Piccolo commentario del Primo libro dei Re

Jean Koechlin

Le citazioni bibliche di questo commentario fanno riferimento alla versione Giovanni Luzzi


1 Re

Capitolo 1, versetti da 1 a 21

Davide è ora un vecchio. Stanco dopo una vita di sofferenze e di lotte, continua a confidarsi in Dio secondo la preghiera del Salmo 71: «O Dio! tu m’hai ammaestrato dalla mia fanciullezza… Ed anche quando sia giunto alla vecchiaia ed alla canizie, o Dio, non abbandonarmi… (vers. 17, 18 — vedere anche vers. 9). L’Eterno gli risponderà e gli accorderà il suo soccorso nell’ultima prova che l’aspetta. Dopo Absalom, ecco che Adonija, un altro dei suoi figli, cospira per impadronirsi del trono. La terribile fine del fratello maggiore non gli ha insegnato nulla. D’altronde, in modo generale, l’educazione di questo giovane aveva lasciato a desiderare. Suo padre non l’aveva mai rimproverato, né contrariato. Adonija fin dalla sua infanzia aveva sempre fatto tutto quel che aveva voluto. Nuovo esempio su cui meditare da parte di quelli d’infra i nostri giovani lettori che trovano talvolta i loro genitori troppo esigenti. Ricordatevi che essere «contrariato» in questo modo finché si è fanciullo, o giovane — o giovanetta — evita all’età adulta delle contrarietà ben altrimenti dolorose. Dio non agisce in modo diverso coi suoi figli. Quante volte la sua saggezza e il suo amore ci avranno impediti di fare la nostra propria volontà per il nostro bene presente e forse eterno!




1 Re

Capitolo 1, versetti da 22 a 37

A En-Roghel la festa è in pieno svolgimento. Gl’invitati sono attorno ad Adonija. L’astuto Joab è presente, come pure Abiathar che ha dimenticato la parola di grazia di Davide: «Resta con me…» (1 Samuele 22:23). Gli altri figli del re, per opportunismo e debolezza di carattere, hanno fatta loro la causa del fratello. Eccetto uno solo: Salomone, che non è stato invitato, ed è naturale! Non è egli forse il re scelto da Dio per succedere a Davide? Che cosa farebbe egli a quella festa? Ma tutto questo piano sapientemente ordito, sarà annientato da alcune anime fedeli e sottomesse al pensiero divino. Davide, informato, agisce immediatamente: Salomone salirà da quel momento sul suo trono. Ed ogni istruzione è data a questo riguardo.

Oggi, l’uomo si eleva in tutti i campi, cercando la propria gloria. Egli mira nientemeno che al dominio dell’universo! Soltanto un pensiero non lo preoccupa affatto; conoscere la volontà di Dio. Ora questa volontà divina è dare al mondo il Re che gli è destinato: Gesù Cristo. Questo Re non è invitato alle feste gioiose del mondo. E quelli che temono Dio, non vi hanno posto neppure loro.




1 Re

Capitolo 1, versetti da 38 a 53

Secondo le istruzioni di Davide, una festa del tutto differente sarà ora celebrata. Fra la gioia del popolo fedele, il giovane Salomone sale sul trono del padre suo. Grande è il contrasto con Adonija! Il nuovo re non agisce di sua propria volontà: lo si fa salire sulla mula regale, lo si conduce a Ghihon ove egli è unto da Tsadok, fra l’allegrezza generale.

Tuttavia a En-Roghel la festa termina. Un rumore insolito, persistente, giunge dalla città. Joab da militare esperimentato, l’ode per primo e si agita. Nel frattempo, sopraggiunge Gionathan il portatore di notizie. Per quel che lo concerne, queste sono buone, poiché Davide è rimasto il re suo Signore. Ma quale disastro per Adonija ed i suoi invitati! Tutta la congiura cade in un istante e i congiurati disorientati si disperdono da ogni lato. Terrificato, Adonija l’usurpatore impugna i corni dell’altare, implora il perdono del re. Una proroga gli è concessa, ma non per questo l’orgoglio e la malvagità del suo cuore sono stati giudicati.

Che follia opporsi a Dio e al suo Unto! E tuttavia è ciò che l’Anticristo farà bentosto, ma egli sarà distrutto per far posto al Signore Gesù e al suo regno.




1 Re

Capitolo 2, versetti da 1 a 12

Sono sempre parole ben serie le ultime raccomandazioni d’un padre — o d’una madre — ai suoi figli al momento della morte. Quelle di Davide a Salomone così si riassumono: Osserva la parola di Dio. E fu anche il desiderio del Signore quando lasciò i suoi discepoli (Giovanni 14:23-24).

Poi è necessario parlare di giudicio. Il regno di giustizia e di pace non può stabilirsi senza ciò. I delitti di Joab e gli oltraggi di Shimei devono ora essere rimessi in memoria. Ma ciò che ha fatto Barzillai per il re ed i suoi non è dimenticato neppure.

Salomone, tipo di Cristo, re di giustizia, renderà a ciascuno secondo l’opera sua come ce lo indica la seconda parte di questo capitolo. Il giorno in cui il Signore stabilirà il suo regno in gloria sarà anche quello delle retribuzioni (Matteo 25:31 a 46). Agli uni parlerà di vita eterna, agli altri di tormenti che saranno pure eterni. Sì, c’è un Giudice, un tribunale, una sentenza, uno stagno di fuoco. Ma vi è pure una «risurrezione di vita» per i credenti. E quella che anche Davide aspetta ormai. Egli s’addormenta coi suoi padri «dopo aver — come lo dichiara Atti 13:36 — servito al consiglio di Dio nella sua generazione…»




1 Re

Capitolo 3, versetti da 1 a 15

Se questa notte il Signore vi dicesse come a Salomone: «Chiedi quello che vuoi ch’io ti dia», che cosa Gli rispondereste? Riflettete! Non sono certo che ognuno avrebbe come primo desiderio di ricevere… «un cuore che ascolti». Beni, buona riuscita, distrazioni, viaggi, possesso d’una bella automobile… tali sono i desideri della più parte dei giovani di questo mondo. Quali sono i nostri?

Un cuore che ascolti, o secondo altri traduttori un cuore intelligente che comprenda, ecco una domanda gradita a Dio e che è ancor possibile presentare oggi. «Se alcuno di voi manca di sapienza, la chieda a Dio che dona a tutti liberalmente… e gli sarà donata» (Giacomo 1:5). Non si può fare questa preghiera quando ci si crede già savi (Proverbi 3:7). Ma Salomone non ha un’elevata opinione di sé: «Io non sono che un giovanetto — dice egli — e non so né uscire né entrare» (vers. 7). Notiamo: è il cuore — non la testa — che deve ascoltare e comprendere. E infine consideriamo il nostro meraviglioso Modello che, nonostante la sua divina sapienza, dichiara per bocca del profeta: «Il Signore, l’Eterno… risveglia il mio orecchio, perch’io ascolti, come fanno i discepoli» (Isaia 50:4).




1 Re

Capitolo 3, versetti da 16 a 28

In Israele, il re era anche il giudice supremo, figura di Cristo che sarà ad un tempo e l’uno e l’altro. Il giovane re Salomone ha tanto bisogno di sapienza divina per questo doppio compito: governare e giudicare il popolo. Ma la promessa di Dio si compie senza ritardo, e il celebre giudizio che rende nel caso di quelle due donne, lo fa conoscere in tutto Israele come qualcuno che ha ricevuto «la sapienza di Dio… per amministrare la giustizia» (vers. 28). Non è così che Absalom aveva cercato di stabilire la sua reputazione di giudice (2 Samuele 15:4). Come la giustizia avrebbe potuto regnare allorché quest’uomo empio, ribelle e micidiale si era impadronito del trono che Dio aveva destinato al suo fratello minore Salomone?

Uno solo è stato più savio di Salomone. Considerate Gesù fanciullo, «ripieno di sapienza», che stupiva i dottori per la sua intelligenza (Luca 2:40,47), poi durante il suo ministerio rispondeva a ciascuno secondo lo stato del suo cuore, discernendo i lacci che Gli erano tesi e confondendo i suoi avversari. «Che sapienza è questa che gli è data?» — si diceva di Lui (Marco 6:2).




1 Re

Capitolo 4, versetti da 1 a 19

Il regno di Salomone si è stabilito sulle solide basi della pace e della giustizia. Esso prefigura, come abbiamo detto, i tempi felici in cui, non solo Israele, ma il mondo intero sarà liberato dalla guerra e dall’ingiustizia. Per ora, nonostante tutti i loro sforzi, nonostante tutti i progressi tecnici e sociali, gli uomini non riescono a stabilire essi stessi quella pace e quella giustizia a cui ognuno tuttavia anela. Bisognerà però che prima Satana sia legato e che il «Figlio dell’uomo» prenda il dominio universale.

Considerate l’ordine perfetto che presiede all’amministrazione del regno. Dodici intendenti, uno per ogni mese dell’anno, hanno l’incarico di approvvigionare a turno la casa del re. Pensiamo a quel «servitore fedele e prudente che il padrone ha costituito sui domestici per dar loro il vitto a suo tempo» (Matteo 24:45).

Il Signore ha qualificato dei servitori: pastori, dottori… che hanno l’incarico di vegliare sul nutrimento spirituale dell’Assemblea. Ma, in modo più generale, ogni credente deve essere un fedele intendente, un buon amministratore dei «talenti» che il suo Maestro gli ha affidati per la Sua gloria.




1 Re

Capitolo 4, versetti da 20 a 34

Paragonate i due versetti 20 e 29. Il popolo e il cuore del re hanno una dimensione comune: quella della sabbia sulle spiagge. Vale a dire, Dio ha dato al suo unto un cuore abbastanza grande per contenere, per amare tutto quel gran popolo di cui è stato incaricato. Così l’amore del Signore è secondo la misura del numero di quelli che Gli appartengono, e non è oltrepassato dalla loro moltitudine. La croce ne è stata la prova. Egli vi ama tanto come se voi foste il suo solo riscattato. Non avremo mai finito di conoscere e comprendere «l’amore di Cristo che sopravanza ogni conoscenza» (Efesini 3:18-19).

Riposo per tutta la creazione, ecco quel che recherà anche il regno del Signore quaggiù. Salomone ha parlato sulle bestie, sugli uccelli, sui rettili, sui pesci. Cristo, il «Figlio dell’uomo» secondo il Salmo 8, «coronato di gloria e d’onore», dominerà su tutte le opere di Dio: pecore e buoi tutti quanti ed anche le fiere della campagna, gli uccelli del cielo e i pesci del mare… «O Signor nostro, quant’è magnifico il tuo nome in tutta la terra!» (Salmo 8:5 a 9).




1 Re

Capitolo 5, versetti da l a 18

Se Davide è stato il re di grazia, Salomone, il suo successore, appare come il re di gloria. Nei consigli di Dio la grazia e la gloria si seguono senza separarsi. E il credente, che già gode della grazia, riceverà anche la gloria alla venuta del Signore. Hiram, re di Tiro, aveva sempre amato Davide. Così, all’esaltazione di Salomone, egli partecipa alla gloria del gran re e riceve abbondantemente di che sovvenire ai suoi bisogni e a quelli del suo popolo. In cambio di questi benefizi, egli contribuirà alla costruzione del Tempio, che sarà l’impresa principale del regno di Salomone. Poiché ora che ha dato riposo ad Israele, l’Eterno può pure riposarsi e scambiare la tenda del viaggiatore in una dimora fissa. Come precedentemente il Tabernacolo, (ma con molte differenze) il Tempio di Salomone ci fornirà numerose illustrazioni di ciò che concerne le relazioni di Dio col suo popolo. Ecco già una prima differenza: la casa del deserto era posata sulla sabbia, mentre questa deve essere saldamente costruita su grandi pietre, delle pietre di pregio. «L’Eterno ha fondato la sua città sui monti santi» (Salmo 87:1).




1 Re

Capitolo 6, versetti da 1 a 18

Non sono più delle assi come nel Tabernacolo, ma delle pietre che sono adoperate per costruire la nuova casa. Bella figura dei credenti, che, come «pietre viventi» sono edificati «qual casa spirituale…» (1 Pietro 2:5; vedere Matteo 16:18). Ora il versetto 7 ci informa che le pietre erano state completamente preparate prima d’essere trasportate. Il mondo è «la cava» donde sono ricavati i riscattati, e dove essi sono tuttora gli oggetti d’un paziente lavoro di Dio, prima d’essere atti a venire introdotti nella Casa di gloria. Tale è la nostra condizione presente.

Oltre al luogo santo e al luogo santissimo, il Tempio aveva delle camere laterali che non esistevano nella casa del deserto. Esse erano riservate ai sacerdoti. Preziosa figura delle «molte dimore» preparate dal Signore nella Casa del Padre, onde Egli abbia con Sé i suoi. Pietre approntate; camere preparate! Il Signore ha preparato e prepara oggi ancora i suoi per occupare un posto nella Casa del Padre suo. È l’insegnamento del capitolo 13 di Giovanni. Ma Egli ha pure preparato il posto per i suoi come ci dice il capitolo 14 dello stesso Evangelo. Perfetto lavoro di amore del nostro Signore Gesù!




1 Re

Capitolo 6, versetti da 19 a 38

Il solo salmo di Salomone che ci sia riferito comincia così: «Se l’Eterno non edifica la casa, invano vi si affaticano gli edificatori…» (Salmo 127:1). Felice disposizione di spirito, e anche indispensabile di colui che costruiva la Casa dell’Eterno. È altrettanto necessario, qualunque sia l’impresa a cui poniam mano, di assicurarci, prima d’incominciare, che il Signore sia con noi per agire e benedire. E questo si applica in modo particolare a quelli che già pensassero di fondarsi una famiglia.

Non possiamo, a causa dello spazio, parlare in particolare di quella Casa meravigliosa. Essa aveva, come il Tabernacolo ma in proporzioni doppie, un luogo santo e un luogo santissimo, chiamato santuario su cui due grandi cherubini spiegavano le ali. Il velo che separava il luogo santo dal luogo santissimo non è menzionato qui; invece si tratta di porte di legno d’olivo. Oltre alle pietre, i materiali adoperati erano: il legno di cedro, simbolo di durata e di maestà, e l’oro puro della giustizia divina, di cui ogni cosa era ricoperta completamente. Ammirevole visione che conferma quella parola del Salmo 29:9: «E nel suo Tempio tutto esclama: Gloria!»




1 Re

Capitolo 7, versetti da 1 a 12

Salomone mise molta diligenza nella costruzione del Tempio. Impiegò sette anni, mentre occorsero quarantasei anni ad Erode per riedificarlo (Giovanni 2:20).

Ora il re si occupa della propria casa senza spiegare la stessa fretta: gli sono necessari tredici anni. Impariamo anzitutto a fare bene, a fare attivamente quel che il Signore ci affida da compiere per Lui, prima di occuparci dei nostri propri affari.

Da savio architetto, dopo il Tempio, Salomone costruì ancora tre altre case: La sua (vers. 1), la casa della foresta del Libano col suo portico (vers. 2 a 7) e infine quella per la moglie, la figlia di Faraone (vers. 8). Ognuna di esse ci parla d’una sfera di relazioni di Dio con gli uomini. Se il Tempio è la figura della casa del Padre, la dimora personale di Salomone suggerisce piuttosto la «casa del Figlio», cioè la Chiesa o Assemblea (Ebrei 3:6). La casa della foresta del Libano parla dei rapporti futuri di Cristo, re di gloria, con Israele. È quivi che si trova il trono del giudicio. Infine la casa della figlia di Faraone evoca le Sue relazioni di Re con tutte le nazioni della terra.




1 Re

Capitolo 7, versetti da 13 a 26

Per la confezione del Tabernacolo e degli oggetti che conteneva, l’Eterno aveva designato Betsaleel, un operaio abile «ripieno dello Spirito di Dio, di abilità, d’intelligenza e di sapere per ogni sorta di lavori…» (Esodo 31:2-3). Per la fabbricazione degli oggetti di rame (o di bronzo), Salomone fa appello a Hiram, di Tiro, un artigiano pure lui «pieno di sapienza, d’intelletto e di conoscenza per eseguire qualunque lavoro in rame» (vers. 14). Potessimo noi possedere tali qualità spirituali! Allora il Signore potrebbe adoperarci in ogni sorta di lavori, poiché questi non mancano.

Il primo lavoro di Hiram sono quelle due colonne dai meravigliosi capitelli. E noi pensiamo alla promessa che il Signore fa all’Assemblea di Filadelfia: «Chi vince io lo farò una colonna nel tempio dell’Iddio mio…» «Tu hai poca forza…» aveva detto a quei credenti (Apocalisse 3:12 e 8). Però i nomi di quelle colonne, Jakin e Boaz, significano rispettivamente: «Egli stabilirà» e «In Lui è la forza». Preziosa risposta alla condizione presente del riscattato: Poca forza sulla terra? Stabilità e forza per sempre nel cielo di gloria, di cui il tempio è la figura.




1 Re

Capitolo 7, versetti da 38 a 51

Hiram ci parla dello Spirito Santo, «divino Operaio», occupato a preparare tutte le cose quaggiù — e in modo particolare il cuore dei credenti — in vista della gloria di Dio. Il mare, immensa conca di quasi cinque metri di diametro, doveva servire ai sacerdoti per lavarvisi, mentre le dieci conche, posate su dieci basi, erano adoperate per lavarvi le offerte (2 Cronache 4:6).

Dal versetto 48 in poi abbiamo l’enumerazione degli oggetti d’oro eseguiti da Salomone. Ora questi, che porta in seguito le cose sante di Davide suo padre (vers. 51), ci fa pensare a Gesù, il Figlio, che dispone di ciò che appartiene al Suo Padre. «Il Padre ama il Figliuolo, e gli ha dato ogni cosa in mano» (Giovanni 3:35). Notiamo ad un tempo che, contrariamente a quel che avvenne per il Tabernacolo (Esodo 35:21 a 29) non è parlato qui di ciò che il popolo ha dato. E ne comprendiamo il motivo: Nel cielo nulla può entrare di ciò che proviene dall’uomo. Tutto è divino, tutto è quivi l’opera esclusiva e perfetta del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Le tre Persone, che sono state occupate insieme della prima creazione, sono pure occupate insieme della gloria futura e della nuova creazione.




1 Re

Capitolo 8, versetti da 1 a 11

La Casa è pronta, Dio vi farà la sua dimora. Salomone raduna i capi del popolo. E i sacerdoti introducono l’arca nel «santuario». Arca preziosa! Tipo di Cristo, essa ha condiviso le fatiche e sostenuto i combattimenti del popolo. Per esso, è penetrata nel fiume della morte. Ora essa entra nel suo riposo. Ma qualche cosa ricorderà sempre il cammino del deserto. Sono quelle stanghe visibili. Benché ormai inservibili, non dovevano essere tolte dai loro anelli.

Fra gli splendori del cielo, vedremo Gesù nella sua bellezza. Ma sulla sua Persona, una cosa commoverà profondamente i nostri cuori: i segni incancellabili delle sue sofferenze alla croce. Come quelle stanghe dell’arca, essi rimarranno nella gloria celeste in testimonianza eterna del suo amore divino. Come sono belli i piedi del Salvatore che si sono stancati sui sentieri di questo mondo affin di cercarci (Isaia 52:7) prima di essere trafitti sulla croce per salvarci! Hanno già ricevuto l’omaggio di Maria in quella felice casa di Betania che fu allora ripiena del profumo dell’olio odorifero! Pregusto della Casa del Padre che la gloria riempirà per sempre!




1 Re

Capitolo 8, versetti da 12 a 30

Tale era il tempio di Salomone ove l’arca era entrata per dimorarvi. Ma sapete voi che ognuno di noi possiede un piccolo tempio in cui Gesù vuole abitare? È il nostro cuore, l’avete capito. Allora permettete che vi chiediamo: Ha già il Signore la sua dimora nel tempio del vostro cuore?

Il re ora prende la parola. Si sostituendo al discendente di Aaronne, assume l’ufficio di sacerdote, perché è una figura di Cristo, re e sacerdote. Rammenta il passato: l’Egitto, la grazia verso Davide, il patto e le promesse.

Quattrocentottant’anni prima, sulla riva del mar Rosso, gl’Israeliti avevano cantato il cantico della liberazione: «Egli è il mio Dio, e gli preparerò un’abitazione… (versione corretta). Tu hai condotto con la tua bontà il popolo che hai riscattato; l’hai guidato con la tua forza verso la tua santa dimora… Tu li pianterai sul monte del tuo retaggio, nel luogo che hai preparato, o Eterno, per tua dimora, nel santuario, che le tue mani, o Signore, hanno stabilito» (Esodo 15:2,13,17). Quasi cinque secoli furono necessari onde queste parole si realizzassero. Fino a quel momento, lo stato del popolo non permetteva all’Eterno di abitare in mezzo ad esso. Parimente lo stato dei nostri cuori non giudicati è sovente l’ostacolo che impedisce al Signore di dimorarvi.

Ma il tempo non cancella i promessi di Dio (parag. 2 Pietro 3:4). Così piace a Salomone ripeterlo: «la Sua potenza ha adempito quel che avea dichiarato» (vers. 15), «l’Eterno ha adempita la parola che avea pronunziata» (vers. 20). Ricordiamo ancora una volta questa promessa del Signore Gesù: «dovunque due o tre son raunati nel nome mio, quivi son io in mezzo a loro» (Matteo 18:20).




1 Re

Capitolo 8, versetti da 31 a 40

All’inizio di questa lunga e bella preghiera, il re Salomone ha esaltato la fedeltà, la bontà (vers. 23), la grandezza dell’Eterno (vers. 27). Ora riconosce ciò di cui il popolo è capace e quali possono essere le conseguenze dei suoi falli. I nostri pensieri vanno da Salomone a Cristo, gran sommo Sacerdote. Egli conosce bene la debolezza del cuore dei suoi e si rivolge a Dio prima che Satana abbia a vagliarli, chiedendo che la loro fede non venga meno. Ha fatto ciò per Pietro prima del suo rinnegamento (Luca 22:32)… e quante volte anche per noi senza che lo sappiamo, all’ora della tentazione. Veramente Dio conosce il cuore dell’uomo (vers. 39; vedere Geremia 17:9-10).

E dove questo cuore «ingannevole più d’ogni altra cosa e insanabilmente maligno» ha dato la sua completa misura? In quali circostanze Cristo ne ha conosciuto l’estrema malvagità? Non è forse alla croce ove questa malvagità si è interamente manifestata contro di Lui (Salmo 22:16)? Ma questo delitto il più orribile di tutti peccati d’Israele, sarà esso pure perdonato quando il popolo pentito si volgerà con «grazia e supplicazione» non verso questa casa, ma «verso Colui ch’essi hanno trafitto» (Zaccaria 12:10).




1 Re

Capitolo 8, versetti da 41 a 53

Non basta per intercedere di conoscere la debolezza del cuore umano (vers. 46). Bisogna anche, come Salomone, aver fiducia nelle compassioni del cuore di Dio. Se Gesù, il nostro sommo Sacerdote e nostro Avvocato conosce molto bene il cuore dell’uomo, conosce anche quello del Padre suo. Ma il suo desiderio è che andiamo a Lui per farne l’esperienza personale (paragonate Giovanni 10:17 e 16:27).

«Ascolta e perdona»! Il nostro capitolo ci insegna che veramente si può andare a Dio in qualsiasi occasione. C’era posto ai piedi di Gesù per le più vili peccatrici, anche nella casa del fariseo (Luca 7:37). Oggi ancora, fedele alla sua promessa, non caccia fuori chi va a Lui (Giovanni 6:37).

Il peccato è la catena per mezzo della quale anche un credente può essere tenuto «prigioniero nel paese del nemico» (vers. 46), ma Dio è pronto a liberarlo. Tuttavia il sentiero del perdono passa necessariamente dalla confessione. «Io ti ho dichiarato il mio peccato,… e tu hai perdonato l’iniquità del mio peccato» (Salmo 32:5). Dio ascolta; Egli perdona; sì, Egli può perdonare tutto perché Gesù ha espiato tutto. «Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da rimetterci i peccati e purificarci da ogni iniquità» (1 Giovanni 1:9).




1 Re

Capitolo 8, versetti da 54 a 66

Il re ha terminato la lunga preghiera fatta in ginocchio (vers. 54). Speriamo che questa sia una posizione familiare a ciascuno dei nostri lettori e lettrici. Non c’è nulla di più prezioso né di più efficace come di mettersi in ginocchio almeno un momento ogni giorno e indirizzarsi a Dio — a voce alta di preferenza, quant’è possibile, per evitare la distrazione. E se anche dimentichiamo in seguito ciò che abbiamo chiesto, le nostre parole resteranno «giorno e notte presenti all’Eterno, all’Iddio nostro» (vers. 59).

Infine è detto che Egli fa ragione «giorno per giorno secondo occorrerà». Noi possiamo contare oggi sulla risposta di oggi, ma non su quella di domani. Poiché Dio sa che se ci desse fin d’ora tutto ad un tempo, ci adagieremmo su queste «provviste» per i giorni futuri e cesseremmo di contare su di Lui. Perciò Egli regola la cosa di un giorno, nel suo giorno, «giorno per giorno», e Gesù lo insegna pure: «Basta a ciascun giorno il suo affanno» (Matteo 6:34).

La cerimonia della «dedicazione» (o dell’inaugurazione) del tempio ha luogo nel momento della gran festa annuale delle Capanne, al settimo mese. Termina con dei sacrifici e con una gioia conforme a Deuteronomio 16:15.




1 Re

Capitolo 9, versetti da 1 a 9

L’opera intrapresa da Salomone è terminata. Il vers. 1 ci dice ch’egli ebbe piacere e volontà di farla. Non è forse una lezione che ci dà? Facciamo con piacere tutto ciò che il Signore ci chiede di compiere per Lui! Ora l’Eterno risponde alla preghiera del re. Questa casa ove abita la Sua gloria, sarà il Suo gran motivo per benedire Israele, per ascoltare, per perdonare. Noi sappiamo che ora il centro dei pensieri e dell’amore di Dio non è più una casa, ma «il Figliuol del suo amore… In Lui si compiacque il Padre di fare abitare tutta la pienezza» (Colossesi 1:13,19). Non è in un tempio fatto di mani, ma in un Uomo, che Dio è venuto ad abitare in mezzo a noi (Giovanni 1:14; 1 Timoteo 3:16). Talché gli occhi e il cuore del Padre sono del continuo su quest’Uomo perfetto (paragonate vers. 3). E noi possiamo ad ogni momento indirizzarci a Lui nel nome di Gesù per essere esauditi. «O Dio… vedi e riguarda la faccia del tuo Unto» (Salmo 84:9).

L’Eterno mette in seguito Salomone e il popolo sul piano della loro responsabilità. La Sua presenza in mezzo a loro esige da parte loro un’assoluta separazione dal male, altrimenti questo privilegio sarà loro tolto, e Israele, come nazione, sarà soppresso.




1 Re

Capitolo 9, versetti da 10 a 28

Da parte di Salomone era un grave fallo dare al re di Tiro delle città che facevano parte del paese d’Israele. Può accadere anche a noi di abbandonare a profitto del mondo una parte della nostra eredità. Consideriamo, per esempio, come impieghiamo la domenica. Ci si priverà forse di assistere ad una riunione col pretesto di far piacere ad un amico. Siamo persuasi che tali concessioni siano una perdita per l’uno e per l’altro. Come potremmo condurre qualcuno a ricercare le verità divine ed i privilegi cristiani mostrando il poco caso che ne facciamo? Vedete Hiram! Non apprezza neppure il gesto di Salomone.

La fine del capitolo ci mostra il re, savio amministratore, che fortifica ed organizza il suo regno. Da una parte è in relazione con l’Eterno (vers. 25) e dall’altra con i diversi popoli e paesi che lo circondano. E per la prima volta dai tempi di Giosuè, tutti i Cananei sono assoggettati. Vi ricordate che essi sono una figura dei nemici delle anime nostre. Sono forse in libertà i nemici dell’anima nostra, ovvero abbiamo trovato in Cristo la forza che può sottometterli?




1 Re

Capitolo 10, versetti da 1 a 13

Il Signore ricorderà questa scena ai farisei per rilevare la loro incredulità: «La regina del Mezzodì… venne dalle estremità della terra per udir la sapienza di Salomone, ed ecco qui v’è più che Salomone» (Matteo 12:42). Il Figlio di Dio, il Re di gloria, è qui in figura dinanzi ai nostri occhi. E ci fa vedere come riceve colui o colei che va a Lui. Non sono né la gloria né le ricchezze del gran re che attirano alla sua corte la nobile visitatrice. Le hanno parlato della sapienza di Salomone in relazione col nome dell’Eterno, e volendo rendersene conto di presenza venne a fargli tutte le domande «che aveva in cuore».

Cari lettori, non vi basti d’aver udito parlare del Signore Gesù. Andate a Lui! Mettete da parte i vostri propri pensieri e recateGli tutte le vostre difficoltà, tutto ciò che, forse, grava sul vostro cuore. Allora farete personalmente l’esperienza della sua grandezza e della sua potenza, delle sue ricchezze e della sua sapienza, ma anche del suo meraviglioso amore. Egli è pronto a darvi tutto quel che desiderate, tutto quel che Gli domanderete (vers. 13, Giovanni 15:7).

Ciò che impressiona la regina alla corte di Salomone (vers. 4-5) ci fa pensare alla testimonianza resa al Signore da l’Assemblea (la sua casa), all’insegnamento della Parola (i cibi della sua mensa), al comportamento dei Suoi che deve essere degno di Lui (i alloggi, l’ordine, i vestiti dei suoi servitori). In tutti questi dettagli dovremmo mostrare chi è il grande Re al quale abbiamo l’onore di appartenere.




1 Re

Capitolo 10, versetti da 14 a 29

Voi avreste certamente trovato piacere a contemplare Salomone, il più grande dei re della terra, vestito di abiti preziosi e magnifici, seduto sul suo trono d’avorio e d’oro. Che spettacolo doveva essere! E tuttavia il Signore, invitandoci a considerare i gigli dei campi, ci afferma che «Salomone con tutta la sua gloria, non era vestito come uno di loro» (Matteo 6:29). Così la più bella delle opere dell’uomo non raggiungerà mai la più modesta opera del Creatore.

Il Salmo 72, composto «a riguardo di Salomone», descrive questo regno di giustizia (vers. 1 a 4), di pace (vers. 7), di potenza (vers. 8 a 11), di grazia (vers. 12 a 14), di prosperità (vers. 16) e di benedizione (vers. 17). «I re di Sceba e di Seba gli offriranno doni… e gli sarà dato dell’oro di Sceba» (vers. 10,15). Nel nostro cap. 10, molti particolari illustrano la ricchezza, la sapienza e la potenza di questo figlio di Davide che regna in giustizia a Gerusalemme. Ma comprendiamo che qui vi è pure in figura, «più che Salomone». Centro di gloria, di prosperità e di benedizione per tutti i popoli, questo regno brillante non è che una debole figura del prossimo dominio universale del nostro Signore Gesù Cristo.




1 Re

Capitolo 11, versetti da 1 a 13

Fin qui a mala pena abbiam visto un’ombra sullo splendore di questo regno eccezionale. Ed ecco che il cap. 11 comincia con un ma che svela ad un tratto, sotto le brillanti apparenze descritte precedentemente, uno stato dei più desolanti. Il re disobbedisce doppiamente alla legge, acquistandosi «molte mogli», e mogli straniere (Deuteronomio 17:17 e 7:3). Esse, nella sua vecchiaia, gli hanno distolto il cuore. Come mai poté accadere questo? Non aveva Salomone chiesto e ottenuto un cuore savio, un cuore che ascoltasse? Che cosa gli mancava ancora? Gli mancava una cosa: Egli non aveva custodito questo cuore, non aveva vegliato su quel che vi penetrava. L’Eterno gli aveva dato «un cuore vasto come la rena del mare», per permettergli di amare il suo gran popolo. Ed ecco che in quel cuore han preso posto mille donne straniere… con i loro idoli! Le proprie parole di Salomone si volgono contro lui stesso: «Custodisci il tuo cuore più d’ogni altra cosa, poiché da esso procedono i risultati della vita» (Proverbi 4:23, versione corretta). È quel che egli ha insegnato agli altri… e trascurato di fare per se stesso (vedere Romani 2:21 e 1 Corinzi 9:27). Non ha neppure tenuto conto dell’avvertimento del padre suo (cap. 2:3), poi del doppio avvertimento dell’Eterno (vers. 9-10).




1 Re

Capitolo 11, versetti da 14 a 28

Quando si tratta dell’uomo e della sua responsabilità constatiamo ancora e sempre il fallimento più totale. La storia di Salomone lo dimostra meglio di qualsiasi altra. È stato il più savio, il più ricco e il più potente di quelli che sono vissuti sotto il sole. Ha edificato per Dio un tempio grandioso, opera senza pari. Ma più l’uomo è elevato, più la sua caduta è fragorosa. Pensiamo all’esempio che questo re debole ha dato a tutto Israele. E ad un tempo pensiamo all’esempio che noi diamo agli altri! Quando la nostra condotta non è conforme alla nostra posizione, siamo per loro un’occasione di caduta.

Dio suscita a Salomone degli avversari, al tempo della sua vecchiaia. Dapprima fuori del regno: Adad e Rezon. In seguito, Geroboamo all’interno del regno. Purtroppo, non vediamo il re rientrare in sé stesso, né tornare a Dio con tutto il cuore — secondo le proprie parole del cap. 8:47-48. Non si volge neppure verso l’Eterno per dirGli: «Ascolta e perdona». E tuttavia non era forse la via che, nella sua preghiera, aveva tracciata a quelli che avrebbero avuto da fare con dei nemici, come conseguenza dei loro peccati?




1 Re

Capitolo 11, versetti da 29 a 48

Come Dio aveva preparato Davide mentre Saul viveva ancora, così Egli suscita Geroboamo durante la vita di Salomone. Proprio come aveva fatto Saul, Salomone cerca di far morire colui che l’Eterno gli ha designato per successore, (vers. 40). Non si china sotto la disciplina. Che differenza con Davide che riceveva tutto dalla mano di Dio compresi gli oltraggi di Shimei! Davide aveva incominciato bene la sua vita; l’aveva continuata male, ma l’aveva ben terminata; Salomone ha incominciato bene la sua carriera, l’ha continuata bene, e l’ha finita male. Citiamo ancora un esempio inverso: Giacobbe, i cui giorni furono «corti e malvagi» (Genesi 47:9), ebbe una bella fine (Ebrei 11:21).

Questo tentativo di omicidio è l’ultimo atto di Salomone che ci sia riferito! Poi si addormenta coi suoi padri. Secondo la sua propria dichiarazione, egli aveva avuto «un tempo per vivere». Ora viene per lui il «tempo per morire» (Ecclesiaste 3:2). Caro lettore, voi non sapete quando questo tempo verrà per voi. Ma quel che dovete sapere è che il tempo per vivere è anche il tempo per credere, e il tempo per vivere per Cristo.




1 Re

Capitolo 12, versetti da 1 a 15

Roboamo succede al padre, il quale si era un tempo fatto questa domanda: L’uomo che verrà dopo di me, sarà savio o stolto? (Ecclesiaste 2:18-19). Tre giorni bastano al povero Roboamo per darci la risposta. Il figlio dell’uomo più savio è sprovvisto d’intelligenza. E non lo vediamo come il padre chiedere all’Eterno un cuore savio. Nella sua gioventù, all’età in cui normalmente si deve imparare, non ha saputo approfittare degli insegnamenti della sapienza contenuti nel libro dei Proverbi, il cui autore è Salomone. Tuttavia questo libro incominciava così: «Ascolta, figliuol mio, l’istruzione di tuo padre…» (Proverbi 1:8). Talché all’età di quarant’anni, al tempo delle responsabilità, gli mancano totalmente l’esperienza, il buon senno, e soprattutto l’umiltà. Abbandona il consiglio dei vecchi, preferendo seguire l’imprudente consiglio dei giovani. Alcuni ragazzi ascoltano forse più volentieri i giovani della loro età che i genitori o le persone più anziane? Tendenza ben pericolosa! Vedete qui le sue conseguenze. Ma Dio si serve di questa mancanza di saggezza di Roboamo, come pure dei falli del popolo, per compiere quel che aveva deciso contro la casa di Davide.




1 Re

Capitolo 12, versetti da 16 a 33

In seguito all’intransigenza di Roboamo, dieci tribù si sono separate. Geroboamo diventa il loro re. I discendenti di Salomone non conserveranno che la tribù di Giuda e di Beniamino. Da questo momento seguiremo parallelamente la storia di questi due regni. Sino alla fine del 2° Libro dei Re sarà piuttosto quella del regno d’Israele (le dieci tribù) mentre il 2° Libro delle Cronache riprenderà la narrazione in rapporto col regno di Giuda.

Con una breve frase Dio ferma la guerra civile che stava preparandosi: «Questo è avvenuto per voler mio» (vers. 24). Breve frase, è vero, ma tanto importante anche per noi! Una difficoltà, un impedimento vengono forse a contrariare i nostri piani? Ascoltiamo, tendiamo l’orecchio! Udremo senza dubbio la stessa voce che ci dice: «Questo è avvenuto per voler mio».

Poi ci sono riferiti i primi atti di Geroboamo. Egli stabilisce due vitelli d’oro (paragonate il vers. 28 con Esodo 32:4), elementi principali d’un culto interamente inventato dall’uomo. Ora la propria volontà non è mai tanto colpevole quanto in materia di religione. E, da un regno all’altro, udremo parlare di questo peccato di Geroboamo.




1 Re

Capitolo 13, versetti da 1 a 19

In un giorno, «che aveva scelto di sua propria iniziativa», Geroboamo celebra una festa a Bethel in onore del suo vitello d’oro. Ma qualcuno viene a turbare la cerimonia. È un profeta! Giunge da Giuda con le parole più severe: «Altare, altare! così dice l’Eterno!…» L’altare si spacca; il re ribelle è colpito, poi guarito dalla potenza di Dio. La grazia brilla nella guarigione d’un uomo così empio. Dio ci benedice secondo quello che Egli è, e mai secondo quello che siamo. Questa grazia avrebbe dovuto parlare al re.

Il profeta aveva ricevuto l’ordine di andarsene appena finita la sua missione. Riposarsi, mangiare e bere sul territorio di quelle tribù disobbedienti, sarebbe stato contraddire le parole di giudicio ch’egli aveva pronunciate. Non possiamo mostrare nessuna comunione con organizzazioni religiose non sottomesse alla Scrittura.

Il vecchio profeta, i cui figli sembra abbiano assistito alla festa del vitello d’oro, non era al suo posto, a Bethel. Per questo motivo, benché abitasse nella città ove bisognava compiere un servizio, non ne era stato incaricato dall’Eterno. Ma attirando in casa sua l’uomo di Dio, il vecchio giustificava la sua falsa posizione e aumentava la sua reputazione. Cosa ben seria! Se il profeta di Giuda fosse stato più sollecito a lasciare quei luoghi, probabilmente non sarebbe stato raggiunto dal vecchio profeta! (vers. 14).




1 Re

Capitolo 13, versetti da 20 a 34

Ora tocca all’uomo di Dio udire una parola di giudicio. Ha mancato di forza di carattere e notate a quali tragiche conseguenze va incontro.

Lasciarsi trascinare è un pericolo particolare alla gioventù, poiché è influenzabile. E notate pure che, per far uscire un cristiano dalla via dell’obbedienza, il diavolo non adopera soltanto delle seduzioni grossolane! Saprà servirsi per convincerci di mezzi che sembrano plausibilissimi. Tutte le apparenze erano in favore di quel vecchio profeta che pretendeva aver ricevuto da un angelo la parola dell’Eterno. Ma poteva Dio contraddirsi? In quel che ci concerne, fidiamoci semplicemente a quel che Egli dice nella Bibbia e non sbaglieremo strada (vedere Galati 1:8-9). Per quest’uomo di Dio la morte è la conseguenza del suo fallo. E per il vecchio profeta che castigo! Egli è stato una pietra d’intoppo per colui che egli chiama suo fratello (vers. 30)… ma verso il quale non aveva affatto agito da fratello! Trascinarne altri a disobbedire non è meno grave che disobbedire noi stessi. Ognuno di questi due profeti ci insegna in tal modo la propria lezione.




1 Re

Capitolo 14, versetti da 1 a 20

Nonostante l’avvertimento solenne che Dio gli ha dato a Bethel, Geroboamo ha perseverato nella sua via iniqua. Allora l’Eterno gli parla una seconda volta per mezzo della malattia del figlio Abija. Constatiamo che il re non pensa di cercar soccorso dal suo vitello d’oro, di cui riconosce in tal modo la totale impotenza. Si volge verso Ahija, il profeta che un tempo gli aveva annunziato la sovranità. È forse il re rientrato in se stesso? Purtroppo, no! La frode di cui si serve, d’intesa con la moglie, prova che nel suo cuore non c’è nessuna vera umiliazione. Ma che follia pensare che si possa ingannare Dio con un travestimento! La regina è smascherata appena entra in casa. E, invece delle parole piacevoli che Geroboamo aveva un tempo udito dalla bocca dell’uomo di Dio, è un terribile messaggio che la sventurata moglie gli recherà, nel momento stesso in cui il giovane Abija morrà. Perché, direte voi forse, non ha l’Eterno lasciato vivere quel fanciullo in cui Egli aveva trovato qualcosa di buono? Precisamente perché voleva ritirarlo da un ambiente così malvagio e prenderlo con Sé. Sorte incomparabilmente migliore! (Isaia 57:1-2).




1 Re
 

Capitolo 14, versetti da 21 a 31
Capitolo 15, versetti da 1 a 8

Roboamo regna dunque nel medesimo tempo di Geroboamo. Benché il suo regno sia il più piccolo, possiede la parte migliore. La sua capitale rimane Gerusalemme ove si trova il Tempio, santa dimora dell’Eterno e centro di radunamento per tutto Israele. Roboamo stesso è il «figlio» di Davide, il suo discendente legittimo. Purtroppo, con tutti questi privilegi, vedete fin dove cade il popolo pochi anni dopo i giorni gloriosi del capitolo 8 (vers. 65-66)! Ah! l’erba cattiva come può guastare il più bel giardino! L’idolatria introdotta da Salomone ha invaso tutto il paese. Ma non è tutto! Poiché Roboamo non veglia, il nemico ne approfitterà ancora. E il povero re si lascia prendere ad un tempo tutti i suoi tesori e tutto quel che lo proteggeva (gli scudi). Serio avvertimento per ciascuno di noi. Se non vegliamo sul nostro cuore, il Nemico, furtivamente vi seminerà il seme di diversi idoli. Poi, quando esso sarà germogliato, ci rapirà senza difficoltà i nostri tesori più preziosi, deposito che i nostri genitori o nonni forse ci avevano trasmessi: Cristo e la Sua Parola.

Abijam succede a Roboamo e tre anni di regno bastano a mostrare ch’egli cammina in tutti i peccati praticati dal padre suo.




1 Re

Capitolo 15, versetti da 9 a 24

Dopo Abijam, il figlio Asa prende posto sul trono di Giuda. Lungo regno, che contrasta coi due precedenti! Asa fa «ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno». E fare ciò che è giusto consiste anzitutto a togliere, a far sparire, ad abbattere, a bruciare. Attitudine tanto più coraggiosa e difficile in quanto l’obbliga ad agire contro la propria nonna, Maaca, una idolatra! Conosciamo le parole del Signore: «Chi ama padre o madre più di me non è degno di me…» (Matteo 10:37). Dal tempo di Asa, quanti giovani convertiti hanno dovuto e devono ancora prender posizione contro la loro propria famiglia! Ben felici sono quelli che hanno invece dei genitori che li incoraggiano e gli sono di modello. Pensate a quel giovane re a cui il padre, il nonno e la nonna non avevano dato che cattivo esempio!

Purtroppo, la fine del regno d’Asa non è al livello del suo inizio. Invece di cercare presso l’Eterno il soccorso contro Baasa, si appoggia su Ben-Hadad. Il secondo libro delle Cronache (cap. 16) ci permetterà di ritornare più in particolare su questo regno e sulle lezioni che esso comporta per noi.




1 Re
 

Capitolo 15, versetti da 25 a 34
Capitolo 16, versetti da 1 a 7

La nostra lettura ci riporta quarant’anni indietro per considerare il regno d’Israele al tempo in cui Asa dominava sul regno di Giuda. In contrasto con lui, Nadab, figlio di Geroboamo, seguì, durante il suo breve regno, «le tracce del padre e il peccato nel quale aveva indotto Israele» (vers. 26). Questo peccato è la falsa religione istituita da Geroboamo per distogliere il popolo dal luogo scelto dall’Eterno (Deuteronomio 12:5-6). Nella cristianità, come in Israele, vi è una moltitudine di persone che, pur facendo parte del popolo di Dio, sono state distolte dal solo centro che è Gesù. Hanno loro insegnato delle forme religiose che non sono secondo la Parola.

Nadab, con tutta la famiglia di Geroboamo, subisce la sorte annunziata da Ahija. Ma Baasa, che eseguisce questo giudicio, e succede nel regno a Nadab, gli succede anche nella sua via di peccato. Ora lo stesso sentiero terminerà nella stessa maniera! L’Eterno lo annunzia a Baasa per mezzo del profeta Jehu, che, con coraggio si presenta davanti al malvagio re con parole solenni. Non siamo stati forse noi pure innalzati dalla polvere per prender posto con i nobili? (vers. 2 — 1 Samuele 2:8). Allora esaminiamo bene in quale sentiero camminiamo e quale ne è la fine (Proverbi 16:25).




1 Re

Capitolo 16, versetti da 8 a 28

Ela, figlio di Baasa, regna sopra Israele due anni. Il solo atto che ci sia riferito di lui è questo: «Ela era a Tirtsa bevendo ed ubriacandosi» (vers. 9). Questo re è dominato da una passione, povero schiavo dell’alcool, come lo sono oggi ancora milioni d’infelici. L’uomo crede di poter governare i suoi simili, quando non è neppur capace di dominare le passioni del proprio cuore. Troverete nel libro dei Proverbi le parole d’un giovane re chiamato Lemuel. Egli si ricorda di quel che la madre gli ha insegnato: «Non s’addice al re, o Lemuel, non s’addice al re bere del vino…» (Proverbi 31:4 — vedere anche Proverbi 23:20,31,32 ed Efesini 5:18). In un istante Ela, senza essersi svegliato, passa dall’ebbrezza alla morte. Così gli uomini di questo mondo si stordiscono nei piaceri del peccato, poi, senza esservi preparati, si trovano improvvisamente precipitati in un’eternità d’infelicità.

Sette giorni sono sufficienti a Zimri, uccisore di Ela, per provare che egli cammina nella via di Geroboamo! La sua fine non è meno terribile: si suicida! Poi Omri s’impadronisce del potere, costruisce Samaria, fa peggio dei suoi predecessori. Che fitte tenebre gravano su questo regno d’Israele! (Michea 6:16).




1 Re
 

Capitolo 16, versetti da 29 a 34
Capitolo 17, versetti da 1 a 6

Achab, figlio d’Omri, il cui regno ci occuperà sino alla fine del 1° libro dei Re supera ancora i peccati dei re precedenti. Poiché il culto di Baal è ufficialmente introdotto in Israele per mezzo di una moglie, l’abominevole Izebel. In quel tempo Gerico viene ricostruita. Provocazione all’Eterno; ed essa riceve il castigo annunziato da Giosuè! (Giosuè 6:26). Allora per parlare alla coscienza del re del suo popolo, Dio suscita un profeta: Elia! Ma costui sente che anzitutto è necessaria una prova onde mettere Israele in grado di ricevere la parola divina. Talché egli prega «ardentemente» che non piova (Giacomo 5:17). Poi, certo della risposta dell’Eterno, si presenta davanti ad Achab con autorità per annunziarglielo. Quando abbiamo domandato con fede qualcosa a Dio secondo la Sua volontà, dobbiamo agire con l’assoluta sicurezza del suo esaudimento. Notiamo l’espressione: «L’Eterno … dinanzi al quale io sto» (versione corretta). Stare con rispetto davanti a Dio, nella sua luce, sempre pronto a ricevere le sue istruzioni, tale è l’attitudine del servitore. Era quella di Gesù al Salmo 16:8. Poi Dio nasconde Elia ed ha cura di lui in modo meraviglioso al torrente di Kerith.




1 Re

Capitolo 17, versetti da 7 a 24

Elia non dipendeva né dal torrente né dai corvi, ma dalla parola di Colui che aveva detto (vers.4): «Ho comandato ai corvi che ti diano quivi da mangiare.» Così, quando il torrente rimane asciutto, non è preso alla sprovvista e riceve un nuovo messaggio: «Ho ordinato colà ad una vedova che ti dia da mangiare» (vers. 9). Questa vedova è ridotta alla povertà più estrema, ma che importa ad Elia, poiché l’Eterno ha detto: colà! E questa donna di fede, che il Signore Gesù citerà agli abitanti di Nazareth per la loro onta (Luca 4:25-26), farà una meravigliosa esperienza. Quando Dio chiede un servizio (qui è quello di dar da mangiare al profeta), Egli provvede nel medesimo tempo tutto quel che occorre per compierlo. Soltanto, bisogna essere pronto a fare prima, senza discutere ciò che Egli ci ha chiesto. È l’insegnamento della piccola stiacciata, prova della fede di questa donna e «primizie» d’un’abbondanza divina per quella casa.

Poi la povera donna farà una seconda esperienza anche più straordinaria: quella della morte e della risurrezione del proprio figlio. I nostri pensieri si elevano di nuovo dal profeta al Signore Gesù, che risuscita i morti, come per esempio l’unico figlio della vedova di Nain (Luca 7, 11 a 15).




1 Re

Capitolo 18, versetti da 1 a 16

L’Eterno che, tre anni prima, aveva detto ad Elia: «Partiti di qua;… nasconditi» (17:3) gli ordina adesso: «Va, presentati ad Achab». Ed il profeta è tanto pronto ad obbedire in questo caso come nell’altro. Esempio anche per noi che forse avremmo tendenza, secondo il nostro carattere, a presentarci o a nasconderci, quando Dio ci chiede proprio il contrario!

Qual è l’occupazione di Achab durante la terribile siccità? Lo vediamo preoccuparsi dei suoi cavalli e dei suoi muli piuttosto che della miseria del suo popolo. Abdia, suo maggiordomo, pur temendo l’Eterno, non ha il coraggio di separarsi dal suo empio padrone. Avrebbe dovuto rinunciare ai suoi vantaggi terreni, forse arrischiare la vita. Purtroppo, come Abdia, molti cristiani non sono pronti a separarsi dal mondo per piacere al Signore, perché questa scelta costerebbe loro troppo caro!

Notate il timore di Abdia quando si tratta di annunziare ad Achab che ha incontrato Elia. Si gloria volentieri di ciò che ha fatto per i cento profeti; ma quando si tratta di compiere il semplice servizio che Elia gli chiede, manca al povero Abdia ciò che brillava nell’umile vedova di Sarepta: l’umile fiducia nella parola dell’Eterno.




1 Re

Capitolo 18, versetti da 17 a 29

Mentre infierivano la siccità e la carestia, Achab aveva fatto l’impossibile per rintracciare il profeta che egli considera come responsabile della sciagura d’Israele. «Sei tu — gli dice, incontrandolo finalmente — colui che mette sossopra Israele?» Che incoscienza! «Sei tu stesso, — risponde Elia — con la tua famiglia, che hai attirato questo castigo su Israele coi tuoi peccati». In tal modo ragionano gli uomini di questo mondo… e forse talvolta anche noi! Quando Dio ci manda una prova, invece di esaminarci personalmente, ci affrettiamo ad accusare gli altri e renderli responsabili di quel che ci accade.

Alla richiesta di Elia, il re raduna tutto Israele con i falsi profeti sul monte Carmel. È giunto il momento di parlare risolutamente al popolo e di metterlo dinanzi alla scelta. «Fino a quando zoppicherete dai due lati?» Più tardi Gesù parlerà nello stesso modo alle folle d’Israele sopra un altro monte: «Niuno può servire a due padroni…» (Matteo 6:24).

Lettore o lettrice che ancora non avete fatto la scelta, noi ripetiamo affettuosamente per voi la domanda d’Elia: «Fino a quando esiterete voi fra i due lati» … fra i due padroni?




1 Re

Capitolo 18, versetti da 30 a 46

I profeti di Baal, raccolta la sfida, hanno invano moltiplicato i loro incantesimi e le loro danze frenetiche. Il loro dio è rimasto sordo. E con ragione! Allora Elia comincia i suoi preparativi con un’autorità che contrasta con tutto l’eccitamento precedente. Costruisce l’altare con dodici pietre, «secondo il numero delle tribù», affermando così l’unità del popolo. Nonostante la triste divisione in due regni, Israele è sempre agli occhi di Dio un solo popolo. È oggi la stessa cosa della Chiesa del Signore. Per quanto divisa essa sia di fatto in molteplici denominazioni, per Dio non c’è che una sola Chiesa, composta di tutti i credenti. È così che noi pure dobbiamo vederla.

Allorché tutto è pronto per l’olocausto, Elia s’indirizza a Dio: «O Eterno, rispondimi, affinché questo popolo riconosca che tu, o Eterno, sei Dio, e che tu sei quegli che converte il cuor loro» (vers. 37). Dio esaudisce il suo servitore, non solo mandando il fuoco dal cielo, ma riconducendo il cuore di tutto il popolo verso Lui.

Achab assiste a questa scena, seguita dalla morte dei suoi profeti, senza essere interessato ad altro che a mangiare ed a bere, mentre l’uomo di Dio prega di nuovo… «e il cielo diede la pioggia» (Giacomo 5:18).




1 Re

Capitolo 19, versetti da 1 a 10

Chi riconoscerebbe in quest’uomo scoraggiato, che fugge alle minacce d’una donna il brillante testimonio del capitolo precedente? Dio non ci dà questa narrazione onde giudichiamo il suo caro servitore, ma per il nostro ammaestramento: l’uomo più straordinario fallisce totalmente quando è lasciato alle sue proprie risorse. Non rimane ad Elia che la disperazione. Tuttavia, vedete come Dio ha cura di lui. Prezioso pensiero: anche quando ci accade d’essere abbattuti o irritati, la sua bontà non cessa di esercitarsi verso noi.

Lo spirito legale di Elia lo conduce in Horeb (parte del massiccio di Sinai), quel luogo ove la legge era stata data. «Che fai tu qui, Elia?» gli chiede l’Eterno. Domanda ben seria per colui che aveva abbandonato il popolo. Ahimè! la risposta del profeta non fa che tradire la sua falsa posizione. Egli è là per accusare! Mentre Mosè, in quello stesso luogo, aveva interceduto per il popolo (Esodo 32:11), Elia «ricorre a Dio contro Israele» come lo ricorda tristemente Romani 11:2.

Ricordiamoci bene di questo: Accusare (ciò può prendere la forma della maldicenza) è fare l’opera di Satana (Apocalisse 12:10). Intercedere, è invece agire come il Signore Gesù (Romani 8:34).




1 Re

Capitolo 19, versetti da 11 a 21

Contrariamente a quel che Elia pensava, il linguaggio che Dio voleva ora fare udire ad Israele non era quello del suo giudicio.

L’Eterno non era né nel vento, né nel terremoto, né nel fuoco. La voce «potente», «piena di maestà»… e terribile del Salmo 29:3 a 9, tace per far posto a quella, dolce e sommessa, della grazia. Oggi ancora, non è il tempo del giudicio per il mondo; è quello della grazia che perdona il peccatore. Dio può risvegliare gli uomini per mezzo delle prove della sua potenza, ma, per toccare i loro cuori, occorre quella voce tenera della grazia. La conoscete? Per riceverla, è necessario sentire la propria indegnità.

Per non aver saputo comprendere questo linguaggio, Elia deve essere messo da parte, ed Eliseo è chiamato in vece sua. Egli saprà, da parte dell’Eterno, far udire al popolo questa voce d’amore.

Infine, Dio insegna ancora ad Elia un’altra lezione. Questi era salito sul monte pensando essere il solo fedele. Ne discende avendo imparato che egli era soltanto uno dei settemila uomini che Dio si era riserbato in Israele. Se egli non aveva saputo scoprirli, Dio, invece, conosceva ognuno di loro (vedere 2 Timoteo 2:19).




1 Re

Capitolo 20, versetti da 1 a 12

L’Eterno aveva designato a Elia il successore di Ben-Hadad, re di Siria e quello di Achab, re d’Israele (cap. 19:15-16). Ma questi due personaggi sono ancora al potere e il cap. 20 ci narra il conflitto che li oppone l’uno all’altro. Ne è così del mondo attuale. Gli uomini agiscono nel loro accecamento come se l’avvenire appartenesse loro. Ma dimenticano che Dio ha i suoi pensieri a riguardo del mondo e dirige il corso della storia. E mentre si disputano la supremazia, nei pensieri di Dio sono già sostituiti dal re che Egli ha designato: Gesù Cristo. Come Elia, i credenti conoscono per mezzo della Parola questi pensieri di Dio a riguardo del mondo e non si lasciano impressionare dagli avvenimenti che agitano ed inquietano l’umanità (Isaia 8:12-13).

Di fronte alle provocazioni di Ben-Hadad, Achab è ridotto all’impotenza. Ci fa pensare all’uomo nel suo stato di peccato, in balia del diavolo, il suo potente nemico. Costui non ha forse in pochi momenti spogliato Adamo di tutto ciò che possedeva in Eden? Ma per la grazia di Dio, Satana, l’uomo forte, ha trovato in Cristo qualcuno più forte di lui, che l’ha vinto e ne ha «spartito le spoglie» (Luca 11:22).




1 Re

Capitolo 20, versetti da 13 a 30

Ben-Hadad ha fatto i conti senza l’Eterno. Mentre si ubriaca con i trentadue re che l’assistono, il piano divino si eseguisce.

Ci si può chiedere perché l’Eterno venga in soccorso del malvagio Achab senza neppure che costui si sia rivolto a Lui. Non è forse qui precisamente la voce dolce e tenera della grazia di cui Dio vuole ancora provare le virtù? Liberando Achab ed il suo popolo, si propone di mostrar loro che Egli è sempre il Dio d’Israele, benché essi non lo ricerchino. Ai Siri, vuol provare che Egli non è un dio di montagna né un dio di pianura, bensì «il Signore del cielo e della terra» (Atti 17:24).

Notiamo ancora due particolari al vers. 27: Prima di andare al combattimento i figlii d’Israele sono approvigionati. Non pensiamo di poter affrontare i nostri avversari senza aver fatto pure le nostre provviste giornaliere nelle pagine della Parola.

Poi il piccolo esercito d’Israele deve fare l’esperienza che esso è senza forza, spregevole agli occhi dei suoi nemici, «come due minuscoli greggi di capre» di fronte alla moltitudine che inondava il paese. Dio farà sempre in modo che le sue liberazioni Gli siano attribuite, e Lo glorifichino. E la sua potenza si compirà nella nostra debolezza (2 Corinzi 12:9).




1 Re

Capitolo 20, versetti da 30 a 43

È triste non trovare in Achab nessun sentimento di riconoscenza per la doppia vittoria che l’Eterno gli ha accordata. Purtroppo, la più parte degli uomini agisce così! La grazia di Dio li lascia insensibili. E noi, sappiamo che Cristo ha vinto per noi un nemico infinitamente più potente e più crudele di Ben-Hadad e dei suoi eserciti? L’abbiamo già ringraziato per questa gloriosa liberazione?

Non soltanto non vediamo che Achab si volga verso l’Eterno, ma fa prova d’una colpevole indulgenza risparmiando il nemico di Dio e del suo popolo. Anzi, lo chiama persino suo fratello! Dio interviene e gli manda un altro profeta, ma questa volta la voce della grazia fa posto a quella del giudicio. Comprendiamo di che cosa ci parla questo. Come Achab, ci accade di dimenticare che il mondo è il nemico di Dio. Ora l’umanità si divide soltanto in due famiglie: quella di Dio e quella del diavolo (Giovanni 8:41 a 44). Esse non possono mescolarsi. Se abbiamo la felicità di far parte della grande famiglia di cui Dio è il Padre, i nostri fratelli e le nostre sorelle sono tutti figli di Dio, ma essi soltanto.




1 Re

Capitolo 21, versetti da 1 a 14

Mancò ben poco che Achab non fosse totalmente spogliato dal re di Siria. Ingrato verso l’Eterno che gli aveva conservato tutto, eccolo che, spinto dalla concupiscenza, cerca a sua volta di spogliare il suo prossimo. Naboth, da fedele Israelita, non può cedere la sua eredità, secondo Levitico 25:23. Mostriamo noi la stessa fedeltà, la stessa fermezza quando si tratta di mantenere l’eredità spirituale che ci è stata lasciata, forse dai nostri genitori? Sì, guardiamoci bene di dar poco pregio alle preziose verità bibliche il cui deposito ci è stato affidato (1 Timoteo 6:20; 2 Timoteo 1:14).

Lo sciagurato re lascia vilmente agire la moglie, e, al coperto dell’autorità reale, è compiuta l’ingiustizia più abominevole.

Tuttavia, Naboth ha il privilegio di rappresentare uno più grande di lui. Nella parabola ove il Signore Gesù presenta Se stesso come l’erede della vigna, udiamo la terribile parola: «Venite, uccidiamolo, e facciam nostra la sua eredità» (Matteo 21:38). E la fine dello stesso evangelo ci informa che due falsi testimoni comparvero pure dinanzi al Sinedrio. Ivi Gesù fu accusato di bestemmia dai capi del popolo (Matteo 26:60, 65-66) prima di soffrire e morire «fuori della città» (vers. 13; Ebrei 13:12).




1 Re

Capitolo 21, versetti da 15 a 29

La menzogna e l’omicidio hanno messo Achab in possesso dell’oggetto della sua concupiscenza. Eccolo levarsi e scendere, col cuore contento, a visitare la sua nuova proprietà. Ma tutto il suo piacere svanisce ad un tratto! Qualcuno, che conosce bene, lo aspetta nella vigna di Naboth. È Elia! L’Eterno l’ha incaricato di annunziare al re il castigo che l’attende. Castigo che ci fa pensare alla fine orribile di colui che aveva tradito «il sangue innocente»: lo sciagurato Giuda! «Costui dunque — sta scritto — acquistò un campo col prezzo della sua iniquità, ed essendosi precipitato, gli si squarciò il ventre, e tutte le sue interiora si sparsero» (Atti 1:18).

Ma, per la prima volta nella storia di Achab, vediamo in lui un segno d’umiliazione. Il suo orgoglio è abbassato. Egli sa, dall’esempio dei suoi predecessori, che la parola dell’Eterno si compie sempre. Si tratta forse d’un «pentimento che mena alla salvezza? (2 Corinzi 7:10), d’una vera conversione? Purtroppo no, come lo mostrerà il seguito della sua storia. Una vera conversione si giudica sempre dai frutti. Tuttavia Dio, attento ad ogni segno di ravvedimento, tien conto di quest’attitudine di Achab per differire il suo castigo (Ezechiele 33:11).




1 Re

Capitolo 22, versetti da 1 a 18

Ben-Hadad non ha mantenuto la sua parola (cap. 20:34). Ha conservato Ramoth di Galaad. Achab si propone di riprenderla e partecipa il suo disegno ad un illustre visitatore in soggiorno a casa sua: Giosafat, re di Giuda. E anzitutto, che cosa pensare di questa visita? Non è forse rallegrante di vedere stabilirsi un’amicizia fra i sovrani di questi due regni israeliti da tanto tempo in conflitto fra loro? È un passo verso l’unione, cosa oggi all’ordine del giorno nel mondo cristianizzato. In realtà, dinanzi a Dio, è un’infedeltà da parte di Giosafat. Egli era re a Gerusalemme ove era il tempio dell’Eterno. Achab invece era un idolatra. Ora, chiede l’apostolo: «quale accordo fra il tempio di Dio e gli idoli?» (2 Corinzi 6:16).

Vedete in quale ingranaggio si è lasciato cogliere il povero Giosafat. A disagio, egli fa ad Achab alcune timide osservazioni, ma non ha abbastanza energia per opporsi al suo disegno. Gli occorreva più coraggio per questo che per fare la guerra ai Siri. Ed ognuno di noi lo sa certamente per esperienza: l’atto più difficile, quello che richiede più coraggio, sarà sovente un semplice rifiuto, un rifiuto di associarsi al male (Salmo 1:1).




1 Re

Capitolo 22, versetti da 19 a 40

Tutti d’accordo, i quattrocenti profeti hanno annunziato ciò che il re desiderava. Che cosa possono arrischiare? Se Achab vince la guerra, la loro predizione sarà confermata. E, se non ritorna, non potrà rimproverarli. A lato di questi profeti di menzogna, un solo profeta dell’Eterno, il fedele Micaiah, fa coraggiosamente conoscere la verità e ne soffrira.

Gli uomini d’oggi, come Achab, si accumulano «dei dottori secondo le loro proprie voglie» (2 Timoteo 4:3). Essi non amano udir parlare d’un giudicio eterno e per rassicurarsi trovano dei predicatori che promettono loro che ad ogni modo tutto finirà bene. Ma tosto o tardi Dio confonderà tutti i mentitori. La sua Parola è la verità (Giovanni 17:17). Come il capitolo 18, questo ci mette in guardia contro un pericolo: quello di giudicare se una cosa è buona o cattiva secondo il numero di persone che la praticano.

L’assenza di volontà di Giosafat mancò poco non gli costasse la vita. Ha seguito Achab, per timore di scontentarlo. E costui, vilmente, ha cercato di volgere su lui l’attenzione e gli sforzi del nemico. Ma la sua astuzia non poteva ingannare l’Eterno che aveva gli occhi su uno dei re per liberarlo, sull’altro per compiere il suo infallibile giudizio (vedere Salmo 7:12-13).




1 Re

Capitolo 22, versetti da 41 a 54

Il regno di Giosafat è presentato più dettagliatamente nel 2° libro delle Cronache. Tuttavia fermiamoci qui sopra un fatto molto istruttivo. Giosafat aveva costruito delle navi per andare a Ofir in cerca d’oro. Ma la mano di Dio lo arresta. Le sue navi naufragano. Si ostinerà egli nel suo disegno? No, si sottomette. Il re d’Israele ha un bel proporgli il soccorso dei suoi marinai, questa volta sa rispondergli no!

A tutti noi è accaduto di fare dei bei piani che una circostanza inattesa è venuta ad annientare d’un sol colpo. Ne fu così di Giobbe che dovette esclamare: «I miei disegni, i disegni cari al mio cuore, sono distrutti» (Giobbe 17:11). Per fare fallire questi piani, Dio si serve di vari mezzi: tempo cattivo, malattia, mancanza di denaro, scacco in un esame…! E ciò è sempre penoso. Ma invece di irritarci e voler fare, nonostante tutto, quel che ci eravamo proposti, chiediamoci se il nostro disegno aveva l’approvazione del Signore. Uno spirito contrito ha più valore ai suoi occhi che delle navi naufragate.

L’ultimo paragrafo ci riconduce alla corte d’Israele. E noi vi vediamo il nuovo re Achazia che serve Baal e gli si prostra dinanzi. Tale è la triste nota finale di questo 1° Libro dei Re.