di Alfredo Apicella
Articolo tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 06-2019
“Riconciliati dunque con Dio” (Giobbe 22:21)
Si parla di riconciliazione quando si è in presenza di un conflitto, tra due parti fra le quali c’è incomprensione, se non odio e vera e propria guerra. C’è qualcosa che separa, che produce scontro. C’è bisogno di fare la pace.
Nel campo delle relazioni umane la riconciliazione è un’opera complessa, molto difficile. A volte impossibile. Ci sono di mezzo l’orgoglio, la “questione di principio”, la presunzione di aver sempre ragione. Autocritica e obiettività sono purtroppo doti rare. Tanto più rara è l’umiltà.
La riconciliazione fra di noi, esseri umani, è un ordine di Dio. Siamo noi che dobbiamo volerla e cercare di ottenerla, tanto più se il dissidio è tra fratelli nella fede. Dio non può accettare un’offerta che proviene da uno spirito amareggiato, ostinato, desideroso di vendetta. “… Lascia lì la tua offerta davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello” (Matteo 5:23). Ma chi deve fare il primo passo? Solo chi ha qualcosa contro il fratello? Non solo, ma anche chi si ricorda che il fratello ha qualcosa contro di lui!
Vivere in pace, cercare la pace, appianare le liti fra fratelli sopportando piuttosto qualche torto, è l’impegno di tutti noi per salvaguardare “l’unità dello Spirito” (Romani 12:18, 1 Tessalonicesi 5:13, 1 Corinzi 6:1-7) e per dare a quelli di fuori una testimonianza credibile della nostra fede.
Ma ci può essere anche un conflitto di un uomo contro Dio. Anche quello bisogna assolutamente appianare. E’ il caso di Giobbe. L’amarezza per le disgrazie che gli erano avvenute, aggravata dalle accuse infondate dei tre amici, ha prodotto in lui una ribellione. Il suo rapporto con Dio ne è uscito alterato, confuso. Dio non gli era nemico, ma lui pensava che lo fosse. Non colpiva un giusto innocente per crudeltà. La prova estremamente dura alla quale Dio l’aveva sottoposto era per il suo bene. Ma Giobbe non lo sapeva. Il suo spirito inacerbito lo spingeva ad accusare Dio fino a voler un confronto a tu per tu per dimostrare che Dio stava sbagliando. Ecco perché l’amico Elifaz gli dice: “Riconciliati con Dio”. E aveva ragione. Era Giobbe che doveva riconciliarsi. L’iniziativa, in questo caso, doveva venire da lui. Doveva cambiare idea su Dio e smettere di vederlo come un nemico. Doveva chiedergli scusa. Doveva pentirsi, umiliarsi, riconoscere la propria pochezza di fronte all’immensa grandezza del Creatore.
“Siate riconciliati con Dio” (2 Corinzi 5:20)
Diverso è il caso del “conflitto” fra Dio e l’uomo a causa del peccato. Noi non possiamo rivolgerci a Dio e dirgli “Facciamo la pace”, quasi che chiedessimo da parte Sua un atto di buona volontà. Non è in nostro potere eliminare il peccato che è in noi. E’ un male radicato nel nostro essere. Fa parte della nostra natura umana. E’ a causa del peccato che pecchiamo, e che l’ira di Dio è su ogni uomo. Il peccato è ribellione contro Dio, disubbidienza, trasgressione. Innalza la creatura e offende la gloria del Creatore.
Eppure dobbiamo assolutamente essere riconciliati con Dio. Senza questa riconciliazione non c’è salvezza, non c’è giustificazione. Siamo perduti per sempre. Non sarà la nostra buona volontà a renderci giusti. Sul nostro stato di peccatori noi siamo impotenti. “Può un Cusita (un nero) cambiare la sua pelle o un leopardo le sue macchie?” (Geremia 14:23). Non saranno nemmeno le nostre buone opere, ammesso che le compiamo, a fare la pace fra noi e Dio.
Ed è a questo punto che si inserisce la buona notizia del Vangelo. Quello che è impossibile all’uomo, Dio l’ha fatto! “Ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo… Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo” (2 Corinzi 5:18-20). “Mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo” (Romani 5:10).
La morte del Figlio di Dio e il Suo sangue versato alla croce rendono possibile la riconciliazione del peccatore con Dio. Ma da parte del peccatore, Dio chiede la confessione sincera del peccato e la fede convinta nel valore di quel sacrificio. “Poiché al Padre piacque di far abitare in lui tutta la pienezza e di riconciliare con sé tutte le cose per mezzo di lui, avendo fatto la pace mediante il sangue della sua croce… Ora Dio vi ha riconciliati nel corpo della carne di lui, per mezzo della sua morte” (Colossesi 1:19-20, 22).
“Ci gloriamo in Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, mediante il quale abbiamo ora ottenuto la riconciliazione” (Romani 5:11).
“Mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo” (Romani 5:10-11).
E’ dunque Dio che ci riconcilia con Sé. Il credente “è stato” riconciliato. “Mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo” (Romani 5:10-11). Non siamo noi che “ci siamo riconciliati”, come se fossero stati in gioco la nostra buona disposizione e il nostro impegno nel fare la pace con Dio. E’ Dio che ha fatto la pace.
Ma la croce di Cristo ha ottenuto un altro grande risultato: ha riconciliato con Dio e fra loro Giudei e non Giudei. Ha abbattuto il “muro di separazione” e ha creato “in se stesso, dei due un solo uomo nuovo facendo la pace”. Li ha “riconciliati tutti e due con Dio in un corpo unico, mediante la sua croce, sulla quale fece morire la loro inimicizia” (Efesini 2:15-16).
Ora, Dio ha affidato ad ognuno di noi che abbiamo creduto “il ministero della riconciliazione”. E’ l’annuncio del Vangelo: Dio che fa grazia a dei nemici, quali tutti noi siamo, e li riconcilia con Sé sul fondamento dell’opera di Cristo alla croce.
Come potremmo tacere di fronte a un così straordinario atto d’amore? In veste di “ambasciatori per Cristo” e con la forza che viene dal Suo Spirito, cerchiamo anche noi, come l’apostolo Paolo, di convincere gli uomini, e diciamo loro: “Vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio. Colui che non ha conosciuto peccato, egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (2 Corinzi 5:20).