“Una radice che esce da un arido suolo”

di A.Guignard

Leggere Isaia 53

E’ questa la pagina delle Scritture che leggeva il sovrintendente di tutti i tesori di Candace, regina degli Etiopi, quando se ne ritornava da Gerusalemme (Atti 8). Egli possedeva un tesoro più prezioso di tutte le ricchezze da lui amministrate alla corte della regina. Leggeva, ma senza comprendere, poiché non possedeva ancora la chiave di questo libro. Ma Dio, che conosce i cuori e vede i bisogni di quell’uomo, gli invia un messaggero nella persona di Filippo, l’evangelista. “Di chi, ti prego, dice questo il profeta? Di se stesso oppure di un altro?”, gli chiede. E’ la domanda capitale, sia per lui che per tutti i lettori del libro del profeta Isaia. E Filippo, iniziando da questa Scrittura, “gli annunciò Gesù”.

E’ dunque di Lui che è parlato. Il suo nome non poteva ancora essere rivelato al tempo in cui il profeta scriveva il suo libro; eppure la sua persona riempie tutto questo capitolo di Isaia; non c’è il suo nome ma c’è “egli” ripetuto sovente. Capito questo, tutto diventa chiaro, semplice, meraviglioso. Come il sovrintendente della regina etiope, possiamo continuare il nostro cammino tutti allegri perché abbiamo imparato a conoscerlo.

Gesù è stato il vero servo dell’Eterno e ha fatto conoscere la sua gloria. Durante il suo ministerio, è stato nell’abbassamento e nell’umiliazione più assoluta. Il suo viso “era disfatto al punto da non sembrare più un uomo e il suo aspetto al punto da non sembrare più un figlio d’uomo” (Isaia 52:14). Ma ora, Egli è elevato ed esaltato nei luoghi altissimi, seduto alla destra di Dio. L’occhio della fede lo contempla là. Possiamo dire: “Vediamo Gesù, coronato di gloria e di onore” (Ebrei 2:9). Come sarà grande lo stupore di coloro che lo vedranno quando verrà nella sua gloria. Anche i re chiuderanno la loro bocca vedendo l’esaltazione di colui che, un tempo, è stato nella profonda umiliazione.

Ma chi ha creduto a ciò che Dio ha annunziato di lui? (v. 1). Dappertutto, la sua testimonianza ha incontrato la più accanita ostilità. C’è stato solo un piccolo residuo, senza importanza e senza intelligenza agli occhi degli uomini, al quale il Padre ha rivelato le cose concernenti questa persona gloriosa. Nel deserto arido di questo mondo, dove regna la morte, è stato davanti a Dio come una pianticella viva, una radice, un germoglio con la vita in se stesso (v. 2).

Il Signore Gesù non aveva particolare bellezza a guardarlo, non c’era apparenza in Lui per farlo desiderare; è stato disprezzato, e non hanno avuto per Lui nessuna stima (v. 2-3). Però, per coloro che sono stati toccati dalla sua grazia, Egli è “il più bello di tutti i figli degli uomini” (Salmo 45:2), “tutta la sua persona è un incanto” (Cant. 5:16).

E’ Lui che ha portato le nostre malattie e si è caricato dei nostri dolori (v. 4); e lo ha fatto non solo quando, nel corso del suo ministerio, guariva i malati e consolava gli afflitti (Mat. 8:17). Grazie alle sue sofferenze sulla croce e alla sua morte, siamo stati guariti da una malattia incurabile e più terribile della lebbra, il peccato; noi, poveri esseri “smarriti come pecore”, sviati da Satana, seguendo ognuno di noi la nostra propria strada, facendo la nostra propria volontà (v. 6).

Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità” (v. 5). Ha dovuto portare Lui il castigo di Dio che noi meritavamo, e grazie al quale ora noi abbiamo la pace.

Il Signore Gesù è stato la vittima santa che si è lasciata spogliare di tutto e, come un mansueto agnello “condotto al mattatoio“, non ha aperto bocca per protestare (v. 7). Se avesse voluto, con una sola parola avrebbe annientato i suoi nemici. Ma cosa ne sarebbe stato dell’uomo per l’eternità? Che bella pagina è mai questa! Che soggetto di meditazione e di adorazione per i nostri cuori!

Cristo è stato “strappato dalla terra dei viventi” per mano di uomini iniqui, ed è stato “colpito” (v. 8). Perché? “A causa dei peccati” del suo popolo. Chi ha riflettuto fra quelli della sua generazione? Chi conoscerà il numero di persone che con la sua morte ha trovato la vita, la vita eterna? E’ per tutti noi che Egli è morto, per noi è stato strappato dalla terra dei viventi! Serbiamo queste parole nel nostro cuore!

Gli uomini hanno sfogato il loro odio contro Lui, ma quando la sua opera fu compiuta, non hanno potuto fargli niente di più. Dio vegliava sulla sua persona santa. Avrebbero voluto dargli una sepoltura con gli empi, ma venuta la sera, Giuseppe d’Arimatea, uomo ricco di cui il profeta parla (v. 9), è venuto per prendersi cura del suo corpo. Lo ha avvolto in un panno di lino pulito e lo ha messo in un sepolcro nuovo scavato nella roccia. “Egli è stato col ricco nella morte”. L’Eterno aveva decretato così, e l’ha fatto annunciare più di settecento anni prima per mezzo del profeta Isaia!

Ma il Signore ha voluto stroncarlo con i patimenti” (v. 10). Siamo davanti a un mistero. Non è solo da parte degli uomini che Cristo ha sofferto, ma anche da parte di Dio. Perché piacque all’Eterno di sottoporlo a tali sofferenze, Lui che aveva sempre fatto ciò che gli era gradito e nel quale aveva trovato tutta la sua soddisfazione, tutto il suo piacere? L’ha fatto per noi, per la nostra salvezza; e le sue sofferenze hanno messo in luce la sua ubbidienza e le perfezioni infinite della sua persona. Solo Dio poteva apprezzarlo. Il Signore Gesù nella sua vita è stato come un profumo gradito da Dio; nella sua morte è stato un santo olocausto, un sacrificio consumato dal fuoco. Dio è stato da Cristo perfettamente glorificato.

Abbiamo noi una partecipazione in questo sacrificio? Sì, i nostri peccati! Egli si dà in sacrificio per il peccato, conosce tutto l’orrore della morte, salario del peccato, sotto il giudizio di Dio. Non è soltanto il suo corpo che ha dovuto soffrire, ma anche la sua anima, quando, innocente, ha dovuto subire il castigo di Dio contro il peccato al posto dei colpevoli.

Ma Dio ha voluto tutto questo, si è compiaciuto in quest’opera del suo santo Figlio (v. 10); era l’unico modo per poterci fare grazia e manifestare il suo amore verso di noi.

Ora, l’Uomo Cristo Gesù è vivente nei secoli dei secoli. Presto “vedrà il frutto del suo tormento interiore”, quando avrà i suoi riscattati attorno a Sé, “ne sarà saziato” (v. 11) e si rallegrerà. E cosa mancherà alla nostra felicità, dal momento che vedremo la sua gioia e la sua gloria?