2 Re
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Capitolo 1, versetti da 1 a 10
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Dal principio di questo libro, vediamo il perverso Achazia fare un passo di più nell’idolatria. Ammalato, egli manda a consultare Baal-Zebub (che significa Signore delle mosche, o della contaminazione). Atto tanto più tenebroso in quanto, dietro quest’idolo, è Satana che si fa adorare, lui che i Giudei chiameranno Beelzebub, capo dei demoni (Matteo 12:24)! Allora, la sorte di Achazia è decisa da parte dell’Eterno, ed Elia è incaricato di annunziarglielo, come dianzi al padre suo. Ma mentre in Achab era avvenuta una certa umiliazione, Achazia invece non pensa che ad impadronirsi della persona del profeta, anche con la violenza. Si pensa alle azioni criminali d’un altro re, il malvagio Erode, contro Giovanni Battista (che la Parola confronta sovente con Elia — paragonate il loro vestimento vers. 8 e Marco 1:6). Questa rivolta aperta contro l’Eterno riceve subito un solenne castigo.
Così Achazia supera il padre suo in malvagità. Non aveva avuto sotto gli occhi che il triste esempio dei suoi genitori, Achab e Izebel. Ma che dire allora dei giovani e delle giovani allevati da genitori pii e che, nonostante questo privilegio se ne sono andati dietro agli idoli del mondo?
2 Re
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Capitolo 1, versetti da 11 a 18
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Nella sua ostinazione, Achazia ha mandato un secondo capitano di cinquanta uomini per condurgli Elia. La sua intimazione è ancora più insolente: «Fa presto, scendi!» Essa riceve la stessa terribile risposta. — Al monte Carmel, il fuoco non era caduto sugli assistenti, ma su l’olocausto. Figura del giudicio divino che discende su Cristo per ricondurre a Dio il cuore del suo popolo. Ora però, su quest’altro monte, il fuoco deve scendere in giudicio sugli uomini ribelli.
Gesù, santa Vittima, è stato solo a conoscere l’ardore dell’ira divina. Ma più tardi, quelli che non avranno creduto dovranno subire loro stessi eternamente quell’ira inflessibile (Romani 1:18).
Questo giorno di giudicio non è ancora venuto. Perciò, quando i discepoli Giacomo e Giovanni, riferendosi a questa scena, propongono al Signore di far scendere il fuoco dal cielo su un villaggio di Samaritani, Egli deve censurarli severamente (Luca 9:52 a 55).
Il capitano della terza cinquantina è forse uno dei 7000 di cui l’Eterno aveva parlato al profeta. Egli parla con rispetto, umiltà, affezione per i suoi soldati. Con lui Elia andrà dal re. Ma quivi, non farà che ripetere parola per parola il suo primo messaggio, bentosto adempiuto con la morte di Achazia.
2 Re
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Capitolo 2, versetti da 1 a 14
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Mentre il rapimento di Enoc è riassunto in due versetti (Genesi 5:24; Ebrei 11:5), Dio ci permette (come ad Eliseo) di assistere in particolare a quello di Elia. Avvenimento glorioso che ce ne evoca due altri: uno passato, l’altro futuro. La scena passata è l’ascensione del Signore al cielo. Come Elia, Gesù ha percorso il cammino del suo popolo Israele di cui abbiamo qui in figura le tappe. Ghilgal, Bethel, Gerico, infine il Giordano. Come Eliseo rifiutava di separarsi da Elia, così i discepoli si erano affezionati al Signore Gesù. «A chi ce ne andremmo?» — gli diceva Pietro (Giovanni 6:68 e 11:16). Ed anch’essi furono i testimoni della sua ascensione (Atti 1:9). Poi, secondo la promessa ch’era stata loro fatta, lo Spirito Santo discese su loro con potenza, e questo ci ricorda lo spirito di Elia che si posò su Eliseo dopo il rapimento del suo maestro.
Ma questo capitolo dirige i nostri pensieri sopra una scena futura: il rapimento di tutti i riscattati «nelle nuvole incontro al Signore nell’aria» (1 Tessalonicesi 4:17). Come Elia, siamo in cammino, sapendo quel che ci avverrà. È forse una speranza che rallegra il nostro cuore?
2 Re
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Capitolo 2, versetti da 15 a 25
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I «figli» dei profeti erano in realtà i loro discepoli, che vivevano con loro ammaestrati nella Parola e adoperati dall’Eterno per il Suo servizio. Quelli di Gerico, come più tardi, Toma, non possono credere al meraviglioso avvenimento che si è prodotto.
Eliseo a Gerico rappresenta Cristo venuto in grazia in questo mondo che è segnato di morte e di sterilità. Egli vi ha portato la vita per la potenza purificante della grazia (il sale) contenuta e manifestata nell’uomo nuovo (il vaso nuovo). Così il credente è chiamato ad essere nello stesso modo «un vaso ad onore, santificato, atto al servizio del Maestro, preparato per ogni opera buona» (2 Timoteo 2:21).
La scena che segue ci colpisce di terrore. Certo, la derisione è sempre una cosa spiacevole (Proverbi 19:29). Ma quella dei ragazzi di Bethel oltraggiava l’Eterno stesso. «Sali, calvo», era mettere Eliseo alla sfida d’essere rapito come Elia. Sopraggiunge l’orso! Esso è nella Bibbia una figura del mondo, sovente associato al leone: Satana. Oh! com’è serio questo! Dio potrà permettere che i figli i quali disprezzano la Parola, divengano la preda del mondo. Ed è cosa più terribile della morte, poiché ci va di mezzo la sorte eterna dell’anima!
2 Re
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Capitolo 3, versetti da 1 a 15
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Jehoram, fratello di Achazia, diventa re d’Israele. Benché faccia anche lui ciò che è male agli occhi dell’Eterno, pure si nota un miglioramento in rapporto con la condotta del padre suo e della madre. Egli rinuncia ufficialmente al culto di Baal.
Il primo versetto del nostro libro aveva già menzionato la ribellione di Moab. È l’occasione per Jehoram di entrare in guerra contro questo popolo appoggiandosi sui suoi alleati più vicini: il re di Giuda e quello di Edom. Purtroppo, Giosafat non ha imparato la seria lezione di Ramoth di Gaalad. Alla proposta di Jehoram, dà esattamente la stessa risposta di dianzi a quella di Achab (vers. 7; 1 Re 22:4).
La spedizione sta per fallire per mancanza d’acqua. Jehoram ne accusa l’Eterno, mentre egli stesso è il responsabile di tutta l’impresa. Molte persone sono come lui. Accusano Dio delle loro calamità, invece di pentirsi. Quanto a Giosafat, si preoccupa infine di consultare l’Eterno. Dinanzi ai tre re sventuratamente associati, Eliseo non è a suo agio. E le parole che rivolge a Jehoram ci fanno pensare alla solenne dichiarazione che il Signore farà un giorno agl’increduli: «In verità io vi dico: Non vi conosco» (Matteo 25:12).
2 Re
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Capitolo 3, versetti da 16 a 27
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Eliseo ha fatto conoscere da parte dell’Eterno il mezzo della liberazione. E, come sempre, questo mezzo è la fede. Prima di ricevere, bisogna incominciare con lo scavar delle fosse. Più se ne scaveranno, e più acqua vi sarà. E notiamo che quest’acqua arriva «la mattina, nell’ora in cui si offre l’oblazione» (vers. 20). Non era forse a Gerusalemme, molto lontano da quel paese, che il sacrificio era offerto? Tuttavia, è in rapporto con questo sacrificio che le acque si mettono a sgorgare. Comprendiamone il significato: tutte le nostre benedizioni derivano dall’opera del Signore alla croce.
Ma le acque che significano la salvezza per gli eserciti di Israele, sono la distruzione dei Moabiti. Similmente, la morte di Gesù, salvezza per i credenti, è ad un tempo la condanna del mondo (Giovanni 16:8).
Ingannati dalle apparenze, i Moabiti sono battuti ed il loro paese devastato. Ma ciò che il loro re fa — l’orribile sacrificio del suo primogenito — produce la costernazione nel campo dei vincitori. E infine i tre eserciti si separano senza che risulti da quella dolorosa spedizione nessun beneficio reale per nessuno. Tale sarà sempre il risultato di ciò che non intraprendiamo con Dio.
2 Re
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Capitolo 4, versetti da 1 a 17
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Il nostro capitolo ci mostra Eliseo, tipo del Signor Gesù, come sorgente di benedizioni per due famiglie. La prima è povera: una vedova coi suoi due figli è alle prese con uno spietato creditore. Ma la sua fede sa a chi rivolgersi (Salmo 68:5) e riceve quell’olio miracoloso finché vi sono dei vasi vuoti per contenerlo.
Venduti a Satana, il terribile creditore, costui si è acquistato su noi dei diritti (Isaia 50:1). Ma vi è una risorsa: Volgersi verso il Signore. E noi riceveremo la potenza divina, secondo la misura della nostra fede (i vasi vuoti), non soltanto per la salvezza di quelli che amiamo, ma anche per la vita di ogni giorno (vers. 7).
La seconda famiglia è ben diversa. Sono persone ricche: Tuttavia l’uomo di Dio vi è ricevuto con semplicità. Vi si trova a suo agio ed i suoi ospiti pure sono felici di riceverlo. Bell’esempio per noi!
Il Signore Gesù è forse veramente in casa sua nella nostra dimora e nel nostro cuore? Possiamo noi mostrarGli tutto, confidarGli i nostri desideri segreti? Per prenderne conoscenza non ha bisogno d’un intermediario, come qui il profeta. Ed Egli vi risponderà se questi desideri sono secondo la Sua volontà (Salmo 37:4).
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Capitolo 4, versetti da 18 a 31
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L’Eterno ha dato un figlio alla pia Sunamita. Ma desidera fare per lei qualcosa di più: vuole che ella conosca la Sua potenza che risuscita i morti. Un bimbo che giunge in una famiglia è una sorgente di gioia per i genitori, i fratelli e le sorelle. Ma quel che avrà più valore ancora, sarà la nuova nascita di quel fanciullo; tutto il cielo se ne rallegrerà. Questo passaggio dalla morte alla vita, che si chiama la conversione, non è forse il più grande dei miracoli? Gesù lo opera ancor oggi nelle nostre case! Ne avete fatto l’esperienza?
Consideriamo il Salvatore nella dimora di Marta a Betania. Vi era ricevuto ogni tanto con rispetto ed affezione, come Eliseo dalla Sunamita. Ma bisogna che questa famiglia Lo conosca sotto un nuovo Nome: «La Risurrezione e la Vita» (Evangelo di Giovanni 11:25). Gesù non era presente al momento in cui il lutto aveva colpito, e il Suo ritardo sarebbe potuto sembrare dell’indifferenza. Ma bisognava che la fede fosse provata e ne è così della Sunamita. «Tutto va bene» (versione corretta), disse ella, nonostante l’angoscia del suo cuore. Noi che ci lagnamo per così poco, non dimentichiamo in tutte le nostre difficoltà questa parola di completa fiducia: «Tutto va bene»!
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Capitolo 4, versetti da 32 a 44
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Come ne rende testimonianza Ebrei 11, capitolo della fede: «le donne ricuperarono per risurrezione i loro morti» (Ebrei 11:35). Ne fu così della vedova di Sarepta e ora della felice Sunamita. Ma che contrasto con la scena della tomba di Lazzaro, dove un semplice appello del Maestro della vita bastò a vivificare un uomo morto da quattro giorni. Bentosto, tutti i riscattati addormentati udiranno «il grido di comando», di Colui che ha vinto la morte, e risusciteranno con potenza (1 Tessalonicesi 4:16).
L’incidente della minestra avvelenata ci ricorda come l’uomo, talvolta con buone intenzioni, guasta quel che Dio vuol dargli. Vegliamo dunque a non aggiungere nulla alla Parola, cibo delle anime nostre, e diffidiamo di tutte le «novità» (Galati 1:7-8). Quanti scritti religiosi in cui del veleno si trova mescolato alla verità divina!
L’uomo di Baal-Shalisha, la cui bisaccia diventa per Eliseo il mezzo per cibare cento persone, ci riporta ancora una volta alle scene conosciute dell’Evangelo (Matteo 14:15 a 21; 15:32 a 38). Ma qui pure, quale differenza fra il profeta e Colui che fa sedere le moltitudini per saziarle in virtù della Sua propria potenza! (Salmo 132:15).
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Capitolo 5, versetti da 1 a 14
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Ecco Naaman capo dell’esercito del re di Siria, eroe coperto di gloria e di considerazione. E tuttavia qualche cosa fa di questo gran personaggio il più infelice degli uomini: la sua bell’uniforme copre un corpo roso dalla lebbra. Così la malattia del peccato ha corrotto tutti gli uomini, compresi i più illustri.
Ora, nella casa di Naaman abita una giovane messaggera di buone novelle. Una piccola fanciulla prigioniera rende la sua semplice testimonianza alla potenza dell’uomo di Dio. Non si è mai troppo giovane per essere un testimonio del Signore Gesù.
Naaman parte e, dopo essere passato al palazzo di Jehoram, riceve il messaggio di Eliseo. Oggi ancora, Dio ha un messaggio per i peccatori: la sua Parola scritta. Molti non credono che Dio s’indirizzi a loro in questo modo e non ricevono la Bibbia come Parola di Dio. Molti anche trovano la salvezza troppo semplice. L’istruzione data a Naaman è la stessa di quella di Gesù al cieco-nato: «Va’, lavati» (vers. 10; Giovanni 9:7). Dio non richiede dall’uomo grandi cose (vers. 13). Semplicemente questo: riconoscersi contaminato, morto nei propri falli (Efesini 2:1,5; Colossesi 2:13). Le grandi cose, Dio stesso le ha compiute per i poveri peccatori.
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Capitolo 5, versetti da 15 a 27
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La prima cosa che Naaman fa dopo la sua guarigione è andare a ringraziare colui che ne è stato il mezzo. Ci ricorda uno di quei dieci lebbrosi, resi netti dal Signore, che, «vedendo di essere guarito, tornò indietro, glorificando Dio ad alta voce» (Luca 17:15). Ora anch’egli era uno straniero.
Naaman deve imparare in seguito che la salvezza è interamente gratuita. Molte persone non riescono ad accettare questo. E hanno tanta più difficoltà a comprenderlo in quanto certi membri del clero traggono dalle loro funzioni un profitto personale: questo è chiamato un «guadagno disonesto» (1 Timoteo 3:8; Tito 1:7; 1 Pietro 5:2). Ghehazi ci fa appunto pensare a loro. Simile a Giuda, ama il denaro e rincorre il guadagno disonesto. Ma ha fatto i conti senza l’occhio penetrante del profeta. Costui legge fin nel cuore del malvagio (come Pietro in quello d’Anania — Atti 5:1 a 4) non soltanto l’atto disonesto, ma persino quel che Ghehazi si era proposto d’acquistare (vers. 26).
«È forse questo il momento…?» gli chiede Eliseo, i cui beni consistevano nel suo mantello di profeta. Domanda seria per ognuno di noi! Discepoli d’un Maestro che è stato «il Povero», alla vigilia del suo ritorno non è veramente il momento di arricchirci e di stabilirci comodamente quaggiù! (vedere anche Giacomo 5, fine del vers. 3 e Aggeo 1:4).
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Capitolo 6, versetti da 1 a 17
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Siamo di nuovo in presenza dei discepoli dei profeti. Essi dicono ad Eliseo: «Il luogo dove stiamo… è troppo stretto». È questa anche la vostra opinione? Agli occhi del mondo, la vita del cristiano appare certamente ben stretta: egli si priva di tante cose. Troppo stretto? È perché guardiamo troppo in basso. In verità «il cielo» in tutta la sua estensione è davanti a noi.
Il piccolo incidente che segue è commovente nella sua semplicità. Eliseo è tanto disposto a restituire un utensile a chi l’utilizza, quanto a restituire un fanciullo alla madre sua per mezzo della risurrezione. Così vediamo il Signor di gloria che lava i piedi dei suoi discepoli o prepara loro il cibo (Giovanni 13:5; 21:13). Nulla è troppo piccolo per Gesù. Noi non ne abbiamo già fatto l’esperienza?
Ora la guerra ricomincia fra Israele ed i Siri. Ma esiste un terzo esercito di cui solo il profeta conosce l’esistenza. Sono i combattenti celesti: degli angeli che Dio ha posto come un muro di fuoco attorno al suo servitore (Salmo 34:7). Per discernerli occorrono gli occhi della fede. Come qui Eliseo, Gesù a Getsemani ha diretto la mente del suo discepolo sulle dodici legioni d’angeli che il suo Padre gli avrebbe mandato se avesse voluto chiederGlieli (Matteo 26:53).
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Capitolo 6, versetti da 18 a 33
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Tre volte in questo capitolo, gli occhi si aprono alla preghiera del profeta (vers. 17 e 20) o al contrario si oscurano (vers. 18). Chiediamo a Dio di aprire i nostri. Come il servo di Eliseo, non perdiamo di vista la potenza divina che è a nostra disposizione. «Io alzo gli occhi ai monti donde viene il mio soccorso», dice il Salmista (Salmo 121:1). Elia era stato soltanto un profeta di giudicio. Eliseo al contrario ha il privilegio di adoperare una seconda arma ancor più efficace: la grazia. Egli ha misericordia dei suoi nemici, e vince il male col bene. I nostri pensieri si rivolgono di nuovo verso Gesù. Egli si serviva in modo altrettanto perfetto della potenza e della grazia. Dopo aver con una parola fatto cadere a terra quelli che venivano per prenderLo, guarisce l’orecchio tagliato dal suo discepolo (Giovanni 18:6; Luca 22:51).
Quel gran banchetto ci fa pensare alla «gran cena» della grazia (Luca 14:17). Dio vi ha convitato quelli che erano suoi nemici.
Purtroppo la buona azione di Eliseo non è ricompensata! I Siri assediano Samaria ove regnano la carestia e le sue orribili conseguenze. Ma l’Eterno se ne servirà appunto per mostrare ad un tempo la sua potenza e la sua grazia.
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Capitolo 7, versetti da 1 a 8
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Il popolo di Samaria è immerso nella più squallida miseria. Ora Dio può agire. Da parte sua, Eliseo annunzia la liberazione. La salvezza è alla porta; anche attualmente Dio lo fa sapere. Ma quanti vi rispondono con l’incredulità e le beffe come il capitano!
Quattro poveri lebbrosi saranno adoperati per far conoscere questa salvezza: «Dio ha scelto le cose ignobili del mondo, e le cose sprezzate…» (1 Corinzi 1:28). Senza alcun intervento umano, l’esercito siriano è stato battuto. L’Eterno da solo ha riportato la vittoria. Così è della croce, ove Gesù ha trionfato da solo su tutti i nostri nemici. Eravamo come quei miseri lebbrosi, dei peccatori in una situazione disperata, votati ad una morte certa ed eterna. Ma questa è ormai annullata per il credente. Egli trova in sua vece: la vita, la pace, delle ricchezze spirituali abbondanti e gratuite per il presente, ed un avvenire assicurato. Tali sono i frutti della vittoria di Cristo alla croce. Il nemico vi è stato spogliato completamente. E notate, bastava muoversi e andare per prender possesso di quelle cose (vers. 5; parag. Luca 15:18). L’avete fatto? Ovvero siete ancora «giacenti nelle tenebre… e nell’ombra della morte?» (Matteo 4:16).
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Capitolo 7, versetti da 9 a 20
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«Questo è giorno di buone novelle» (vers. 9). Ah! se conosciamo queste buone novelle del Vangelo, non le teniamo egoisticamente per noi. Affrettiamoci di pubblicare il felice messaggio a quelli che sono ancora nella distretta, e ignorano la divina liberazione. «Eccolo ora il giorno della salvezza» (2 Corinzi 6:2). Non saremmo noi colpevoli se tacessimo? (vedere Ezechiele 33:6). È quel che la loro coscienza dice ai quattro lebbrosi. E senza aspettare la mattina, si affrettano a gridare la notizia ai guardiani della porta della città. Ma udite con quali ragionamenti sono accolti! Il re ed i suoi servi discutono e passano in rivista tutte le spiegazioni possibili prima di accettare la più semplice e la più meravigliosa: questa liberazione è quella annunziata dal profeta; essa viene dall’Eterno. «O insensati e tardi di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno dette!» poteva ben dire, meravigliandosene, il Signore Gesù (Luca 24:25). La Salvezza era alla porta. Ma per il capitano incredulo, alla porta si trovava anche il giudizio. Egli solo non godrà dell’abbondante bottino. La parola dell’Eterno si adempie esattamente. Ne è sempre così!
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Capitolo 8, versetti da 1 a 29
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Al principio del cap. 8 riappaiono delle persone conosciute: la donna di Shunem di cui l’Eterno aveva preso cura durante una carestia. Poi Ghehazi che nonostante la lebbra sembra aver prosperato. Lo ritroviamo infatti alla corte del re ove Dio si serve di lui per far render giustizia alla Shunamita. Ci è poi raccontata la visita d’Eliseo a Damasco e il suo incontro con Hazael. Quest’ultimo per mezzo d’un omicidio prende il posto di Ben-Adad sul trono di Siria.
Infine, in quei versetti 16 a 29 vediamo continuarsi la storia parallela dei re d’Israele e di Giuda. Jehoram, figlio di Giosafat, è lungi dal seguire il buon esempio del padre. Ce ne è dato il motivo: «Egli aveva per moglie una figlia di Achab» (vers. 18). Vedete una volta di più com’è grande l’influenza d’una sposa o d’un marito sul suo congiunto. Quindi quanto è importante per una tale scelta, d’essere certi dell’approvazione del Signore. Jehoram di Giuda è dunque il cognato di Joram, re d’Israele, che conosciamo bene. E a sua volta, suo figlio Achazia si è «imparentato con la casa di Achab» (vers. 27). Belle unioni secondo il mondo, ma, agli occhi dell’Eterno gravi infedeltà. Ne vedremo le tragiche conseguenze.
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Capitolo 9, versetti da 1 a 15
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Da molto tempo, sul monte Horeb, l’Eterno aveva designato Jehu ad Elia come il successore della casa di Achab (1 Re 19:16). Ma Dio non si affretta mai quando si tratta di giudicio. È soltanto dopo aver esaurito tutte le risorse della sua grazia che si decide ad agire. Eliseo non ungerà lui questo nuovo re giustiziere, precisamente perché è il profeta della grazia. Un giovane fra i figli dei profeti è scelto per questa missione. Vediamo che anche un servizio importante può talvolta essere affidato dal Signore ad un giovane. Si trattava di presentarsi in mezzo allo stato maggiore dell’esercito d’Israele, in guarnigione a Ramoth di Galaad, e versare l’olio dell’unzione regale sul capo di Jehu, che, probabilmente, era il comandante. Non c’era forse ben di che intimidire assai quel giovane profeta? Ma quando si obbedisce a Dio, si può contare sul suo soccorso nelle situazioni più impressionanti. Il vers. 7 ci mostra che Dio non dimentica le sofferenze dei suoi (Luca 18:7-8). A ben più forte ragione si ricorda del sangue del Suo Figlio, messo a morte dalla razza umana.
Scelto dall’Eterno, acclamato dai suoi ufficiali, il nuovo re agirà ora senza perdere un istante.
2 Re
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Capitolo 9, versetti da 16 a 29
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Jehu è un uomo astuto ed energico. Il suo piano appena concepito è subito eseguito. Seguito da una truppa decisa, egli conduce furiosamente il suo carro in direzione di Izreel. Vedendolo si pensa a quel cavaliere seguito dagli eserciti del cielo che esce per compiere il giudicio «dell’ardente ira dell’Onnipotente Dio». Il suo nome è «la Parola di Dio» o anche «Re dei re e Signor dei signori», vale a dire Cristo stesso. Allora il tempo della grazia sarà terminato (Apocalisse 19:11 a 16).
«Recate pace?», s’informa inquieto Joram per mezzo delle sue staffette, poi va egli stesso incontro al suo giustiziere. Ora che cosa risponde la Parola?: «Non v’è pace per, gli empi» (Isaia 57:21). Infatti «quando diranno: “Pace e sicurezza”, allora di subito un’improvvisa ruina verrà loro addosso» (1 Tessalonicesi 5:3). È giunto il momento per il re empio di dare il rendiconto. La grazia gli aveva così sovente parlato per mezzo d’Eliseo! Ma era rimasto sordo al suo linguaggio. «Siamo traditi!» esclama egli. Castigo! dovrebbe piuttosto gridare, poiché è la mano di Dio che lo trafigge in quel campo stesso di Naboth ove doveva, secondo l’infallibile profezia, esser regolata la sorte della casa sanguinaria di Achab.
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Capitolo 9, versetti da 30 a 37 Capitolo 10, versetti da 1 a 11
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Dopo la morte di Joram e di Achazia suo nipote, rimane ancora la persona più malvagia di tutta la famiglia reale: la regina madre Izebel. Appena viene a conoscenza della sorte del figlio (poiché tratta Jehu d’assassino del proprio signore), invece di affliggersene, la vecchia regina, in un ultimo sussulto di vanità, si acconcia e s’imbelletta gli occhi. Poi si pone alla finestra per insultare con disprezzo chi si presenta. All’appello di Jehu, i suoi propri servi precipitano dalla finestra l’infame donna; e in un momento i cani non lasciano di lei che dei resti insanguinati, irriconoscibili. Fine orribile di colei che rimarrà nella Parola l’immagine stessa della corruzione nella Chiesa! (Apocalisse 2:20).
Gli anziani di Samaria e i capi di Izreel, come un tempo nell’affare di Naboth, sono pronti a commettere dei delitti per piacere al nuovo sovrano. Ma la mano dell’Eterno era dietro a questa vile azione, e possiamo essere sicuri che nessuno di quei settanta figli di Achab meritava d’essere risparmiato. Poiché, secondo Ezechiele 18:17, il figlio che ha messo in pratica i precetti dell’Eterno «non morrà per l’iniquità del padre; egli certamente vivrà».
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Capitolo 10, versetti da 12 a 27
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Proseguendo la sua missione di vendetta, Jehu incontra un gruppo di giovani allegri che se ne vanno per la loro strada in una totale noncuranza. Sono i quarantadue fratelli (o cugini) di Achazia. Senza il minimo dubbio di quel che era avvenuto, essi scendevano a far visita alla brillante gioventù dell’altra famiglia reale… appunto quella le cui settanta teste sono in quello stesso momento ammassate in due mucchi alla porta di Izreel! Ebbene, è nella morte che li raggiungeranno! Pensiamo agl’innumerevoli ragazzi e ragazze il cui solo pensiero è di godere della vita, dimenticando che la morte può sorprenderli ad un tratto senza che essi siano pronti (Ecclesiaste 11:9) Sì, quanti di essi han già trovato quella morte subitanea, per esempio in un incidente stradale, mentre si recavano ai loro piaceri!
Un altro incontro più interessante è quello di Jehonadab, figlio di Recab. È un uomo fedele. Il capitolo 35 di Geremia ci narra la storia della sua famiglia. Jehu si vanta con lui del suo zelo, poi lo fa assistere al massacro dei sacerdoti di Baal. Ma l’astuzia sua non ha nulla di paragonabile con la scena del Carmel che aveva ricondotto all’Eterno il cuore del suo popolo Israele (1 Re 18).
2 Re
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Capitolo 10, versetti da 28 a 36 Capitolo 11, versetti da 1 a 3
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Considerando Jehu esecutore della vendetta dell’Eterno, pensiamo al Re, all’Uomo prode (Cristo) a cui s’indirizza il Salmo 45: «Tu ami la giustizia e odii l’empietà; perciò Dio, il Dio tuo ti ha unto d’olio di letizia a preferenza dei tuoi compagni…» (vers. 7; cap. 9:6). «Nella tua magnificenza, avanza sul carro…» (vers. 4; cap. 9:16). «La tua destra ti farà vedere cose tremende. Le tue frecce sono aguzze… nel cuore dei nemici del re» (vers. 4 e 5; cap. 9:24). E come conseguenza, il trono gli è conferito, non per un tempo limitato (quattro generazioni sono accordate a Jehu — vers. 30) ma «per ogni eternità»(Salmo 45:6).
Purtroppo, il vers. 31 sottolinea il contrasto completo, e ci insegna una seria lezione: è possibile manifestare un grande zelo per Dio, fare delle opere spettacolari che han tutta l’apparenza della fede, e con ciò non ricercare che i propri interessi.
Il cap. 11 ci trasporta al regno di Giuda e vediamo l’abominevole Athalia, degna figlia di Achab e di Izebel, che si sbarazza, distruggendoli, di tutti i suoi discendenti maschi per impadronirsi della corona.
2 Re
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Capitolo 11, versetti da 4 a 21
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La famiglia reale d’Israele è dunque del tutto annientata. Quella di Giuda ha subito la stessa sorte, ad eccezione d’un fanciulletto nascosto nel tempio dalla zia, moglie del sommo sacerdote (2 Cronache 22:14). E durante questo tempo, l’odiosa Athalia occupa ingiustamente il trono.
Il tempo attuale presenta una situazione similare: Gesù, essendo passato per la morte (mentre Joas vi è sfuggito), si trova oggi nella Casa del Padre, ove esercita il sacerdozio, nascosto agli occhi del mondo, ma presente presso Dio, per comparire nel giorno della sua gloria come il vero «Figlio di Davide». Quelli che sono della famiglia di Dio Lo conoscono e L’onorano come il vero Re, in attesa della sua apparizione (Tito 2:13). Essi posseggono ad un tempo un prezioso segreto ed una «beata speranza». Pertanto il dominio provvisorio di Satana, «il Principe di questo mondo», non deve impressionarli. Esso sarà bentosto distrutto, come lo è qui la malvagia Athalia. Questo incoronamento di Joas è dunque l’immagine d’una scena futura che i nostri cuori salutano per la fede.
In seguito il culto di Baal è estirpato dal regno di Giuda, senza che siano necessarie le astuzie adoperate da Jehu.
2 Re
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Capitolo 12, versetti da 1 a 16
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La morte di Jehoiada segna la svolta del lungo regno di Joas. Il 2° Libro delle Cronache ci dà la triste narrazione della fine della sua vita. Ma qui, fino al versetto 16, si svolge la parte felice del suo regno. Una sola cosa sembra occupi il cuore del re: il restauro della casa dell’Eterno. Dal tempo di Salomone il Tempio si era deteriorato. Or Joas, allevato con i sacerdoti nelle camere adiacenti al santuario, ha conservato dalla sua tenera infanzia un profondo interessamento per quella casa. Aveva avuto ad un tempo l’occasione di conoscerne ogni breccia! E voi, ragazzi e ragazze, allevati nelle verità concernenti l’Assemblea, ha essa un posto nel vostro cuore? Senza dubbio voi anche conoscete, purtroppo alcune delle sue «brecce»: dissensioni, freddezze, scoraggiamenti, mondanità… Non è forse un servizio bello e desiderabile, il divenire come Joas un «riparatore delle brecce?» (Isaia 58:12). Un giovane può già farne il tirocinio. Quali sono i cementi che bisogna sapere abilmente adoperare? L’amore, la benignità, la pazienza e il prezioso «legame della pace» (Efesini 4:2-3).
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Capitolo 12, versetti da 17 a 21 Capitolo 13, versetti da 1 a 9
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Hazael, re di Siria, è salito contro Gerusalemme. Ma che cosa fa Joas invece di confidarsi nell’Eterno? Agisce come una volta Asa alla fine del suo regno, quando Baasa era salito contro di lui (1 Re 15:17-18): abbandona tutte le cose sante consacrate dai suoi padri e da lui stesso all’inizio della sua carriera, e li rimette al re di Siria. Purtroppo, quanti hanno fatto come questo povero re! Al principio della loro vita cristiana avevano fatto per il Signore dei volenterosi sacrifici. Avevano consacrato, santificato questo o quello per il servizio del Signore. Allora è sopraggiunta l’opposizione del mondo. E, non essendo pronti ad affrontarla per fede, hanno preferito gettar tutto a mare. È quel che il nemico desiderava. Ormai, egli li ha lasciati in pace. Sì, ma a che prezzo!
Così la vita del povero Joas, bene incominciata, finisce in modo tragico. È assassinato dai suoi propri servi. Amatsia regna in luogo suo, mentre in Israele Joachaz sostituisce Jehu. Joachaz è un re malvagio. Ma una parentesi è aperta in cui brilla tutta la grazia di Dio (vers. 4 a 6). Egli dà un salvatore al suo popolo (Isaia 19:20). Di qual più grande Salvatore ci ha Dio fatto dono! (Luca 2:11)
2 Re
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Capitolo 13, versetti da 10 a 25
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Eliseo, il cui nome significa «salvezza di Dio», resta sino alla fine del suo lungo ministero il profeta della grazia. Egli annunzia qui la liberazione al nuovo re d’Israele, Joas, che va a fargli visita. Ove trovare oggi la grazia e la salvezza, se non presso un Cristo che morì per noi?
Purtroppo, Joas non è in grado di approfittare di tutta la grazia offerta. Manca di fede. Non siamo noi forse sovente come lui? Dio tiene presso di sé ricche benedizioni. È pronto a darcele. Ma gliele chiediamo timidamente, come se Egli fosse povero, ovvero come se non fosse il suo desiderio di colmarcene. E questo ci dice come conosciamo male il nostro Padre. I limiti non provengono da Lui, bensì dalla nostra mancanza di fede. Noi non abbiamo perché non domandiamo (Giacomo 4:2).
Eliseo muore. Ma questa morte stessa diventa una sorgente di vita per altri. Fin nella tomba, questo straordinario profeta è così un tipo di Cristo (vedere Matteo 27:52).
La fine del capitolo ci mostra che l’Eterno, obbligato di castigare il suo popolo, è ad un tempo commosso a suo riguardo d’una compassione divina (Ebrei 12:6; vedere anche Michea 7:18-19).
2 Re
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Capitolo 14, versetti da 1 a 16
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Amatsia, figlio di Joas, sale sul trono di Giuda quando l’altro Joas occupa quello d’Israele. Constatiamo una volta di più la buona influenza d’una madre che appartiene al popolo di Dio. Jehoiada aveva scelto questa donna per essere moglie di Joas di Giuda (2 Cronache 24:3). Quest’ultimo aveva fatto bene, per edificare un focolare, di lasciarsi consigliare da colui che era incaricato della sua educazione.
Buone cose sono dette di questo nuovo re, particolarmente della sua sollecitudine ad obbedire alla Parola (vers. 6; vedere Deuteronomio 24:16). «Non però come Davide suo padre», è precisato, ricordando l’esempio del re ben amato.
La pietra di paragone è sempre Gesù, il perfetto Modello. Come ci invita la 1a epistola di Giovanni, bisogna sempre ritornare a «quel che era dal principio». Tali sono le prime parole di questa epistola! E quali sono le ultime? «Figliuoletti, guardatevi dagli idoli.» Il 2° Libro delle Cronache (cap. 25:14) lo rivelerà: Amatsia, dopo l’inizio buono del suo regno, si stabilisce come déi gl’idoli degli Edomiti. Che ingratitudine verso l’Eterno che gli aveva dato la vittoria su questi ultimi! Ora quegli idoli diventano la causa d’una terribile disfatta dinanzi a Joas re d’Israele.
2 Re
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Capitolo 14, versetti da 17 a 29
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Nulla ci è detto degli ultimi quindici anni di Amatsia. Anni perduti! Nulla merita di essere menzionato da Dio! Non ci sono forse tali anni nella nostra vita? Come il padre Joas, Amatsia perì di morte violenta. Triste fine d’un uomo che aveva «abbandonato l’Eterno»! (2 Cronache 25:27). Azaria suo figlio (chiamato altrove Uzzia) gli succede all’età di sedici anni, mentre in Israele prosegue il lungo regno del terzo discendente di Jehu: Geroboamo II. Costui resta attaccato come i suoi predecessori ai vitelli d’oro del primo Geroboamo! Tuttavia, nella Sua misericordia, Dio continua a liberare il suo popolo, anche per mezzo di questo malvagio re. Che pazienza! E com’è commovente questa parola: «L’Eterno non aveva parlato ancora di cancellare il nome d’Israele di disotto al cielo» (vers. 27). Dio, costretto a procedere con rigore, si affretta ad afferrare tutte le possibilità di grazia che il suo patto di giustizia gli lascia.
Egli manda ugualmente dei profeti al suo popolo sotto questo regno: Osea, Amos, infine Giona, menzionato qui (vers. 25), e di cui conosciamo la straordinaria storia. Dio moltiplica gli avvertimenti. Più tardi, sarà detto agli Ebrei che Egli ha «in molte volte e in molte maniere parlato anticamente ai padri per mezzo de’ profeti». Ma ora Egli ci ha parlato mediante il Suo Figlio (Ebrei 1:1-2).
2 Re
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Capitolo 15, versetti da 1 a 22
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Azaria o Uzzia, sul quale 2 Cronache 26 ci darà più particolari, finì tristemente, dopo cinquantadue anni di regno, una carriera bene incominciata. Così era già avvenuto del padre e del nonno. Ricordiamoci che non è un buon inizio nella vita cristiana, che ci garantisce una marcia felice in seguito e sino alla fine. Non appoggiamoci mai sulla nostra fedeltà passata o presente, ma sul Signore, solo capace di preservarci da ogni caduta (Giuda 24).
Durante questa lunga vita di Azaria, Zaccaria, quarto e ultimo re della dinastia di Jehu, poi Shallum, Menahem, Pekachia, occupano successivamente il trono d’Israele. «Egli fece ciò che è male… non si ritrasse», è il triste ritornello che riassume quei regni successivi. Poco importa quel che la storia del mondo ne ha ricordato, ciò che conta come per ogni vita d’uomo, compresa la mia e la vostra, è l’apprezzamento divino.
«Si sono stabiliti dei re, senz’ordine mio» (Osea 8:4). Questo periodo finale della storia del regno d’Israele è caratterizzato da un solenne abbandono da parte dell’Eterno stanco di tante infedeltà (vedere Osea 4:17).
2 Re
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Capitolo 15, versetti da 27 a 38
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Tutti gli avvertimenti di Dio, compreso il suo silenzio, sono stati vani per risvegliare la coscienza del popolo. Scocca finalmente l’ora in cui l’ultima misura di disciplina deve essere presa verso lui. Si tratta della sua dispersione fra le nazioni. Estremo castigo, considerato sin dall’inizio della storia d’Israele (Levitico 26:33; Deuteronomio 28:64), ritardato durante secoli di divina pazienza. Si può pensare quanto è. costata al cuore di Dio questa decisione. Egli aveva fatto uscire questo popolo dall’Egitto; l’aveva radunato, messo a parte, introdotto in un bel paese. Ed ecco che deve ora abbattere il suo proprio lavoro e rimettere questo povero popolo sotto il giogo donde era stato tratto. Ma, ultima risorsa della grazia: la «deportazione» non ha che un principio di esecuzione. Vi è ancor posto per il pentimento.
Notate questo: fra le prime vittime figurano gli abitanti di Galaad. Il capitolo 32 del libro dei Numeri ci racconta la scelta disastrosa di quelle due tribù e mezzo che si erano stabilite al di qua del Giordano a causa dei loro beni materiali. I loro discendenti ne subiscono le tragiche conseguenze.
In Giuda regnano successivamente il fedele Jotham, poi il figlio Achaz che è invece uno dei re più esecrabili.
2 Re
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Capitolo 16, versetti da 1 a 20
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Sotto il regno d’Achaz in Giuda (e di Pekachia in Israele) l’Assiria fa la sua apparizione nella storia. Dio se ne servirà come «verga della sua ira» (Isaia 10:5) per disperdere Israele e per castigare Giuda. Dinanzi a questo temibile intervento, Achaz agisce senza dubbio da abile uomo politico, ma senza tenere il minimo conto del pensiero dell’Eterno. Tuttavia la rivelazione più meravigliosa gli era stata fatta, come ce l’informa Isaia che profetizzava sotto il suo regno (Isaia 7:10 a 14): «Ecco la vergine concepirà, partorirà un figlio, e gli porrà nome Emmanuele.» Quanti al giorno d’oggi hanno udito questa buona novella della nascita del Salvatore ma non hanno voluto saperne di quel Dio venuto per rimanere «con noi».
Achaz si permette di mutare ogni cosa nella casa dell’Eterno. Fa edificare un altare più largo: l’uomo trova sempre troppo stretto ciò che Dio ha stabilito. Poi mette l’altare del sacrificio in disuso: il valore dell’espiazione, l’efficacia della croce sono negati. Toglie le basi del mare e delle conche. Infine fa modificare il portico e l’ingresso «a motivo del re d’Assiria» (vers. 18): figura d’una religione che piace al mondo e gli apre le sue porte largamente.
2 Re
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Capitolo 17, versetti da 1 a 18
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Hosea, uccisore e successore di Pekah, sarà l’ultimo re di Israele. La proroga di alcuni anni concessa dall’Eterno non è stata messa a profitto. Il nona anno del regno di Hosea segna, con la presa di Samaria, la deportazione dell’insieme delle dieci tribù. Ma il Dio giusto non ha voluto scoccare questo dardo finale senza stabilire una volta di più e in modo indiscutibile la colpevolezza d’Israele. I vers. 7 a 18 costituiscono l’atto d’accusa irrefutabile dell’Eterno nei riguardi di quello sciagurato popolo. Sarà pure così più tardi dinanzi al terribile gran trono bianco. I morti non saranno giudicati senza che i libri che ne riferiscono le opere siano aperti alla loro completa confusione (Apocalisse 20:12-13).
Il re d’Assiria ha proceduto ad uno scambio di popolazioni. Che vergogna di vedere ormai il bel paese di Canaan occupato nuovamente dalle nazioni idolatre, se pure esteriormente queste imparino a temere l’Eterno e aggiungano il suo culto a quello delle loro divinità!
Siamo giunti al momento in cui, per bocca del profeta Osea, l’Eterno pronuncia a riguardo d’Israele il solenne «Lo-ammi»: «Voi non siete mio popolo», con l’aggiunta: «e io non son vostro» (Osea 1:9).
2 Re
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Capitolo 18, versetti da 1 a 12
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Non si tratterà ormai che di Giuda sino al termine di questo libro. Dio ha ricapitolato tristemente tutti i peccati del suo popolo. Ma ora proverà della gioia nel parlarci d’un re fedele. Talché il regno di Ezechia occuperà nientemeno che undici capitoli della Bibbia (2 Re 18 a 20; 2 Cronache 29 a 32; Isaia 37 a 39); come se Dio, al tempo della rovina, e prima di trattare una pagina ancor più oscura, provasse piacere a indugiarsi sulla vita del suo pio servitore. Fino a lui, sotto i regni migliori, vi fu sempre questa riserva: «Soltanto gli alti luoghi non furono tolti.» Questi alti luoghi, ove il popolo offriva dei sacrifici (sia all’Eterno o agli idoli), erano sussistiti in disobbedienza a Deuteronomio 12. Essi corrispondono a tutte le tradizioni e superstizioni che hanno sostituito nella cristianità gl’insegnamenti della Bibbia a riguardo dell’adorazione. La venerazione, di cui si circondava il serpente di rame, ci ricorda che la croce stessa è diventata per molti un oggetto d’idolatria. Ezechia sopprime, frantuma, abbatte e fa a pezzi gli idoli.
Respinge in seguito il giogo dell’Assiro e sconfigge i Filistei secondo la profezia d’Isaia (Isaia 14:28…).
2 Re
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Capitolo 18, versetti da 13 a 25
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Ezechia ha preso posizione coraggiosamente per l’Eterno. Ma la sua fede non è ancora stata messa alla prova. Bisogna che ciò avvenga. E così, ogni credente deve mostrare, tosto o tardi, se le sue opere sono quelle della fede ovvero se egli ha superato la propria misura. In Ezechia, dinanzi al terribile assalto del re d’Assiria, questa fede comincia a vacillare. Crede di trarsi d’imbarazzo rimettendo a Sennacherib un enorme tributo. È ciò che qualche tempo prima aveva fatto Joas. Ma Dio gl’insegnerà (e a noi pure per mezzo della stessa occasione) che la liberazione e la vera pace non si ottengono facendo delle concessioni. Il nemico inganna e delude sempre. Sennacherib invece di disarmarsi, manda un grande esercito contro Ezechia e gli abitanti di Gerusalemme. E delega nello stesso tempo tre pericolosi personaggi, ognuno con la propria specialità: il suo generale in capo per vincerli, il capo dei suoi servitori per sottometterli, e il suo gran coppiere per sedurli se possibile ed inebriarli con parole melliflue. Badate a certe persone che Satana ci manda talvolta con una missione di questo genere! Il loro linguaggio li tradirà.
Il Rabshakè comincia un’arringa in cui si beffa apertamente della loro fiducia nell’Eterno.
2 Re
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Capitolo 18, versetti da 26 a 37
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Il gran coppiere prosegue il suo discorso, usando a turno minacce, beffe e menzogne. Ha preteso falsamente d’aver ricevuto un ordine dell’Eterno per salire contro Giuda e distruggerlo (vers. 25). Ora tenterà la seduzione. Prendendo in prestito il linguaggio del popolo (come Satana sa parlare il nostro), fa luccicare le ricchezze dell’Assiria ove si propone di deportarlo: grano, pane, vigne ecc… Brevemente, egli afferma, è «un paese simile al vostro». Infatti, se paragoniamo le risorse dell’Assiria con quelle di Canaan (Deuteronomio 8:7-8), apparentemente vi è poca differenza. Però ce n’è una! Ed è essenziale: Si può forse paragonare «un paese di corsi d’acqua, di laghi e di sorgenti che nascono nelle valli e nei monti» con le misere cisterne dell’Assiria? (vers. 31). Un paese simile al vostro paese? No, senz’altro! Gesù non dà come il mondo dà (Giovanni 14:27).
Allora, non potendo far accettare al credente le sue risorse ingannevoli, il Nemico cercherà di allontanarlo dalla sua suprema risorsa: dal suo Dio forte (vedere vers. 33 a 35). Che risposta deve dare il credente? Tacere semplicemente (vers. 36). Non si discute col diavolo, ci si allontana da lui.
2 Re
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Capitolo 19, versetti da 1 a 13
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Dinanzi all’assalto degli eserciti assiri, Ezechia ha uno strano modo di condurre la guerra, non vi pare? Invece d’un’armatura, si riveste di un sacco. Il suo quartier generale non lo stabilisce sul bastione, ma nella casa dell’Eterno. Infine, invece di far appello al fior fiore dei suoi soldati, si rivolge al profeta Isaia! Non aveva fatto così Joram, re d’Israele, durante l’assedio di Samaria. Anzi, aveva fatto il contrario! Aveva tentato di mettere a morte il profeta Eliseo (cap. 6:31). Ma contro l’altezza e l’orgoglio del re d’Assiria, qual’è la buona strategia militare? Semplicemente quella insegnata dall’apostolo Paolo in 2 Corinzi 10:4: «le armi della nostra guerra non sono carnali, ma potenti nel cospetto di Dio a distruggere le fortezze; poiché distruggiamo i ragionamenti ed ogni altezza che si eleva contro alla conoscenza di Dio».
Ezechia, il cui nome vuol dire «potenza dell’Eterno», sa presso chi trovare del soccorso (Salmo 121:2). La sua fiducia non è delusa. «Non ti spaventare…», gli fa rispondere il profeta. Preziosa parola che udiamo così sovente nella Bibbia e particolarmente dalla bocca del Signore: «Non temere, credi solamente…» (Marco 5:36). Egli ha la lingua dei sapienti per sostenere con la parola lo stanco (Isaia 50:4). Così l’anima timorosa ma fiduciosa del suo riscattato ancora nella prova riceve da questa parola la forza e il coraggio necessari per aspettare la liberazione.
2 Re
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Capitolo 19, versetti da 14 a 24
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Sopportare in silenzio, non rispondere nulla, tale è, come l’abbiam visto, l’attitudine del credente sia dinanzi alle provocazioni del mondo, sia dinanzi alle sue proposte più seducenti. Invece davanti al suo Dio può prender la parola. Così fa Ezechia. Cominciando con lo spiegare davanti all’Eterno la lettera ricevuta, Gli dichiara in certo qual modo: Questo ti concerne; lascio a te la cura di occupartene. Poiché l’Assiro ha oltraggiato Dio stesso, la cui gloria è così in gioco (vers. 19, vedere Salmo 83:12,18).
Ezechia completa le sue stupefacenti disposizioni militari con la più abile delle strategie: quella che consiste a ritirarsi, a cancellarsi per lasciare il nemico in faccia all’Eterno che è il più forte!
«Lasciar Te solo agire e, fermi in tua vittoria, ci riposare in Te» — dice un cantico. Nelle nostre difficoltà, piccole o grandi, cominciamo col sentirci troppo deboli per sormontare l’ostacolo. Esponiamo allora il nostro caso al Signore per mezzo della preghiera. Infine, aspettiamo tranquillamente la liberazione da alto. Così non sarà più la prova che si frapporrà come un paravento fra il Signore e noi, ma piuttosto il Signore stesso si terrà come uno scudo protettore fra la prova e il suo riscattato (leggere Salmo 38:14-15).
2 Re
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Capitolo 19, versetti da 25 a 37
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L’orgoglio del re d’Assiria era aumentato smisuratamente, poiché fino allora nessuno aveva potuto resistergli. Vedete quell’io, sei volte ripetuto nei vers. 23 e 24. Ma quest’orgoglio è tanto più terribile in quanto si misura con Dio stesso. La folle pretesa dell’uomo d’«essere uguale a Dio» (Filippesi 2:6) si discerne chiaramente nel mondo d’oggi. Il mondo, per mezzo della scienza, della tecnica, dei progressi di cui si attribuisce il merito, s’incammina rapidamente verso il momento in cui l’uomo adorerà se stesso in un «superuomo» che sarà l’Anticristo.
L’Assiro è ugualmente un personaggio della profezia: una formidabile potenza asiatica che, in un tempo futuro, invaderà la Palestina e assedierà Gerusalemme. Ma questa potenza sarà distrutta dall’apparizione del Signore Gesù, figurato qui dall’angelo dell’Eterno. Il campo assiro è devastato in una notte. Poi Sennacherib a sua volta è assassinato dai propri figli nel tempio del suo dio Nisroc. Egli, che aveva affermato che l’Eterno non avrebbe potuto liberare Ezechia, è colpito in presenza del suo idolo, incapace di proteggerlo.
Così Dio si è glorificato, come possiamo esser certi che lo farà sempre, liberando il suo fedele servitore.
2 Re
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Capitolo 20, versetti da 1 a 11
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Una seconda prova, ancor più terribile della prima, colpisce ora l’infelice re. La morte batte alla sua porta. Nella sua distretta, anche questa volta ricorre all’Eterno. Non può, naturalmente, salire al santuario secondo la sua abitudine, ma non è forse sempre possibile trovare il proprio Dio anche sopra un letto di malattia? Quanti infermi a letto ne fanno ogni giorno la preziosa esperienza!
Achaz, padre di Ezechia, aveva rifiutato il segno che l’Eterno voleva dargli (Isaia 7:10 a 12). E, sul quadrante solare che egli aveva costruito, l’ora del giudicio s’avvicinava con rapidità. Ma qui il re fedele e pio ottiene con la guarigione un segno straordinario. Per mezzo del retrocedere dell’ombra, Dio gli mostra che accetta di ritardare il castigo.
Alcuni particolari di questo bel fatto fan pensare per contrasto al Signore Gesù. Nel Salmo 102 abbiamo la sua preghiera: «Dio mio, non mi portar via nel mezzo dei miei giorni!» poi la risposta del Padre: «I tuoi anni durano per ogni età» (vers. 24). Isaia ha annunziato la guarigione del re per il terzo giorno. E Cristo, entrato veramente nella morte, ne è uscito quello stesso terzo giorno.
2 Re
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Capitolo 20, versetti da 12 a 21
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Uscito vincitore da due prove, il, povero Ezechia soccomberà alla terza. Appunto perché quest’ultima non sembrava essere una prova! Che cosa di più lusinghiero di quell’ambasciata del re di Babilonia? Si annunzia con una lettera ed un regalo per Ezechia. Ah! se avesse spiegato quella lettera dinanzi all’Eterno! Riguardo al regalo se ne troverà vincolato, obbligato di fronte a quegli stranieri. Quanto pericolose sono, per un credente, le amabilità del mondo! Esse trovano così sovente un’eco di compiacimento nella vanità del suo cuore! Non era forse piuttosto un’occasione perché Ezechia parlasse a quegli uomini della bontà e della potenza dell’Eterno che l’aveva liberato per ben due volte? Un’occasione pure per far loro conoscere la casa del suo Dio? Invece, mostra loro la sua casa, il suo arsenale, che non gli era stato di alcuna utilità contro Sennacherib, tutti i suoi tesori di cui ora l’Eterno gli annunzia che nulla resterà. «Che hanno veduto in casa tua?» Domanda seriosa! Che cosa vedono i visitatori nelle nostre case? Di che cosa parliamo loro? Di ciò che ci lusinghiamo di possedere? Ovvero di Colui a cui tutto appartiene?
Ezechia riconosce di aver meritato il giudizio. E qui ha termine la vita di questo re fedele.
2 Re
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Capitolo 21, versetti da 1 a 18
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Dopo Davide, Ezechia era stato il re più fedele. Suo figlio Manasse sarà il più detestabile. «S’abbandona interamente a fare ciò ch’è male agli occhi dell’Eterno» (vers. 6). E a tutti i suoi delitti, s’aggiunge la responsabilità d’essere figlio del pio Ezechia, colui che aveva detto: «Il padre farà conoscere ai suoi figli la tua fedeltà» (Isaia 38:19). Se non avessimo che questo solo capitolo 21 a suo riguardo, diremmo per certo che un tal uomo è perduto per l’eternità. Ma il 2° libro delle Cronache (cap. 33:12-13), che ci dà la fine della sua storia, ci informa che la grazia di Dio ha detto l’ultima parola. Chi avrebbe creduto che un uomo simile sarebbe potuto pentirsi ed essere perdonato? Veramente i pensieri di Dio non sono i nostri pensieri. La nostra salvezza non dipende dal modo più o meno onesto della nostra condotta. Essa risulta dalla meravigliosa grazia del Dio d’amore. E ciò che abbiamo fatto prima della nostra conversione dovrebbe ad ogni modo apparirci abominevole davanti a Dio. Paolo chiamava se stesso il primo dei peccatori, perché aveva perseguitato l’assemblea. «Ma misericordia mi è stata fatta… — aggiunge egli — affinché Gesù Cristo dimostrasse in me, per il primo, tutta la sua longanimità…» (1 Timoteo 1:16).
2 Re
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Capitolo 21, versetti da 19 a 26 Capitolo 22, versetti da 1 a 7
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Amon succede a Manasse. Dopo due anni d’un regno empio, perisce di morte violenta. E il piccolo Giosia, suo figlio, sale sul trono all’età di otto anni. Ci ricordiamo che il suo nome era già stato pronunziato molti secoli prima da un profeta salito a Bethel per parlare contro l’altare in presenza di Geroboamo (1 Re 13:2). Questo figlio doveva nascere alla casa di Davide per compiere la giustizia e il giudicio. Così vediamo che in presenza del male che Egli sopportava, i pensieri di Dio si volgevano da molto tempo verso questo fanciullo. Ma dall’eternità essi riposavano sul fanciullino di Bethlehem che sarebbe diventato il Salvatore del mondo.
Il regno di Giosia, come quello dell’avolo Ezechia, corrisponde a ciò che si chiama un risveglio. Nello stato di sonno della cristianità, lo Spirito Santo ha prodotto, qua e là, simili risvegli. Quello di Giosia è caratterizzato da un nuovo interesse per la casa di Dio, da un ritorno al santo Libro, e infine dalla preoccupazione di separarsi dal male. L’esempio del piccolo re Giosia ricorda anche a tutti i nostri figli che non è mai troppo presto per fare «ciò ch’è giusto agli occhi dell’Eterno» (cap. 22:2).
2 Re
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Capitolo 22, versetti da 8 a 20
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I lavori intrapresi da Giosia nella casa dell’Eterno hanno condotto alla scoperta del libro della legge. Era stato smarrito, dimenticato persino dai sacerdoti che tuttavia avevano l’incarico di custodirlo (Deuteronomio 31:9 e 26). Nel corso della storia della Chiesa, il grande risveglio della Riforma ha rimesso in onore le Sacre Scritture. Dopo secoli di oscurità del Medio-Evo, il libro di Dio è stato tratto dall’ombra, tradotto nelle lingue popolari, stampato e sparso in tutti gli ambienti. Non dimentichiamo questo soggetto di riconoscenza. La lettura della Bibbia ha allora aperto gli occhi a molti sullo stato di rovina della cristianità. Ma, ad un tempo, la luce divina dell’Evangelo è venuta ad illuminare le anime ignoranti. Poiché questa Parola di vita non ci mostra soltanto, come il libro della legge a Giosia, quel che Dio aspettava dall’uomo e come quest’ultimo vi ha interamente mancato (Antico Testamento). Essa ci insegna pure ora ciò che Egli si è proposto in Cristo, il nuovo Uomo, e che questi ha interamente compiuto (è tutto il Nuovo Testamento). La Bibbia non è oggi un libro che ci condanna, ma il meraviglioso messaggio della grazia divina a poveri peccatori perduti.
2 Re
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Capitolo 23, versetti da 1 a 11
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Dopo la parola di giudizio che l’Eterno ha pronunziato, Giosia avrebbe potuto concludere: A che pro purificare questo luogo sul quale l’Eterno sta per accendere la sua ira? Ma non è mai il ragionamento d’un credente fedele. Neanche alla vigilia del giudizio finale, la Scrittura ingiunge: «Chi è santo si santifichi ancora» (Apocalisse 22:22).
In applicazione a quel che gli è stato letto in Deuteronomio 31:11, il re, che ora riconosce personalmente il valore della Parola di Dio, ha la preoccupazione di farla udire a tutti «piccoli e grandi». Abbiamo noi questo stesso desiderio di far conoscere attorno a noi la preziosa Parola di Dio?
«Lo zelo della casa di Dio» divora Giosia, come divorerà in seguito Uno più grande di lui. Leggendo i vers. 4 a 6, si pensa a Colui che fece un giorno una sferza di cordicelle per scacciare dal Tempio quelli che ne avevano fatto una «casa di mercato» (Giovanni 2:15 a 17), «una caverna di ladri».
Ma ci ricordiamo pure della domanda che l’apostolo fa ai Corinzi: «Non sapete voi che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?… il tempio di Dio è santo e questo tempio siete voi» (1 Corinzi 3:16-17; 6:19). Riceveremmo noi un visitatore nobile in una casa disordinata e sudicia? Si sentirebbe forse egli stesso a suo agio? A maggior ragione se si tratta dell’Ospite divino che vuol far la sua dimora nel nostro cuore. Onorarlo è anzitutto mettere in ordine questo cuore, sbarazzarlo da tutto ciò che lo ingombra e lo contamina.
2 Re
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Capitolo 23, versetti da 12 a 23
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Giosia prosegue la sua coraggiosa opera di purificazione. Ed ecco che fra i sepolcri dei sacerdoti d’idoli sorge un’altra tomba. Quella dell’uomo di Dio che aveva annunziato le cose che ora si adempivano. Degli ossami riposavano così gli uni vicino agli altri, la cui sorte eterna era differente. Il Signore alla sua venuta distinguerà e risusciterà d’infra i morti i corpi dei credenti «addormentati» (1 Tessalonicesi 4:13…). Gli altri saranno lasciati per la risurrezione di giudizio.
Giosia ha capito che prima di celebrare degnamente la Pasqua all’Eterno, ogni sozzura doveva essere anzitutto tolta dal paese. Il culto del Dio Santo non può accordarsi con ciò che ricorda quello degli idoli (2 Corinzi 6:16-17). Prima ancora di poter pronunziare il nome del Signore, il credente è invitato a ritrarsi dall’iniquità, a purificarsi dai vasi a disonore. Essere separato, ritrarsi, purificarsi, da cose penose e che ci faranno senza dubbio accusare e mal giudicare. Ma è quel che Dio ci chiede prima d’ogni altra cosa. Vedete quale ne è stata la preziosa conseguenza per Giosia ed il popolo: «Pasqua simile non era stata fatta dal tempo dei giùdici.»
2 Re
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Capitolo 23, versetti da 24 a 37
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Nonostante la fedeltà del suo re, il popolo non era ritornato di tutto cuore all’Eterno (Geremia 3:10). «Giuda, la perfida,» non ha ricavato nessuna lezione dal castigo subìto da «Israele, l’infedele». Così l’ora suonerà in cui questa tribù dovrà a sua volta essere scacciata dal paese.
Per compiere i suoi disegni, Dio si è servito dei grandi popoli dell’antichità, come pure delle nazioni moderne, agenti incoscienti delle Sue vie verso Israele. Gli avvenimenti mondiali sono da Lui controllati e li adopera per proteggere o disciplinare i suoi.
Le due grandi potenze del tempo di Giosia erano l’Egitto e, per poco tempo anche l’Assiria. Confinanti da due lati col paese di Canaan, questi due regni in perpetuo conflitto dovevano per combattersi, attraversare il territorio d’Israele. Giosia, parteggiando per il re d’Assiria, tenta di opporsi al passaggio del Faraone Neco, ma è ucciso da questo a Meghiddo. Oh; se si fosse separato dal mondo e dalle sue alleanze tanto accuratamente come si era separato dal male! Si è immischiato in una contesa che non lo concerneva e ne subisce le conseguenze (Proverbi 26:17).
Joachaz, figlio di Giosia, dopo un cattivo regno di tre mesi, cade sotto il potere di Neco. Costui lo deporta e lo sostituisce col fratello Joiakim, che non sarà migliore di lui.
2 Re
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Capitolo 24, versetti da 1 a 20
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Secondo la profezia di Isaia 10, la potenza assira è stata annientata. Sulle sue rovine è sorto l’impero babilonese comprendente la quasi totalità del mondo antico, compreso l’Egitto, e chiamato perciò il primo grande impero delle nazioni. È una svolta della storia del mondo. Israele è messo da parte; cessa di essere il seggio del governo di Dio sulla terra. Questo governo è affidato alle «nazioni» (cioè ai popoli non giudei) e comincerà quel che si chiama il tempo delle nazioni che dura ancora oggi.
Joiakim, re di Giuda, divenuto lui pure vassallo di Nebucadnetsar, si ribella tre anni dopo, e suo figlio Joiakin (o Jeconia) che gli succede fa altrettanto. Allora avviene la prima deportazione di Giuda a Babilonia. Avvenimento solenne! E tuttavia un’ultima occasione è lasciata ai più poveri del popolo che sfuggono alla deportazione. Nebucadnetsar mette sul trono di Giuda, come capo, un terzo figlio di Giosia: Sedekia. Ma costui non agisce diversamente dai suoi predecessori. L’accecamento di questi ultimi re è tanto più colpevole in quanto Geremia il profeta non ha cessato durante i loro regni di avvertirli da parte dell’Eterno.
2 Re
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Capitolo 25, versetti da 1 a 17
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Eccitato dallo spirito di ribellione dei re di Giuda, Nebucadnetsar sale per la terza volta contro Gerusalemme, l’investe e vi penetra dopo più d’un anno di assedio. E questa volta non c’è misericordia per l’orgogliosa città. È interamente bruciata, a cominciare dal Tempio. Le sue mura sono demolite, i suoi abitanti condotti in cattività. Sedekia subisce crudeli conseguenze della sua ostinazione. Soltanto alcuni campagnoli sono lasciati nel paese.
Poi le guardie caldee s’accaniscono contro il Tempio che per essi simboleggia lo spirito di resistenza. Non contenti di averlo dato alle fiamme, riescono a spezzare e trasportare le potenti colonne di rame, il mar di rame, le sue basi e il rimanente degli utensili. Perché i versetti 16 e 17 ripetono alcuni particolari dell’ornamento delle colonne, precisamente al momento in cui esse stanno per sparire? Senza dubbio per un motivo ben commovente: Non è forse come l’ultimo sguardo gettato sopra un oggetto amato e che ci si indugia a contemplare ancora? Com’erano belle quelle colonne, immagini della stabilità e della forza che l’Eterno ritirava ormai dal suo popolo disobbediente e ribelle! (1 Re 7:21).
2 Re
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Capitolo 25, versetti da 18 a 30
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Così han termine questi due libri dei Re (che nell’originale ebraico non ne formano che uno solo). Si erano aperti sulla gloria del re d’Israele, e si chiudono su quella del re di Babilonia. Incominciarono con l’edificazione del tempio; terminano col quadro della sua distruzione. Al principio, il primo successore di Davide era salito sul trono a Gerusalemme (1 Re 1). Alla fine, il suo ultimo discendente è stato rinchiuso in una prigione a Babilonia. Fra questo principio e questa fine, di capitolo in capitolo, abbiamo assistito al lamentevole declino. Così vediamo una volta ancora la fine di tutto ciò che è affidato all’uomo! Veramente il suo cuore è «ingannevole più d’ogni altra cosa e insanabilmente maligno (Geremia 17:9). Ed Ezechiele, la cui voce si farà udire durante questo tempo di cattività, lo conferma in questa dolorosa esclamazione: «Com’è vile il tuo cuore, dice il Signore, l’Eterno, a ridurti a fare tutte queste cose!…» (Ezechiele 16:30).
È consolante veder spuntare negli ultimi versetti un piccolissimo principio di ristoramento. Dio ci mostra che il suo lavoro non è terminato. L’ultima parola sarà sua, quando dopo il fallimento di tutti questi re apparirà il Cristo, il Figlio di Davide, il vero Re d’Israele.
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