Piccolo commentario dell’Evangelo secondo Matteo

Jean Koechlin

Le citazioni bibliche di questo commentario fanno riferimento alla versione Giovanni Luzzi


Matteo

Capitolo 1, versetti da 1 a 17

Erano ormai quattrocento anni che la voce dei profeti non si faceva più udire. Per Dio la «pienezza dei tempi» (Galati 4:4) era giunta. Egli parlerà «mediante il Suo Figliuolo» e farà conoscere al suo popolo, al mondo, come a noi personalmente, la buona novella dell’Evangelo (Ebrei 1:1 e 2). Essa si riassume in poche parole: il dono del suo Figlio. Ma come far penetrare nelle nostre menti limitate la conoscenza d’una tale Persona? Dio ha provveduto dandoci quattro evangeli, così siamo in grado di considerare la gloria del suo Figlio sotto parecchi aspetti, come si mette in rilievo un oggetto di gran pregio, sotto diverse luci.

Matteo è l’Evangelo che presenta Cristo come Re. Infatti esso si apre con una genealogia per mettere subito il Messia nel quadro delle promesse fatte ad Abrahamo e dimostrare in modo irrefutabile il suo titolo di erede al trono di Davide (Gal. 3:16 e Giov. 7:42). Da questa lista, certi nomi tristemente noti (Achaz, Manasse, Amon…) non sono stati cancellati. Prima di rivelare il Salvatore, Dio attesta una volta di più che in tutte le generazioni, che si tratti d’un patriarca, d’un re, o d’una donna poco raccomandabile, ognuno ha bisogno della stessa salvezza e dello stesso Evangelo.




Matteo
 

Capitolo 1, versetti da 18 a 25
Capitolo 2, versetti da 1 a 6

Gesù entra in questo mondo come tutti gli uomini, mediante la nascita. Giuseppe e Maria sono stati scelti per accogliere ed allevare il Fanciullo divino. I piani di Dio si compiono; conformemente alle profezie, la nascita dell’erede al trono di Davide ha luogo nella città regale di Bethleem. Notate che in questo evangelo non è parlato della mangiatoia che gli servì da culla, né di qualcosa che ricordi la sua povertà. Al contrario, Dio conduce gli eventi in modo che il suo Figlio sia onorato da nobili visitatori: i magi venuti dall’Oriente. Nessuno dei notabili tra i Giudei era moralmente qualificato per andare a prostrarsi davanti al Messia d’Israele. Siamo d’altronde in uno dei periodi più tenebrosi della storia di questo popolo. Il crudele Erode regna a Gerusalemme e questo era in aperta violazione a Deuteronomio 17:15, poiché era un Edomita!

Ad eccezione d’un piccolo numero d’anime pie che Luca ci farà conoscere, nessuno in Israele aspettava il Cristo. E oggi, fra tutti quelli che pretendono d’essere Suoi, quanti aspettano veramente il suo ritorno?




Matteo

Capitolo 2, versetti da 7 a 23

Dopo un lungo viaggio, prefigurazione di ciò che avverra nel millenio (Salmo 72:10), i magi sono condotti dalla stella presso il fanciullino. Che grande gioia per loro! Lo trovano, gli presentano i loro omaggi e poi «per altra via» tornano al loro paese. Non è forse la storia di ogni persona che va al Salvatore? I disegni micidiali d’Erode sono sventati. E lo sono anche quelli di Satana che cercava di sbarazzarsi, fin dalla sua entrata nel mondo, di Colui che sarebbe diventato il suo vincitore. Il viaggio in Egitto, mezzo ordinato da Dio per sottrarre il fanciullino a quei piani criminali, illustra pure la grazia di Colui che ha voluto seguire la stessa via che il suo popolo anticamente aveva percorso fino alla Terra Promessa.

Due nomi sono già stati dati al Fanciullo divino al capitolo precedente: quello di Gesù (Dio Salvatore: cap. 1:21) prezioso al cuore di ogni credente, poi quello di Emmanuele (Dio con noi: cap. 1:23). È aggiunto ora quello di «Nazareno» (vers. 23) con un triplice significato: Gesù è stato moralmente separato e consacrato a Dio, come il Nazireo di Numeri 6. Egli è stato pure sul tronco d’Isai (padre di Davide) un ramo nuovo che porta del frutto (vedere Isaia 11:1) (*). Infine sarà, per trent’anni, cittadino sconosciuto della città disprezzata di Nazaret (Giovanni 1:47).

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(*) Il termine ebraico che sta per «ramo» ha la stessa radice del nome Nazareno.
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Matteo

Capitolo 3, versetti da 1 a 17

Come un ambasciatore precede un alto personaggio, così Giovanni Battista proclama la prossima apparizione del Re. Ma il Messia non potrebbe prender posto fra un popolo indifferente al proprio stato di peccato. La predicazione di Giovanni ha quindi il carattere di un appello al pentimento. Ma egli annunzia il giudizio ai Farisei ed ai Sadducei che venivano al suo battesimo con l’atteggiamento di chi si ritiene giusto.

Possiamo capire che Giovanni sia sconcertato quando colui di cui non si stimava degno di sciogliere i sandali si presenta a sua volta per essere battezzato da lui. Ma udiamo al versetto 15 la prima frase pronunziata da Gesù in quest’evangelo: «Lascia fare per ora…». L’uomo non ha saputo fare che il male; conviene ormai lasciare agire Dio in Cristo e «adempiere ogni giustizia».

Gesù risale subito dall’acqua; non avrebbe dovuto essere battezzato poiché non aveva da fare nessuna confessione di peccato. Ed ecco che il cielo si apre per rendergli una doppia testimonianza: Lo Spirito Santo scende su Lui come anticamente l’olio dell’unzione designava il re (1 Samuele 16:13), e nello stesso tempo riceve dal Padre suo una meravigliosa parola d’amore e d’approvazione.




Matteo

Capitolo 4, versetti da 1 a 11

Rivestito della potenza dello Spirito, Gesù è pronto ad adempiere il suo ministerio. Ma, come ogni servitore di Dio, è necessario che sia anzitutto sottoposto alla prova. Così ha a che fare col grande nemico. Per far uscire l’uomo di Dio dal sentiero dell’obbedienza, Satana utilizza due tattiche principali: presenta cose spaventevoli lungo il cammino (per Cristo sarà specialmente la lotta di Getsemane), oppure offre degli oggetti desiderabili al di fuori del retto cammino. È appunto quello che il diavolo fa qui. Vedete come sa perfino rivestire la sua tentazione con un’apparente pietà: l’accompagna con un versetto della Parola! Ma citando il Salmo 91:11 e 12, Satana si guarda bene dall’aggiungervi il versetto seguente che fa allusione alla sua disfatta: «Tu camminerai sul leone e sull’aspide, calpesterai il leoncello e il serpente». Il serpente è il diavolo, riguardo al quale Genesi 3:15 annunziava che avrebbe avuto la testa schiacciata da Cristo, «progenie della donna». Mentre in Eden il primo Adamo aveva subìto una triplice sconfitta per mezzo della concupiscenza della carne, degli occhi e l’orgoglio della vita, l’Uomo perfetto ha nel deserto il trionfo sul serpente antico per mezzo della sovrana parola del suo Dio (1 Giovanni 2:16). E in quanto ha sofferto Egli stesso essendo tentato, può soccorrere quelli che sono tentati (Ebrei 2:18).




Matteo

Capitolo 4, versetti da 12 a 25

La citazione d’Isaia 9:1-2 del vers. 16 ha una leggera differenza rispetto al testo di Isaia. Al tempo del profeta il popolo «camminava» nelle tenebre; ma ora «giace» nelle tenebre, perché è lontano dalla luce di Dio, e ha perduto ogni coraggio, ogni speranza. È proprio il momento in cui Dio può intervenire. Gesù, che è la Luce, appare recando la liberazione. Egli passa. Al suo appello, colpiti dal suo amore, alcuni discepoli si affezionano a Lui e lo seguono. Due qui, due la: Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni… Per questi uomini è il momento decisivo, che ad un tratto ha cambiato tutto nella loro vita e che non dimenticheranno più (cap. 19:27). Sì, essi lasciano subito il padre, la barca, le reti. Ma è per trovare un Maestro ineguagliabile e la promessa d’un nuovo compito: diventeranno pescatori d’uomini! Quando sarà giunto il momento Gesù farà di loro degli evangelisti e degli apostoli.

Non tutti i cristiani sono chiamati ad abbandonare il loro lavoro o a rinunziare ai legami di famiglia. Ma tutti hanno udito, un giorno o l’altro, la voce che diceva loro: «Seguimi». Avete risposto?

Notiamo infine che i vers. 23 e 24 riassumono meravigliosamente tutta l’attività dell’amore del Signore Gesù.




Matteo

Capitolo 5, versetti da 1 a 16

Seguire Gesù significa anzitutto ubbidirgli (Giov. 12:26). Allora si possono manifestare gli stessi Suoi caratteri. Il Signore manifesterà questi caratteri ai suoi discepoli, come pure a noi tutti se desideriamo seguirlo, in questo incomparabile sermone sul monte. Beati quelli che hanno una fede semplice e non fanno valere la propria intelligenza; quelli che si affliggono per la malvagità del mondo, senza stancarsi di esercitare la bontà e la misericordia; quelli che sopportano per il nome del Signore ogni sorta d’ingiustizia e persecuzione… Non è il genere di felicità che la maggior parte degli uomini desidera; tutt’altro! Ma ai credenti, per essere felici, beati, basta avere l’approvazione del Signore. E le gioie del regno sono riservate a loro.

Nei vers. 13 e 14, c’è la loro posizione attuale. «Voi siete — non: dovete essere — il sale della terra,… la luce del mondo». Il cristiano rappresenta il suo Maestro assente. Rimanendo separato dal male, egli rappresenta quaggiù il «sale» che preserva dalla corruzione e che dà sapore (Giobbe 6:6). In secondo luogo è «luce», responsabile di risplendere, anzitutto dinanzi a «quelli che sono in casa», nella propria famiglia, creando un’atmosfera di pace, parlando del Signore.




Matteo

Capitolo 5, versetti da 17 a 30

Non si possono leggere i versetti 17 e seguenti senza essere presi da timore. Non soltanto il Signore dichiara che non è venuto ad abolire la severa legge di Dio che ci condannava tutti, ma dà un’interpretazione ancora più severa della volontà divina. Fino a quel momento un Israelita scrupoloso poteva sperare di meritare la vita eterna quando aveva più o meno «osservato tutte quelle cose fin dalla sua giovinezza» (vedere Marco 10:20). Ora le parole di Gesù non gli lasciano nessuna illusione. Se tali sono le esigenze della santità di Dio, chi dunque può essere salvato? Sì, l’assoluta misura della giustizia divina era presente in quell’Uomo incomparabile. Ma la stessa Persona che era venuta a farla conoscere era anche venuta ad adempierla in vece nostra (vers. 17; Salmo 40:8-10).

L’antico giudaismo non si preoccupava di quel che Dio pensava dell’ira né degli sguardi impuri. Non ne condannava che i frutti estremi: l’omicidio e l’adulterio. I comandamenti del Signore, invece, risalgono alla sorgente di quegli atti colpevoli che è il nostro cuore (cap. 15:19). Poiché, prima di udir parlare di grazia, è necessario che comprendiamo fino a che punto ne abbiamo bisogno!




Matteo

Capitolo 5, versetti da 31 a 48

Chi parla qui, non dimentichiamolo, è il Messia, il Re d’Israele. Il suo insegnamento è stato chiamato lo Statuto del regno, poiché espone le condizioni che dovranno accettare quelli che ne diverranno i sudditi. Ma che differenza con le costituzioni e i codici delle nazioni di quaggiù, basati solo sulla difesa dei diritti delle persone e sulla regola egoista «ognuno per sé». L’insegnamento di Gesù invece stabilisce non soltanto dei principi di non violenza, ma d’amore, d’umiltà e di rinuncia, assolutamente estranei allo spirito di questo mondo. Alcuni pensano che tali precetti siano inapplicabili sulla terra. I cristiani che li realizzassero alla lettera non diventerebbero vittime senza difesa, in balia di chiunque? Siamo certi che Dio saprà proteggerli. Inoltre, un tale comportamento costituirebbe una potente testimonianza, tale da confondere quelli che volessero nuocere al credente e anche da produrre la loro conversione.

Questi vers. 38 a 48 ci umiliano e ci giudicano. Che distanza ci separa da Colui di cui ci parlano 1 Pietro 2:22 e 23, Isaia 50:6, Giacomo 5:6 e tanti altri brani della Parola di Dio!




Matteo

Capitolo 6, versetti da 1 a 18

Le elemosine (vers. 1 a 4), le preghiere (vers. 5 a 15) e i digiuni (vers. 16 a 18) sono i tre modi principali con i quali gli uomini pensano di assolvere i loro «doveri religiosi». Quando questi atti sono fatti in modo da essere notati dagli altri, la considerazione che se ne trae costituisce già la loro ricompensa (vedere anche Giovanni 5:44). Purtroppo, il cuore umano è così scaltro che si serve delle cose migliori per darsi dell’importanza. I doni più generosi… purché siano visti, possono andare alla pari col peggior egoismo; sul viso può esservi la contrizione… e in fondo al cuore la soddisfazione di sé.

Il Signore ci insegna come pregare. Non si tratta affatto d’un atto meritorio, ma dell’umile presentazione dei nostri bisogni al nostro Padre celeste, nel segreto della nostra cameretta. Non sono forse troppo sovente le nostre preghiere delle frasi fatte, delle fastidiose ripetizioni? (vedere Ecclesiaste 5:2). Sì, persino quella bella preghiera insegnata dal Signore ai suoi discepoli (vers. 9 a 13) è diventata per molti una vana ripetizione. Il riscattato ha dei privilegi che l’Israelita non possedeva. Egli può accostarsi in ogni tempo, per mezzo dello Spirito, al trono della grazia, nel nome del Signore Gesù. Approfittiamo noi di questo privilegio?




Matteo

Capitolo 6, versetti da 19 a 34

L’occhio semplice è quello che si volge verso un solo oggetto. Questo oggetto, questo «tesoro», per il credente è Cristo. Noi lo contempliamo «a viso scoperto» nella Parola e questa visione illumina tutto il nostro essere interiore (leggere 2 Cor. 3:18; 4:6 e 7). Il nostro cuore non può trovarsi contemporaneamente nel cielo e sulla terra. Accarezzare un tesoro celeste e ad un tempo accumulare per questa terra sono, di conseguenza, due cose assolutamente incompatibili; così come è impossibile servire più d’un padrone (vers. 24). Ma rinunciando a Mammona (le ricchezze: vedere Lu-ca 16:13), non ci esponiamo forse a delle privazioni, a correre il rischio di mancare del necessario per il presente? Il Signore previene questa cattiva scusa: «Perciò vi dico: Non siate con ansietà solleciti…» (vers. 25). Apriamo gli occhi, come Gesù ci invita a fare. Osserviamo nella Creazione gl’innumerevoli piccoli testimoni della commovente sollecitudine e della bontà del Padre celeste: i fiori, gli uccelli… (Salmo 147:9).

No, Dio non sarà mai debitore di quelli che faran-no passare i Suoi interessi prima dei loro, di quelli che Lo sceglieranno (Luca 10:42). Ma bisogna incominciare da questo.




Matteo

Capitolo 7, versetti da 1 a 14

I vers. 1 a 6 e il meraviglioso vers. 12 pongono davanti a noi i motivi che devono regolare i nostri rapporti con gli uomini, i nostri fratelli. Per tentare di risolvere questo problema, dei grandi pensatori di tutte le civiltà hanno riempito biblioteche intere con le loro dottrine sociali, politiche, morali, religiose. Al Signore basta un piccolo versetto per esprimere e contenere la Sua soluzione, divinamente savia, perfetta e definitiva: «Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro» (vedere Romani 13:10). «Regola d’oro» che ogni giorno abbiamo più d’un’occasione di mettere in pratica. Impariamo dunque a metterci sempre al posto di quelli con cui abbiamo a che fare.

I vers. 13 e 14 ci ricordano che se vi son due padroni, vi sono anche due vie, due porte. La via larga è percorsa dalla folla. E ciò nonostante un cartello indicatore è atto a far rabbrividire: «di qui la perdizione» (vers. 13)! Invece, poco numerosi son quelli che trovano la via che conduce alla Vita (perché son poco numerosi quelli che la cercano — vers. 7). «Stretta è la porta». Si entra soltanto dopo aver abbandonato i bagagli della propria giustizia. Amico, su che via cammini tu?




Matteo

Capitolo 7, versetti da 15 a 29

Poiché i buoni alberi si riconoscono dai loro buoni frutti, non si vedono forse al vers. 22 delle ottime persone? Si presentano apparentemente con le mani piene d’opere meritorie: profezie, miracoli, demoni scacciati con il nome del Signore sulle labbra, sempre e ovunque… «Io non vi conosco», risponderà loro solennemente il Signore Gesù. I vostri frutti non sono quelli dell’ubbidienza a Dio.

Tutti questi insegnamenti non sono difficili da afferrare. Ma noi non manchiamo tanto di comprensione, bensì di realtà. Perciò, terminando i suoi discorsi, il Signore illustra con una breve parabola la differenza fra questa realizzazione pratica e il fatto di ascoltare soltanto. Ecco due case esternamente simili. Ma una è fondata sulla roccia della fede in Gesù Cristo (1 Corinzi 3:11); l’altra, purtroppo, è poggiata sulla sabbia mobile ed incerta dei sentimenti umani. Si è potuto confonderle, fino alla prova, la prova necessaria. E allora, vedete che cosa è diventata la seconda casa! Avveduto e stolto, tali sono rispettivamente i nomi dei due costruttori. Qual è il nostro?




Matteo

Capitolo 8, versetti da 1 a 17

Il servizio d’amore e di giustizia del Signore segue il suo insegnamento. Anzitutto assistiamo a tre guarigioni. Il lebbroso del vers. 2 conosce il potere di Gesù, ma dubita del suo amore: «Se tu vuoi, tu puoi…». Gesù vuole e lo guarisce.

Il centurione di Capernaum si rivolge a Lui nel doppio sentimento della Sua autorità onnipotente e della propria indegnità. «Di’ soltanto una parola…». Questa fede eccezionale stupisce e rallegra il Signore Gesù. La dà come esempio a quelli che lo seguono e umilia anche noi, non è vero?

Infine è necessario che il Maestro agisca pure nelle famiglie dei suoi. E guarisce la suocera del suo discepolo Pietro.

Gesù non si è occupato dei malati secondo il modo di fare dei medici che esaminano e, fatta una diagnosi, prescrivono una medicina e poi se ne vanno. Non si è accontentato di guarire. Egli stesso «ha portato le nostre malattie e si è caricato dei nostri dolori»; risalendo alla loro sorgente, che è il peccato, Egli ne ha sentito tutto il peso, tutta l’amarezza (Giov. 11:35). Una tale simpatia non è forse più preziosa della guarigione propriamente detta? È l’esperienza di molti malati cristiani.




Matteo

Capitolo 8, versetti da 18 a 34

Allo scriba che si offre di seguirlo dovunque andrà, il Signore non nasconde che il Suo sentiero è quello d’una completa rinuncia. Anche gli uccelli del cielo, di cui il Padre celeste ha cura (cap. 6:26), sono più favoriti del loro Creatore venuto come uomo quaggiù. Che abbassamento il suo! Non ha avuto sulla terra un luogo ove posare il capo.

Al vers. 21, qualcun altro risponde al suo invito con una scusa apparentemente giustificata. Cosa c’è di più legittimo che assistere al seppellimento del proprio padre? Tuttavia, per quanto urgente appaia un dovere, nulla e nessuno può anteporsi a ciò che Gesù ha comandato (cap. 6:33). Non è detto ciò che hanno poi deciso quei due uomini. L’importante è sapere se noi abbiamo risposto all’appello del Signore Gesù! La scena così nota e così bella della traversata nella tempesta illustra il viaggio terreno del credente. Egli incontra molte tempeste. Ma il suo Salvatore è anche il Padrone degli elementi ed è con lui (Salmo 23:4). Egli comanda al vento e ai flutti, alla malattia, alla morte e alle potenza sataniche, come vediamo dalla liberazione dei due indemoniati gadareni.




Matteo

Capitolo 9, versetti da 1 a 17

Le diverse malattie che il Signore incontra e guarisce sono altrettanti aspetti della triste condizione in cui ha trovato la sua creatura. La lebbra mette l’accento sulla contaminazione del peccato; la febbre, sull’agitazione incessante dell’uomo di questo mondo. L’indemoniato è sotto il potere di Satana, mentre il muto, il cieco e il sordo (vers. 27,32; cap. 11:5) hanno i sensi chiusi agli appelli del Signore e non sanno pregarlo. Infine questo paralitico, che è condotto a Gesù, dimostra la totale incapacità dell’uomo a fare il minimo movimento verso Dio (parag. Giovanni 5:7). Non dice nulla, aspetta… e spera. Ma il divino Medico (vers. 12) sa che una malattia ben più grave rode l’anima sua ed Egli comincia a liberarlo da questa: «I tuoi peccati ti sono rimessi». Di che cosa dovremmo preoccuparci di più, per noi e per gli altri? D’una malattia o d’un peccato?

Segue poi l’appello di Matteo raccontato da lui stesso. Egli faceva parte di quei peccatori per cui Cristo era venuto.

Infine la domanda dei discepoli di Giovanni è l’occasione per un nuovo insegnamento: per contenere il vino nuovo dell’Evangelo, gli otri vecchi della religione giudaica non servivano più.




Matteo

Capitolo 9, versetti da 18 a 38

Gli Evangeli non ci narrano che alcuni dei miracoli del Signore Gesù (vedere Giovanni 21:25). Dio ha registrato nella Sua Parola solo quelli che corrispondono all’insegnamento che vuole impartirci. Così, la risurrezione della figlia di quel capo di sinagoga ha fra l’altro un’applicazione profetica. Il Signore è visto come fosse in cammino per ridar la vita al suo popolo Israele. Durante questo tempo (il tempo attuale) Egli è a disposizione di tutti quelli che s’accostano a Lui per la fede, come fa la donna che aveva il flusso di sangue (versetto 20). Vi era in Gesù abbastanza potenza per guarire «ogni malattia e ogni infermità» (vers. 35). E vi era nel suo cuore abbastanza amore per condurre tutto il suo popolo come vero Pastore d’Israele (vers. 36). Purtroppo, se qua e là incontrava della fede, specialmente in quei due ciechi (vers. 28 e 29), incontrava anche la più terribile incredulità (vers. 34).

Noi che attraversiamo lo stesso mondo e incontriamo gli stessi bisogni, ma con dei cuori sovente così tristemente insensibili (Giacomo 2:15 e 16), chiediamo al Signore di darci una vista più estesa e più distinta della sua grande messe (Giovanni 4:35). E supplichiamolo di spingervi dei nuovi operai, essendo noi stessi disponibili se il Signore ci chiamasse.




Matteo

Capitolo 10, versetti da 1 a 23

I dodici discepoli sono diventati apostoli (vers. 2). Citandoli, Matteo il pubblicano ricorda la sua origine. Dopo essere stati ammaestrati dalle parole e dall’esempio del divino Maestro, giunge il momento in cui sono mandati (è il significato del vocabolo apostolo) come operai nella mietutura. Un bambino non andrà a scuola per tutta la vita; così è del credente (benché, in un certo senso, sia sempre alla scuola di Dio). Presto o tardi dovremo aver imparato l’essenziale delle nostre lezioni, particolarmente quella della nostra completa incapacità. Allora soltanto il Signore potrà servirsi di noi. Notiamo alcuni punti di maggior importanza: è il Signore che chiama, qualifica, manda, dirige, sostiene, incoraggia e ricompensa i suoi servitori. Non vanno di loro propria iniziativa o mandati dagli uomini. Non s’aspettano dagli altri nessun salario, ma danno gratuitamente quel che hanno ricevuto gratuitamente. Come sono perse di vista queste semplici verità nella cristianità! Sotto forma di comitati, di gerarchie, di varie organizzazioni, persone sovente bene intenzionate si interpongono fra il Signore e i suoi operai procurando così un danno a questi ultimi e soprattutto al lavoro che era stato loro affidato.




Matteo

Capitolo 10, versetti da 24 a 42

«Un discepolo non è da più del maestro» (vers. 24); non potrebbe quindi pretendere d’essere trattato meglio di lui. Sia egli cristiano o giudeo fedele quando ci sarà la grande tribolazione, il vero discepolo può dunque aspettarsi d’incontrare, da parte d’un mondo ingiusto e malvagio, un’opposizione simile a quella che Gesù ha incontrato (vedere vers. 17 e 18). Ma per lui sarà l’occasione di gustare tutte le risorse della grazia, quella meravigliosa grazia che conosce e preserva il riscattato persino per quel che riguarda un solo capello del suo capo (vers. 30; vedere 2 Corinzi 12:9 e 10).

Non è soltanto l’odio del mondo che colpisce il credente fedele, ma egli ha a che fare sovente con l’ostilità della propria famiglia (vers. 36). Non si scoraggi! Il Signore ha espressamente annunziato questo e ha delle risorse per il suo caso.

Prendere la propria croce è portare il segno distintivo dei condannati a morte. In altre parole, è mostrare di aver finito coi piaceri del mondo, di aver abbandonato la propria volontà personale. A vista umana, è lo stesso come perdere la propria vita. Il Maestro dichiara invece che è il solo mezzo di guadagnarla. Ma bisogna pure che sia per un motivo essenziale: «per amor mio», precisa il Signore (2 Corinzi 5:14 e 15).




Matteo

Capitolo 11, versetti da 1 a 19

Fin dal principio del ministerio del Signore, Giovanni Battista era stato gettato in prigione (cap. 4:12). Le domande che i suoi discepoli vanno a presentare a Gesù da parte sua ci mostrano il suo scoraggiamento e la sua perplessità: Colui di cui era stato l’ardente precursore non stabiliva il suo regno e non faceva nulla per liberarlo! Non era dunque il Messia promesso? Il Signore gli risponde con un messaggio che mette con dolcezza il dito sulla sua debolezza (vers. 6). Ma di fronte alle folle, Egli rende una testimonianza senza riserve al più grande di tutti i profeti (vers. 7 a 15).

Quando si tratta dell’entrata nel regno, la violenza diventa una qualità, ed una qualità indispensabile (vers. 12). Dio è pronto a darci tutto, però ci vuole da parte nostra l’ardente desiderio di possedere quel che Egli ci offre: il santo zelo della fede che s’impadronisce arditamente di tutte le promesse divine. Purtroppo, quanti ragazzi e ragazze per paura di lotte e rinunce, per mancanza di decisione e d’energia, son rimasti dietro la porta! Non dimentichiamo che i timidi si troveranno in compagnia degli increduli, degli omicidi e di tutti gli altri peccatori senza ravvedimento (Apocalisse 21:8).




Matteo

Capitolo 11, versetti da 20 a 30

Gesù aveva compiuto la maggior parte dei suoi miracoli nelle città della Galilea. Ma i cuori erano rimasti chiusi, come aveva profetizzato Isaia: «Chi ha creduto a quel che noi abbiamo annunziato? e a chi è stato rivelato il braccio dell’Eterno?» (Isaia 53:1). Tuttavia, a questa domanda, Gesù può dare una risposta «in quel tempo» (vers. 25) e rendere grazie al Padre suo: «Tu hai nascoste queste cose ai savi e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli fanciulli». Poi, volgendosi verso gli uomini, li chiama: «Venite a me»; venite con questa fede infantile. Nessuno, tranne me, pub rivelarvi il Padre. E imparate non soltanto per mezzo di me, ma da me, dal mio esempio, poiché io sono «mansueto e umile di cuore».

Vicino a Gesù troviamo due cose in apparenza contradditorie: il riposo e il giogo. Quest’ultimo è il pesante arnese di legno che serve ad aggiogare i buoi, simbolo dell’ubbidienza e del servizio fedele. Ma quello del Signore è leggero! Poiché il riscattato cambia la fatica e il carico del peccato (vers. 28) con la devozione gioiosa dell’amore (2 Cor. 8:3 a 5). «Beati i mansueti» aveva detto il Signore (cap. 5:5). Non è forse un privilegio rassomigliargli?




Matteo

Capitolo 12, versetti da 1 a 21

Dopo aver offerto il vero riposo dell’anima (cap.11:28 e 29) il Signore Gesù fa comprendere che il riposo legalista del sabato non ha più motivo d’essere. Con quella domanda sul sabato, i Farisei cercano di cogliere in fallo successivamente i discepoli (vers. 2), poi il Maestro stesso (vers. 10). Ma ciò gli fornisce l’occasione di spiegar loro, citando per la seconda volta il versetto di Osea 6:6 (vers. 7; vedere cap. 9:13 e Michea 6:6 a 8), che tutto il sistema basato sulla legge e sui sacrifici era messo da parte con la Sua venuta in grazia. A che serviva l’osservanza del quarto comandamento della legge quando tutti gli altri erano trasgrediti? Pretendere di rispettare il sabato, era fare come se tutto andasse bene in Israele. Ma finché regnava il peccato, nessuno poteva riposarsi! Né l’uomo, carico del suo peso, né Dio: il Padre col Figlio lavoravano a togliere il male e soprattutto le sue conseguenze (Giovanni 5:16 e 17). Così, senza lasciarsi fermare dai consigli dei malvagi, il Servitore perfetto prosegue l’opera sua. La compie nello spirito d’umiltà e di grazia che, secondo Isaia 42:1 a 4, doveva permettere agli uomini di riconoscerlo, e che ha un valore così grande agli occhi di Dio (1 Pietro 3:4).




Matteo

Capitolo 12, versetti da 22 a 37

I Farisei odiano il Signore Gesù perché sono gelosi della sua potenza e della sua autorità sulla gente. Avevano già cercato di farlo morire (versetto 14). Ora attribuiscono al capo dei demoni la potenza dello Spirito Santo che Dio aveva messo sul suo Diletto (vers. 18; parag. Marco 3:29 e 30)! Era quella la bestemmia contro lo Spirito Santo, un peccato che non poteva essere perdonato. No, l’opera del Signore era al contrario la prova della sua vittoria su Satana, l’uomo forte. Egli l’aveva «legato» nel deserto per mezzo della Parola (cap. 4:3 a 10), ed ora gli toglieva i suoi prigionieri (vedere Isaia 49:24 e 25). Poi Gesù mostra a quei Farisei che loro stessi erano sotto l’imperio di Satana: dei cattivi alberi che producevano cattivi frutti.

«Dall’abbondanza del cuore la bocca parla» (vers. 34). Se il nostro cuore è pieno di Cristo, ci sarà impossibile non parlare di Lui (Salmo 45:1). Se no, i cattivi pensieri nascosti nell’intimo di noi stessi saliranno tosto o tardi alle nostre labbra. E ciascuno dovrà un giorno rendere conto di ogni parola oziosa (cioè semplicemente inutile).




Matteo

Capitolo 12, versetti da 38 a 50

Col capitolo 12 termina la prima parte di questo evangelo. Poiché il Messia è rigettato da quelli che avrebbero dovuto essere i primi a riceverlo, Gesù comincia a parlare della sua morte e della sua risurrezione. Era il grande miracolo che restava da compiere e di cui i Giudei possedevano un segno, una figura: la storia di Giona inghiottito dal cetaceo. Nel medesimo tempo, il Signore mostra a quegli Scribi e a quei Farisei la loro schiacciante responsabilità. Essi erano tuttavia ben più istruiti che anticamente i pagani di Ninive o la regina di Sceba! E di quanto Egli stesso sorpassava Giona o Salomone! Era venuto per abitare in quella casa d’Israele, cacciando i demoni e spazzando via l’idolatria (vedere 8:31; 21:12 e 13). Ma non era stato ricevuto, e la casa restava vuota… pronta ad ospitare una potenza di male molto più terribile della prima. È quel che avverrà ad Israele sotto il regno dell’Anticristo.

I versetti seguenti mostrano che Gesù non può neppur più riconoscere i suoi parenti. Egli rompe ormai le relazioni terrene e naturali col suo popolo e spiegherà per mezzo delle parabole del cap. 13 che cos’è il regno dei cieli e chi può esservi ricevuto.




Matteo

Capitolo 13, versetti da 1 a 17

Il cuore del popolo si era fatto insensibile. Avevano volontariamente chiuso gli occhi e turato le orecchie (vers. 15). Così Gesù parlerà loro d’ora innanzi in parabole, in modo nascosto. I suoi insegnamenti saranno riservati ai discepoli. Sì, i versetti 18, 36, 37 ci provano che il Signore è sempre disposto a spiegare ai suoi ciò che sono desiderosi di capire. La Bibbia contiene molte cose difficili e oscure alla nostra mente (Deut. 29:29). Ma la spiegazione ci è data al momento opportuno, se ne abbiamo veramente il desiderio (vedere Proverbi 28 fine del vers. 5). Non lasciamoci dunque scoraggiare dai passi o dalle espressioni che non comprendiamo immediatamente. Chiediamo al Signore di spiegarci la Sua Parola.

Il rigettamento del Messia da parte d’Israele ha anche un’altra conseguenza: non trovando frutto da cogliere in mezzo al suo popolo, il Signore seminerà ora nel mondo la parola dell’ Evangelo. Questa è chiamata altrove «la parola che è stata piantata» e che ha la potenza di salvare le anime (Giacomo 1:21). Ma se vi è una sola specie di semenza, non tutti ricevono la Parola nello stesso modo. In che modo l’abbiamo noi ricevuta?




Matteo

Capitolo 13, versetti da 18 a 30

Fra quelli che odono la Parola, il Signore, nella Sua perfetta conoscenza del cuore umano, distingue quattro classi di persone. La prima e paragonata al terreno battuto della strada, diventato duro a forza d’essere calpestato da tutti. Il nostro cuore assomiglia forse a quella strada su cui il mondo passa e ripassa, talché la Parola non può più penetrarvi?

Altri, come quei «luoghi rocciosi», sono spiriti superficiali. La loro coscienza non è stata profondamente arata dalla convinzione del peccato. Talché la momentanea commozione provata udendo l’Evangelo non è che l’apparenza della fede. Se la vera fede ha delle radici invisibili, si fa però riconoscere dal suo frutto visibile. Senza opere la fede è morta, soffocata come quei chicchi germogliati fra le spine (Giacomo 2:17). Ma il seme è anche nella buona terra, ove la spiga potrà maturare a suo tempo.

La parabola della zizzania ci insegna che il nemico non ha soltanto rapito il buon seme quando ha potuto farlo (vers. 19) ma ne ha pure seminato del cattivo mentre gli uomini dormivano. Il sonno spirituale ci espone a tutte le influenze malvage. Perciò siamo esortati a vegliare (Marco 13:37, 1 Pietro 5:8, ecc…).




Matteo

Capitolo 13, versetti da 31 a 43

Nelle sei «parabole del regno», che fanno seguito a quella del seminatore, il Signore espone quale sarà il risultato delle sue seminagioni in questo mondo. La parabola del granel di senapa che diventa un grande albero, come pure quella del lievito nascosto nella pasta, descrivono la forma esteriore che il regno dei cieli ha rivestito dopo il rigettamento del Re. È il tempo della Chiesa responsabile. Dopo un piccolissimo inizio (alcuni discepoli), il cristianesimo ha avuto il grande sviluppo che conosciamo. Ma la sua riuscita e la sua estensione nel mondo non sono affatto la prova della benedizione e dell’approvazione di Dio, poiché nello stesso tempo è stato invaso dal male raffigurato dagli uccelli (v. 4 e 19) e dal lievito.

Il miscuglio che caratterizza la cristianità professante è illustrato in altro modo per mezzo della parabola della zizzania del campo che il Signore spiega qui. Voi sapete che il nome di cristiano è oggi portato da tutti quelli che sono battezzati, siano o no dei veri figli di Dio. Il Signore sopporterà questo stato di cose fino al giorno della mietitura (Apocalisse 14:15 e 16). Egli mostrerà, allora, dalla sorte finale degli uni e degli altri, ciò che pensava di ognuno di loro!




Matteo

Capitolo 13, versetti da 44 a 58

Le brevi parabole del tesoro e della perla sottolineano due verità meravigliose:
— il grandissimo pregio che Cristo ha attribuito alla sua Chiesa e il prezzo che ha pagato per acquistarla: ha venduto tutto ciò che aveva!
— Inoltre, la gioia che trova in lei.

Al vers. 47, la rete dell’evangelo e gettata nel mare dei popoli. Il Signore aveva annunziato ai suoi discepoli che avrebbe fatto di loro dei pescatori d’uomini. Ecco dunque i servitori all’opera. Ma i pesci non sono tutti buoni… né tutti i cristiani di nome sono dei veri credenti! È la Parola che permette di distinguerli: il buon pesce si riconosce dalle scaglie e dalle pinne (Levitico 11:9 a 11), e il vero credente dalla sua armatura morale e dalla sua capacità di resistere alla corrente di questo mondo.

Dopo il tesoro che il Signore ha trovato nei suoi (vers. 44), il vers. 52 ci mostra il tesoro che il discepolo possiede nella Sua Parola. È per voi il tesoro da cui sapete trarre «cose nuove e cose vecchie»?

Purtroppo questo capitolo termina come il precedente con l’incredulità della folla. Essi non vedono in Gesù che il «figlio del falegname», talché la sua grazia non può esercitarsi verso di loro.




Matteo

Capitolo 14, versetti da 1 a 21

Il cap. 11 ci ha parlato di Giovanni Battista in prigione. Sappiamo qui che vi era stato gettato da Erode (figlio di quello del cap. 2). E per quale motivo? Giovanni non aveva temuto di riprenderlo perché il re aveva sposato la moglie ripudiata del fratello. Ora, il fedele testimone paga con la vita la verità che ha avuto il coraggio di dire al re. La sua morte fa parte dei divertimenti e delle feste della corte reale; essa è l’orribile salario del piacere che il malvagio si è offerto (parag. Giacomo 5:5 e 6). Erode nutriva da tempo il segreto desiderio di far morire Giovanni (v. 5), poiché l’odio contro la verità è anche odio contro chi l’annuncia (Gal. 4:16). Umanamente parlando, è una fine tragica ed anche terribile. Chi di noi desidererebbe di una simile carriera una tale conclusione? Ma agli occhi di Dio questo era il glorioso compimento di ciò che è chiamato «la sua corsa» (Atti 13:25).

Si può pensare a ciò che è stato per Gesù la notizia della morte del suo precursore. Non era forse già l’annunzio del Suo proprio rigettamento e della Sua croce? Pare che la sua tristezza gli faccia sentire il bisogno di stare solo (vers. 13). Ma già la folla lo raggiunge, e il suo cuore, non pensando che agli altri, è mosso a compassione per essa. Così Egli compie in suo favore quel grande miracolo della prima moltiplicazione dei pani.




Matteo

Capitolo 14, versetti da 22 a 36

Questa scena della barca in mezzo alla tempesta è la figura della posizione attuale dei riscattati del Signore. Egli è nel cielo; è assente, ma prega e intercede per loro; nel frattempo essi attraversano a fatica il mare agitato di questo mondo. È la notte morale. Il Nemico, sollevando l’opposizione degli uomini, agisce come il vento e le onde che quasi annullano gli sforzi dei rematori. Ma Gesù viene incontro ai suoi. La sua voce familiare rassicura i poveri discepoli. E la fede, appoggiandosi sulla Sua parola «Vieni!», conduce Pietro dinanzi a Lui, ch’egli ama. Ma ad un tratto questa fede viene meno ed egli affonda. Cos’è avvenuto? Pietro ha distolto lo sguardo dal suo Maestro per portarlo sull’altezza delle onde e sulla violenza del vento. Come se fosse più difficile camminare con Dio sopra un mare agitato che su un mare calmo! Ma egli grida al Signore, che subito viene in suo soccorso.

Poi Gesù è ricevuto in quel paese di Gennezaret da cui era stato scacciato dopo aver guarito degli indemoniati (cap. 8:34). È una figura del momento in cui il suo popolo che l’ha rigettato lo riconoscerà, gli renderà omaggio, e sarà da Lui liberato.




Matteo

Capitolo 15, versetti da 1 a 20

Lo zelo religioso dei Farisei si limitava ad osservare strettamente un certo numero di forme esteriori e di tradizioni. E, al coperto da quella pia apparenza (che può illudere gli uomini, ma non può ingannare Dio) essi seguivano le inclinazioni del loro cuore naturale. Erano arrivati al punto di sottrarsi, per avarizia, anche ai doveri più elementari, come quello di provvedere ai bisogni dei loro genitori (v. 5. Vedere Proverbi 28:34). La domanda del Signore risponde di rimando a quella dei Farisei (vers. 3 e 2). Questi, con le loro tradizioni, annullavano i comandamenti di Dio!

Allora Gesù, che trovava tutto il suo diletto in quei comandamenti, confonde quegli ipocriti con le loro proprie scritture. Poi, volgendosi ai discepoli, anch’essi sconcertati dalle sue parole, mette a nudo la malvagità del cuore umano e dimostra la sua completa rovina. Sì, le mani possono essere accuratamente lavate… mentre il cuore è pieno di contaminazione. Ah! cari amici, riconosciamo quanto è vero quest’inventario del contenuto del cuore dell’uomo, del nostro proprio cuore, benché lo mascheriamo sotto lusinghevoli e rispettabli apparenze!




Matteo

Capitolo 15, versetti da 21 a 39

Gesù visita i quartieri di Tiro e di Sidone. Queste città pagane, aveva dichiarato, erano meno colpevoli di quelle della Galilea dove aveva fatto la maggior parte delle sue opere potenti (cap. 11:21 e 22). Ma esse non avevano nessun diritto alle benedizioni del «Figliuol di Davide» (vers. 22); erano «estranei ai patti della promessa» (Efesini 2:12). Il Signore, con una parola che sembra severa, comincia col sottolineare questo alla povera Cananea che lo supplica di guarire la sua figlia. E questa donna riconosce la propria completa indegnità! Allora la grazia può brillare con tutto il suo fulgore. Infatti, se vi fosse da parte dell’uomo il minimo diritto o il minimo merito, non si tratterebbe più di grazia, ma di cosa dovuta (Romani 4:4). Per misurare sempre meglio la grandezza di questa grazia verso noi, non dimentichiamo mai la nostra miseria e la nostra indegnità davanti a Dio.

Poi il Signore si volge di nuovo verso il suo popolo. Secondo il Salmo 132:15, Egli benedice abbondantemente i suoi viveri e sazia di pane i suoi poveri. E ciò che lo fa agire nel suo secondo miracolo come nel primo è la meravigliosa compassione da cui il suo cuore è stretto per quelle folle (vers. 32; cap. 14:14).




Matteo

Capitolo 16, versetti da 1 a 12

Di nuovo, dei Farisei chiedono un segno (cap. 12:38…); di nuovo Gesù li rimanda al segno di Giona: la Sua morte che doveva compiersi. I credenti, pervenuti oggi alla vigilia del ritorno del Signore Gesù, non devono neppur loro aspettare dei segni prima della Sua venuta. La loro fede s’appoggia sulla Sua promessa e non su prove visibili, altrimenti non sarebbe più fede. Tuttavia, quanti indizi ci mostrano che stiamo giungendo alla fine della storia della Chiesa quaggiù! L’orgoglio dell’uomo si gonfia sempre più; il mondo cristianizzato manifesta i caratteri annunziati in 2 Timoteo 3:1 a 5. Ci sono anche segni esteriori: il popolo giudeo ritorna nel suo paese; le nazioni cercano di unirsi, nel quadro dell’Antico Impero Romano… Apriamo gli occhi, alziamoli verso il cielo: Gesù ritorna!

Il Signore lascia quegl’increduli e se ne va (vers. 4). Ma sono ora i suoi discepoli che l’attristano con la loro mancanza di fiducia e di memoria come già l’avevano attristato con la loro mancanza d’intelligenza (cap. 15:16-17). Purtroppo, noi a volte assomigliamo a loro. Riteniamo l’esortazione che Dio ci dà per mezzo di Pietro, a gettare su Lui tutta la nostra sollecitudine, poiché Egli ha cura di noi (1 Pietro 5:7).




Matteo

Capitolo 16, versetti da 13 a 28

La domanda che Gesù fa ai suoi discepoli ci insegna che a suo riguardo le opinioni sono ben diverse; ed è ancora così oggi. Ma voi, potete dire chi Egli è e ciò ch’Egli è per voi? Il Padre suggerisce a Simone una magnifica confessione: «Tu sei il Cristo, il Figliuol dell’Iddio vivente». Ecco l’irremovibile fondamento su cui il Signore edificherà la Sua Chiesa di cui ogni credente, come Simone, diverrà una pietra vivente. E Gesù onora il suo discepolo dandogli una missione particolare: quella di aprire (con le sue predicazioni) le porte del regno ai Giudei e alle nazioni (Atti 2:36; 10:43).

«Da quell’ora» Gesù, menzionando la Chiesa, deve parlare del prezzo che pagherà per acquistarla: le sue sofferenze e la sua morte. Allora il povero Pietro, che un momento prima parlava «come annunziando oracoli di Dio» (1 Pietro 4:11), diventa qui lo strumento di Satana, il quale cerca di distogliere Cristo dal proprio sentiero d’obbedienza; ma è subito riconosciuto e respinto.

Gesù, che avanza per primo nella via della completa rinuncia, non nasconde ciò che il seguirlo comporta (parag. cap. 10:38 a 40). Siamo noi pronti a seguirlo a qualunque costo? (Filip. 3:8).




Matteo

Capitolo 17, versetti da 1 a 13

Il cap. 16 terminava col pensiero delle sofferenze e della morte di Gesù. Il cap. 17 si apre sulla sua apparizione in gloria che risponde alla promessa fatta ai discepoli (cap. 16:28). Dopo il disprezzo di cui il suo Figliuolo è stato oggetto da parte del suo popolo Israele e tutte le forme d’incredulità che ha incontrato al capitolo precedente, Dio vuol dare a testimoni scelti fra gli uomini un anticipo di ciò che sarà la Sua maestà regale. Che scena! Ma i tre discepoli sono incapaci di sopportarla. Sono presi da spavento; poi dal sonno (Luca 9:32). E finalmente Iddio è obbligato a prender la parola per impedire che il suo Diletto sia confuso coi due compagni della sua gloria. Soltanto più tardi, dopo la risurrezione, i discepoli comprenderanno la portata di quella visione magnifica e saranno autorizzati a raccontarla. Pietro lo farà nella sua 2a epistola (cap. 1:17 e 18). Ma ora, mentre Mosè ed Elia ritornano al loro riposo, il Figlio di Dio riveste di nuovo l’umile «forma di servo» che aveva lasciato solo per un momento, e scendendo dal monte riprende tutto solo la via verso la croce.




Matteo

Capitolo 17, versetti da 14 a 27

L’adorazione trasporta il credente in ispirito «sul monte» in compagnia del Signore glorificato. Possano essere più frequenti tali momenti! Ma bisogna anche saper ridiscendere con Lui in mezzo alle circostanze della vita, nel mondo, questo mondo dove Satana regna. È l’esperienza che i discepoli fanno qui. La guarigione del fanciullo lunatico è l’occasione per Gesù di mettere in rilievo l’onnipotenza della fede.

La scena dei vers. 24 a 27 è istruttiva e commovente. Pietro, sempre pronto a farsi avanti senza riflettere, dimenticando la visione di gloria e la voce del Padre, si impegna a nome del Maestro a pagare l’imposta del tempio. Gesù gli chiede con dolcezza se mai si è visto il figlio del re pagare le imposte al proprio padre! E Pietro l’aveva poco prima riconosciuto come Figlio dell’Iddio vivente! Tuttavia, il Signore incarica Pietro di pagare ugualmente quella somma che Egli non deve. Ma, nello stesso tempo, manifesta la sua potenza: Egli è Colui che domina su tutta la creazione, compresi i pesci del mare (Salmo 8:6 a 8). E manifesta pure il suo amore condiscendente: associa a sé il suo debole discepolo pagando anche per lui.




Matteo

Capitolo 18, versetti da 1 a 14

Il mondo si compiace in ciò che è grande. I discepoli anche. Desiderano sapere chi sarà il maggiore nel regno dei cieli! Il Signore risponde loro che anzitutto bisogna entrarvi e, per questo, farsi piccoli. Per meglio scolpire nella loro mente quest’insegnamento, Egli chiama un bambino e lo pone in mezzo a loro. Abbiamo dei bambini noi? Essi sono esempi viventi di fiducia e di semplicità. Badiamo bene di non disprezzarli a causa della loro debolezza, della loro ignoranza e della loro ingenuità. E facciamo attenzione soprattutto a non scandalizzarli. Il cattivo esempio d’un fratello maggiore è il laccio peggiore teso davanti ai passi dei suoi fratelli minori. Gesù ripete dunque qui ciò che ha già detto riguardo agli scandali (parag. vers. 8 e 9 e cap. 5:29 e 30).

Ben lungi dal disdegnare questi piccoli, Dio risponde alla loro debolezza con delle cure particolari. Degli angeli sono particolarmente incaricati di vegliare su loro. E non dimentichiamo che Gesù è venuto per salvarli (vers. 11). La parabola della pecora smarrita ci insegna il valore che un solo agnello ha per il suo cuore.




Matteo

Capitolo 18, versetti da 15 a 35

Gesù spiega come si devono regolare i torti tra fratelli (vers. 15 a 17). A tale insegnamento possiamo riallacciare quello riguardante il perdono (vers. 22; parag. Efesini 4:32 e Colossesi 3:13). Ma Egli trova anche occasione per riprendere il soggetto della Chiesa riunita in Assemblea dandoci un versetto, o piuttosto una promessa, di capitale importanza: «Dovunque due o tre sono radunati nel mio nome, quivi son io in mezzo a loro» (vers. 20). Da questa presenza deriva tutto ciò di cui ha bisogno un radunamento di credenti, per quanto deboli siano, purché siano riuniti nel nome di Gesù. Potrebbe mancare la benedizione quando è presente Colui che ne è la sorgente, là, in mezzo ai suoi che contano su di Lui? Questa promessa è qui specialmente in rapporto con l’autorità conferita all’assemblea (legare e sciogliere) e con la preghiera unanime e fervente che ottiene ogni cosa richiesta. Purtroppo alcuni dimenticano l’importanza delle riunioni di preghiera!

La parabola del servo che deve diecimila talenti (somma favolosa) ci ricorda il debito incalcolabile che Dio ci ha rimesso in Cristo (Esdra 9:6). Che cosa sono in paragone ad esso le piccole ingiustizie che potremmo subire? Il perdono divino di cui siamo stati gli oggetti ci rende responsabili di esercitare a nostra volta la misericordia.




Matteo

Capitolo 19, versetti da 1 a 26

All’inizio di questo capitolo, Gesù risponde ad una domanda dei Farisei condannando il divorzio (vedere cap. 5:31 e 32). Poi benedice i piccoli fanciulli che gli sono presentati e riprende i suoi discepoli che vorrebbero impedire ai genitori di farlo. Portiamo i più giovani di noi al Signore per mezzo della preghiera? Ovvero siamo fra quelli che impediscono loro di andare a Lui?

Al versetto 16 vediamo un giovane che va a Gesù con un buon desiderio: ottenere la vita eterna. Voglia il Signore mettere questo desiderio nel cuore di tutti i giovani che conosciamo! Soltanto, la domanda era mal formulata, e Gesù vorrebbe farlo capire al suo visitatore. «Tu vuoi fare il bene? Ebbene, ecco i comandamenti!» La risposta del giovane mostra che egli non conosceva se stesso. Allora Gesù gl’insegna che un idolo abita nel suo cuore: le sue ricchezze. No, la vita eterna non si ottiene facendo del bene, qualunque bene sia. E le migliori disposizioni con i più ricchi doni naturali non servono a nulla per meritarla… Perché la vita eterna non si merita, è il dono gratuito che Gesù fa a quelli che credono in Lui e lo seguono (Giovanni 10:28).




Matteo
 

Capitolo 19, versetti da 27 a 30
Capitolo 20, versetti da 1 a 16

Ecco una nuova parabola che illustra la domanda che tanto preoccupava i discepoli: sapere chi sarebbe stato il primo e chi l’ultimo nel regno dei cieli. Probabilmente saremmo propensi a prender le parti degli operai malcontenti e a trovare ingiusto il modo in cui il padrone agisce. Ma consideriamo la narrazione più da vicino. Gli operai del mattino avevano «convenuto» con il proprietario sul salario di una giornata (vers. 2 e 13). Essi stimavano il loro lavoro a tal prezzo. Invece, quelli che erano stati assunti più tardi hanno avuto fiducia che il padrone avrebbe dato loro «quel che sarà giusto» (vers. 4 e 7). Nessuno ha da lamentarsi. Nel regno dei cieli, la ricompensa non è mai un diritto. Tutti sono dei «servi inutili» secondo Luca 17:10 e nessuno merita qualcosa. Tutto dipende dalla grazia sovrana di Dio. D’altronde, gli operai dell’undicesima ora non sono forse in realtà i meno favoriti? Hanno perso l’occasione e la gioia di servire quel buon padrone durante la maggior parte della giornata. Serviamolo fin dalla nostra infanzia. Non sarà mai troppo presto per andare a Lui, ne troppo lungo il tempo del nostro servizio.

I primi operai rappresentano Israele sotto la legge; quelli dell’undicesima ora raffigurano le «nazioni», al beneficio della grazia di Dio.




Matteo

Capitolo 20, versetti da 17 a 34

Il Signore cerca la comprensione dei suoi discepoli riguardo ad un momento particolarmente intimo e solenne: le sofferenze e la morte che l’aspettano a Gerusalemme. Ma la madre di Giacomo e Giovanni sceglie proprio questo momento per fargli una richiesta egoista! Sarebbe orgogliosa di vedere i suoi figli occupare i posti d’onore nel regno del Messia. Ed ecco gli altri dieci manifestare la loro indignazione, non perché la domanda fosse inopportuna, ma perché, segretamente, ognuno di loro ambiva a quel primo posto. Dopo tutto ciò che Gesù aveva loro detto, e nonostante quel piccolo fanciullo ch’Egli aveva posto in mezzo a loro, non avevano né capito, né ritenuto nulla. Ma non giudichiamoli! Con quanta difficoltà impariamo le nostre lezioni, le stesse lezioni! Come rassomigliamo a loro!

Allora, senza un rimprovero, con pazienza infinita, Gesù riprende il suo insegnamento. E questa volta lo appoggia col proprio esempio per mezzo di quel meraviglioso vers. 28 che si dovrebbe imparare a memoria.

Proseguendo il suo cammino di servizio, Gesù guarisce due ciechi alla porta di Gerico. Notiamo in loro la bella insistenza della fede e nel Signore la sua infinita compassione.




Matteo

Capitolo 21, versetti da 1 a 17

Il passaggio a Gerico e l’ingresso a Gerusalemme segnano in ognuno degli evangeli l’inizio dell’ultima parte del viaggio del nostro Salvatore quaggiù. L’adempimento della profezia di Zaccaria 9:9 era per Israele una nuova prova che Gesù era proprio il loro Messia che veniva a visitarli. Era impossibile confonderlo con un altro: «Giusto e vittorioso, umile e montato sopra un asino…» Ci si sarebbe aspettati forse un re altero e superbo, che facesse il suo ingresso nella capitale sopra un cavallo di guerra, alla testa dei suoi eserciti. Ma un re umile e mansueto non risponde ai pensieri degli uomini.

Questi caratteri di grazia e di dolcezza non impediscono affatto al Signore di agire con la massima severità quando vede che i diritti di Dio sono calpestati (vers. 12 e seguenti). Noi che siamo suoi discepoli dovremmo fare lo stesso in questi casi. La dolcezza che deve caratterizzarci non esclude la più gran fermezza (1 Corinzi 15:58). La presenza di Gesù nel tempio produce vari effetti: anzitutto un’immediata purificazione; ma nello stesso tempo anche la guarigione in grazia degl’infermi che vanno a Lui. Poi la lode dei piccoli fanciulli. Infine l’indignazione dei nemici della verità.




Matteo

Capitolo 21, versetti da 18 a 32

Sulla via di Gerusalemme, Gesù compie un miracolo che, eccezionalmente, non è un miracolo d’amore ma un segno di giudizio. Consideriamo questo fico: ha nient’altro che foglie! Una bella apparenza ma non un solo frutto! Era proprie lo stato d’Israele… ed è quello di tutti quelli che sono cristiani solo di nome. Questo miracolo è l’occasione per Gesù di ricordare ai suoi discepoli l’onnipotenza della preghiera della fede.

Poi Egli entra di nuovo nel tempio ove i responsabili del popolo vengono a contestare la sua autorità. Per mezzo della sua domanda, il Signore fa loro comprendere che non possono riconoscere quest’autorità se non hanno anzitutto riconosciuto la missione di Giovanni Battista. Come il secondo figlio della parabola (vers. 28 a 30), i capi del popolo facevano professione di compiere la volontà di Dio, ma in realtà essa era per loro lettera morta. Altri, invece, un tempo ribelli e peccatori dichiarati, si erano pentiti alla voce di Giovanni e avevano compiuto quella volontà di Dio. Figli di genitori cristiani, corriamo il rischio d’essere preceduti nel cielo da gente per cui ora proviamo forse del disprezzo o della condiscendenza (cap. 20:16)! Pensiamo alla nostra responsabilità!




Matteo

Capitolo 21, versetti da 33 a 46

Un’altra parabola illustra il terribile stato del popolo e dei suoi cattivi conduttori. Dio si aspettava del frutto dalla sua vigna, Israele. Nulla aveva trascurato per ottenerne (parag. Isaia 5:1 e 2). Ora i Giudei (e gli uomini in generale) hanno dimostrato la loro incapacità di produrne, ma anche uno spirito di rivolta e di odio contro il legittimo Possessore di tutte le cose. Hanno disconosciuto i suoi servitori, i profeti; e si preparano ora a scacciare (e in qual modo!) l’Erede stesso, per rimanere soli padroni dell’eredità, cioè del mondo (1 Tess. 2:15).

Il Signore conduce quegli uomini a pronunciare la loro propria condanna (vers. 40 e 41). Poi mostra che Egli stesso è la «pietra angolare, eletta, preziosa» che Dio aveva posta in Israele. Quelli che edificano (i capi dei Giudei) l’avevano rigettata, secondo il Salmo 118:22 e 23. Allora Egli è diventato la pietra angolare d’una «casa spirituale», la Chiesa, e, nello stesso tempo, «una pietra d’inciampo e un sasso d’intoppo» per i disubbidienti (1 Pietro 2:4 a 8). Un pensiero analogo lo troviamo in 2 Corinzi 2:15-16 dove la predicazione di Cristo è «vita» per quelli che sono nella via della salvezza, e «morte» per quelli che sono nella via della perdizione.




Matteo

Capitolo 22, versetti da 1 a 22

La parabola delle nozze del figlio del re completa quella dei cattivi vignaiuoli, mostrando quel che avverrà dopo il rigettamento dell’Erede. I Giudei, i primi invitati, rifiutano la grazia annunziata dagli apostoli (i servitori del vers. 3). Allora questi si volgeranno verso le «nazioni» (Atti 13:46).

Dio fa agli uomini l’onore e la grazia di invitarli! Voi pure avete fra le mani la sua lettera d’invito. Purtroppo, il disprezzo e l’opposizione sono le due risposte che generalmente Egli riceve (Ebrei 12:3). Poiché non basta essere invitati (vers. 3), bisogna accettare, venire… e venire nel modo ordinato da Dio, cioè con quell’abito di giustizia procurato dallo stesso Re (parag. Filippesi 3:9). L’uomo del vers. 11 aveva pensato che i propri abiti sarebbero serviti lo stesso. Egli rappresenta tutti quelli che immaginano di essere ricevuti nel cielo con la loro propria giustizia (Rom. 10:3-4). Ma che confusione li aspetta e che terribile sorte finale!

Sordi a tutti questi insegnamenti, i Farisei e gli Erodiani s’accostano con una domanda calcolata per «cogliere in fallo» Gesù. Ma Egli discerne subito il laccio rivestito di lusinghe. E la sua risposta inattesa rimanda la freccia a chi l’aveva scoccata.




Matteo

Capitolo 22, versetti da 23 a 46

Altri contradditori, i Sadducei, vanno al Signore con una domanda tranello. Pensano, col loro racconto immaginario, di dimostrare la stravaganza della dottrina della risurrezione. Prima di darne la prova per mezzo delle Scritture, Gesù s’indirizza alla coscienza di quegli uomini e mostra loro che essi discutono, senza conoscere la Parola, sulla base incerta (e sempre falsa) dei loro propri pensieri. È quel che fanno oggi molte persone. Particolarmente quelle che appartenono a sette d’errore e di perdizione. Non seguiamo mai questa gente nei loro pericolosi ragionamenti!

Sconfitti sul terreno delle Scritture, i nemici della verità ritorneranno alla carica (vers. 34 a 40). Essi ricevono in risposta un meraviglioso sunto della legge intera che li condanna senz’appello. Allora, a sua volta, Gesù presenta ai suoi interlocutori una domanda che chiude loro la bocca. Rigettato, Lui che è sia il Figliuolo che il Signore di Davide, occuperà una posizione gloriosa. E quelli che, contro tutto, volevano rimanere suoi nemici troveranno essi pure il posto che è loro riserbato (vers. 44). Quanta gente c’è che si impunta sulle proprie idee e rifiuta di sottomettersi agli insegnamenti biblici (2 Tim. 3:8).




Matteo

Capitolo 23, versetti da 1 a 22

Gesù, dopo aver sventato tutti gli attacchi dei capi religiosi del popolo, mette ora in guardia contro loro i discepoli e la folla. Ciò che essi dicevano di fare era in generale buono ma, disgraziatamente, facevano tutto il contrario (cap. 21:29-30). Noi che conosciamo tante verità bibliche e sappiamo all’occasione ricordarle agli altri, siamo forse sicuri di metterle sempre in pratica? (Giovanni 13:17; Rom. 2:17-21).

Che contrasto fra quei conduttori e Cristo, il solo vero conduttore (vers. 8 e 10)! Essi raccomandavano l’osservanza della legge; Lui l’adempiva (cap. 5:17). Essi caricavano gli altri «di pesi gravi» (vers. 4); Lui chiamava gli stanchi e gli aggravati per dar loro del riposo (cap. 11:28). Essi sceglievano i primi posti (vers. 6), Lui, dalla mangiatoia alla croce, ha preso costantemente l’ultimo posto. Egli è stato servitore prima d’essere guida (vers. 11). Nessuno sarà elevato più in alto, poiché nessuno si è abbassato più profondamente. Ma quegli scribi e quei Farisei che procacciavano la propria gloria, se n’andranno in rovina e in perdizione. Guai, è la terribile parola che il Salvatore deve pronunciare, per ben sette volte, contro quegli uomini così responsabili.




Matteo

Capitolo 23, versetti da 23 a 39

Con queste parole veementi, il Signore condanna solennemente ciò che si può chiamare «il clero» in Israele. Essi erano doppiamente colpevoli: questi uomini, non soltanto non entravano nel regno dei cieli, ma abusavano della loro posizione d’autorità per impedire agli altri di entrare (vers. 13). Scrupolosi all’eccesso per cose piccolissime, trascuravano le principali: il giudizio (anzitutto di loro stessi), la misericordia, la fede (vers. 23). Con tutto ciò, la loro maschera d’ipocrisia ingannava la fiducia dei semplici. Gesù, indignato, scopre il loro vero volto: sono dei «sepolcri imbiancati» (morti internamente), dei «serpenti», dei micidiali, figli di micidiali.

Prima di uscire dal tempio e lasciar deserta quella casa dove Dio non aveva più posto, Gesù si esprime in termini commoventi sulla sorte di Gerusalemme. Sì, possiamo pensare a ciò che è stato per il suo cuore divinamente sensibile quel disprezzo della grazia offerta: «Voi non avete voluto!» (cap. 22:3; Osea 11:7). Fra quelli che dovranno udire questo rimprovero un giorno, quale uomo potrà accusare Dio quale responsabile della sua sventura eterna? La salvezza in Cristo gli è stata offerta, ma lui non l’ha voluta.




Matteo

Capitolo 24, versetti da 1 a 14

Dopo aver pronunziato i sette «guai» sulle guide cieche del popolo, il Signore lascia solennemente il tempio. Ma i discepoli non sono ancora pronti ad abbandonare il loro titolo di figli d’Abrahamo e figli d’Israele. Allora Gesù, presili da parte, espone loro nei cap. 24 e 25 la successione degli avvenimenti profetici. Tuttavia, prima di rispondere alle loro domande, comincia col parlare alla loro coscienza (vers. 4). Una verità deve sempre avere un effetto morale, come quello d’aumentare il timore di Dio o l’amore per il Signore; se no, solo la curiosità è nutrita e l’anima s’indurisce.

Qui, si tratta per i discepoli di stare in guardia. Essi sono ancora dei «piccoli fanciulli» nella fede. Conoscono il Padre che Gesù ha loro rivelato (cap. 11:27), ma non sono armati contro quelli che 1 Giovanni 2:18 chiama «molti anticristi», cioè portatori di vari errori, e hanno bisogno d’essere avvertiti (leggere 2 Pietro 3:17). Satana cerca di sedurre con delle contraffazioni (2 Tess. 2:9-10). Cari figliuoli di Dio, non lasciamoci turbare da tutto ciò che udiamo dire (vers. 6). E vegliamo soprattutto affinché il nostro amore per i nostri fratelli non si raffreddi (vers. 12).




Matteo

Capitolo 24, versetti da 15 a 31

Gli avvenimenti annunziati in questi versetti concernono Israele e non si produrranno se non dopo il rapimento della Chiesa. Ma per mostrare chiaramente che sono la conseguenza del Suo rigettamento nei capitoli precedenti, il Signore si rivolge ai suoi discepoli come se la loro generazione dovesse attraversare quel terribile periodo. In realtà, quando l’Anticristo sedurra le nazioni e contaminerà il tempio (vers. 15) e perseguiterà i fedeli (vers. 16…), i cristiani della dispensazione attuale non saranno più sulla terra. Così, tutti gli avvertimenti e gl’incoraggiamenti dati qui non ci riguardano direttamente. Ma Gesù stesso s’interessa grandemente di queste cose che precederanno la sua venuta in gloria (vers. 30), e pensa con profonda simpatia ai fedeli che soffriranno allora. E presuppone anche che quelli che Egli chiama suoi amici condividano questo interesse, questa simpatia (Giov. 15:15). Il fatto di parlarcene in anticipo (vers. 25), costituisce da parte sua un grande segno di fiducia e d’amore (parag. Genesi 18:17). Non è forse questo un motivo sufficiente per cercare di comprendere questi soggetti della profezia? Inoltre, è una sorgente di esortazione utile in ogni tempo a tutti i testimoni del Signore: perseverare (v. 13), pregare (v. 20), vegliare (v. 42).




Matteo

Capitolo 24, versetti da 32 a 51

Il Signore interrompe la sua esposizione profetica per esortare i suoi alla vigilanza e al servizio. Il giudizio cadrà repentinamente sul mondo. Colpirà gl’increduli e gli schernitori. Raggiungerà pure gl’indifferenti, gl’indecisi, i figli dei credenti che non saranno diventati figli di Dio. È forse il vostro caso? «Perciò anche voi siate pronti», dice il Salvatore ad ognuno (vers. 44). E per esser pronti, ricevete la sua grande salvezza!

Al vers. 45 un bel servizio è presentato ai credenti: quello di distribuire attorno a loro il cibo della Parola (Atti 20:28, 1 Tim. 1:12). Ma ciò comporta due condizioni: la fedeltà per conoscere questa Parola e per non allontanarsene e la prudenza per adattarla ai bisogni e alle circostanze degli altri. Purtroppo, nella grande cristianità vivono pure dei cattivi servitori che dominano duramente sulle anime; si sono inebriati di piaceri con il mondo (parag. 1 Tessalonicesi 5:7). E la causa qual è? Essi stessi non credono al ritorno del Signore! Poiché il servitore di Cristo non può essere fedele e prudente se non custodendo un prezioso segreto: ogni giorno egli aspetta il Signore (leggere Salmo 130:6) che viene.




Matteo

Capitolo 25, versetti da 1 a 13

Secondo l’uso orientale, uno sposo che arrivava di notte per il banchetto delle sue nozze era rischiarato e scortato da vergini, amiche della sposa (diremmo oggi damigelle d’onore; parag. Salmo 45:9 e 14). Il Signore si serve di questa bella illustrazione per mostrarci in quale modo Egli doveva essere atteso, Lui, il celeste Sposo. Purtroppo, i cristiani si sono stancati di quest’attesa. Il sonno spirituale si è impadronito di loro ed è durato dei secoli. Fu in un momento recente della storia della Chiesa, chiamato il Risveglio, che si insegnò di nuovo la venuta del Signore e si fece udire il «grido di mezzanotte»: «Ecco lo Sposo!…» Il Signore ritorna! Come conseguenza, le vergini avvedute che hanno dell’olio nella loro lampada raffigurano i veri credenti pronti per la venuta del Maestro, e la cui luce, quella dello Spirito Santo, può brillare nella notte del mondo. Altre persone, come quelle vergini stolte, avranno professato di aspettare il Signore ma senza possedere la Sua vita. E indebitamente che esse portavano il bel titolo di cristiani. Terribili illusioni e non meno terribile risveglio!

Ah! si chieda ognuno mentre è ancora tempo: Ho io dell’olio nella mia lampada? Sono io pronto per il Suo ritorno?




Matteo

Capitolo 25, versetti da 14 a 30

La parabola delle dieci vergini si riferiva all’attesa del Signore. Quella dei talenti considera il lato del servizio. Questi sono i due caratteri della vita del cristiano dopo la sua conversione (1 Tessalonicesi 1:9 e 10).

Aspettare il Signore non significa incrociare le braccia fino al suo ritorno. Tutt’altro; il riscattato ha il privilegio di lavorare per Lui. Ed ha ricevuto, per questo scopo, un certo numero di talenti che è responsabile di far fruttare. Beni materiali, a volte, la salute, la memoria, l’intelligenza; ma soprattutto, la Parola divina che dobbiamo conoscere e far conoscere (1 Corinzi 2:12).

Cari amici, anche se siamo salvati, possiamo assomigliare più o meno al malvagio servitore. Siamo noi sicuri di non avere egoisticamente, pigramente, e, comunque, disonestamente nascosto l’uno o l’altro di questi doni che appartengono al Signore? Cosa avremo da restituirgli quando Egli verrà? Potrà Egli farci entrare nella sua gioia, la gioia della Sua approvazione? E la gioia «che gli era posta dinanzi» (Ebrei 12:2), la gioia dell’opera compiuta e dell’amore soddisfatto che gli ha fatto sopportare la croce con tutti i suoi orrori. La ricompensa è la stessa per i due primi servitori. Ciò che conta per il Signore è la fedeltà, non tanto i risultati (sempre «poca cosa»).




Matteo

Capitolo 25, versetti da 31 a 46

Il vers. 31 riprende il corso della profezia da dove l’avevano lasciata i versetti 30 e 31 del cap. 24, cioè alla venuta del Signore in gloria per il suo popolo terreno. Per quelli delle «nazioni» (i non Giudei) suonerà allora il giorno delle ricompense… o del castigo. E ciò che li differenzierà fra loro, sarà il modo in cui avranno accolto gli ambasciatori del Re (i suoi fratelli, vers. 40), quando questi annunzieranno l’evangelo del regno (cap. 24:14). Alcuni hanno voluto servirsi di questa parabola per sostenere la dottrina della salvezza per mezzo delle opere. Ma è chiaro che qui siamo fuori del tempo della Chiesa e della fede cristiana propriamente detta.

Tuttavia, lasciando da parte la questione della salvezza, la dichiarazione del Re è piena d’ammaestramento per noi cristiani. Se Gesù fosse oggi sulla terra, che entusiasmo avremmo per riceverlo, servirlo e per soddisfare i suoi minimi desideri? Ebbene, queste occasioni le abbiamo ogni giorno! Doni, ospitalità, visite, tutto ciò che facciamo per amore verso qualcuno è anzitutto per Lui che possiamo farlo (vedere Giovanni 13:20; 1 Corinzi 12:12). Così anche, ciò che non facciamo per il bene degli altri lo rifiutiamo al Signore.




Matteo

Capitolo 26, versetti da 1 a 16

Il Signore ha terminato i suoi discorsi. Gli ultimi avvenimenti stanno per adempiersi. Mentre a Gerusalemme si trama un complotto fra malvagi (vers. 3 a 5), una scena ben diversa si svolge a Betania. Respinto e odiato dai grandi del suo popolo, Gesù trova, fra umili fedeli, l’accoglienza, l’amore e, possiamo ben dire, l’adorazione dovutagli. Non avendo più posto nel tempio, Egli è ricevuto in casa di Simone il lebbroso. La regalità gli è stata rifiutata. Allora Dio fa sì che riceva l’unzione regale in altro modo. Quella donna realizza il bel versetto: «Mentre il re è nel suo convito, il mio nardo esala il suo profumo» (Cantico dei Cantici 1:12). Soltanto Gesù comprende ed apprezza il suo atto. Ma che importa! Chi potrebbe dare del dispiacere a Maria quando il Signore vi trova piacere?

Di nuovo, col vers. 14, passiamo a una scena di tenebre. Il traditore Giuda, che poco prima aveva respirato il profumo, compie il suo misfatto e ne riceve il salario: trenta monete d’argento, il prezzo d’uno schiavo. Ma il profeta Zaccaria lo chiama, con dolorosa amarezza, un «magnifico prezzo», perché è quello a cui il Figliuol di Dio sarebbe stato stimato (Zaccaria 11:13).




Matteo

Capitolo 26, versetti da 17 a 30

Si puo pensare quali siano stati sentimenti del Signore mentre mangiava quella Pasqua coi suoi discepoli. La Pasqua era la figura di ciò di cui Lui sarebbe stato la realtà. Pochi istanti dopo, il santo, il vero Agnello della Pasqua sarà sacrificato sulla croce (1 Corinzi 5:7). Ma gli rimaneva ancora da dare ai suoi discepoli un segno particolare del suo amore. Ogni anno, dalla grande notte dell’esodo, la Pasqua annunziava in figura un’opera futura. Ormai, la cena del Signore col pane e il vino ricorderà al credente, ogni primo giorno della settimana, che quell’opera è compiuta. Ogni volta che la si celebra, si annuncia la morte del Signore finché Egli venga (1 Cor. 11:26).

Dopo aver loro distribuito il pane, Gesù dà anche il calice ai suoi, dicendo: «Bevetene tutti». Egli vuole che ognuno di loro partecipi con Lui a quel pasto d’amore (salvo Giuda che uscì: Giovanni 13:30). Ne sono degni? Pietro lo rinnegherà; tutti gli altri fuggiranno… Nondimeno Gesù dice loro (e lo dice anche oggi ai suoi riscattati): «Bevetene tutti». Poi spiega loro l’inestimabile valore del suo sangue che sarà versato «per molti per la remissione dei peccati». Siete voi fra questi «molti»? Se così è, quale sarà la vostra risposta al comandamento del Signore Gesù? (Salmo 116:12 a 14). Vi ricordate, ogni domenica, del corpo e del sangue del Signore coi simboli da Lui stesso lasciati?




Matteo

Capitolo 26, versetti da 31 a 46

Pieno di fiducia in sé, Pietro si era dichiarato pronto a morire col Signore. Vedremo che non andrà lontano.

Ora Gesù, dopo aver ordinato ai suoi discepoli di vegliare e pregare con Lui, prosegue solo in quel giardino ove doveva dare la prova suprema della sua consacrazione alla volontà del Padre. Questa volontà, che non aveva mai cessato di essere la delizia del Figlio, comporta ora una duplice e terribile necessità: l’abbandono di Dio, cosa infinitamente triste per il cuore del suo Diletto, e il peccato ch’Egli doveva portare, con la morte, suo salario, cosa infinitamente terribile per l’Uomo perfetto. Così la tristezza e l’angoscia hanno invaso l’anima sua (vers. 37). Ah! Egli realizza in anticipo tutto ciò che rappresenta quel terribile sentiero della croce. Ma Egli riceve il calice dalla mano del Padre: «Sia fatta la tua volontà!».

Nella sua grazia, Dio ci ha permesso di assistere all’angoscia del Salvatore in Getsemani, di udire la sua preghiera insistente e dolorosa. Ci guardi Egli dall’avere, come i tre discepoli, dei cuori assopiti e indifferenti verso la sua sofferenza; e che l’anima nostra trabocchi sempre di riconoscenza e d’adorazione.




Matteo

Capitolo 26, versetti da 47 a 58

Un discepolo non aveva dormito come gli altri: era Giuda. Eccolo a capo d’una truppa minacciosa venuta ad impadronirsi di Gesù. E che mezzo sceglie quel miserabile per designare il suo Maestro? Il bacio, un bacio d’ipocrisia. «Amico — gli risponde il Salvatore — a far che sei tu qui?». È l’ultima domanda destinata a scrutare l’anima dello sventurato Giuda! Un ultimo appello dell’amore di Colui che aveva detto ai suoi: «Io vi ho chiamati amici» (Giovanni 15:15). Purtroppo, è troppo tardi ormai per il «figliuol di perdizione» (Giovanni 17:12).

Quelle frecce che dovevano entrare nella coscienza (vedere anche vers. 55) sono i soli atti di difesa di Colui che sacrificava se stesso. Tuttavia, più di dodici legioni d’angeli erano, per così dire, in stato d’allerta, pronti ad intervenire se Lui l’avesse chiesto al Padre. Ma la sua ora era venuta. Lungi dal sottrarsi o difendersi, ferma invece il braccio del suo discepolo troppo impulsivo (Pietro), il quale un istante dopo darà la vera misura del suo coraggio fuggendo coi suoi compagni! Ma, nel palazzo del sommo sacerdote, gli scribi con gli anziani si sono già radunati durante la notte per compiere la suprema ingiustizia, la condanna dell’Innocente, del loro Messia (Salmo 94:21).




Matteo

Capitolo 26, versetti da 59 a 75

I capi del popolo tengono Gesù in loro potere. Ma manca un valido motivo che permetta di condannarlo. Poiché l’Uomo perfetto non offre alcuna presa alle loro accuse, debbono ricorrere a «qualche falsa testimonianza» (Salmo 27:12; 35:11-12) contro di Lui. È anche questa è difficile da trovare, poiché bisogna almeno che abbia un’apparenza di realtà. Finalmente si presentano due falsi testimoni che riportano una frase del Signore distorcendola (confrontare v. 61 con Giovanni 2:19). Ma ciò che serve di pretesto per condannare Gesù è la sua solenne dichiarazione ch’Egli è il Figlio di Dio, pronto a venire in potenza e in gloria. La pena di morte è pronunciata. E subito la brutalità e la viltà degli uomini hanno libero corso (vers. 67 e 68). La prima parte di ciò che il Signore aveva annunciato ai suoi si compiva (cap. 16:21, 17:22, 20:18-19).

Anche per Pietro l’ora è buia, ma per un motivo diverso. Satana, che non ha potuto vincere il Maestro, farà vacillare il discepolo. A tre riprese il povero Pietro rinnega Colui per il quale si era dichiarato pronto a morire. Egli userà persino un linguaggio volgare per farsi credere, lui che poco prima, senza rendersene conto, col suo modo di parlare si era fatto riconoscere come discepolo di Gesù.




Matteo

Capitolo 27, versetti da 1 a 18

Il giorno sorge. Un giorno come mai se n’è visto l’uguale nella storia del mondo e dell’eternità! Alle prime ore del mattino i capi sacerdoti e gli anziani studiano il modo di far applicare la condanna a morte che hanno decisa. Ma qualcuno fa loro visita; lo conoscono bene: è il traditore per mezzo del quale sono pervenuti ai loro scopi. Che cosa vuole? Giuda testimonia dell’innocenza del suo Maestro, riporta il denaro, esprime il suo rimorso… «Che c’importa? Pensaci tu», rispondono loro, senza la minima compassione. Allora lo sventurato va ad impiccarsi, perdendo, con la vita, l’anima sua e anche il denaro per cui l’aveva venduta! E i sacerdoti, che non hanno esitato a comperare il sangue innocente, provano dello scrupolo quando si tratta di metterne il prezzo nel tesoro del Tempio!

Gesù è condotto alla presenza del governatore Pilato. Gli sarebbe facile trovare presso quel magistrato romano un appoggio contro l’odio del suo popolo. Ma Egli tace, eccetto che per riconoscere il suo titolo di re dei Giudei. «Pecora muta dinanzi a chi la tosa… non aperse la bocca» (Isaia 53:7; parag. vers. 12 e 14 e cap. 26:63).




Matteo

Capitolo 27, versetti da 19 a 31

Grande è la perplessità di Pilato di fronte all’accusato che i capi dei Giudei gli conducono. Mai ha avuto dinanzi a sè un uomo come quello. Una duplice testimonianza, quella di sua moglie (vers. 19) e quella della sua coscienza (fine vers. 24), gli dà la convinzione di aver a che fare con un giusto. Inoltre, egli conosce la perversità di quelli che gliel’hanno consegnato per invidia (vers. 18). Che fare? Se lo condanna, compie un’ingiustizia. Ma se lo libera, la sua popolarità ne soffrirà certamente. Lavandosi simbolicamente le mani (ma non la coscienza) fa ricadere la responsabilità sul popolo che l’accetta ad occhi chiusi. Dietro a quella folla, spinta dagli istinti più selvaggi, e dietro ai suoi capi che l’eccitano, Satana prosegue l’opera sua di odio. Ma anche Dio prosegue l’opera Sua, di grazia e di salvezza.

Ora Gesù è fra le mani di rozzi soldati. Gli fanno indossare un fac simile di veste regale per beffarsi di Lui prima di condurlo al supplizio. Ma un giorno il Signore apparirà in presenza di tutti nella sua maestà di Re dei re. E la sua mano potente, quella mano che allora teneva una canna, si alzerà in giudizio contro i suoi nemici (parafi. vers. 29 con Salmo 21:3,5,8).




Matteo

Capitolo 27, versetti da 32 a 49

Gesù è condotto dal pretorio al Calvario, e qui è crocifisso fra due malfattori. «Il motivo della condanna scritto al disopra del suo capo», accusa in realtà il popolo che crocifigge il suo Re. Questa narrazione ci è data brevemente, senza i particolari che gli uomini avrebbero certamente aggiunto per commuovere. Tuttavia, attraverso il sobrio linguaggio dello Spirito, comprendiamo che nessuna forma di sofferenza è stata risparmiata al diletto Salvatore. Sofferenze fisiche, ma anzitutto indicibili ferite morali. Gli schernitori lì presenti provocano Gesù sfidandolo a salvare se stesso (vers. 40). (Ma se Egli rimane sulla croce, non è proprio per salvare gli altri?) Essi provocano Dio mettendo in dubbio il suo amore per Cristo, il quale soffre infinitamente per quest’oltraggio (vers. 43; Salmo 69:9). Nondimeno, la sofferenza delle sofferenze per Lui è l’abbandono di Dio durante le tre ore di tenebre. Dio distoglie da Lui il suo volto, quando Gesù è fatto maledizione per noi. Egli percuote il suo Figlio coi colpi che i peccati, i miei peccati e i vostri, meritavano.

In quei momenti terribili il Signore ha portato il nostro castigo eterno!




Matteo

Capitolo 27, versetti da 50 a 66

L’opera dell’espiazione è terminata, la vittoria riportata. Con un potente grido che è già di trionfo, Cristo entra nella morte. E Dio dà subito altre prove di questa vittoria: Egli squarcia il velo del tempio, inaugurando «una via recente e vivente» per la quale l’uomo potrà d’ora innanzi entrare nella Sua presenza in piena «libertà» (Ebrei 10:19 a 21). Egli apre dei sepolcri, e la morte vinta deve rendere alcuni dei suoi prigionieri.

Poi Dio veglia sull’onore dovuto al suo Figlio. Conformemente alla profezia, Gesù occupa la tomba d’un uomo ricco che, piamente, si è curato della sua sepoltura (Isaia 53:9). Eccetto Giuseppe d’Arimatea, Matteo non ci parla di qualche altro discepolo presente a quell’ora. Alcune donne, invece, hanno il privilegio di trovarsi là.

Dal principio alla fine di quest’evangelo, l’odio dell’uomo s’è accanito. Alla sua nascita si è manifestato in Erode. Ed ora lo segue fin nella tomba, che è custodita e sigillata da parte dei capi dei Giudei. Ma i soldati, il sigillo, la pietra, sono vane precauzioni; essi serviranno invece a dimostrare in modo ancor più evidente la realtà della risurrezione. Notiamo che i nemici del Signore (v. 63) si ricordano di ciò che gli stessi discepoli avevano dimenticato!




Matteo

Capitolo 28, versetti da 1 a 20

È il mattino trionfante della risurrezione. Per mezzo di essa, Dio rende una testimonianza fulgida alla perfezione della vittima, alla completa soddisfazione che Egli trova nell’opera compiuta. Le guardie poste al sepolcro, lungi dal potersi opporre a quel meraviglioso avvenimento, ne sono i testimoni involontari… e terrificati (Salmo 48:5). Ma i sacerdoti, totalmente induriti, compreranno la coscienza di quegli uomini come avevano fatto prima con quella di Giuda.

Le donne al sepolcro ricevono il messaggio dell’angelo. Col cuore pieno di timore e di gioia, si affrettano ad andare a comunicarlo. Allora incontrano il Signore stesso!

Poi Gesù appare ai suoi undici discepoli, all’appuntamento che Egli ha loro fissato in Galilea. Dà loro un ordine ai vers. 19 e 20, una missione tanto più importante in quanto è l’ultima sua volontà. Non dimentichiamo, neppure noi, la nostra responsabilità di testimoni del Vangelo. Ma Gesù fa anche una promessa ai suoi discepoli. Essa è per tutti noi e non mancherà in nessun giorno a nessuno dei riscattati. «Io sono con voi tutti i giorni». Così l’Evangelo di Emmanuele finisce come era cominciato, con questo nome meraviglioso di Emmanuele, Dio con noi (cap. 1:23)!

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