’opinione corrente in questo mondo è completamente opposta a quella della Bibbia. Giovani credenti crescono in un contesto dove i pensieri della Bibbia sono completamente capovolti; viviamo in un tempo ossessionato dalla sessualità; la società sembra non conoscere più tabù; i media si sforzano di farci credere che tutto è permesso – purché uno si diverta, l’uomo e la donna possono e devono soddisfare le loro voglie sessuali – poco importa come e dove. I giovani nell’età della pubertà hanno già avuto delle esperienze sessuali; quelli che a 16 o 18 anni non sono ancora stati a letto con una compagna, sono considerati “vecchi giochi”; la convivenza (definita in Germania, a giusto titolo, “matrimonio selvaggio”) sembra essere il male minore, le “avventure” passano in molti casi come del tutto normali, tanto che alcuni psicologi le raccomandano. L’omosessualità è all’ordine del giorno, tanto che più della metà dei nostri contemporanei la trovano quanto meno accettabile, ed il numero di quelli che la praticano cresce continuamente. Si parla di una “Love Parade” e con questo nome si abbellisce quello che Dio chiama peccato. Anche persone che dovrebbero essere un esempio nella società hanno questo tipo di comportamento, e agiscono contro la volontà di Dio.
Oggi viviamo in questo tipo di conflitto; chi è giovane ne è cosciente. Per questo motivo è di grande importanza per noi conoscere i pensieri di Dio e metterli in pratica – anche se l’opinione corrente nella nostra società è diversa; dobbiamo imparare a navigare contro corrente. Anche chi è più avanti negli anni deve esserne cosciente. È il compito dei genitori e di coloro che hanno la responsabilità nell’assemblea di dare ai giovani, che devono avere una maggiore famigliarità con i pensieri della Bibbia, l’aiuto necessario. Non possiamo pensare che essi conoscano tutto. Inoltre non dobbiamo ignorare l’evoluzione intorno a noi, dobbiamo prenderne conoscenza. Preghiamo con i nostri giovani e cerchiamo di conoscere insieme qual è il pensiero di Dio riguardo a queste cose; avendo la piena fiducia nel nostro Signore, possiamo vivere in maniera di essere approvati da Dio. L’autore del Salmo 119 pone la domanda ben conosciuta: “Come potrà il giovane (uomo o donna) rendere pura la sua via?” e dà anche la risposta: “Badando ad essa mediante la tua parola” (Sl. 119:9). Questo può essere per tutti una buona spinta.
Ricerca delle cause.
Vorremmo ora studiarne le principali cause. Perché sempre più spesso dei cristiani cadono sotto il dominio sessuale? Da un lato siamo sempre esposti al pericolo di adattarci al modo di pensare e di agire di questo mondo, ma dall’altro la Bibbia ci dà anche delle indicazioni precise e, con l’aiuto di alcuni esempi della Bibbia, vorremmo vedere sei possibili cause:
- Gli occhi: Non è a caso che la Bibbia parla della “concupiscenza degli occhi”. Gli occhi sono la porta aperta a molte cose che noi registriamo nella nostra mente. Giuda ha “visto” Tamar e gli è sembrata desiderabile; Davide era sul terrazzo e ha “visto” una bella donna che faceva il bagno (2 Sa. 11:2). La concupiscenza si è impadronita di lui, che ha fatto tutto quello che era in suo potere per avere quella donna. Il suo adulterio con Bat-Sceba ha avuto delle conseguenze fatali. Tutto ha avuto inizio dagli occhi. Torneremo più avanti su questo punto importante. In quanto cristiani, dovremmo fare come Giobbe, che aveva stretto un patto con i propri occhi (Gb. 31:1). Se guardiamo alle impurità e al peccato, non stupiamoci poi se cadiamo. Una soluzione c’è: distogliere il nostro sguardo e fissarlo risolutamente su Gesù.
- Il mondo dei pensieri: Il Signore Gesù stesso ci mette in guardia: “Poiché dal cuore provengono pensieri malvagi … adulteri fornicazioni” (Mt. 15:19). Quando abbiamo visto qualche cosa (che noi spesso non possiamo evitare), nasce il desiderio e si installa prima di tutto nell’ambito dei nostri pensieri. Con il pensiero, (quasi?) tutti gli uomini hanno probabilmente già commesso adulterio, quindi non permettiamo alla nostra immaginazione di invadere i nostri pensieri, è estremamente pericoloso. La maggior parte dei peccati inizia dalla nostra mente e, di sicuro, vi ritorneranno più tardi. Saremo preservati “facendo prigioniero ogni pensiero fino a renderlo obbediente a Cristo”. (2 Co. 10:5). Possiamo occupare la nostra mente con dei pensieri che facciano del bene alla nostra vita spirituale (Fl. 4:8).
- Le cattive amicizie: Queste appaiono molto chiaramente nella storia di Giuda: tutto era iniziato dal fatto che aveva un amico che non doveva avere. Il Nuovo Testamento ci mette in guardia: “Non v’ingannate: le cattive compagnie corrompono i buoni costumi” (1 Co. 15:33). Numerosi giovani cristiani si sono traviati perché hanno sviluppato e intrattenuto delle cattive amicizie. Se ricerchiamo amicizie nel mondo, non ci stupiamo poi se siamo sorpresi e cadiamo anche in campo morale. E’ un dato di fatto: il mondo vede le cose in modo del tutto diverso da come un cristiano dovrebbe vederle. Facciamo attenzione a non diventare ambigui: un po’ di mondo e un po’ di cristianesimo. Il nemico cerca sempre di attaccare e vincere coloro che sono “stanchi e sfiniti” (De. 25:17-18).
L’alternativa è tenersi più vicini al Signore, cercare degli amici che desiderano camminare con il Signore, essere di coloro che “ricercano la giustizia, la fede, l’amore, la pace con quelli che invocano il Signore con un cuore puro” (2 Ti. 2:22).
- La pigrizia spirituale: La mancanza di attività spirituale dà alla carne che è in noi l’occasione di manifestarsi in maniera spesso travolgente. Quando Davide si riposava sul terrazzo e il suo sguardo è caduto su Bat-Sceba leggiamo queste parole: “era la stagione in cui i re cominciano le guerre” (Sa. 11:1). Davide dunque non avrebbe dovuto trovarsi sul terrazzo, abbandonato all’ozio, avrebbe invece dovuto essere a combattere per il suo Dio. Molti giovani cristiani sono caduti perché si sono dati al riposo e alla pigrizia. Molti desideri sopiti hanno facilmente ragione di noi, quando siamo spiritualmente pigri.
Invece, dovremmo occuparci nello sviluppo di attività spirituali: possiamo essere “sempre abbondanti nell’opera del Signore” (1 Co. 15:58); possiamo combattere per l’evangelo, utilizzare le nostre energie là dove possiamo essere utili al Signore ed alla Sua opera.
- L’alcol: L’abuso di alcol rappresenta un pericolo notevole: Noè ha peccato sotto l’influenza dell’alcol (Ge. 9:21); lo stesso è per gli atti orrendi delle figlie di Lot, che hanno ubriacato il loro padre per sedurlo (Ge. 19:33). L’alcol inebria e deforma i sensi, tanto che siamo facilmente spinti a fare cose che non faremmo, se fossimo sobri. Nel libro dei Proverbi leggiamo, a questo riguardo, parole molto serie: “Per chi sono gli «ahi»? Per chi gli «ahimè»? Per chi le liti? Per chi i lamenti? Per chi le ferite senza ragione? Per chi gli occhi rossi? Per chi s’indugia a lungo presso il vino, per quei che vanno a gustare il vino tagliato. Non guardare il vino quando rosseggia, quando scintilla nel bicchiere e va giù così facilmente! Alla fine, esso morde come un serpente e punge come una vipera. I tuoi occhi vedranno cose strane, e il tuo cuore farà dei discorsi pazzi. Sarai come chi si coricasse in mezzo al mare, come chi si coricasse in cima a un albero di nave” (Pr. 23:29-34). Questo avvertimento è chiaro e sempre attuale.
In Efesi 5 troviamo l’alternativa a tutto questo. Invece di inebriarci dovremmo essere ripieni di Spirito santo (Ef. 5:18), dovremmo cioè dare allo Spirito Santo l’occasione di agire nella nostra vita, sviluppando la Sua potenza in noi. Questo ci metterà al riparo.
- La musica, il ballo e il divertimento: Nella lettera ai Corinti troviamo un’allusione molto istruttiva ad un’abitudine del popolo d’Israele. Paolo scriveva loro: “perché non diventiate idolatri come alcuni di loro, secondo quanto è scritto: «Il popolo si sedette per mangiare e bere, poi si alzò per divertirsi». Non fornichiamo come alcuni di loro fornicarono” (1Co. 10:7-8). L’idolatria, le orge e la musica sono un laccio che Satana tende per trascinarci a commettere dei peccati. Molti testi di canzoni moderne trattano soggetti come l’amore, il desiderio, il sesso ecc. Se ci lasciamo conquistare da tali canzoni, i nostri pensieri ne saranno influenzati, e se vi si aggiunge anche un ambiente adatto (discoteca, pub ecc.) diveniamo rapidamente vittime dei nostri desideri.
Nella lettera agli Efesini troviamo la contropartita a tutto questo; infatti, leggiamo: “parlandovi con salmi, inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando con il vostro cuore al Signore” (Ef. 5:19). Questo può sembrare, forse, un po’ fuori moda, tuttavia è un mezzo di protezione ben sperimentato.
LEZIONE 10
Giuda a Timna (2° parte) –
La responsabilità di Giuda
Dobbiamo porci una domanda: chi è il responsabile della catastrofe che si sviluppa ora a Timna? E’per l’errore di Giuda? Oppure è per l’errore di Tamar? Sarebbe troppo facile addossare la responsabilità all’uno o all’altro; ambedue sono responsabili di quello che avviene. Giuda non avrebbe dovuto cadere nella trappola tesagli da Tamar; nella sua situazione aveva una sola possibilità: la fuga! Tamar non avrebbe dovuto complottare né eseguire il perfido piano di sedurre il suocero. Tutti e due sono responsabili di peccato. Nei dettagli troviamo degli insegnamenti importanti per noi. Occupiamoci prima di tutto in questa lezione di Giuda e della sua responsabilità. Questo riguarderà in modo particolare i lettori maschi, tuttavia le lettrici faranno meglio a non di saltare la lettura di questa lezione.
Tre passi verso la rovina.
Se leggiamo attentamente il testo biblico vediamo tre passaggi che hanno portato Giuda alla rovina:
- Primo passo: Giuda vede la donna.
- Secondo passo: Si avvicina a lei.
- Terzo passo: la prende.
Al momento del primo passo, Giuda non ha il controllo dei suoi occhi, è cieco. Al momento del secondo passo non ha il controllo sui suoi piedi, lascia la sua strada per andare da lei; nel terzo passo non è capace di controllare le sue emozioni; prende una cosa che non gli appartiene.
A questo riguardo vorremmo ricordare i versetti dell’epistola di Giacomo precedentemente considerati: “… invece ognuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce. Poi la concupiscenza, quando ha concepito, partorisce il peccato; e il peccato, quando è compiuto, produce la morte” (Gc. 1:14-15). Vediamo quanto tutto questo sia vero per Giuda, che diventa il giocattolo della propria concupiscenza. Perché? Perché non riesce a frenare né i suoi occhi, né i suoi piedi e neppure le sue emozioni. Negli uomini un cattivo comportamento sessuale è spesso il risultato della mancata di vigilanza su questi tre punti. Così è stato per Giuda e oggi non è affatto differente; per questa ragione vorremmo esaminare questi tre punti un po’ più nel dettaglio.
La concupiscenza degli occhi.
Come abbiamo già visto, gli occhi sono la porta aperta per molte delle cose che registriamo nella nostra mente; in questo caso si tratta particolarmente delle sollecitazioni sessuali che, ai nostri giorni, ci assillano da ogni parte. Certe immagini si fissano spesso molto rapidamente nel nostro cuore e, se non distogliamo lo sguardo immediatamente, esse ci perseguitano forse per tutta la vita. La carne che è in noi proverà sempre a ricordarci quelle immagini immorali per rovinarci interiormente. Il tempo in cui viviamo non ci rende il compito facile. Una moltitudine di sollecitazioni sembra essere onnipresente, siamo quindi in grave pericolo di essere attratti da immagini che ci contaminano e che ci possono indurre a peccare. Qualcuno ha detto una volta che la chiave sessuale dell’uomo funziona visivamente: la vista di una donna seducente o di un corpo femminile a mala pena coperto o addirittura completamente nudo, in generale, fa sicuramente scattare il motore sessuale dell’uomo.[16] Così, l’avvertimento riguardo alla concupiscenza degli occhi è di una grande attualità.
[16] Per le donne il caso è diverso.. Il loro motore non si “accende” immediatamente attraverso gli occhi ma piuttosto con le emozioni. Così esse apprezzano le parole dolci, l’ascolto comprensivo e i complimenti. È importante sia per l’uomo sia per la donna sapere come e a che cosa l’altro sesso reagisce. Questo proteggerà la donna dal portare un uomo, forse anche inconsciamente, in una situazione pericolosa ( e viceversa).
Il Signore Gesù sapeva questo meglio di noi ed è per questo che ha parlato del pericolo degli occhi, usando parole molto chiare in occasione del Sermone sul monte: “Se dunque il tuo occhio destro ti fa cadere in peccato, cavalo e gettalo via da te; poiché è meglio per te che uno dei tuoi membri perisca, piuttosto che vada nella geenna tutto il tuo corpo” (Mt. 5:29). Sicuramente questo versetto non è un invito all’automutilazione, nessuno di noi deve letteralmente strapparsi l’occhio destro (potremmo sempre vedere con il sinistro); no, quello che il Signore Gesù ci vuole dire è che non dobbiamo permettere ai nostri occhi di guardare tutto. Se lo facciamo, ci troviamo su una strada che porta all’inferno Il pensiero che anche un credente possa trovarsi su un tale sentiero è molto solenne. Questo non vuol dire che sia perduto, ma che la via sulla quale cammina può essere una via che porta all’inferno.
La contemplazione di una donna esercita spesso, su noi uomini, una particolare attrazione; può essere la bionda che guida la cabriolet che ci affianca al semaforo; la bella giovane che si mette inaspettatamente vicino a te sulla spiaggia; l’attraente atleta che spesso ti sorpassa durante lo jogging pomeridiano, oppure la nuova collega che viene (troppo spesso) nel tuo ufficio. Potrebbe, nello stesso modo, essere una foto su una rivista, su una pubblicità, in un film, in un catalogo di moda o molti altri casi. Il pericolo è sempre grande per tutti noi, e poco importa se siamo giovani o più avanti negli anni, sposati o celibi.
La Bibbia non passa sotto silenzio questo soggetto scottante. Abbiamo già brevemente ricordato Davide e il suo peccato con Bat-Sceba di cui il testo biblico ci dice: “L’anno seguente, nella stagione in cui i re cominciano le guerre, Davide mandò Ioab con la sua gente e con tutto Israele … ma Davide rimase a Gerusalemme. Una sera Davide, alzatosi dal suo letto, si mise a passeggiare sulla terrazza del palazzo reale; dalla terrazza vide una donna che faceva il bagno. La donna era bellissima. Davide mandò a chiedere chi fosse la donna … Davide mandò a prenderla; lei venne da lui ed egli si unì a lei, … poi lei tornò a casa sua. La donna rimase incinta” (2 Sa. 11:1-5).
Una breve e tragica storia che si è ripetuta migliaia di volte. Non finisce sempre obbligatoriamente con una gravidanza, ma il peccato resta lo stesso. Tutto inizia dal fatto che i nostri occhi vedono una bella donna e che il nostro sguardo si ferma su questa immagine.
Cosa chiediamo ai nostri occhi?
Oggi vi sono molte immagini che vengono offerte ai nostri occhi; pensiamo alla larga scelta dei media: giornali, riviste, libri, televisione, film, DVD, video e quant’altro: le possibilità sembrano veramente infinite. Tramite internet le immagini sono a disposizione 24 ore su 24 dovunque: videate non stop! Per molti questo è già divenuto un laccio. Come cristiani dobbiamo pretendere veramente questo da noi stessi? Chi utilizza (deve proprio utilizzarlo!?) internet, dovrebbe essere cosciente del grande pericolo al quale è costantemente esposto.[17] Questo, d’altronde, è vero sia per gli uomini che per le donne. Le esperienze che ci vengono dal lavoro pastorale mostrano che per gli uomini il grande pericolo di internet è senza dubbio la pornografia; invece le donne cedono sempre più spesso al pericolo che viene dalla possibilità della “chat”. In una “chat” si crea un’atmosfera del tutto anonima, che può sfociare nel peccato di fornicazione.[18] Dobbiamo dunque allargare la questione e domandarci non solo che cosa offriamo ai nostri occhi, ma anche quali siti visitiamo e quali evitiamo in maniera sistematica. Davanti ai pericoli di internet non possiamo che avvertirci con insistenza reciprocamente – malgrado tutte le utilità di questo strumento.
[17] Riguardo a questo soggetto vorrei dare agli utilizzatori di internet tre suggerimenti già sperimentati praticamente: Primo: Prima di accendere il motore di ricerca parla brevemente con il tuo Signore nel cielo chiedendogli di guardarti. Secondo: Se è possibile, non essere mai solo quando vai su internet, è preferibile avere qualcuno con te. Quanto meno lascia aperta la porta della tua camera, perché qualcuno possa entrare liberamente in ogni momento. Terzo: Prendi continuamente coscienza che il Signore ti guarda.
[18] In effetti è molto pericoloso per le donne credenti soffermarsi in una “chatroom” e comunicare con persone (uomini o donne?) che non conoscono. In un ambito apparentemente protetto, i sentimenti nascono e, prima di rendercene conto, cadiamo nel pericolo.
In questa occasione vorrei mettere particolarmente in guardia riguardo alla pornografia in generale. Il fatto di guardare delle rappresentazioni pornografiche – sia nei film, sia nelle riviste o altro – cambia la coscienza dell’uomo in maniera accentuata; il suo modo di vedere la sessualità si evolve in maniera negativa. Un cristiano che si nutre di queste immagini sarà poco in grado di vivere la sua sessualità secondo le norme bibliche.
Anche nei giornali quotidiani si pubblicano oggi delle immagini che non sono adatte per i nostri occhi. Quello che si mostra in questi giornali non è lontano, forse, da quello che troviamo rappresentato nelle vere riviste pornografiche. Dovremmo essere per questo meno esigenti? Com’è facile contaminarci ed entrare in un circolo vizioso! Anche il contenuto dei film è spesso tutto impregnato di immagini malsane. Anche i film cosiddetti non pericolosi non contengono scene d’amore o almeno delle allusioni? L’adulterio non è mostrato come una cosa del tutto normale? Facciamo bene a trattenere i nostri sguardi per quanto riguarda noi stessi, ma dovremmo vegliare in maniera particolare a quello che facciamo vedere ai nostri figli e a ciò che i nostri ragazzi guardano. Anche chi rinuncia alla televisione può trovarsi, molto rapidamente, su un pendio scivoloso a causa dei DVD o dei film scaricati da internet.
Il cammino dei nostri piedi.
I piedi seguono spesso quello che i nostri occhi hanno visto. È stato il caso di Lot: con i suoi occhi ha visto la pianura fertile di Sodoma e non c’è voluto molo tempo perché i suoi piedi ve lo portassero.
La stessa cosa si può dire per Sansone: è andato nella valle di Sorec (Gd. 16:4 e seguenti). Cosa cercava un Israelita in una città dei Filistei? Cosa ci faceva il nazireo di Dio, che non doveva mangiare niente dei frutti della vigna, nella valle delle uve (questo è il significato di Sorec)? Sansone si è esposto al pericolo ed è morto. Qualcuno pensa forse che a lui questo non possa capitare? Queste parole sono ancora attuali per noi: chi cerca il pericolo vi perirà. I giovani credenti che cosa hanno da cercare in una discoteca, al cinema, in un dancing, un bar o quanto altro? Lasciatevi avvertire; sono luoghi dove viene creata volontariamente un’atmosfera particolare, dove il peccato è in agguato e dove il ritegno è coscientemente sminuito. Dovremmo evitare i luoghi in cui sappiamo che c’è un reale pericolo per noi. Nessuno ha bisogno di giocare all’uomo forte, la Bibbia ci avverte: “Perciò, chi pensa di stare in piedi guardi di non cadere” (1 Co. 10.12).
Nello stesso modo dovremmo vegliare anche in situazioni che apparentemente possono sembrare inoffensive: le vacanze alla spiaggia possono diventare un pericolo; le gite scolastiche comportano dei rischi particolari; le cene sociali sono già state un laccio per molti. Anche un viaggio d’affari può terminare con una visita in Place Pigalle. Le esperienze di lavoro pastorale mostrano che questi non sono esempi presi a caso. Non vogliamo mettere il diavolo dappertutto, però ribadire che abbiamo sempre e dovunque bisogno della protezione del nostro Signore. Davide ha detto una volta a uno dei suoi uomini: “Resta con me … con me sarai al sicuro” (1 Sa. 22:23). La vicinanza con il nostro Signore è il mezzo migliore per essere protetti.
La nascita del peccato.
“… poi la concupiscenza, quando ha concepito, partorisce il peccato” (Gm. 1:15). A più riprese queste parole della Bibbia si sono realizzate. Quando diamo libero corso ai nostri occhi e i nostri piedi seguono ciò che abbiamo visto, non è lontano il momento in cui il peccato si manifesta. Giuda ha visto la donna, i suoi piedi si sono incamminati verso di lei e non c’è voluto molto tempo perché la prendesse. Se solo volessimo ascoltare gli avvertimenti del Signore che vuole guardarci dal peccato!
Frank era un giovane marito felice, veniva da una famiglia cristiana e, in ogni caso, col suo comportamento dava l’impressione di esserlo anche lui; una moglie carina, tre figli piccoli in cui poteva trovare una piena gioia. Si impegnava nel lavoro con i giovani e anche sua moglie si rendeva utile nell’assemblea locale. Tutto sembrava perfettamente in ordine, ma non era così. Già poco tempo dopo il matrimonio, Frank aveva iniziato a guardare dei film pornografici di nascosto; all’inizio soltanto qualche volta. poi sempre più spesso. Nessuno si era accorto di nulla, tuttavia era divenuto dipendente dalla pornografia e spese una piccola fortuna per comprare sempre dei nuovi film. Sua moglie notava un cambiamento, ma non capiva il perché. Esteriormente l’immagine era irreprensibile, ma sotto quell’apparenza tutto marciva e un viaggio d’affari a Parigi finalmente scoperchiò il vaso. I suoi piedi hanno seguito quello che i suoi occhi avevano visto nei film. Una notte nel quartiere dei locali notturni di Place Pigalle e per lui era fatta: la vita di Frank era distrutta. Distrutta dall’abuso della sessualità e non sono passati che pochi mesi prima che il suo matrimonio si spezzasse definitivamente,
Un esempio che avverte.
A due riprese il saggio Salomone mette in guardia contro le vie malvagie: “C’è una via che all’uomo sembra diritta, ma finisce con il condurre alla morte” (Pr. 16:25 e 14:12) e rafforza il suo avvertimento con un esempio convincente che vorremmo, per questo, studiare un po’ più a fondo: “Figlio mio, custodisci le mie parole, fa’ tesoro dei miei precetti. Osserva i miei precetti e vivrai; custodisci il mio insegnamento come la pupilla degli occhi. Legateli alle dita, scrivili sulla tavola del tuo cuore. Di’ alla sapienza: «Tu sei mia sorella», e chiama l’intelligenza amica tua, affinché ti preservino dalla donna altrui, dall’estranea che usa parole seducenti. Ero alla finestra della mia casa, dietro la mia persiana, e stavo guardando; vidi, tra gli sciocchi, scorsi, tra i giovani, un ragazzo privo di senno, che passava per la strada, presso l’angolo dov’essa abitava, e si dirigeva verso la casa di lei, al crepuscolo, sul declinare del giorno, quando la notte si faceva nera, oscura. Ecco farglisi incontro una donna in abito da prostituta e astuta di cuore, turbolenta e proterva, che non teneva piede in casa: ora in strada, ora per le piazze e in agguato presso ogni angolo. Essa lo prese, lo baciò e sfacciatamente gli disse: «Dovevo fare un sacrificio di riconoscenza; oggi ho sciolto i miei voti; perciò ti sono venuta incontro per cercarti, e ti ho trovato. Ho abbellito il mio letto con morbidi tappeti; con coperte ricamate con filo d’Egitto; l’ho profumato di mirra, di aloe e di cinnamomo. Vieni, inebriamoci d’amore fino al mattino, sollazziamoci in amorosi piaceri; poiché mio marito non è a casa; è andato in viaggio lontano; ha preso con sé un sacchetto di denaro, non tornerà a casa che al plenilunio». Lei lo sedusse con le sue molte lusinghe, lo trascinò con la dolcezza delle sue labbra. Egli le andò dietro subito, come un bue va al macello, come uno stolto è condotto ai ceppi che lo castigheranno, come un uccello si affretta al laccio, senza sapere che è teso contro la sua vita, finché una freccia gli trapassi il fegato. Or dunque, figlioli, ascoltatemi, state attenti alle parole della mia bocca. Il tuo cuore non si lasci trascinare nelle vie di una tale donna; non ti sviare per i suoi sentieri (Pr. 7:1-25).
Possiamo chiederci: di chi è la responsabilità di questo disastro? Era della donna che voleva sedurre il giovane per andare a letto con lui? Era del giovane che seguiva ciecamente la donna? La risposta è chiara: la colpa è di entrambi; della donna e dell’uomo. Noi uomini dobbiamo porci la domanda: ci teniamo sotto controllo o ci lasciamo semplicemente dirigere dai nostri sentimenti? Nel secondo caso ci troveremo ad essere in balia della concupiscenza e del desiderio e rapidamente presi in un circolo vizioso dal quale non ci è possibile scappare con le nostre sole forze.
Leggendo attentamente il capitolo 7 dei Proverbi, possiamo notare, in questo giovane, tre cose che sono un serio avvertimento:
1 – Passava per la strada: questo sottintende che non aveva uno scopo preciso davanti a sé, si lasciava semplicemente dirigere dalle circostanze – un po’ qui, un po’ là. Se viviamo così non dobbiamo stupirci se siamo diretti qua e là dalle nostre concupiscenze. Saremo simili alle onde del mare “schiumanti la loro bruttura” (Gd. 13); non passerà molto tempo prima che la concupiscenza ci abbia nelle sue mani. È particolarmente quando siamo giovani che abbiamo bisogno di scopi chiari davanti ai nostri occhi, di compiti ben definiti. L’ozio e la pigrizia sono il miglior terreno per le cose che possono soltanto nuocere alla nostra vita spirituale.
2 – Passava presso l’angolo dove essa abitava e si diresse verso la casa di lei: questo ci conferma quello che abbiamo già constatato: esistono dei luoghi che rappresentano per noi un pericolo particolare. Evitiamo di primo acchito tali luoghi, così eviteremo anche la prossimità del pericolo. Poco più avanti Salomone dice: “Uno si metterà forse del fuoco in petto senza che i suoi abiti si brucino? (Pr. 6:27) e anche: chi cerca il pericolo vi perirà.
3 – Passava al crepuscolo, sul declinare del giorno, quando la notte si faceva nera, oscura: La quadrupla menzione dell’ora non è sicuramente un caso. Questo giovane viveva in maniera confusa; è accaduto a lui quello che leggiamo nel libro di Giobbe: “L’occhio dell’adultero spia il crepuscolo, dicendo: “Nessuno mi vedrà!” e si copre con un fazzoletto il volto (Gb. 24:15). Era attivo quando avrebbe fatto meglio a restare a casa. Non è qualche volta anche il nostro problema? Vi sono dei momenti della nostra vita in cui potremmo essere attivi per il Signore; eppure ci lasciamo sfuggire questi momenti per poi, in seguito, quando faremmo meglio a non essere attivi, ci risvegliamo e cadiamo nel laccio del peccato.
Il cammino che porta alla protezione:
Il combattimento per la purezza morale è un combattimento che probabilmente tutti gli uomini devono vivere. I pericoli come quelli che ci sono descritti in Proverbi 7, per esempio, sono reali e onnipresenti, come possiamo esserne protetti? Non esiste un rimedio miracoloso.
Abbiamo bisogno, prima di tutto, della comunione con il Signore, della Sua protezione e a questo riguardo vorrei dare tre consigli che possono esserci d’aiuto:
1 – Prendiamo una ferma decisione di cuore con il Signore: questa ferma decisione di cuore ci è presentata in maniera molto bella nella vita di Daniele. In questo caso non si tratta di pericoli derivanti da un cattivo uso della propria sessualità ma il principio rimane lo stesso. Daniele viveva in un tempo difficile: era stato deportato da Gerusalemme a Babilonia, ed era presumibile che si adattasse alla vita di Babilonia. Del resto, che scelta aveva? Non doveva obbedire? Leggiamo a suo riguardo delle parole che dobbiamo ricordare: “Daniele prese in cuor suo la decisione di non contaminarsi con i cibi del re e con il vino che il re beveva” (Da. 1:8). Ecco il segreto della sua vita: aveva preso una ferma decisione nel suo cuore. Anche noi possiamo e dobbiamo fare così, anche se qualche volta, così facendo, dobbiamo remare contro le abitudini di questo mondo.
2 – Abbiamo un profondo sentimento di quello che il peccato è agli occhi di Dio: questo sentimento – che non è altro che il timore di Dio messo in pratica – ci è chiaramente mostrato nell’esempio di Giuseppe. Senza che vi fosse colpa da parte sua si è trovato in una situazione estremamente delicata: la moglie del suo capo voleva costringerlo ad avere rapporti sessuali con lei. Non è un’occasione formidabile? Un’occasione unica? In ogni maniera non era colpa sua se la donna lo desiderava ad ogni costo! Poteva dire “no” in una tale situazione? Giuseppe era un uomo come tutti gli altri e aveva certamente dovuto lottare riguardo alla sua sessualità, e ora questa “occasione unica”! Perché allora essere così pudico? In un caso così bisogna prendere l’occasione al volo, non è vero? Ma bisogna veramente? No lui non lo fa! Per Giuseppe la cosa era chiara. Non era certamente un superuomo, ma sapeva che cosa era il peccato agli occhi di Dio; aveva quello che spesso manca a noi: la coscienza di ciò che il peccato è agli occhi di Dio: “… come dunque potrei fare questo gran male e peccare contro Dio?” (Ge. 39:9). Non ha avuto vergogna di dirlo a quella donna in maniera esplicita. Saremmo stati preservati da molti peccati, se avessimo sempre avuto davanti ai nostri occhi il Signore che ha portato ognuno dei nostri peccati sul suo corpo alla croce (1 Pi. 2:24).
3 – Abbiamo il coraggio di fuggire: la moglie di Potifar non si è arresa; essa conosceva tutte le astuzie ed era cosciente di tutte le armi della sua seduzione femminile e le ha impiegate abilmente. Alla fine ha afferrato Giuseppe per i vestiti, pensando che il giovane avrebbe finito per cedere, ma cosa ha fatto Giuseppe? Ha fatto la sola cosa giusta: non si è lasciato coinvolgere in una lotta; è fuggito. Cari giovani amici, questa fuga sembra un sintomo di viltà, ma non è così! Giuseppe non era una “femminuccia” anzi, al contrario, era un vero uomo. In simili situazioni dimostriamo del coraggio quando fuggiamo. “Fuggite la fornicazione” (1 Co. 6:18). Possiamo essere certi che Giuseppe non è fuggito da questa donna perché era brutta, sono convinto che è fuggito, giustamente, perché essa era veramente attraente. Giuseppe sapeva che, restando, avrebbe lasciato il campo di battaglia come perdente. Anche per noi vi sono delle circostanze nelle quali ci ritroviamo senza che ci sia colpa da parte nostra, ma la questione è sapere come ne usciremo. Forse non puoi fare niente se la tua collega di lavoro cerca un contatto visivo e forse anche di più, ma puoi fare molto con il tuo modo di reagire. Dalla storia di Giuseppe impariamo che non possiamo mai imputare il nostro errore alle circostanze.
Per Giuda e per Giuseppe l’occasione sembrava “favorevole” ma il primo è uscito perdente dalla tentazione, l’altro vincitore. Da quale parte siamo io e te?
LEZIONE 11
Giuda a Timna (3° parte) –
La responsabilità di Tamar.
Anche se questo capitolo è principalmente indirizzato alle donne, anche gli uomini possono, ugualmente, leggerlo con attenzione: Abbiamo visto come Giuda non sia per niente innocente per quello che è avvenuto a Timna; ma neppure Tamar lo è. Alla fin fine essa era l’istigatrice, aveva previsto coscientemente di costringere il suocero a peccare. Anche oggi, ci sono delle donne che hanno questo preciso scopo; tuttavia non dobbiamo dimenticare che spesso le donne mandano dei segnali senza esserne coscienti. Segnali che vengono male interpretati dagli uomini. È sotto questo secondo aspetto che le adolescenti e le donne credenti devono leggere questo capitolo. In quanto autore maschio, non è mia intenzione imputare alcunché a nessuno. Vorremmo, con la prudenza che si richiede, sforzarci di trarre un insegnamento dal comportamento di Tamar.
Una parola di premessa.
Giuda e Tamar si incontrano; un uomo e una donna. Ognuno ha il proprio scopo: lei vuole sedurre l’uomo, lui vuole soddisfare il suo io e avere un rapporto sessuale con lei. Certo questa situazione era particolare e non vogliamo assolutamente riprodurla nei minimi dettagli. Il fatto che un uomo e una donna si incontrino non è strano, i giovani non ci trovano niente di particolare, si comportano gli uni verso gli altri in maniera estremamente naturale – ed è bene che sia così; non dovremmo impedirglielo. Viene però il momento in cui un ragazzo inizia la sua pubertà e subito qualche cosa cambia. Il ragazzo, tutto ad un tratto, inizia a guardare una giovane con altri occhi; in lui si sveglia qualche cosa che non conosceva prima e in generale resta così per tutta la sua vita.
Siamo coscienti che le emozioni sessuali dell’uomo e della donna sono completamente differenti? Sappiamo che queste diverse emozioni sessuali sono volute da Dio? Temo che fra noi, molti non lo sappiano veramente! Un uomoconsidera la sessualità in maniera diversa dalla donna; ha altri sentimenti e reagisce in modo diverso. Le donne dovrebbero saperlo. Quando un uomo vede una donna che non è avara delle sue attrattive, inevitabilmente si risveglia in lui un desiderio sessuale. Questo è ancora più vero durante il contatto fisico e le carezze che i fidanzati possono scambiarsi (tenersi per mano, prendersi in braccio, abbracciarsi). Tutto questo può significare, per la giovane, un sentimento di sicurezza e di protezione e probabilmente essa non sospetta il desiderio che inizia a scatenarsi nel giovane; a questo punto, se commette (anche inconsciamente) un errore, nel corpo dell’uomo la sessualità si manifesta con forza. Dei sentimenti, di cui una donna non suppone neppure l’esistenza, salgono in lui. Le ragazze e le (giovani) donne non dovrebbero dimenticare questo: un (giovane) uomo reagisce probabilmente in modo molto differente ai “segnali” che non avete giustamente valutato.
Al contrario. è ugualmente importante per noi uomini sapere quello che una donna prova e come reagisce, al fine di non interpretare i suoi “segnali” in maniera sbagliata. Non dobbiamo mai pretendere che una donna “funzioni” come un uomo né viceversa. Il “software” è completamente differente.
Un esempio di avvertimento.
Vorremmo considerare ancora un esempio, già citato, di Proverbi 7: “ Ecco farglisi incontro una donna in abito da prostituta e astuta di cuore, turbolenta e proterva, che non teneva piede in casa: ora in strada, ora per le piazze e in agguato presso ogni angolo. Essa lo prese, lo baciò e sfacciatamente gli disse: «Dovevo fare un sacrificio di riconoscenza; oggi ho sciolto i miei voti; perciò ti sono venuta incontro per cercarti, e ti ho trovato. Ho abbellito il mio letto con morbidi tappeti; con coperte ricamate con filo d’Egitto; l’ho profumato di mirra, di aloè e di cinnamomo. Vieni, inebriamoci d’amore fino al mattino, sollazziamoci in amorosi piaceri; poiché mio marito non è a casa; è andato in viaggio lontano; ha preso con sé un sacchetto di denaro, non tornerà a casa che al plenilunio». Lei lo sedusse con le sue molte lusinghe, lo trascinò con la dolcezza delle sue labbra. Egli le andò dietro subito, come un bue va al macello, come uno stolto è condotto ai ceppi che lo castigheranno, come un uccello si affretta al laccio, senza sapere che è teso contro la sua vita, finché una freccia gli trapassi il fegato” (Pr. 7:10-23).
È chiaro che la donna, in questa circostanza, gioca un ruolo attivo e altresì abbiamo visto, nella lezione 10, che l’uomo ha la piena responsabilità di ciò che qui ha fatto, ma vorrei attirare l’attenzione su sette punti in relazione a quello che ha fatto la donna:
1 – La donna veste abiti di una prostituta: essa cerca in tal modo di attirare l’attenzione del giovane uomo su se stessa attraverso il suo abbigliamento – e ha successo; (giovani) sorelle, siete coscienti dei segnali che manda il vostro abbigliamento? Non vorrei accusare nessuno di portare degli abiti da prostituta, tuttavia vorrei porvi una domanda: come vi vestite? Quale effetto pensate che il vostro abbigliamento abbia sugli uomini? Una gonna corta può essere seducente quanto un paio di jeans attillati o una t-shirt che lascia scoperto l’ombelico. Anche tutto il resto dell’acconciatura (la pettinatura, il trucco ) gioca il suo ruolo. È probabile che, per tutto questo vostro abbigliamento esteriore, un uomo provi un sentimento completamente diverso da quello che voi (speriamo) avete previsto. Per questo, per favore, fate attenzione al vostro abbigliamento. Pensateci bene: gli istinti sessuali dell’uomo sono risvegliati per mezzo degli occhi. L’abbigliamento deve essere decente e non sexy (1 Ti: 2:9).
2 – La donna ha un cuore astuto: questo vuol dire che non è onesta, le sue intenzioni sono malvagie, ma non le importa niente. (Giovani) sorelle avete ben chiaro quale impatto ha il vostro comportamento su un (giovane) uomo? Agite in maniera chiara e onesta fra voi? Non si tratta di comportarsi in modo fastidioso e artificiale, ma è importante che l’altro capisca il contesto in cui si trova. Il fatto di fare la commedia quando ci si incontra fra giovani, ragazze e ragazzi, è sempre dannoso. Comportatevi come siete realmente. È soprattutto quando i giovani dei due sessi sono insieme che si può osservare come, le ragazze in particolare, si comportino in maniera artificiale – e questo principalmente per attirare le attenzioni dei ragazzi su se stesse.
3 – La donna è turbolenta e proterva: non c’è nessuna traccia di vero amore; in questa storia non ha alcun ruolo; si tratta solo di passione e di soddisfare delle pulsioni. Niente di più. Il mondo dei sentimenti è messo davanti e questo è sempre un contesto propizio per una avventura sessuale nella quale il vero amore non gioca nessun ruolo. “L’amore non si comporta in modo sconveniente” (1 Co. 13:5).
4 – I suoi piedi non dimorano nella sua casa, è sempre qua la in agguato ad ogni angolo: qui vediamo nuovamente una donna che cerca di sedurre degli uomini e anche su questo soggetto vorrei mettervi in guardia. Ci sono sorelle che vivono nel terrore di restare sole per tutta la vita. Siete forse avanti negli anni e, mentre le vostre amiche sono fidanzate o sposate, voi siete sole.
Allora pensate, ad ogni costo e con ogni mezzo, di trovare assolutamente un marito; il desiderio di avere un marito è molto comprensibile. Malgrado tutto, lasciate il vostro Signore mostrarvi il marito che fa per voi. Se vi attivate da voi stesse per “trovare” un marito, la possibilità che cadiate su quello sbagliato è molto grande. Riguardo a questo soggetto vi sono numerosi esempi da cui dovremmo trarre delle buone lezioni.
5 – Essa lo prende e lo bacia: il contatto affettuoso di una donna ( particolarmente quello che stimola sessualmente) – ed il bacio ne fa senza dubbio parte – fa scattare nell’uomo certe reazioni. L’eruzione sul vulcano inizia. La donna di proverbi 7 aveva certamente ben calcolato questa reazione. Dopo tutto, essa voleva assolutamente fare sesso con il giovane ed è andata diritta allo scopo. Questa reazione può, tuttavia, essere provocata inconsciamente ed è per questo che vorrei pregare con insistenza le (giovani) sorelle a fare attenzione con i (giovani) ragazzi. Certamente vi è contatto e contatto, bacio e bacio, tuttavia le sorelle dovrebbero essere prudenti e pensare al fatto che possono rapidamente fare scattare nell’uomo qualche cosa che non era assolutamente nelle loro intenzioni.
6 – Gli parla sfacciatamente: Non c’è niente da eccepire sul fatto che ragazzi e ragazze abbiano dei contatti e parlino fra loro, ma il problema rimane: quali contatti abbiamo gli uni con gli altri e in che modo e di cosa parliamo? La donna di Proverbi 7 porta il giovane all’immoralità con le sue parole: presenta l’occasione in modo tale che il giovane vada con lei. Cari giovani, per favore, fate attenzione alle amicizie che frequentate, al modo in cui parlate e ai soggetti sui quali v’intrattenete. Evitate allusioni che non possono che provocare dei guai (questo vale tanto per gli uomini quanto per le donne) e a questo riguardo vorrei attirare l’attenzione sul particolare pericolo della comunicazione via SMS (o e-mail) fra uomini e donne non sposati. Nessuno vede, nessuno sa niente; un SMS (o una e-mail) si fa presto a scriverla. All’inizio i testi possono essere del tutto innocui, in seguito diventeranno sempre più ambigui. Dopo tutto, in un certo senso si è “anonimi”; non ci si vede e ci sentiamo per questo protetti. Per questo possiamo comunicare in maniera che non ci permetteremmo di fare (probabilmente) a viva voce. I testi diventano sempre più “sfacciati”, e alla fine? Prima che uno se ne accorga, si crea una relazione anche non voluta.
7 – Essa lo seduce e lo travia: Tutto il comportamento e le parole della donna riescono finalmente a raggiungere lo scopo che si era prefissa: portare in breve tempo il giovane alla sua rovina. Ancora una volta: la responsabilità dell’uomo è completa, ma resta anche la responsabilità della donna. Nessuno può gettare la colpa sull’altro; se si arriva all’adulterio (o anche meno lontano), tutte e due (uomo e donna) ne portano, come regola generale, la responsabilità.
Il cammino della protezione.
Come abbiamo fatto nella lezione precedente, ora, vorremmo porci la seguente domanda: quale sistema di protezione esiste per le (giovani) sorelle? La Parola di Dio, nuovamente, non ci lascia senza risorse. Con l’aiuto dell’esempio di Rebecca, in Genesi 24, vorrei dare tre consigli alle sorelle. Rebecca significa “attraente” o “seducente”; quale donna non vorrebbe essere così? Ma Rebecca non ha cercato di mettere in mostra il suo fascino, non cerca di “sedurre”: Senza dubbio era bella ma sono i suoi valori interiori che la rendono veramente attraente. È il suo comportamento che ha fatto sì che diventasse la moglie di Isacco. Era discreta e prudente e per questo Dio l’ha benedetta. Sarebbe bene leggere prima di tutto Genesi 24 versetti 10 a 25.
1 – Rebecca aveva comunione con quelle che attingevano l’acqua: Rebecca è venuta con le amiche, al tramonto, ad attingere l’acqua dal pozzo ed è precisamente qui che fa l’incontro decisivo con il servitore di Abraamo, che cercava una moglie per suo figlio Isacco. Vi è una benedizione particolare a ricercare la comunione di coloro che hanno il loro interesse rivolto alla Parola di Dio, di cui ci parla l’acqua del pozzo. Le amicizie hanno un’influenza decisiva sul fatto che una (giovane) donna sia difesa o no nella sua purezza.
Ricercate la comunione con quanti invocano il Signore di cuore pure (2 Ti. 2:22). Ricercare la comunione di giovani sorelle con le quali potete leggere la Bibbia e anche pregare: questo vale cento volte di più che frequentare degli amici del mondo, che non possono che attirarvi verso il basso, perché il loro modo di pensare è del tutto diverso dal vostro. Paolo ci ricorda quello che ci caratterizzava prima della nostra conversione: “Nel numero dei quali anche noi tutti vivevamo un tempo, secondo i desideri della nostra carne, ubbidendo alle voglie della carne e dei nostri pensieri; ed eravamo per natura figli d’ira, come gli altri “ (Ef. 2:3). Questo cammino (condotta, amicizie) è divenuto ora un altro cammino.
2 – Rebecca porta una brocca d’acqua sulla sua spalla: la brocca d’acqua è senza alcun dubbio una figura della Parola di Dio; Rebecca vi attinge per se stessa. La comunione con i credenti è importante, ma quello che più conta è che ciascuno di noi abbia una relazione personale con la Parola di Dio. Non possiamo essere guardati dai pericoli dei nostri tempi (e anche dalle tentazioni morali) se non troviamo forza ogni giorno nella Parola di Dio. La lettura giornaliera della Bibbia (e la preghiera) sono indispensabili per essere preservati dalle cadute. Per questo non posso che incoraggiare ognuno a leggere regolarmente la Bibbia. Se è detto del giovane uomo, nel salmo 119:9 che egli renderà la sua via pura prendendovi guardia secondo la parola di Dio, questo è anche vero per voi, sorelle. Ricercate anche delle occasioni per ascoltare la Parola di Dio insieme ad altri: in primo luogo le riunioni dell’assemblea, ma possono essere ugualmente delle conferenze, degli studi biblici, incontri per giovani ecc.
3 – Rebecca era pronta a servire: Rebecca non era una figlia viziata. Il servitore di Abraamo si rende conto rapidamente di non avere davanti la figlia viziata di un ricco proprietario terriero che non voleva sporcarsi le mani, Rebecca era, anzi, servizievole, pronta ad aiutare, ospitale e queste sono delle qualità dalle quali possiamo imparare. Care (giovani) sorelle: cercate per voi stesse dei compiti da svolgere in mezzo al popolo di Dio e nell’opera del Signore; c’è tanto da fare! Chi cerca dei servizi da fare troverà un gran campo di lavoro davanti a sé. Il lavoro per il Signore vi preserverà dal fare come la donna di Proverbi 7, che passeggiava per le strade per vedere se poteva far cadere qualche giovane uomo. Rebecca ha trovato l’uomo che Dio le aveva destinato, svolgendo il suo lavoro. Questo avviene anche oggi.
Il peccato di adulterio si è prodotto in Giuda e Tamar perché non hanno agito con senso di responsabilità. Se il Signore ci ha guardati fino a questo momento, vogliamo e dobbiamo esserGli riconoscenti. Ma i pericoli sono grandi e l’esempio di queste due persone dell’Antico Testamento dovrebbe metterci sufficientemente in guardia per comprendere la nostra responsabilità e comportarci in modo tale che il Signore possa approvare il nostro cammino.
LEZIONE 12
Prestazioni e compensi –
quello che il mondo moderno pretende.
Giuda deve ora fare un’altra dolorosa esperienza, quella che chiunque si lega con il mondo sarà portato ad affrontare: il mondo chiede sempre più di quello che dà. Satana non ci dà niente che non dobbiamo “pagare caro”; Tamar impone le sue pretese e Giuda è pronto ad accettarle. Prima le offre un capretto del suo gregge, ma Tamar pretende di più, vuole avere un pegno e Giuda è pronto a darglielo. Tutto questo ci fornisce un insegnamento che vedremo in questa lezione. Dio ci mette in guardia contro le alleanze con il mondo; al contrario, i nostri cuori dovrebbero appartenere a Colui che ci ha acquistati a prezzo della Sua vita.
“Dammi” – una sfida.
Nessuno fra noi deve farsi delle illusioni: il legame con questo mondo ha il suo prezzo. Satana, il principe di questo mondo, non dà mai niente per niente e il suo prezzo è sempre alto: vuole averci tutti per sé! Quando Abraamo ha liberato suo nipote Lot sentiamo il Re di Sodoma dire: “Dammi le persone” (Ge. 24:21); è il linguaggio del Diavolo ancora oggi: “Dammi …” Questa è anche la richiesta che Tamar fa: “Che mi darai per venire da me?” Ci rendiamo conto della serietà di questa domanda “che cosa mi darai?” Cari (giovani) amici imprimetela bene nei vostri cuori: il mondo non dà mai gratuitamente; il legame con il mondo ha il suo prezzo. Non si ottiene l’amicizia del mondo senza pagare. Satana chiede, vuole qualche cosa per sé, egli vuole tutto per sé e prima di tutto vuole te. Se sei un figlio di Dio allora vorrà, quanto meno, evitare che tu viva in felice comunione con il Signore e che tu Lo serva.
Dall’altro lato sta il tuo Salvatore che ti chiede: “Mi ami tu?” (Gv. 21:26) Egli cerca, da parte mia e tua, un sincero attaccamento a Lui: “Figlio mio (figlia mia) dammi il tuo cuore” (Pr. 23:26). Sentiamo questo conflitto che si insinua in noi? Il conflitto nel quale viviamo ogni giorno? Da un lato il mondo che ci attrae con le sue richieste; dall’altro il nostra Signore e Salvatore con il desiderio che ci rimettiamo completamente a Lui. Quale voce vogliamo ascoltare? Per chi decideremo? A chi appartiene il nostro cuore? Sprecheremo le nostre forze nei brevi e temporanei piaceri per trovarci alla fine a mani vuote? Oppure diciamo come Amasai, uno degli uomini valorosi di Davide: “ Noi siamo tuoi o Davide e siamo con te, figlio di Isai” (1 Cr. 12:19)? Egli aveva preso la sua decisione una volta per tutte: voleva vivere soltanto con Davide. Non possiamo vivere con i piedi in due staffe: o da una parte o dall’altra; sia che stiamo dalla parte di Satana e amiamo il mondo, sia che stiamo dalla parte di Colui che ci ha amati e ha dato Se stesso per noi.
La fine della gioia è il dolore.
Più di una persona ha dovuto sperimentare che “la gioia può finire in dolore” (Pr. 14:13). Quello che era all’inizio così promettente si rivela, alla fine, una bolla di sapone multicolore che scoppia di colpo. Cosa sarà passato nella mente di Lot quando ha visto la fertile pianura di Sodoma danti a lui? Quanto gli è dovuta sembrare desiderabile per pascervi i suoi greggi! Cosa avrà pensato avvicinandosi a Sodoma? Una città con tutto quello che poteva offrire a lui e alla sua famiglia; e alla fine? Alla fine si è trovato con le mani vuote; non gli è rimasto niente, assolutamente niente; a mala pena ha salvato la propria vita. Tutto quello che aveva ammassato è bruciato nelle fiamme del giudizio divino su Sodoma. In una oscura caverna, inoltre, si è lasciato sedurre dalle proprie figlie cedendo al peccato e all’immoralità.
Che cosa ha goduto il figliol prodigo? L’illusione è stata breve e il rimpianto amaro. Dopo avere pienamente gioito delle gioie di questo mondo e dilapidato le ricchezze di suo padre, ha dovuto brutalmente scontrarsi con la realtà. La realtà è terribilmente dura: eccolo tutto ad un tratto seduto fra i porci, lui che era un figlio di buona famiglia; risuonano le parole sconvolgenti: “… e nessuno gli dava niente” (Lu. 15:16): Tale è la fine del cammino che porta nel mondo; fine riservata anche a noi se cadiamo nel laccio delle seduzione del Diavolo. Finché abbiamo qualche cosa da dare al mondo, esso ce lo chiede; quando non abbiamo più niente, ci lascia cadere come una vecchia scarpa. Quando ci troveremo nel bisogno, non aspettiamoci di ricevere qualche cosa da nessuno.
Un esempio.
C’era un uomo nel vigore degli anni, felice del suo matrimonio, con dei figli in buona salute e premiato dal successo sul piano professionale; la sua grande passione: la musica. Mancava difficilmente ad una manifestazione importante e, anche quando sua moglie era all’ospedale per partorire il suo primogenito, egli si trovava da qualche parte ad un festival musicale. La musica sembrava essere la cosa più importante per lui, una vita per la musica. A più riprese, sua madre credente l’aveva seriamente avvertito raccomandandogli di dare delle buone priorità alla sua vita e, prima di tutto, di mettere in ordine il suo rapporto con Dio. Invano, la musica era più importante per lui di tutto il resto.
Allora Dio intervenne. Era in viaggio, sotto una pioggia scrosciante, per andare ad un grande festival del rock quando, per la velocità eccessiva, la sua vettura ha sbandato e si è capovolta più volte. Per miracolo non è rimasto ferito. Che fortuna! Soltanto la vettura distrutta. Ha ignorato l’avvertimento di Dio. Qualche tempo dopo sua madre muore e davanti alla tomba gli sembra di udire la sua voce che l’avverte: “Figlio mio, non vuoi fare una conversione e cambiare la tua vita?” Le lacrime gli scendevano sul viso, sapeva che la madre aveva ragione, ma fu un altro falso proposito: l’emozione svanì ben presto; era di nuovo totalmente preso dalla seduzione della musica.
Dio non lo ha lasciato andare, ha messo ancora un altro cartello di avvertimento sul suo cammino: una grave malattia. Soggiorno in ospedale, la morte davanti agli occhi; la diagnosi era chiara, i medici non gli lasciavano nessuna speranza. Ora nessuno poteva aiutarlo.
I suoi amici della cerchia musicale dove erano? Nessuno veniva a trovarlo, viveva la stessa esperienza del figliol prodigo “nessuno gli dava niente”! Intanto Dio lavorava nel suo cuore.
Nel cuore di quest’uomo inizia un combattimento interiore che egli cerca di vincere con le proprie forze, ma più combatte più si rende conto che può soltanto perdere la battaglia. Quando Dio pone chiaramente l’eternità davanti a lui, la passione per la musica si spegne; la linea stereo della sua camera d’ospedale resta di colpo muta. Rimane solo la domanda di centrale importanza: “Dove passerò l’eternità? Cosa avviene dopo la morte?” Questo pensiero non lo abbandona più.
Allora prende una buona risoluzione: “se soltanto guarissi, allora …” Dio lo guarisce e va anche oltre. Egli non si è fermato, come purtroppo accade spesso, alle buone intenzioni; ha veramente chiuso con la sua vita per il mondo e ha iniziato una vita con Dio. Rimessa la sua vita e il suo cuore al Salvatore del mondo, non ha mai più rimpianto questa decisione. Oggi è un operaio utile per il suo Signore.
Un capretto.
Giuda era pronto a dare a Tamar un capretto, secondo la sua richiesta. La menzione di un capro ci ricorda che suo padre Giacobbe aveva anche lui ingannato suo nonno Isacco. Non era forse con un capretto che Giuda stesso, con i suoi fratelli, aveva ingannato suo padre? Questi cupi ricordi non sarebbero dovuti venire in mente a Giuda? “Essi presero la veste di Giuseppe, scannarono un becco e intinsero la veste nel sangue” (Ge. 37:31). La sua coscienza si era veramente così indurita? Non aveva nessun rimorso della sua passata colpevolezza? Non lo sappiamo, ma siamo tentati di credere che Giuda fosse insensibile. Si, il peccato indurisce e conformasi al mondo rende insensibili.
Vorrei ancora legare a questo soggetto un altro pensiero: il capro era un animale che si poteva portare a Dio per il sacrificio; Giuda ha preso quello che avrebbe potuto offrire a Dio per darlo ad una donna che per lui era (ancora) sconosciuta.
Che cosa è che Dio ha messo nelle tue e nelle mie mani? Che uso ne facciamo? Somigliamo al giovane di Luca 15 che ha chiesto a suo padre la parte dell’eredità per dilapidarla in questo mondo? Come sono diverse le parole di Davide, che era un uomo secondo il cuore di Dio. Dio lo aveva benedetto riccamente ed è per questa ragione che il proponimento di Davide era di rendere a Dio quello che Egli gli aveva dato: “Poiché chi sono io, e chi è il mio popolo, che siamo in grado di offrirti volenterosamente così tanto? Poiché tutto viene da te; e noi ti abbiamo dato quello che dalla tua mano abbiamo ricevuto” (1 Cr. 29:14). Non dobbiamo dare al mondo quello che Dio ci dà, ma possiamo renderlo a Lui. È ciò che Paolo pensa quando scrive ai Romani: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo … “ (Ro. 12:1-2). Il diavolo avrebbe molto piacere che mettessimo a sua disposizione le nostre capacità, i nostri beni, il nostro tempo, il nostro danaro ecc. e che dilapidassimo tutto in questo mondo, ma vi è qualcun altro che – a giusto titolo – reclama tutto per sé: il nostro Signore e Salvatore. “Figlio mio dammi il tuo cuore.
Vorrei chiedere ancora un volta: “Che cosa è che Dio ha messo nelle tue e nelle mie mani?” In primo luogo, penso ora alle qualità naturali a alle doti di cui Dio si serve quando ci assegna dei compiti spirituali. Non hai anche tu delle qualità particolari? Mettile al servizio del Signore! Sei una persona particolarmente coraggiosa? Confessa il tuo Signore e testimonia apertamente per Lui. Sai parlare bene? Impiega questo dono nel regno di Dio. Sei particolarmente perseverante? Utilizza questa capacità per Dio. Ti ha dato molto tempo? Utilizzalo per l’opera del Signore. Hai una memoria particolarmente buona? Sei portato per le lingue? Il Signore ti ha dato delle ricchezze? Sei portato per un buon approccio con i giovani? Sai insegnare bene? La lista di queste domande potrebbe essere allungata a volontà. Il Signore ha dato ad ognuno di noi qualche dote, che possiamo utilizzare per Lui. Non dobbiamo per questo essere fieri di noi stessi ed inorgoglirci, al contrario, ricordiamoci che questi sono doni del nostro Signore e che appartengono a Lui.
Morti al mondo.
William Kelly (1821 – 1906) era un commentatore inglese della Bibbia, che aveva un dono particolare per le lingue antiche. Tuttavia quest’uomo estremamente dotato è sempre rimasto modesto e umile durante tutta la vita; sapeva per chi doveva usare le sue capacità.
Un giorno uno dei suoi professori di Dublino, parlando con lui, gli disse che avrebbe potuto fare carriera in questo mondo e guadagnare una fortuna con il suo sapere. Kelly non ha avuto bisogno di riflettere molto su questo e ha semplicemente risposto: “Per quale mondo?” e così ha chiarito subito la questione.
Per Paolo era la stessa cosa. La croce del Signore Gesù tracciava per lui una linea di separazione chiara e definitiva fra lui e il mondo; egli scrive ai Galati: “Ma quanto a me, non sia mai che io mi vanti di altro che della croce del nostro Signore Gesù Cristo, mediante la quale il mondo, per me, è stato crocifisso e io sono stato crocifisso per il mondo” (Ga. 6:14). Da questo versetto impariamo che la croce del nostro Salvatore esercita un doppio effetto sulla nostra relazione con questo mondo:
- Primo: Il mondo è crocifisso per il cristiano. Egli non può aspettarsi niente dal mondo, perché non ha niente da offrirgli che possa essere utile alla nostra vita spirituale.
- Secondo: I cristiani sono crocifissi al mondo. Il mondo non può chiedere niente ai credenti. Chi vive in maniera coerente, vicino a Colui che è stato crocifisso, non ha nessun valore per il mondo.
Se vogliamo conoscere il vero carattere di questo mondo, dobbiamo tornare con i nostri pensieri al Golgota; è là che vediamo quello che il mondo pensa del nostra Signore e Salvatore Gesù Cristo. Più frequentemente vi penseremo, più la nostra relazione con questo mondo sarà diretta sulla buona strada.
Una richiesta supplementare.
Tamar non si accontenta di quello che Giuda vuole darle, chiede di più, chiede un pegno. Non è affatto sicura che Giuda manterrà la sua promessa; per questo essa vuole qualche cosa di più e Giuda è pronto ad esaudirla chiedendo addirittura: “che pegno ti darò?”. Egli è pronto a darsi interamente a questa donna. Quanti cristiani assomigliano a Giuda e sono pronti a darsi interamente alle cose di questo mondo.
Tamar non esita un istante ad esporre le sue esigenze; vuole tre cose da Giuda: il suo sigillo, il suo cordone e il suo bastone. Possiamo – con la prudenza che si richiede – applicare il linguaggio figurativo al nostro tempo. Si tratta di cose che caratterizzano un cristiano, ma che il mondo ci toglie quando facciamo alleanza con lui.
1 – Il sigillo. A più riprese, nella Bibbia, il sigillo (o anello) parla in modo simbolico della rivendicazione della proprietà; si indicava la proprietà con un sigillo; ma l’anello è anche un simbolo della fedeltà. Queste due cose non avevano, per Giuda, nessuna importanza; voleva soddisfare il suo desiderio e quello che sarebbe avvenuto del suo sigillo lo lasciava indifferente. La fedeltà era un carattere che non aveva un gran valore per lui.
Noi cristiani sappiamo a chi apparteniamo? Paolo scrive ai Corinzi: “Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete ricevuto da Dio? Quindi non appartenete a voi stessi” (1 Co. 6:19). Cristo ci ha comprati pagando un prezzo molto alto: il prezzo del Suo sangue, e questo ci parla della Sua morte. Noi, ora, apparteniamo a Lui, l’Uomo dei dolori. Come potremmo dunque consegnarci al mondo? Eppure l’esempio di Giuda ci mostra che questo è possibile e, d’altronde, non c’è alternativa: o noi siamo – per quanto riguarda la nostra vita pratica – dalla parte del mondo oppure siamo dalla parte del nostro Signore.
Cosa ne è della fedeltà? Il Nuovo Testamento paragona la nostra relazione con il Signore Gesù alla relazione di uno sposo con la sua sposa (2 Co. 11:2). Cosa dovrebbe pensare un marito vedendo la sua sposa fare la civetta con un altro uomo o anche impegnarsi con una relazione con lui? Che cosa deve pensare il nostro Signore e Salvatore quando facciamo alleanza con il mondo?
2 – Il cordone. Interpretare questo simbolo non è facile. Supponendo che il cordone ci faccia pensare ad una specie di cintura, possiamo metterlo in parallelo a due espressioni di Pietro e Paolo nel Nuovo Testamento. Pietro scrive: “Perciò, dopo aver cinto i fianchi della vostra mente, state sobri” (1 Pi. 1:13); Paolo ci ricorda, ancora, che dobbiamo avere i nostri fianchi cinti dalla verità (Ef. 6:14). I fianchi sono la sede della nostra forza ed è per questo che nella Bibbia essi sono visti, talvolta, come una figura della forza spirituale che dovrebbe caratterizzare il credente. Mischiarsi con il mondo ha sempre come conseguenza di farci perdere la nostra forza spirituale. Abbiamo bisogno di questa forza per combattere per il Signore, ma colui che si allea con il mondo è inutilizzabile per questo combattimento. Lo vediamo chiaramente nella storia di Abraamo e Lot: Abraamo viveva separato da questo mondo e possedeva la forza necessaria a combattere le battaglie del suo Dio. Lot si era stabilito a Sodoma e non aveva questa forza, al contrario ha avuto bisogno dell’aiuto dello zio quando è stato fatto prigioniero. A chi appartiene la nostra forza? Al Signore oppure al mondo?
3 – Il bastone. Il bastone è, in più di un passo della Bibbia, una figura del fatto che non abbiamo una residenza, in questo mondo, ma siamo “soltanto ospiti”. In tempi non lontani si parlava volentieri del “carattere di pellegrini” dei credenti e anche se queste parole sembrano, oggi, un po’ fuori moda e inusuali, esprimono molto bene il concetto. Dio vorrebbe che, attraverso il nostro comportamento, si vedesse che non siamo di questo mondo; i cristiano dovrebbero comportarsi in modo del tutto diverso. Se noi, invece, ci troviamo bene nel mondo, non si vedrà più nessuna differenza e tutti penseranno allora che non siamo diversi dalla gente comune.
Un giovane credente, mentre faceva il servizio militare, durante il week-end incontrò uno zio credente che gli chiese come i suoi commilitoni avessero reagito al fatto che egli era un cristiano convinto. “Sai, gli rispose il giovane un po’ impacciato, non hanno avuto nessuna reazione: infatti non si sono nemmeno accorti che sono un credente”. La risposta era onesta, anche se del tutto insoddisfacente. Il mondo ha il diritto di sapere per chi noi viviamo.
L’esempio di Sansone.
Abbiamo già parlato a più riprese dell’esempio di Sansone, ma poiché è un esempio particolarmente istruttivo per questo soggetto, vorremmo considerare quest’uomo un po’ più da vicino.
Sansone era un giudice di Israele; Dio lo aveva dotato di capacità eccezionali e fino dalla sua nascita doveva essere un “nazireo a Dio”. Un nazireo era un uomo che doveva essere interamente consacrato al suo Dio. Dio aveva dato a Sansone una forza eccezionale, che doveva usare in favore del suo popolo. Il segno esteriore della sua consacrazione a Dio – e nello stesso tempo il segreto della sua forza eccezionale – erano i suoi lunghi capelli.
Cosa fa Sansone? Invece di combattere risolutamente le battaglie dell’Eterno e sconfiggere i Filistei – i nemici del popolo di Dio – ricerca continuamente la loro compagnia; si comporta in modo ambiguo. Ora combatte le battaglie di Dio, ora si lega in amicizia con i nemici. Giudici 16 ci racconta una triste storia: l’eroe della fede viene meno, il vincitore diventa perdente. Nel paese dei Filistei c’era una donna di nome Dalila e i nemici se ne sono serviti come esca per far cadere Sansone. È stata usata in maniera astuta e non c’è voluto molto tempo perché l’uomo forte diventasse debole sulle ginocchia di questa donna seducente. Certamente Sansone pensava ancora di avere il “gioco” ben saldo nelle sue mani, ha ingannato Dalila diverse volte, ma la donna era assai tenace e furba, sapeva bene come usare le armi della sua femminilità. Ben presto Sansone soccombe al fascino di questa Filistea, probabilmente molto attraente. Lui, che era succube della propria concupiscenza, ha svelato imprudentemente il segreto della sua forza; allora non c’è voluto molto per tagliare le sette trecce dalla testa di Sansone.
Come Giuda, anche Sansone si è abbandonato all’ebbrezza del desiderio sessuale e ha perso tutto quello che aveva. Entrando nei dettagli, possiamo vedere quanto questo gli è costato:
1 – La sua consacrazione a Dio: Essendo nazireo gli era vietato di tagliarsi i capelli, che erano il simbolo esteriore dell’appartenenza a Dio. La consacrazione e la devozione per il suo Dio sono ora perduti.
2 – La sua forza: il segreto della sua forza stava nei capelli e, perduta quella, Sansone era debole come ogni altro uomo. Diventa così facile per i Filistei legarlo e imprigionarlo.
3 – La sua vista: i Filistei gli hanno cavato gli occhi. Ormai Sansone era cieco e non poteva vedere più niente, tenebre profonde lo hanno avvolto fino al giorno della sua morte.
4 – Il suo segreto: il segreto di Sansone, da quel momento in avanti, non era più tale. Quello che aveva condiviso intimamente con il suo Dio ora era divenuto palese: i Filistei gli avevano tolto il suo segreto.
Tutto questo è istruttivo per noi. Non culliamoci nell’illusione: se andiamo verso il mondo, se ci consegniamo al mondo, perdiamo la nostra consacrazione a Dio, il servizio e l’attaccamento a Lui non sono più possibili. Perdiamo ogni energia e forza spirituale, il combattimento per il vangelo diviene impossibile e non possiamo più combattere “per la fede una volta insegnata ai santi”. Perdiamo ogni discernimento spirituale e diveniamo ciechi. Alla fine, anche noi abbiamo un “segreto” che non possiamo abbandonare. A proposito di questo Davide scrive: “Il segreto (le intime comunioni) dell’Eterno è rivelato a coloro che lo temono, Egli fa loro conoscere il suo patto” (Sa. 25:14). Perdiamo questa intimità con Dio quando corriamo dietro alle seduzioni di questo mondo. Il mondo ci prende tutto; lo impariamo da Giuda, lo vediamo in Sansone abbiamo veramente bisogno di fare anche noi quest’esperienza?
Ma c’è dell’altro: Sansone non era il solo ad aver subito una grande perdita, anche il popolo di Dio ha perso molto: un giudice e un liberatore. Dobbiamo imprimere nel profondo del nostro cuore questo pensiero: quando il desiderio del mondo domina la nostra vita, non perdiamo qualche cosa solo noi, anche il popolo di Dio subisce una perdita. Caro (giovane) fratello, cara (giovane) sorella: Dio vuole utilizzarti per la benedizione ed il profitto del suo popolo, ma se seguiamo le seduzioni di questo mondo non facciamo un torto solo a noi stessi, lo facciamo anche ai nostri fratelli e sorelle in Cristo.[19]
[19] È soltanto per l’infinita grazia di Dio che questo giudice in Israele ha potuto riportare una grande vittoria alla fine della sua vita. Nella sua morte Sansone ha vinto più nemici che in tutta la sua vita ma ha dovuto pagare con la sua vita questa immensa vittoria. Il fatto che per questo egli è un tipo del nostro Signore, che con la sua morte ha reso impotente colui che aveva il potere della morte, è un’ulteriore prova della grazia infinitamente grande di Dio.
LEZIONE 13
Il bruscolo e la trave –
Una percezione deformata della realtà
In questa lezione vedremo cosa significa avere una percezione della realtà deformata. Giuda non era soltanto una persona cattiva e malvagia, era anche un perfetto ipocrita. Non voleva diventare lo zimbello delle persone di Timna, preferiva rinunciare alle cose che aveva dato in pegno a Tamar. Ha accusato Tamar benché egli si fosse reso colpevole dello stesso peccato di lei. Giuda ha visto bene il bruscolo nell’occhio di sua nuora ma non fa caso alla trave che si trova nel suo occhio. Le accuse unilaterali sono un grande problema nella vita del cristiano. Questo è quello che ora andiamo a vedere.
Ipocrisia.
Come aveva convenuto, Giuda ha voluto dare il capretto alla donna per riavere il suo pegno, ma non è andato lui stesso, ha mandato il suo amico Chira, l’Adullamita, e poiché questi non ha trovato la donna, Giuda ha rapidamente dimenticato la storia. Ha accettato con leggerezza la perdita del suo sigillo, del suo cordone e del suo bastone con la semplice argomentazione: “ … non esponiamoci agli scherni”. La buona reputazione davanti agli uomini sembra essere più importante per lui che recuperare i beni che aveva lasciato nelle mani della donna.
Giuda faceva attenzione ala sua immagine, vegliava sulla sua “buona” reputazione, non voleva essere visto come qualcuno che cercava una donna per pagarla come una prostituta. Nessuno aveva bisogno di sapere i suoi affari, e il fatto di mandare Chira ci mostra anche che non voleva essere identificato.
Non ci riconosciamo forse anche noi nel modo di agire di Giuda? Non ci tiriamo indietro davanti al peccato, non ci tiriamo indietro davanti al legame interiore con il mondo, tuttavia vorremmo salvare le apparenze intorno a noi. Non è necessario che tutti sappiano quale è la nostra situazione e soprattutto, non vorremmo far parlare di noi stessi.
La Bibbia chiama un tale comportamento ipocrisia: la simulazione di fatti bugiardi. Esteriormente tutto sembra in ordine, ma la realtà è ben diversa. Il peccato di ipocrisia è denunciato in maniera chiara nel Nuovo Testamento; il Signore stesso ne ha parlato a più riprese nei suoi discorsi con i Farisei:
- Matteo 6:16 “Quando digiunate, non abbiate un aspetto malinconico come gli ipocriti; poiché essi si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. Io vi dico in verità: questo è il premio che ne hanno”.
- Matteo 23:25 “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, mentre dentro sono pieni di rapina e d’intemperanza”.
- Matteo 23: 27-28 “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché siete simili a sepolcri imbiancati, che appaiono belli di fuori, ma dentro sono pieni d’ossa di morti e d’ogni immondizia Così anche voi, di fuori sembrate giusti alla gente; ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità”.
- Marco 7: 6 “E Gesù disse loro: «Ben profetizzò Isaia di voi, ipocriti, com’è scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me”.
Anche nelle epistole siamo messi in guardia contro il peccato di ipocrisia: “ Sbarazzatevi di ogni cattiveria, di ogni frode e dell’ipocrisia …” (1 Pi. 2:1). Il Signore Gesù non vuole che noi appariamo esteriormente quello che non siamo interiormente. Non dobbiamo preoccuparci del modo in cui gli uomini ci vedono, quello che è importante è come Dio ci vede. Possiamo far credere qualsiasi cosa agli uomini, ma non possiamo ingannare Dio; Egli vede direttamente nel nostro cuore, conosce i motivi e le ragioni del nostro modo di agire.
Mettiamo alla prova noi stessi. Come ci comportiamo noi? La Domenica siamo in abito impeccabile in messo ai credenti? Abbiamo una presenza fedele e costante alle riunioni? Partecipiamo a tutte le attività dell’assemblea? Può darsi che rispondiamo affermativamente a tutte queste domande, ma che ne è dal lunedì mattina al venerdì sera? A scuola? Al lavoro? Durante il nostro tempo libero? Viviamo secondo i principi del mondo? Prima di tutto una bella festa il venerdì o il sabato sera? Discoteca? Cinema? Bistrot? Stadio? E poi alla Domenica di nuovo alle riunioni sperando che nessuno si accorga di niente. Questa è una doppia vita che, forse, possiamo fare per qualche tempo, senza che gli altri se ne rendano conto… ma vi è Uno davanti a cui niente può essere nascosto: il nostro Signore. Egli vuole che viviamo interamente per Lui e non soltanto a metà; una vita a metà per il Signore è, a dire il vero, una vita interamente per il mondo.
Lo spirito farisaico.
Il pericolo di diventare, nel nostro comportamento pratico, come i farisei è per noi molto grande anche se siamo cresciuti in una famiglia cristiana. Forse abbiamo imparato fin da piccoli a comportarci in modo adeguato ad un entourage cristiano. I nostri genitori ci hanno insegnato a comportarci correttamente; coloro che hanno o hanno avuto dei genitori credenti possono soltanto esserne profondamente riconoscenti al Signore. È una buona cosa avere imparato a condurre una vita “cristiana”, a leggere la Bibbia regolarmente, a pregare, a seguire le riunioni e quant’altro. Possiamo essere molto riconoscenti se non abbiamo conosciuto il mondo in tutta la sua corruzione morale e la sua contaminazione.
Tuttavia il pericolo che noi attribuiamo troppa importanza agli aspetti esteriore della vita del credente è grande. Il giardino davanti alla casa è in ordine, ma il tutto non si ferma qui. Il Signore Gesù vuole averci completamente per Sé; vuole il nostro cuore. Il rimprovero seguente è stato fatto ai credenti di Laodicea: “Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente. Oh, fossi tu pur freddo o fervente! Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente, io ti vomiterò dalla mia bocca” (Ap. 3:15-16). Un cristianesimo tiepido ripugna al nostro Signore, Egli vuole dei cuori ardenti, che battano per Lui; non è sufficiente essere esteriormente dei credenti irreprensibili, quando nel segreto del nostro cuore viviamo per il mondo.
Per questo è di grande importanza per i genitori credenti non educare i loro figli come dei piccoli “farisei”; la cosa più importante è che sia preservata una apparenza di pietà. Per favore non sia così! All’inizio l’educazione dovrebbe essere data in modo tale che i nostri figli abbiano una relazione vivente e intima con il Signore Gesù. Che anche l’esteriorità abbia la sua importanza è evidente, ma l’esteriore deve essere il riflesso dello stato interiore e non soltanto una facciata. Non a caso il Signore mette in guardia i suoi discepoli contro il lievito dei farisei: “Guardatevi dal lievito dei farisei che è ipocrisia” (Lu. 12:1 comp. Mt. 16:6,11 e Mr. 8:15).
La giustizia personale e le accuse.
In Giuda non si manifesta soltanto il peccato d’ipocrisia ma anche quello della giustizia personale. Il suo rapporto sessuale con Tamar non è rimasto senza conseguenze perché la cosa è stata scoperta: Tamar è rimasta incinta e Giuda lo ha saputo. Senza sapere chi era stato a metterla in quella condizione, non ha esitato un attimo ad emettere il suo giudizio: “Portatela fuori e sia bruciata”. La sua coscienza non avrebbe dovuto parlargli? Non era forse colpevole dello stesso peccato? Non avrebbe, quanto meno, dovuto tacere? Niente di tutto questo. Sul suo peccato aveva passato un colpo di spugna; quella di sua nuora doveva essere punito. Lui stesso voleva sembrare irreprensibile addossando tutta le responsabilità a Tamar, sua nuora, facendola assomigliare alla donna adultera di cui Agur scrive: “Tale è la condotta della donna adultera: essa mangia, si pulisce la bocca, e dice: «Non ho fatto nulla di male!»” (Pr. 30:20).
Già prima, nella storia di Giuda, possiamo vedere questo tratto del suo carattere. Quando aveva perso i suoi due primi figli aveva detto a sua nuora: “«Rimani vedova in casa di tuo padre, finché Sela, mio figlio, sia cresciuto». Perché diceva: «Badiamo che anche egli non muoia come i suoi fratelli»” Questo mostra nella stessa maniera la sua ipocrisia ed il suo senso, tutto personale, della giustizia. I due figli erano responsabili della loro morte; Er e Onan erano malvagi agli occhi dell’Eterno e per questo dovevano morire. Giuda imputa, seppure in modo indiretto, tutta la colpa alla nuora, le sue parole esprimevano qualche cosa di diverso, ma il suo comportamento mostra molto bene quello che in realtà pensava; è per questo che il figlio più giovane non è stato dato per marito a Tamar.
Le accuse unilaterali (quanto quelle reciproche) significano la morte delle relazioni umane: nella coppia, nella famiglia e fra fratelli e sorelle. Quando se ne verificano, non nascondiamole ma chiamiamole per nome e non mettiamole addosso agli altri. Chi potrebbe dire di se stesso che non ha una parte di responsabilità in una disputa? Quanti matrimoni (cristiani) naufragano su questo punto! Non ci si intende più, non c’è più niente da dirsi, si diventa estranei l’uno per l’altro. Di chi è la responsabilità? Non c’è dubbio: dell’altro! Veramente?
Questo è esattamente ciò a cui il Signore allude, quando parla della pagliuzza e della trave: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo? O, come potrai tu dire a tuo fratello: “Lascia che io ti tolga dall’occhio la pagliuzza”, mentre la trave è nell’occhio tuo? Ipocrita, togli prima dal tuo occhio la trave, e allora ci vedrai bene per trarre la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello” (Mt. 7:3-5). Quante liti, quanti dolori, quante tragedie potrebbero essere evitate, se soltanto prendessimo più a cuore queste parole.
Grazia.
Cosa ne è allora della colpa dell’altro? Bisogna usare un colpo di spugna? Tamar non era colpevole? Certo che lo era, ma il cammino della grazia non esiste? La grazia non toglie né la colpevolezza, né il peccato ma mostra una via per superare queste cose nel modo giusto. Il Signore Gesù ci ha mostrato la via giusta. L’evangelista Giovanni racconta come gli scribi e i farisei hanno colto una donna in flagrante adulterio: era un peccato per il quale la legge prevedeva la pena di morte. Essi l’hanno portata a Gesù per vedere come avrebbe sistemato questa cosa. Ascoltiamo il brano ispirato della Bibbia:
“Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna colta in adulterio; e, fattala stare in mezzo, gli dissero: «Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. Or Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare tali donne; tu che ne dici?» Dicevano questo per metterlo alla prova, per poterlo accusare. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere con il dito in terra. E, siccome continuavano a interrogarlo, egli, alzato il capo, disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva in terra. Essi, udito ciò, e accusati dalla loro coscienza, uscirono a uno a uno, cominciando dai più vecchi fino agli ultimi; e Gesù fu lasciato solo con la donna che stava là in mezzo. Gesù, alzatosi e non vedendo altri che la donna, le disse: «Donna, dove sono quei tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?» Ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neppure io ti condanno; va’ e non peccare più» (Gv. 8:3-11)
Forse il Signore ha minimizzato il peccato di questa donna? Vi è forse passato sopra? Certamente no; Egli la esorta a non peccare più. Il peccato resta peccato; la colpa resta colpa, nondimeno il Signore agisce in grazia, non condanna la donna. E i suoi accusatori? Toccati dalla parola del Signore hanno dovuto lasciare quel posto gli uni dopo gli altri. “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra”. Caro sposo credente, sei senza peccato? Hai il diritto di gettare una sola pietra contro tua moglie? Cara sposa credente, sei senza peccato? Hai il diritto di gettare una sola pietra contro tuo marito? Caro fratello, cara sorella, sei senza peccato? Hai il diritto di gettare una sola pietra scontro un tuo fratello o una tua sorella in Cristo? Nonostante tutto, quante volte gettiamo delle pietre gli uni contro gli altri nelle nostre relazioni coniugali, famigliari e fra fratelli e sorelle! Ci feriamo reciprocamente e vediamo soltanto il peccato dell’altro. Dovremmo invece manifestare lo spirito di grazia e d’amore che il nostro Signore e Salvatore ha mostrato in tutta la Sua vita. “Soprattutto abbiate amore intenso gli uni per gli altri perché l’amore copre una gran quantità di peccati” (1Pi. 4:8). L’amore non minimizza il peccato e neppure lo toglie ma lo copre; ecco il cammino verso la guarigione e verso una vera relazione cristiana nella coppia, nella famiglia e nelle assemblee.
LEZIONE 14
La confessione di Giuda – La svolta ha inizio.
Fin qui la storia di Giuda sembra essere una spirale che va continuamente verso il basso, ma ora sembra verificarsi un’inversione. Giuda riconosce che sua nuora e più giusta di lui, perché è lui che non gli ha dato suo figlio Sela per marito. La causa preminente di tutto questo misero stato di cose era proprio questa; Tamar non viene bruciata, può portare a termine la sua gravidanza. In questa lezione impareremo, per noi stessi, quanto è importante riconoscere e confessare i nostri errori.
Prove inconfutabili.
Le prove erano inconfutabili. Tamar si era ben preparata per un certo giorno e quando questo arriva essa può presentare le prove: “Mentre la portavano fuori, mandò a dire al suo suocero: «Sono incinta dell’uomo al quale appartengono queste cose». E disse: «Riconosci, ti prego, di chi siano questo sigillo, questo cordone e questo bastone”. Giuda è smascherato in un sol colpo, la sua ipocrisia non gli ha portato nessun beneficio e da questo momento risulta chiaro che egli è colpevole quanto sua nuora. Ora non cerca più di abbellire la sua situazione ma, al contrario, prende la sua responsabilità: “Giuda li riconobbe e disse: «È più giusta di me, perché non l’ho data a mio figlio Sela». Ed egli non ebbe più relazioni con lei” ( 26).
Ci sono volute delle prove schiaccianti e incontestabili per convincere Giuda, che alla fine riconosce per la prima volta la sua responsabilità; questa lo riporta ad un periodo precedente al suo adulterio con Tamar. Giuda riconosce che non era stato giusto non dare a sua nuora il figlio più giovane, Sela, come marito.
Riconoscere la propria colpevolezza.
Riconoscere la propria colpevolezza è il primo passo per la guarigione. Questo è vero per il peccatore come pure per il credente che pecca. Finché ci sforziamo di nascondere la nostra colpa e puntiamo il dito accusatore verso gli altri, il peccato non può essere perdonato. Davide scrive in un salmo ben conosciuto: “Finché ho taciuto, le mie ossa si consumavano tra i lamenti che facevo tutto il giorno. Poiché giorno e notte la tua mano si appesantiva su di me, il mio vigore inaridiva come per arsura d’estate. Davanti a te ho ammesso il mio peccato, non ho taciuto la mia iniquità. Ho detto: «Confesserò le mie trasgressioni al SIGNORE», e tu hai perdonato l’iniquità del mio peccato” (Sa. 32:3-5).
La confessione senza riguardo davanti a Dio e, se necessario, davanti agli uomini è la via verso una vera restaurazione. Giovanni scrive: “Se confessiamo i nostri peccati Egli è fedele e giusto da perdonarci i nostri peccati e purificarci da ogni iniquità” (1 Gv. 1:9).
Confessare senza accusare gli altri.
Giuda sapeva molto bene che Tamar aveva peccato quanto lui ma non fa menzione della sua colpa; non scusa se stesso rimproverandola di averlo sedotto, dice solo che è più giusta di lui. Nell’esempio di Davide vediamo chiaramente che una vera confessione è esente da ogni accusa rivolta ad altri. Davide aveva commesso un peccato molto grave verso Bat-Sceba: l’aveva fatta venire presso di lui per soddisfare il suo desiderio sessuale. Ma Bat-Sceba era veramente innocente per quanto successo nel palazzo reale? Non dubito della sua responsabilità. Era necessario fare il bagno in un luogo visibile? Doveva mettere in mostra il suo fascino senza nessun ritegno? Doveva veramente andare da Davide quando l’ha fatta chiamare? Certo, Davide era il re e aveva il diritto di dare degli ordini, tuttavia, malgrado questo, Bat-Scheba non doveva semplicemente concedersi a Davide. Aveva dunque la sua parte di responsabilità. E’ bello notare come Davide non accenni, nella sua confessione, neppure una volta, alla donna; non le imputa alcuna colpa, ma parla unicamente di se stesso.
La confessione di Davide ci è riportata nel Salmo 51 e, poiché costituisce il filo conduttore per una confessione, lo riportiamo nella sua integrità:
Al direttore del coro. Salmo di Davide, quando il profeta Natan venne da lui, dopo che Davide era stato da Bat-Sceba.
“Abbi pietà di me, o Dio, per la tua bontà; nella tua grande misericordia cancella i miei misfatti.
Lavami da tutte le mie iniquità e purificami dal mio peccato; poiché riconosco le mie colpe, il mio peccato è sempre davanti a me. Ho peccato contro te, contro te solo, ho fatto ciò ch’è male agli occhi tuoi. Perciò sei giusto quando parli, e irreprensibile quando giudichi. Ecco, io sono stato generato nell’iniquità, mia madre mi ha concepito nel peccato. Ma tu desideri che la verità risieda nell’intimo: insegnami dunque la sapienza nel segreto del cuore. Purificami con issopo, e sarò puro; lavami, e sarò più bianco della neve. Fammi di nuovo udire canti di gioia e letizia, ed esulteranno quelle ossa che hai spezzate. Distogli lo sguardo dai miei peccati, e cancella tutte le mie colpe. O Dio, crea in me un cuore puro e rinnova dentro di me uno spirito ben saldo. Non respingermi dalla tua presenza e non togliermi il tuo santo Spirito. Rendimi la gioia della tua salvezza e uno spirito volenteroso mi sostenga. Insegnerò le tue vie ai colpevoli, e i peccatori si convertiranno a te. Liberami dal sangue versato, o Dio, Dio della mia salvezza, e la mia lingua celebrerà la tua giustizia. Signore, apri tu le mie labbra, e la mia bocca proclamerà la tua lode. Tu infatti non desideri sacrifici, altrimenti li offrirei, né gradisci olocausto. Sacrificio gradito a Dio è uno spirito afflitto; tu, Dio, non disprezzi un cuore abbattuto e umiliato. Fa’ del bene a Sion, nella tua grazia; edifica le mura di Gerusalemme. Allora gradirai sacrifici di giustizia,olocausti e vittime arse per intero; allora si offriranno tori sul tuo altare.
Vorrei che ogni lettore ascoltasse attentamente le parole di questo salmo e, in silenzio, si concentrasse su quante volte Davide parla di se stesso (“me” – “io” – “mio” – “mie” ecc.). Dovremmo imparare qualche cosa da questo. Una confessione che si nasconde dietro il cattivo comportamento (forse reale) degli altri non è una confessione sincera e reale. Il figlio prodigo non si è trincerato dietro il fatto che i suoi amici lo avevano portato a peccare; sapeva di essere il solo responsabile. Aveva peccato davanti a Dio nel cielo, davanti agli uomini e davanti al padre suo sulla terra. Come qualcuno ha rilevato in maniera pertinente, non ha accusato altri, ma ha infierito su se stesso e questo è quello che conta.
Molte coppie dei nostri giorni sono mancanti su questo punto: forse sono pronti a riavvicinarsi l’uno all’altro con una confessione, ma nello stesso tempo non perdono di vista l’errore del proprio congiunto in maniera da scusare, in seguito, il proprio peccato.
Un proverbio tedesco dice: “ Se si vogliono conoscere gli uomini (e le donne) bisogna studiare le loro scuse”. Questo è vero. Spesso si sente dire: “ Si ho commesso un errore ma …” e poi seguono le ragioni, i “come” e i “perché”. D’altronde è così che ha fatto Adamo a suo tempo indirizzando, addirittura, i suoi rimproveri a Dio. Dio gli aveva chiesto: “Chi ti ha mostrato che eri nudo? Hai forse mangiato del frutto dell’albero, che ti avevo comandato di non mangiare? L’uomo rispose: «La donna che tu mi hai messa accanto, è lei che mi ha dato del frutto dell’albero, e io ne ho mangiato» (Ge. 3:11-12). Adamo ha dunque ammesso di avere mangiato ma subito ha incolpato sua moglie. È così ancora oggi in molte coppie (e non solo nelle coppie); Davide ha agito in maniera ben diversa. Da questo possiamo trarre un prezioso insegnamento per noi.
Confessare e abbandonare.
C’è un uomo nella Bibbia che è un campione nelle cattive scuse: il re Saul, l’uomo secondo il cuore degli uomini. Ha riconosciuto molte volte i suoi peccati, tuttavia questo non lo ha mai portato ad una vera confessione, anzi le sue parole sembrano essere un riconoscimento del proprio peccato, ma costretto dalle circostanze. Davanti agli uomini, aveva tutta l’apparenza della pietà; davanti a Dio, la sua confessione non aveva nessun valore. Dio non poteva servirsi di lui, quindi quest’uomo era perduto. “Chi copre le sue colpe non prospererà ma chi le confessa e le abbandona otterrà misericordia” (Pr. 28:13) è una verità fondamentale della Bibbia e anche noi vogliamo imprimere queste parole nel nostro cuore. Il pentimento e un profondo dispiacere per il peccato fanno parte di una vera confessione. “Perché la tristezza secondo Dio produce un ravvedimento che porta alla salvezza del quale non c’è mai da pentirsi” (2 Co. 7:10).
Perdonare e essere pronti a perdonare.
Confessare è una cosa, perdonare è un’altra. Nelle nostre relazioni umane non è importante soltanto essere pronti a confessare i nostri errori; questo è solo un aspetto del problema: è importante anche essere pronti ad accettare una confessione. Il Signore ha detto che dobbiamo perdonare al nostro fratello fino a settanta volte sette (Mt. 18:22). Molte relazioni nel matrimonio, nella famiglia e nell’assemblea mancano anche riguardo a questo soggetto. Se qualcuno si avvicina a noi con una confessione sincera, dovremmo sempre essere pronti ad accettarla. Il peccato che Dio ci ha perdonato è, in ogni caso, infinitamente più grande dell’errore che noi dobbiamo perdonare al nostro fratello, alla nostra sorella, a nostra moglie, a nostro marito, ai nostri figli o ai nostri genitori. Nello stesso modo in cui Dio non si ricorda più dei nostri peccati, anche noi non dovremmo ricordarcene. Non è una cosa buona tirare fuori, in determinate situazioni, vecchi peccati. No, il vero perdono significa anche dimenticare.
LEZIONE 15
La vittoria della grazia – Dalla parte del vincitore.
Forse non sarà appropriato parlare di una felice conclusione, ma la fine di questa triste storia è nondimeno una vittoria straordinaria – la vittoria della grazia. Se Dio avesse agito, verso Giuda e Tamar, soltanto con il suo governo la storia narrata sarebbe finita in modo ben diverso. Tuttavia è proprio la fine di questa storia che ci mostra l’immensità della grazia di Dio. Tamar era rimasta incinta a causa della fornicazione e del peccato; malgrado questo, sono nati due figli i cui nomi indicano che Dio è ricco in misericordia e in grazia. Infine, troviamo il nome di Tamar nella genealogia del nostro Signore e Salvatore.
Due figli.
Gli ultimi quattro versetti del nostro capitolo raccontano della nascita dei gemelli. Due figli sono nati a Tamar e questa nascita è avvenuta in modo insolito: il primo ha messo fuori una mano, ma è nato per secondo ed è per questo che il primogenito è stato chiamato Perez che significa “breccia”. Il secondo è stato chiamato Zerac che significa “il sorgere” o “il risplendere”. Abbiamo già messo in risalto nella prima lezione come, insieme, questi due figli parlino profeticamente del Signore Gesù, che un giorno sorgerà come il Sole di giustizia per il suo popolo terrestre Israele, per mettere fine alla sua miseria e alla sua sventura; possiamo, però, fare ugualmente un’applicazione pratica per noi: per quanto grande possa essere il caos che noi uomini facciamo, in quanto creature responsabili, la grazia di Dio sarà sempre tanto maggiore da trarne qualche cosa di buono. Molti esempi nella storia dell’uomo – e anche nella storia del popolo di Israele – ne sono una prova.
La grazia sovrabbondante.
Paolo scriveva. “ Dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata” (Ro. 5:20) e questo racconto ce lo mostra in modo particolare. Giuda e Tamar avevano lasciato dietro di sé soltanto del disordine, tuttavia da questo campo di rovine nasce ora la benedizione. Ancora oggi Dio sa fare scaturire la luce dai rottami di una vita. D’altronde succedeva lo stesso all’epoca in cui il Signore doveva nascere. Il sommo sacerdote Zaccaria aveva pronunciato la seguente profezia: “grazie ai sentimenti di misericordia del nostro Dio, per i quali l’Aurora dall’alto ci visiterà per risplendere su quelli che giacciono in tenebre e in ombra di morte, per guidare i nostri passi verso la via della pace” (Lu. 1:78-79).
Può essere che ti ritrovi proprio in una situazione simile a quella di Giuda e Tamar; il tuo cammino è stato tutto in discesa. Hai deciso per il mondo e ora ne soffri le conseguenze: solitudine? Scoraggiamento? Frustrazione? Disperazione? Vorresti tornare indietro ma non vedi la via? Allora pensa alla grazia sovrabbondante di Dio; questa grazia è sempre pronta. Poco importa il cammino che ha intrapreso, c’è sempre una strada per il ritorno. Pensa al figliol prodigo: probabilmente non si può cadere più in basso ma, malgrado questo, anche per lui c’è una via di ritorno. Ha preso la decisione: ritornare da suo padre! Non era certamente una decisione facile da prendere, ma era l’unica decisione giusta. Non solo ha preso la decisione, ma l’ha anche messa in pratica: si è alzato ed è tornato da suo padre. Non sappiamo quanto sia durato il suo viaggio di ritorno e neppure quello che provava lungo la via, ma alla fine appare la casa del padre. Chissà quante domande angoscianti del tipo: “Mio padre mi riceverà veramente o mi caccerà via come un cane?” Può darsi che le sue ginocchia abbiano tremato e i suoi passi rallentato Ma allora, che cosa vede? C’è qualcuno che gli corre incontro e questo “qualcuno” è suo padre; non viene con la verga e non lo bombarda di rimproveri. No! Un abbraccio, dei baci. Poi la confessione del figlio e allora ecco che colui che era fuggito impara a conoscere il cuore di suo padre: un vestito, un anello, dei sandali, il vitello ingrassato; tutto questo era grazia – grazia sovrabbondante. Queste “ricchezze della grazia” e questa “gloria della grazia” aspettano anche te. Ritorna, non aspettare più a lungo, aggraveresti ancora di più la tua situazione. Torna indietro. Fai oggi stesso l’esperienza che la grazia di Dio è più sovrabbondante di quello che possa mai essere stato il tuo peccato.
Vedere e ammirare l’azione di Dio è una cosa; vivere un’opera di grazia è sempre impressionante, ma c’è ancora qualcosa da rilevare. Dopo aver parlato della grazia sovrabbondante, Paolo continua dicendo: “Che diremo dunque? Rimarremo forse nel peccato affinché la grazia abbondi? No di certo!” (Ro. 6:1). Il cuore dell’uomo – il mio e il tuo cuore – è capace di qualsiasi cosa, anche di prendere la grazia quale motivo per peccare, e per questo Paolo ripete con insistenza: “Così non sia”. Il fatto stesso di pensare a questo è già grave; la grazia non deve mai servire di pretesto per vivere secondo i nostri desideri; semmai deve essere il contrario.
Non abbandonare.
Impariamo qui ancora qualche cosa: la grazia non abbandona mai! Mi rivolgo ora a coloro che vivono in comunione con il Signore. Non abbiamo visto più di una persona prendere la strada di Giuda e Tamar? Non abbiamo mai visto un credente per il quale il cammino con il Signore è diventato troppo stretto? Che se ne è andato nel mondo? Che vi si è perduto? Può essere che all’inizio ne abbiamo fatto un soggetto continuo di preghiera; abbiamo sperato nel suo ritorno, poi le preghiere sono diventate meno frequenti e può anche essere che un giorno abbiamo cessato di pregare. Rassegnati interiormente, abbiamo tirato una riga su questo caso senza via d’uscita. Veramente un caso senza speranza? Ricordiamoci che per il Signore non ci sono casi senza soluzione. Leggiamo, riguardo al Buon Pastore, che egli cerca la pecora perduta “finché non la ritrova” (Lu. 15:4), non si ferma prima. Noi vogliamo abbandonare prima?
Può essere che tu abbia un figlio o una figlia; un padre o una madre; un fratello o una sorella; un amico o un’amica che si sono “persi” nel mondo. Spera nella grazia; afferrati alla grazia; confidati nella grazia, non ti fermare. La grazia è talmente ricca che essa può trovare ogni persona. Mi sono spesso domandato come il padre abbia potuto vedere il figliolo prodigo quando era ancora lontano; non c’è che una risposta: deve averlo aspettato ogni giorno!
Zerak e Perez.
La Bibbia non ci dice molto per quanto riguarda i due figli di Tamar, Perez e Zerak; li troviamo citati ancora alcune volte nell’Antico Testamento in relazione alla loro discendenza. Quello che impariamo dalla discendenza di Perez ci mostra qualche cosa della grazia di Dio. Ecco tre esempi:
- 1 Cronache 27:2-3: “A capo della prima divisione, per il primo mese, stava Iasobeam, figlio di Zabdiel, e la sua divisione era di ventiquattromila uomini. Egli era dei figli di Perez, e capo di tutti gli ufficiali dell’esercito, per il primo mese”. Evidentemente Iasobeam era un valente guerriero, che stava fermamente dalla parte del suo re e signore Davide e che gli era utile.
- Neemia 11:6: “Totale dei figli di Perez che si stabilirono a Gerusalemme: quattrocentosessantotto uomini validi”. Questo ci ricorda che i figli di Perez erano degli uomini valorosi, in un momento difficile per il popolo d’Israele.
- Rut 4:12: “Possa la discendenza che l’Eterno ti darà da questa giovane, rendere la tua casa simile alla casa di Perez che Tamar partorì a Giuda”. È’ per mezzo di queste parole che Boaz, l’uomo ricco di Betlemme è stato incoraggiato. Sua moglie era una Moabita che non aveva nessun diritto di fare parte del popolo di Dio; era un oggetto della pura grazia. Giusto il paragone con Tamar, anche nella sua vita la grazia era stata veramente grande.
Alla fine troviamo Perez e Zerak nella Genealogia del Signore Gesù: “Abraamo generò Isacco; Isacco generò Giacobbe; Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli; Giuda generò Fares e Zara da Tamar; Fares generò Esrom; Esrom generò Aram … ” (Mt. 1:2-3). Se qualcuno avesse ancora dei dubbi che il Signore ha fatto ha fatto risplendere la luce dal mucchio di rovine lasciate da Giuda e Tamar, i suoi dubbi devono essere spazzati via a partire da qui.
Tamar, Raab, Rut.
Il nome di Tamar lo troviamo nuovamente nella genealogia del Signore in Matteo 1 e se la leggiamo tutta vediamo che essa è in un’interessante “compagnia”: Quattro donne sono citate con il loro nome e tre di loro non facevano parte della discendenza di Abraamo: la prima, Tamar, una Cananea. La seconda, Raab, una prostituta di Canan. La terza, Rut, una Moabita. Seguire la storia delle ultime due è una cosa a parte ma, per venire all’essenziale, troviamo qui tre elementi fondamentali dell’evangelo:
- Abbiamo messo un po’ in luce la vita di Tamar. Essa ci mostra chiaramente da dove viene l’uomo che è oggetto della grazia di Dio: vive nel peccato. Il peccato aveva abbondato nella vita di Tamar ma essa era divenuta un oggetto della grazia. Anche noi viviamo nel peccato ma Dio ci ha perdonati nel Signore Gesù Cristo.
- La vita di Raab ci mostra qualche cosa del principio della fede. In Ebrei 11 questa donna figura nella galleria dei testimoni della fede. Come può un uomo ricevere la grazia di Dio? Unicamente per fede! “Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi, è il dono di Dio” (Ef. 2:8). Dio ci tende, per mezzo del Suo Figliolo, la mano della grazia; è la fede che afferra questa mano.
- La vita di Rut ci porta finalmente alla sorgente della nostra salvezza, la grazia stessa. Quando Rut conosce Boaz e le sue benedizioni, pone una domanda del tutto giustificata: ”Come mai ho trovato grazia agli occhi tuoi, così che tu presti attenzione a me che sono una straniera?” (Ru. 2:10). È questo il linguaggio dei nostri cuori? Da parte nostra non vi è nessun merito, al contrario. Noi siamo “stranieri” e “nemici” ma la grazia di Dio ci ha cercati e ci ha trovati.
Non dobbiamo mai dimenticare da dove Dio ci ha presi, che è per fede e non per opere che abbiamo ricevuto la benedizione e che tutto ci viene dalla grazia insondabile di Dio.
Un appello finale.
L’inizio della storia di Giuda è triste; Giuda si allontana dai suoi fratelli, si perde nel “mondo”, ma alla fine della sua storia, la luce brilla. La grazia trionfa.
Le nostre strade possono essere diverse l’una dall’altra, ma non abbiamo avuto tutti delle crisi? Non conosciamo dei momenti di debolezza nella nostra vita? Il mondo non ci ha, in un modo o nell’altro affascinati e continua a farlo sempre? Viviamo (quasi) ogni giorno sballottati fra la nostra vita con il Signore e una vita in questo mondo; attirati da due lati: da una parte il mondo con le sue concupiscenze, dall’altra il Signore che ha fatto tutto per noi. Conosciamo tutti questi combattimenti interiori: sia i lettori avanti negli anni sia, particolarmente, i più giovani: Come uscirne?
Vorrei ricordare un appello che il profeta Elia indirizza al popolo d’Israele in un tempo particolarmente difficile. Elia viveva in un periodo in cui l’idolatria aveva preso piede; in mezzo al popolo d’Israele quasi tutti avevano messo Dio da una parte. Guidati dal loro re Acab si erano, per così dire, “disfatti” di Dio, ma Egli era ancora là. Voleva mostrare al suo popolo che Egli era ed è il vero Dio e si era riservato un testimone fedele: il profeta Elia che stava sul monte Carmelo. Tutto solo! Dall’altra parte vi sono 450 profeti di Baal, devoti vassalli del re. Uno contro 450? Ci verrebbe voglia di dire: “Elia non ti sembra di esagerare? Tu solo contro 450 idolatri? Tutto questo non può che finire male. Fermati. Lascia perdere”. Ma Elia è determinato, sa esattamente quello che fa, la sua fiducia in Dio è incrollabile. Si tratta dell’onore del suo Dio, davanti al quale egli rimane fermo. Coraggiosamente si pone davanti al popolo al quale fa un fervente invito a prendere posizione, a mettersi dalla parte di Dio; un messaggio breve, ma di una grande potenza. La Bibbia dice: “Allora Elia si avvicinò a tutto il popolo, e disse: “Fino a quando zoppicherete dai due lati? Se l’Eterno è Dio, seguitelo; se invece lo è Baal, seguite lui” (1 Re 18:21). Poi il silenzio. Quale fu la risposta del popolo? Leggiamo: “Il popolo non gli rispose nulla” (1 Re 18:21). Non osarono rispondere.
Qual è la tua e la mia risposta a questo invito? Facciamo anche noi silenzio senza rispondere? Dove e come vogliamo prendere posizione in questo tira e molla fra il Signore e il mondo? Oppure, vogliamo “tenere il piede in due staffe”? Un po’ di mondo un po’ di cristianesimo? La Domenica alla riunione e il lunedì al cinema? Cantare il martedì in un coro cristiano e urlare il mercoledì con le folle dello stadio? Il giovedì lo studio biblico e il venerdì la discoteca? Leggere la Bibbia al mattino e alla sera navigare sulla pagine malsane di internet? Fermati! Questa non è una vita. Il Signore vuole una ferma decisione per Lui. Si tratta di prendere una ferma decisione di cuore come Mosè diceva al popolo: “Ascolta, Israele: l’Eterno, il nostro Dio, è l’unico Dio. Tu amerai dunque l’Eterno, il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima tua e con tutte le tue forze. Questi comandamenti, che oggi ti do, ti staranno nel cuore” (De. 6:4-6). E un po’ più avanti dice ancora: “Seguirete l’Eterno, il vostro Dio, lo temerete, osserverete i suoi comandamenti, ubbidirete alla sua voce, lo servirete e vi terrete stretti a lui” (De. 13:4).
Poniti oggi la domanda: quale risposta vuoi dare al tuo Signore e Salvatore? È il mondo che lo ha rifiutato; è il mondo che lo ha crocifisso, che non vuole saper niente di Lui e che non ha posto per Lui. Questo mondo non ha alcun diritto su di te se appartieni al Signore; nondimeno il mondo ti vuole per sé e ti sta vicino con le sue tentazioni e le sue concupiscenze. Dall’altro lato sta il tuo Salvatore che ti ama e ti chiede: lascia il mondo, esso passa. “Figlio mio dammi il tuo cuore”: questa è la vera vita. Che cosa scegliamo? Il cammino di Giuda? Il mondo. Oppure il cammino di Giuseppe, per il nostro Signore? Prendi la buona e giusta decisione. Non te ne pentirai mai!
Proverbi 4:10 a 5:2
“ Ascolta, figlio mio, ricevi le mie parole, e anni di vita ti saranno moltiplicati. Io ti indico la via
della saggezza, ti avvio per i sentieri della rettitudine. Se cammini, i tuoi passi non saranno raccorciati, e se corri, non inciamperai. Afferra saldamente l’istruzione, non lasciarla andare; conservala, perché essa è la tua vita.
Non entrare nel sentiero degli empi e non t’inoltrare per la via dei malvagi; schivala, non passare per essa; allontanatene, e va’ oltre. Essi infatti non possono dormire, se non hanno fatto del male; il sonno è loro tolto, se non hanno fatto cadere qualcuno. Essi mangiano il pane dell’empietà e bevono il vino della violenza; ma il sentiero dei giusti è come la luce che spunta e va sempre più risplendendo, finché sia giorno pieno. La via degli empi è come il buio; essi non scorgono ciò che li farà cadere.
Figlio mio, sta’ attento alle mie parole, inclina l’orecchio ai miei detti; non si allontanino mai dai tuoi occhi, conservali in fondo al cuore; poiché sono vita per quelli che li trovano, salute per tutto il loro corpo.
Custodisci il tuo cuore più di ogni altra cosa, poiché da esso provengono le sorgenti della vita. Rimuovi da te la perversità della bocca, allontana da te la falsità delle labbra.I tuoi occhi guardino bene in faccia, le tue palpebre si dirigano dritto davanti a te. Appiana il sentiero dei tuoi piedi, tutte le tue vie siano ben preparate. Non girare né a destra né a sinistra, ritira il tuo piede dal male.
Figlio mio, sta’ attento alla mia saggezza, inclina l’orecchio alla mia intelligenza, affinché tu conservi l’accorgimento, e le tue labbra custodiscano la scienza.
IL CRISTIANO IN ZONA PERICOLOSA.
Ogni cristiano è sottoposto a forti tensioni: da una parte il desiderio ardente di servire il Signore Gesù dall’altro le molteplici tentazioni che il mondo offre.
Come possiamo evitare di restare intrappolati nella parte malvagia? Lasciandoci penetrare e formare dalla Parola di Dio. Dunque vale bene la pena di soffermarsi con attenzione sul capitolo 38 della Genesi.
Questo interessante capitolo della Scrittura tratta del problemi di coppia, dei fallimenti nelle relazioni, dell’abuso della sessualità; molti dei temi ancora oggi attuali. L’autore presenta una applicazione pratica di questi passi alla nostra vita. Certe questioni particolarmente importanti sono oggetto di digressione.
Questo libro si indirizza non soltanto ai giovani, ma a noi tutti. Il suo obiettivo è di aiutarci a dirigere la nostra vita secondo i pensieri d’amore di Dio e rendere così vane le seduzioni di Satana. Per la gloria di Dio e la nostra benedizione.
E. A. BREMICKER