Apocalisse – Le cose che devono avvenire in breve

di Emil Donges
Pubblicato con il permesso di Edizioni Il Messaggero Cristiano
https://messaggerocristiano.it/pubblicazione/commentari/apocalisse/

Indice:

01. Prefazione
02. Capitolo 1
    02.1 Argomento del libro. Visione di Giovanni
    02.2 Generalità sui Capitoli 2 e 3
03. Capitolo 2
    03.1 Lettere alle chiese di Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatiri
    03.2 Alla chiesa di Efeso
    03.3 Alla chiesa di Smirne
    03.4 Alla chiesa di Pergamo
    03.5 Alla chiesa di Tiatiri
04. Capitolo 3
    04.1 Lettere alle chiese di Sardi, Filadelfia, Laodicea
    04.2 Alla chiesa di Sardi
    04.3 Alla chiesa di Filadelfia
    04.4 Alla chiesa di Laodicea
05. Capitolo 4
    05.1 Dio Creatore
06. Capitolo 5
    06.1 L’Agnello e il libro dai setti sigilli
07. Capitolo 6
    07.1 I sette sigilli
08. Capitolo 7
    08.1 I 144.000 d’Israele. La grande lotta delle nazioni
09. Capitolo 8
    09.1 Il settimo sigillo. Le prime quattro trombe
    09.2 I sette angeli con le trombe
    09.3 Le prime quattro trombe
10. Capitolo 9
    10.1 La quinta e la sesta tromba
11. Capitolo 10
    11.1 Altre conseguenze della sesta tromba
    11.2 L’angelo potente e il libretto
12. Capitolo 11
    12.1 Conclusione della sesta tromba. La settima tromba
    12.2 I due testimoni in Palestina
    12.3 La settima tromba – il terzo “guai”
13. Capitolo 12
    13.1 Il residuo fedele in Israele e il suo persecutore
    13.2 La donna e Satana
    13.3 Una battaglia nel cielo
    13.4 La donna nel deserto
14. Capitolo 13
    14.1 Le due “bestie”
    14.2 L’Impero Romano: la prima “bestia”
    14.3 L’Anticristo: la seconda “bestia”
    14.4 Il marchio della “bestia”
    14.5 Il numero 666
15. Capitolo 14
    15.1 L’Agnello sul monte di Sion. Il residuo di Giuda”
    15.2 I tre angeli e “l’Evangelo eterno”
    15.3 La mietitura e la vendemmia
16. Capitolo 15
    16.1 I sette angeli e gli ultimi sette flagelli
    16.2 I cantori sul mare di vetro
    16.3 Il tempio nel cielo
17. Capitolo 16
    17.1 Le sette coppe
    17.2 Relazione fra le “sette trombe” e le “sette coppe”
    17.3 L’Eufrate prosciugato
    17.4 Preliminari del giudizio di Babilonia
18. Capitolo 17
    18.1 Il giudizio di Babilonia
    18.2 Babilonia la madre delle prostitute
    18.3 La bestia sulla quale la donna siede
19. Capitolo 18
    19.1 La caduta di Babilonia
20. Capitolo 19
    20.1 Gioia nel cielo. Il trionfo di Cristo
    20.2 Gioia nel cielo per la caduta di Babilonia
    20.3 Le nozze dell’Agnello
    20.4 Ritorno di Cristo con l’esercito celeste
    20.5 Il giudizio della “bestia” romana e dell’Anticristo
21. Capitolo 20
    21.1 La sconfitta di Satana. Il regno di Cristo
    21.2 Satana legato
    21.3 Il regno di mille anni
    21.4 Quelli che regnano con Cristo
    21.5 Satana sciolto e vinto per sempre
    21.6 Il giudizio dei morti e la fine del mondo
22. Capitolo 21
    22.1 Lo stato eterno. La nuova Gerusalemme
    22.2 Il nuovo cielo e la nuova terra. L’abitazione di Dio
    22.3 La nuova Gerusalemme
23. Capitolo 22
    23.1 Il fiume e l’albero della vita. Ultimo messaggio
    23.2 Il fiume e l’albero della vita
    23.3 Ammonimenti e insegnamenti
24. Appendice
    24.1 La sequenza degli avvenimenti relativi ai giudizi
    24.2 Gli avvenimenti futuri secondo le Scritture

01. Prefazione

Considerando la solennità dei tempi a cui siamo giunti, riteniamo di fare cosa utile ai credenti di lingua italiana nel presentar loro la traduzione di questo studio sul libro dell’Apocalisse, molto apprezzato dai credenti di lingua tedesca.

Il desiderio di possedere insegnamenti divini riguardo alle «cose degli ultimi tempi» si fa oggi più vivo, in presenza degli avvenimenti attuali, anche fra coloro che si accontentano solo della professione cristiana.

È vero che la speranza attuale della Chiesa, che aspetta la venuta del Signore Gesù, il suo Sposo celeste, per essere da lui rapita, non è in relazione con le cose e gli avvenimenti di questo mondo. Tuttavia, ciò che l’Apocalisse ci rivela di queste cose e di questi avvenimenti fa parte della Scrittura che è «ispirata da Dio e utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, ad educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni buona opera» (2 Tim. 3:16-17).

È a questo libro, inoltre, che si riferisce quella notevole dichiarazione: «Beato chi legge e beati quelli che ascoltano le parole di questa profezia e fanno tesoro delle cose che vi sono scritte, perché il tempo è vicino» (Apoc. 1:3).

Il libro dell’Apocalisse è la rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli ha data per far sapere ai suoi servitori “le cose che devono avvenire tra breve” (1:1). Per questo ai nostri giorni Egli ha messo particolarmente in luce l’Apocalisse, come tutti gli scritti profetici della Parola, rendendo più evidente al suo popolo il prossimo ritorno del Signore per la Chiesa, come pure la speranza d’Israele e i giudizi terribili che stanno per cadere su chi, perseverando in un cammino d’incredulità, disprezza la sua grazia meravigliosa apparsa per mezzo di Gesù Cristo in favore di tutti gli uomini (Tito 2:11 e Giov. 1:17).

Nei tempi passati, il libro dell’Apocalisse era considerato sotto un profilo puramente storico e definito un libro «ermetico»; ma ora che gli avvenimenti profetizzati per i tempi della fine si fanno sempre più incombenti, si comprende quanto sia necessaria e utile la loro conoscenza per acquistare sapienza e forza, indispensabili al servizio e alla perseveranza nella testimonianza cristiana.

Per facilitare la comprensione del testo, in “Appendice” è spiegata la sequenza degli avvenimenti relativi ai giudizi; inoltre vi vengono riepilogati gli avvenimenti futuri più significativi secondo le Scritture.

Voglia il Signore benedire questa pubblicazione affinché, nell’ultimo tratto di cammino che ancora resta da fare, i suoi siano incoraggiati nell’opera della fede, nella fatica dell’amore e nella costanza della speranza nel nostro Signore Gesù Cristo (1 Tess. 1:3).

02. Capitolo 1

02.1 Argomento del libro. Visione di Giovanni

Il libro dell’Apocalisse, l’ultimo libro della Bibbia, è stato presentato per secoli dal grande nemico della Verità come un libro oscuro, incomprensibile e perfino diffamato. Tuttavia, esso è un libro in cui Dio ci rivela i più seri e gloriosi eventi della grande lotta nel mondo tra la Luce e le Tenebre. è la «Rivelazione» (non «Evangelo», neppure «Storia») di Gesù Cristo (non di Giovanni), che Dio gli ha data, per mostrare ai suoi servitori «le cose che devono avvenire tra breve» (1:1).

Così dice l’inizio del libro. Dunque si presenta ai servitori. Perché proprio a loro? Essi che si trovano nella più grande lotta che il mondo conosca devono sapere che questa terminerà vittoriosamente per l’Agnello al cui lato essi stanno e combattono. Abbastanza sovente, purtroppo, sembra che le tenebre abbiano la vittoria; ma non è così. Questa Rivelazione deve fortificare le loro mani affinché siano coraggiosi, fedeli e senza timore, poiché l’Agnello vincerà e porrà fine ai suoi disegni in modo glorioso.

Tutto il libro dell’Apocalisse è un libro di giudizi. Gesù Cristo mostra ai suoi servitori, come in un programma, il susseguirsi degli avvenimenti del grande dramma mondiale del giudizio, fino al momento delle sue “nozze”, del suo regno e allo stato eterno delle cose: il Nuovo Cielo e la Nuova Terra. Egli rivela ai suoi servitori come si svilupperanno gli avvenimenti sulla terra su cui viviamo, fino a che l’ultimo nemico sia distrutto.

Gesù alla fine rimetterà nelle mani del Padre ogni cosa; allora “ogni cosa sarà fatta nuova”. In realtà per noi che siamo dalla parte di Dio, la cosa principale è stare saldi nella lotta e non perdere coraggio.

Gesù Cristo il Signore, che pur essendo già in cielo non ha tuttavia ancora manifestato interamente la sua gloria, ma è oggi come il Messia rigettato, il Figlio dell’Uomo, mostra ed espone a Giovanni, per mezzo di un angelo, la Rivelazione che Dio gli ha dato. Nelle lettere degli apostoli, che riguardano le benedizioni spirituali della Chiesa [1] e dei credenti, nessun angelo trasmette ed interpreta i pensieri di Dio; ma qui, poiché si tratta della terra e della instaurazione del regno di Gesù Cristo, vediamo che un angelo svolge il compito di messaggero di Dio, come del resto avveniva sovente sotto l’antico patto.

Perciò i servitori del Signore devono sapere ciò che accadrà tra breve, come sta scritto: «Poiché il Signore, Dio, non fa nulla senza rivelare il suo segreto ai suoi servi, i profeti» (Amos 3:7).

Il passo successivo è molto significativo in rapporto al nostro soggetto: «Beato chi legge e beati quelli che ascoltano le parole di questa profezia e fanno tesoro delle cose che vi sono scritte, perché il tempo è vicino!» (Apoc. 1:3).

Tale beatitudine possa essere la parte dello scrittore e del lettore di questo studio.

Potendo trarre una così grande benedizione per le nostre anime dal libro dell’Apocalisse, esso non è, come molti credenti pensano, un libro di poca importanza; il Signore attribuisce a questo libro un grandissimo significato e benedice coloro che leggono le parole di questa profezia, che le ascoltano e le ritengono. Gli ultimi versetti dell’Apocalisse lo confermano (22:6-7,18-19). A ciò si può paragonare la seria esortazione che troviamo alla fine della prima Epistola ai Tessalonicesi: «Io vi scongiuro per il Signore che si legga questa lettera a tutti i fratelli»; e quell’epistola in realtà parla della venuta del Signore più di qualsiasi altra. Inoltre lo scrittore aggiunge: «Il tempo è vicino!». Questa realtà rende il libro molto serio e importante: il tempo è vicino poiché il Signore Gesù Cristo, il quale una volta su questa terra soffrì e morì come l’Agnello, il Salvatore dei peccatori perduti, farà valere i suoi diritti sulla terra per stabilirvi il suo regno. Ma prima di ciò Egli deve giudicare sia la cristianità professante [2], sia Israele e tutta la terra. Il libro dell’Apocalisse ci dipinge profeticamente gli eventi che accadranno nel periodo tra il giudizio della cristianità già moralmente giudicata e il gran giorno del Signore, nel quale i regni della terra saranno assoggettati a Cristo.

Quanto è bello tuttavia vedere che, anche in questo libro di giudizio, per le sette Chiese grazia e pace sono il primo augurio (vers. 4). Queste due cose definiscono la posizione del vero credente: è stato reso giusto sulla base della grazia e tale rimane finché egli cammina quaggiù nonostante ciò che può incontrare nel corso del tempo. La sua coscienza e il suo cuore hanno la pace: «la pace con Dio» (Rom. 5:1) e «la pace di Dio» (Filipp. 4:6-7): ecco la sua parte beata!

Nell’augurio: «Grazia a voi e pace!» da parte del Dio «trino», Gesù Cristo è nominato per ultimo (vers. 5) e ha tre titoli. Egli è in primo luogo «il testimone fedele»; tale era sulla terra. In seguito è «il primogenito dei morti», e tale è ora, seduto in cielo alla destra di Dio come vincitore della morte, del peccato e di Satana. In terzo luogo è «il principe dei re della terra»; questo si riferisce al futuro glorioso (cfr. cap. 17:14 e 19:11-16).

Ed ora segue un magnifico paragrafo che si può ben definire un tripudio di gioia del cuore riscattato (seconda metà vers. 5 e vers. 6). Il cuore ha ricevuto l’augurio del Signore Gesù, a cui sono attribuiti qui i nomi ed i titoli della sua altezza e gloria reale, ma conosce il suo Salvatore e Signore sotto diversi e più intimi rapporti. Giovanni, lo scrittore, lascia per così dire la penna per un momento ed esclama a nome di tutti i credenti e con tutti i credenti: «A lui che ci ama, e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno e dei sacerdoti del Dio e Padre suo, a lui sia la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen».

Se la sposa di un generale che è stato in battaglia lo vede ritornare vittorioso alla testa dei suoi soldati, per quanto le folle lo acclamino festosamente, il suo cuore batterà ben più intensamente di quello degli altri; ella conosce il suo sposo in una relazione più intima delle folle; egli è il suo fedele, caro sposo. Similmente il cuore del credente giubila quando ode parlare di Gesù. In verità Egli è «il principe dei re della terra» ma per il riscattato è più ancora; e tutti i riscattati insieme giubilano e cantano: «A lui che ci ama e ci ha liberati col suo sangue…».

Notiamo che non è detto: «A lui che mi ama» bensì «che ci ama». Ciò è vero per ogni credente. E quanto è importante che non sia detto: «A lui che ci ha amati e ci ha liberati col suo sangue» ma: «Che ci ama e ci ha liberati col suo sangue»! L’amore col quale siamo stati amati rimane lo stesso per l’eternità. Come ci ha amati quando è stato messo in croce e ha portato il giudizio al nostro posto, così ci amerà sempre (Giov. 13:1). Ma la liberazione per mezzo del sangue di Gesù è avvenuta per tutti coloro che di cuore credono in Lui, e ciò una volta per sempre (Rom. 5:9; Ebr. 10:14). Esiste, è vero, per il credente una giornaliera purificazione, ma questa non ha luogo per mezzo del sangue di Cristo bensì, sulla base del sangue versato una volta per sempre, per mezzo della Parola di Dio (Giov. 13:5-10; 17:17; Ef. 5:26).

Quale grazia poterci riposare sulla perfetta opera di salvezza di Cristo e, in vista del prossimo giusto giudizio di Dio, poter cantare di cuore quel cantico: «A lui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue». Ma il Signore ha fatto ancora di più: ha introdotto i suoi nella sua stessa posizione. è Egli re e sommo sacerdote? Essi sono re e sacerdoti. Con lui regneranno e per Lui offrono fin d’ora a Dio sacrifici di lode e glorificano il suo nome (1 Pietro 2:9; Ebrei 13:15).

Dopo il versetto «Grazia a voi e pace, ecc…» sentiamo la voce dei riscattati, dei santi celesti che nel prorompere di gioia e di adorazione di Giovanni trovano la loro stessa espressione.

Quindi abbiamo (vers. 7) le liete e gloriose parole: «Ecco, Egli viene con le nuvole e ogni occhio lo vedrà; lo vedranno anche quelli che lo trafissero, e tutte le tribù della terra faranno lamenti per lui. Sì, Amen». Queste parole non appartengono più al canto che precede, ma sono invece una testimonianza per il mondo. Troviamo sovente queste due cose insieme: comunione e testimonianza; comunione col Signore e testimonianza nei riguardi del mondo. Come un tempo la nuvola che stava tra gli eserciti di Israele e gli Egiziani, significando per gli uni luce splendente di salvezza e per gli altri tenebre e giudizio, così la venuta del Signore sarà liberazione e beatitudine per i credenti ma giudizio e maledizione per gli uomini di questo mondo.

Quando il Signore ritornerà per condurre nella casa del Padre i suoi riscattati, secondo la sua promessa (Giov. 14:3), non è detto che Egli «verrà con le nuvole», mentre i suoi saranno «rapiti sulle nuvole, per incontrare il Signore nell’aria» (1 Tess. 4:17); anche lui, all’atto della sua ascensione, fu accolto da una nuvola che lo sottrasse agli sguardi dei discepoli (Atti 1:9). Ma qui (Apoc. 1:7) si tratta della venuta del Signore in giudizio, in giudizio per il mondo e in particolare per i Giudei. Ecco il perché delle severe parole. «Ecco, Egli viene con le nuvole». I riscattati che un giorno accompagneranno il Signore in questa sua venuta, e che già fin d’ora pensano alla gloria sua, al posto che Egli darà loro alla sua destra e alle benedizioni che scenderanno sulla terra con l’instaurazione del Regno, rendono più efficace questa testimonianza ed esclamano: «Sì, amen».

Come Giovanni vede qui il Signore in relazione all’instaurazione del suo Regno in potenza sulla terra, così il profeta Daniele lo vide già molti secoli addietro. Infatti leggiamo: «Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d’uomo; egli giunse fino al vegliardo e fu fatto avvicinare a lui; gli furono dati dominio, gloria e regno, perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero» (Daniele 7:13). Il Signore Gesù stesso ha pure detto a questo riguardo: «Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo; e allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria» (Matt. 24:30).

Quanto poco questo accecato mondo pensa a ciò che lo aspetta, a quale giudizio va incontro! Quanto è lontano dal pensare che quel Gesù disprezzato, schernito, beffato, che è stato da lui rigettato ed ucciso, verrà fra poco con grande potenza e gloria in mezzo alle sue sante miriadi e giudicherà il mondo con giustizia (Atti 17:31). Sì, Colui che ora dice agli uomini: «Siate riconciliati con Dio!» (2 Cor. 5:20), il cui sangue ancora adesso parla di grazia e può rendere puro da tutti i peccati ogni peccatore pentito, verrà in breve «con gli angeli della sua potenza, in un fuoco fiammeggiante, per far vendetta di coloro che non conoscono Dio, e di coloro che non ubbidiscono al vangelo del nostro Signore Gesù. Essi saranno puniti di eterna rovina, respinti dalla presenza del Signore e dalla gloria della sua potenza» (2 Tess. 1:7-9).

Giovanni si definisce (1:9) semplicemente fratello dei credenti ai quali scrive. Essi sono diventati figli di Dio per mezzo della fede in Cristo Gesù. Giovanni si definisce pure «vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù». Il Signore disse prima di lasciare questo mondo: «Nel mondo avrete tribolazione» (Giov. 16:33). Questo è stato sperimentato da tutti i suoi e specialmente dai suoi primi servitori e testimoni. Ma questo mondo non sarà sempre un luogo di tribolazione, una «valle dell’ombra della morte». Gesù Cristo, il Principe della vita, sarà un giorno re e regnerà (Salmo 2). Quando giudicherà il mondo, il mondo passerà per un tempo di grande tribolazione (2 Tess. 1:6), ma i suoi avranno già «riposo con noi, quando il Signore Gesù apparirà dal cielo con gli angeli della sua potenza» (2 Tess. 1:7). Essi parteciperanno così al regno (1 Cor. 6:2; Apoc. 20:4-6). Nel frattempo, in attesa del momento in cui Cristo, che ora siede in cielo alla destra di Dio ma che è rigettato dal mondo, regni sulla terra, abbiamo parte alla «costanza» (o pazienza). Anche Cristo ora aspetta, fino a che sia compiuto il numero dei suoi riscattati, di coloro che Dio gli ha dato, tra quelli che prima erano suoi nemici, come frutto del travaglio dell’anima sua, e fino a che i suoi nemici che non si sottomettono a Lui siano posti per sgabello dei suoi piedi (cfr. 2 Tess. 3:5).

Troviamo ancora molti altri passi della Parola di Dio in cui è parlato contemporaneamente della pazienza e del regno con Cristo, delle sofferenze con Lui e della gloria (2 Tim. 2:12 e 1 Pietro 5:1).

Giovanni si trovava nell’isolamento dell’inospitale isola di Patmo «a causa della Parola di Dio e della testimonianza di Gesù». Era un privilegio per Giovanni servire la Parola di Dio e la testimonianza di Gesù. Questo servizio lo porta su un’isola deserta affinché il suo Signore e Maestro possa in quel luogo parlargli, fargli vedere e udire cose meravigliose. Giovanni vede allora non solo il Signore come il giudice e il «Principe dei re della terra» nella sua maestà, ma anche le sue nozze e la sua sposa nella gloria di Dio (Apoc. 19 e 20).

Com’è bello leggere che Giovanni fu rapito «dallo Spirito nel giorno del Signore» (vers. 10) o come è detto in altre versioni «nel giorno di Domenica». Quanti veri credenti, che sono isolati e che il primo giorno della settimana non possono radunarsi con altri credenti per adorare e lodare il Signore, sperimentano tuttavia per lo Spirito la vicinanza e le benedizioni del loro Salvatore e penetrano sempre più profondamente in quelle cose che ci sono state donate da Dio, i suoi consigli, le sue vie, il glorioso scopo finale!

Benché Giovanni fosse solo, «rapito dallo Spirito, nel giorno di Domenica», udì improvvisamente dietro di sé una gran voce, come d’una tromba. Il suono della tromba significa la vicinanza o la presenza del Signore (lo si vede anche all’atto dell’incisione delle tavole della legge sul Sinai e al giorno della Sua venuta). Il fatto però che la gran voce, come d’una tromba, si sia fatta sentire alle spalle di Giovanni e che egli sia così stato obbligato a voltarsi è in accordo con il carattere di rivelazione di questo libro. Qualcosa di nuovo, mai esistito o visto doveva essere rivelato. E solo dopo che la voce gli ha dato l’ordine di scrivere in un libro tutto ciò che avrebbe veduto e di inviarlo alle sette chiese dell’Asia, Giovanni si volta e vede anzitutto «sette candelabri d’oro e, in mezzo ai sette candelabri, uno simile a un figlio d’uomo». Ecco Cristo nel carattere di «Figlio dell’uomo».

Questo titolo «Figlio dell’uomo» è già citato nel libro di Daniele in rapporto con il Messia e lo troviamo anche un centinaio di volte in Ezechiele. Gesù stesso negli Evangeli usa la medesima espressione più di sessanta volte. Perché? Fin dall’eternità passata il suo piacere e il suo diletto era di abitare tra i figli degli uomini (Prov. 8:22-31). Alla nascita del Signore gli angeli stessi esprimono la loro gioia nei riguardi degli uomini; essi annunciano: «Gloria a Dio nei luoghi altissimi, e pace in terra agli uomini ch’Egli gradisce!» (Luca 2:14). Come «Figlio dell’uomo», Gesù è il «secondo uomo», «l’uomo del cielo», «l’ultimo Adamo» che diede la sua vita come riscatto per il povero e decaduto genere umano. Egli fu rigettato sulla terra, soffrì e morì, ma ritornerà come «Figlio dell’uomo» con grande potenza e gloria per giudicare il mondo e prendere possesso della terra per ricompensa.

Così si mostra qui «il Figlio dell’uomo» nel suo carattere di giudice, e tutto questo libro di giudizio ne porta l’impronta. Il giudizio comincia «dalla casa di Dio» (1 Pietro 4:17). La Chiesa è la casa di Dio, ed è vista qui sotto la figura di sette candelabri d’oro, poiché essa è stata stabilita in questo mondo per far brillare la luce del Signore.

Una volta Israele era la casa di Dio; e il simbolo di Israele come testimone di Dio sulla terra era il candelabro d’oro a sette bracci che stava nel tempio. Qui abbiamo sette singoli candelabri. Si tratta certamente della responsabilità dell’intera Chiesa nelle diverse epoche e condizioni e della testimonianza delle chiese locali, i cui candelabri possono essere tolti se non rimangono fedeli. Sì, anche l’intera chiesa, ossia la cristianità professante sarà rigettata un giorno come “candelabro”; infatti quando il Signore avrà preso con sé tutti i suoi, si ritirerà apertamente da essa.

Se noi seguiamo la rappresentazione del Signore, vediamo che ci è descritto anche come giudice in tutta la sua regale maestà. La sua veste è lunga e sciolta, non succinta come per il lavacro dei piedi dei discepoli (Giov. 13); inoltre Egli non è cinto, come allora, con un asciugatoio ma con una cintura d’oro. Un panno candido è la figura della giustizia pratica, cioè della purezza nel cammino. L’oro è la figura della giustizia di Dio. Il Signore dice al non convertito:«Io ti consiglio di comperare da me dell’oro, purificato dal fuoco, per arricchirti». Nel fuoco dei suoi dolori sulla croce, Egli ha acquistato l’oro della giustizia divina per tutti coloro che credono in Lui. E ai riscattati che camminano con Lui in questo mondo impuro sarà dato un vestito di lino fino, risplendente e puro; essi verranno per le nozze dell’Agnello «rivestiti di lino fino, risplendente e puro» (Apoc. 19:8,14).

Che cosa ne è di te, lettore? Dio ti vede ancora nudo e spoglio, nei tuoi peccati, o perdonato e ricoperto con l’oro puro della sua giustizia? E cammini ora con una «veste di lino fino, risplendente e pura», cioè in purezza e novità di vita, in santità pratica e in giustizia? Possiamo noi riconoscere e fare la volontà di Dio! «Perché questa è la volontà di Dio: che vi santifichiate» (1 Tess. 4:3).

Più avanti nella descrizione del Figlio dell’uomo, troviamo il “vegliardo” (lett. «l’antico di giorni») come in Daniele 7:13, i cui capelli erano bianchi «come lana candida, come neve; e i suoi occhi erano come fiamma di fuoco». La sua intelligenza è assoluta e nulla sfugge ai suoi occhi indagatori poiché Egli è l’Onnisciente. Egli è in mezzo alle chiese; si avvede di tutto, mette alla prova ogni cosa, e tutto ciò che non può reggere alla sua presenza è giudicato. «E i suoi piedi erano simili a bronzo (meglio: rame) incandescente, arroventato in una fornace». Mentre l’oro è la figura dell’assoluta giustizia di Dio, il rame è la figura del giusto giudizio di Dio sul peccato. Infatti vediamo che il serpente, innalzato nel deserto per la liberazione degli Israeliti puniti a causa del loro peccato, era di rame; così pure l’altare del cortile al quale veniva portato il sacrificio per il peccato, era ricoperto di rame. Ma il coperchio dell’arca era d’oro. Il fuoco nel quale il rame era arroventato è una figura dell’ira divina e della sua santità di giudizio. La sua voce era potente, come la voce di molte acque.

Il Giudice che stava in mezzo ai sette candelabri teneva nella sua mano destra sette stelle. Quelle stelle, dunque, gli appartenevano ed erano sotto la sua autorità. Nel versetto 20 vediamo che sono la figura dei sette «angeli», che rappresentano le sette chiese. Come nel regno della natura i pianeti mantengono costante la loro orbita attorno al sole e ricevono la luce da lui, così vediamo qui che le sette stelle, destinate a spandere la luce in questo mondo oscuro, sono sottoposte a Colui il cui «volto era come il sole quando risplende in tutta la sua forza» (vers. 16) e che è la perfetta rivelazione di Dio.

Dalla sua bocca «usciva una spada a due tagli, affilata». La spada affilata è una figura ben conosciuta della Parola di Dio (Ef. 6:17; Ebrei 4:12). Qui vediamo la spada nella bocca di Colui che è, Egli stesso, la Parola di Dio; Colui che per mezzo della sua parola prenderà in esame e giudicherà ogni cosa (Apoc. 19:13-15).

Questa apparizione del Signore in tutta la sua maestà come giudice è così impressionante che Giovanni, che pure per molti anni era stato in compagnia di Gesù e aveva posto il capo sul suo petto essendo il discepolo prediletto, cade come morto appena lo vede. Che cosa è l’uomo, tratto dalla polvere, peccatore per natura, quando si trova davanti all’Eterno, al Santo? Che cosa disse Giobbe quando, nella luce di Dio, si vide come Dio lo vedeva? Egli che non aveva uguali sulla terra, giusto e senza macchia davanti agli uomini, esclama: «Il mio orecchio aveva sentito parlare di te ma ora l’occhio mio ti ha visto. Perciò mi ravvedo, mi pento sulla polvere e sulla cenere» (Giobbe 42:5-6).

Nello stesso modo si comporta il profeta Isaia. Egli esclama alla vista del Signore. «Guai a me,   sono perduto! Poiché io sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure; e i miei occhi hanno visto il Re, il Signore degli eserciti!» (Isaia 6:5). E Daniele, fedele testimone di Dio, l’uomo grandemente amato, cade a terra come Giovanni all’apparizione dell’Eterno (Daniele 10).

Tutti questi, notiamolo, erano uomini convertiti a Dio. Cosa ne sarà, perciò, degli increduli con il peso dei loro peccati quando dovranno comparire davanti al Giudice eterno? Il pensiero, o meglio la preghiera, che sovente sentiamo alle sepolture: «Possa Dio essergli un giudice clemente» non ha proprio nessun valore e non fa altro che ingannare la gente. Anche l’uomo che muore nei suoi peccati incontrerà un Giudice giusto. Ma guai a coloro che passeranno per il giudizio! Ma sappiamo che tutti quelli che sono riconciliati con Dio, perché si sono rivolti a Lui nel tempo favorevole, «non verranno in giudizio» (Giov. 5:24). E ancora leggiamo: «Non c’è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù» (Rom. 8:1).

Dimmi allora, lettore, sei già «in Cristo Gesù»? «Eccolo ora il tempo favorevole, eccolo ora il giorno della salvezza» (2 Cor. 6:2).

Ma su Giovanni il Signore e Giudice pone benignamente la sua potente e protettrice mano destra, e gli dice: «Non temere». Ciò era possibile soltanto perché Giovanni si era precedentemente convertito ed era diventato un discepolo di Gesù.

Quanto è bello: «Non temere»! Questa è la prima parola che esce dalla bocca del Giudice, rivolta a Giovanni, suo testimone e servo. Poi, continuando, si rivela a lui come «il primo e l’ultimo» cioè l’Eterno.

Dopo aver rivelato a Giovanni la sua potenza e la sua posizione, il Signore gli dice di scrivere tutte le cose che ha vedute e che vedrà: «Scrivi dunque le cose che hai viste, quelle che sono e quelle che devono avvenire in seguito» (1:19).

In questo versetto abbiamo la suddivisione dell’intero libro dell’Apocalisse.

La prima parte («le cose che hai viste») mostra il Signore come Giudice e comprende il cap. 1 versetti 9-16.

La seconda («quelle che sono») comprende la descrizione delle sette chiese dell’Asia (capitoli 2 e 3), e qui è da notare che queste sette chiese sono anche una figura profetica della Chiesa cristiana dal suo inizio alla fine; infatti abbiamo nei capitoli 2 e 3 uno scorcio profetico della storia della Chiesa.

La terza parte («quelle che devono avvenire in seguito», o “tra breve, fra poco”) comprende il resto del libro (dal cap. 4 in poi) ed è un esposto delle cose che accadranno dopo il termine della storia della Chiesa sulla terra, in particolare le vie e i disegni di Dio nei riguardi di Israele e del mondo in vista della sua definitiva glorificazione sulla terra e nel cielo.

02.2 Generalità sui Capitoli 2 e 3

Il Signore designa il tempo attuale con le parole: «Le cose che sono». è il tempo della storia della Chiesa. Tutto quel che troviamo, invece, dal capitolo 4 in poi è futuro. Non è dunque giusto pensare che i giudizi, descritti nei capitoli 6 e seguenti, si siano già in parte adempiuti nel Medio Evo o in altri tempi passati. No; nulla di tutto questo ha già avuto il suo adempimento.

Le sette stelle che vediamo nella mano destra del Signore, sono, come leggiamo al versetto 20, gli angeli delle sette chiese, e i sette candelabri sono le sette chiese. Questi angeli sono uomini, i rappresentanti, in figura, delle persone più responsabili delle assemblee locali. La responsabilità nell’ambito d’una assemblea riposa, secondo la Parola di Dio, su tutti i membri, nella misura però della chiamata, della conoscenza e del dono di ciascuno. Gli anziani e i fratelli che il Signore ha dato come pastori, dottori ecc… hanno una misura speciale di responsabilità. è noto, d’altronde, che sovente nelle Sacre Scritture un angelo viene adoperato quale misterioso rappresentante di una persona, sia essa visibile o invisibile; il Signore viene sovente nominato «l’angelo del Signore» (Giudici 6:11,14,20).

All’inizio delle lettere il discorso è rivolto agli «angeli» come se fossero l’assemblea stessa; altrove però vediamo che è fatta una differenza tra gli angeli e le chiese. Ad ogni modo, tutto quel che è detto all’angelo è sempre indirizzato a tutta l’assemblea. Per questo ogni lettera termina con le parole: «Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese».

Benché il Signore indirizzi, per mezzo dello Spirito, le comunicazioni di ogni lettera a tutta l’assemblea, tuttavia non si rivolge personalmente ai credenti come fa nelle Epistole, dove leggiamo il saluto: «Ai santi che sono in Efeso ed ai fedeli in Cristo Gesù», «alla chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio» ecc… Qui egli si rivolge soltanto all’angelo perché era già incominciato il declino della Chiesa. D’altra parte, essendo Cristo considerato qui nel suo carattere di giudice, non poteva più parlare all’assemblea in modo confidenziale e personale, come nei tempi passati.

Consideriamo adesso queste sette chiese, o assemblee. Il numero sette è il numero della perfezione, della completezza, benché questi caratteri si manifestino in modi diversi. Tra le varie chiese dell’Asia Minore, il Signore ha scelto queste sette perché si trovavano in condizioni quali si sarebbero riprodotte in seguito, come Egli già sapeva, durante il tempo della cristianità. Ognuna delle sette chiese quindi è, nel suo stato, l’immagine di un dato periodo della storia della cristianità o della Chiesa intera, per quanto dipende dalla responsabilità dell’uomo. [3]

Sarebbe però sbagliato voler considerare queste lettere unicamente dal lato profetico. Vi sono almeno tre modi diversi di considerarle. Anzitutto abbiamo in ogni lettera la descrizione di una chiesa che esisteva veramente come tale a quel tempo. In secondo luogo troviamo, come abbiamo già accennato, la rivelazione profetica di ogni periodo nella storia della Chiesa cristiana. In terzo luogo, ogni assemblea locale ed ogni credente può oggi vedersi alla luce di queste lettere e applicare al suo cuore e alla sua coscienza «ciò che lo Spirito dice alle chiese».

La disposizione degli argomenti è in ogni lettera chiara e solenne. Eccola:

  1. Approvazione e lode. Com’è bello vedere che il Signore riconosce e loda sempre, anzitutto, quel che può lodare, e soltanto in seguito rimprovera. Questo corrisponde perfettamente alla sua dolcezza e alla sua grazia.
  2. Rimprovero. Benché il Signore lodi più volentieri di quanto rimproveri, non può in nessun modo passare sopra il male. Egli rimane, nel suo grande amore, fedele alla sua giustizia ed è sempre «il Santo e il Verace». Deve, a causa della sua santità, svelare sempre il male e i danni arrecati da questo; e sappiamo che il suo giudizio comincia proprio dalla casa di Dio. Soltanto in seguito il mondo sarà giudicato, e che parte terribile sarà la sua secondo la perfetta giustizia divina!
  3. Incoraggiamento e promessa di ricompensa per chi vince. Com’è bello constatare che il Signore, nel suo amore sempre paziente, spera il meglio dai suoi; infatti, in ognuna delle sette lettere parla di vincitori. Egli fa affidamento, in ogni tempo, su cuori attenti alle sue parole solenni ma amorose, i quali, in mezzo alla cristianità in rovina, si rivolgono a Lui, e con la forza che Egli dà possono vincere il male.

Alla fine o verso la fine delle lettere il Signore dice ogni volta: «Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese». Da questo vediamo, come già abbiamo detto, che i sette angeli, ai quali le lettere sono indirizzate, sono in figura soltanto i rappresentanti delle chiese intere, in quel che riguarda la responsabilità della testimonianza per Cristo quaggiù. Inoltre, possiamo vedere che le sette chiese formano un tutto unico, e questo è in figura la storia di tutta la cristianità, dal suo inizio sino alla fine. «Lo Spirito» parla dunque nelle lettere a tutta la Chiesa; e nello stesso tempo ogni assemblea deve ascoltare quel che Egli dice a tutte le chiese.

Notevole è anche l’intestazione delle lettere, vale a dire il nome e il carattere con il quale il Signore s’indirizza alle singole chiese. Questo nome del Signore è ogni volta diverso e corrisponde sempre allo stato che caratterizza ogni assemblea; non è casuale ma, come vedremo, corrisponde ogni volta allo stato morale che esiste in quel luogo.

03. Capitolo 2

03.1 Lettere alle chiese di Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatiri

03.2 Alla chiesa di Efeso (2:1-7)

La prima lettera è indirizzata alla chiesa di Efeso:

«Queste cose dice Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro: Io conosco le tue opere, la tua fatica, la tua costanza; so che non puoi sopportare i malvagi e hai messo alla prova quelli che si chiamano apostoli ma non lo sono e che li hai trovati bugiardi. So che hai costanza, hai sopportato molte cose per amore del mio nome e non ti sei stancato.

Ma ho questo contro di te: che hai abbandonato il tuo primo amore. Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti, e compi le opere di prima; altrimenti verrò presto da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi. Tuttavia hai questo, che detesti le opere dei Nicolaiti, che anch’io detesto.

Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò da mangiare dell’albero della vita, che è nel paradiso di Dio» (2:1-7).

La città di Efeso era in quel tempo una potente e ricca città di commercio, ed era anche la capitale della provincia romana dell’Asia. Qui l’apostolo Paolo aveva annunziato l’Evangelo per alcuni anni con grandi benedizioni e molto successo (Atti 19:10). Lo Spirito di Dio operò con potenza in quel centro dei piaceri mondani dove la «grande Diana» (Artemide) degli Efesini, la dea pagana della caccia, era onorata in un tempio magnifico (Atti 19:21-41). Un gran numero di uomini e donne si convertì e un buon numero di quelli che avevano esercitato le arti magiche portarono i loro libri e li bruciarono in pubblico. Il loro prezzo fu valutato a 50 mila dracme d’argento (Atti 19:19-20).

Più tardi, anche l’apostolo Giovanni visse ed operò diversi anni ad Efeso. Da questo luogo si sparsero certamente grandi benedizioni verso le altre chiese dell’Asia Minore, durante i giorni dell’apostolo Paolo e di Giovanni.

Questa chiesa è la prima ad essere nominata; inoltre il nome e il carattere col quale il Signore si presenta ad essa ci fanno pensare quali benedizioni speciali possedesse, e di conseguenza quali particolari responsabilità. La chiesa di Efeso ci appare come l’immagine della Chiesa intera al tempo degli apostoli. Questo è dimostrato già dall’intestazione della lettera. Il Signore dice: «Queste cose dice Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro» (2:1).

Non vediamo forse qui il Signore, il capo della Chiesa, nella posizione originaria di potenza suprema che gli appartiene e nella quale la Chiesa avrebbe dovuto riconoscerlo dal principio della sua storia quaggiù sino alla fine? Nella sua mano destra vi sono le sette stelle, ed Egli cammina in mezzo ai sette candelabri. Questa è la sua posizione rispetto alla Chiesa intera; e in questa posizione la Chiesa lo riconosceva al principio.

Il nome Efeso significa: amabile, diletta, colei che ama. Questo nome è caratteristico per tutta la Chiesa di Cristo. Leggiamo proprio nell’epistola agli Efesini: «Cristo vi ha amati e ha dato se stesso per noi» (Ef. 5:2), «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (Ef. 5:25). Quest’amore del Signore è meraviglioso e incomparabile. Ogni credente può dire: «Cristo mi ha amato, e ha dato se stesso per me» (Gal. 2:20).

Che cosa ha dunque il Signore da dire a questa chiesa? Anzitutto riconosce con elogio diverse cose:«Io conosco le tue opere, la tua fatica, la tua costanza». Similmente scriveva l’apostolo Paolo ai Tessalonicesi: «Noi ringraziamo sempre Dio per voi tutti… ricordandoci continuamente, davanti al nostro Dio e Padre, dell’opera della vostra fede, delle fatiche del vostro amore e della costanza della vostra speranza nel nostro Signor Gesù Cristo» (1 Tess. 1:3). Dunque, presso gli Efesini si trovavano in abbondanza opere, fatica e costanza. Tutto ciò scaturiva ancora, come al principio, direttamente dalla fede, dall’amore e dalla speranza? Si trovava il cuor loro ancora in stretta comunione col Signore come al principio? Ah! il Signore non guarda soltanto alle nostre opere e al nostro cammino, ma vede nel nostro cuore ed esamina l’intento del nostro agire. Se Egli, già nell’Antico Testamento, supplicava in modo così commovente: «Figlio mio, dammi il tuo cuore» (Prov. 23:26), quanto più desidera ora, come Signore e Sposo della sua Chiesa (che ha amato e che ama sino alla fine del medesimo amore santo e divino) possederne il cuore ed essere contraccambiato nel suo amore.

In principio le cose stavano veramente così (Atti 2:42-47; 4:32-35) ma ecco che internamente il declino era già cominciato, anche se esteriormente tutto sembrava in ordine. Lo sguardo penetrante del Signore aveva scoperto un difetto che lo affliggeva molto; Egli deve riprovare: «Ma ho questo contro di te: che hai abbandonato il tuo primo amore». Riconosce pure che l’assemblea esercitava nel suo seno la disciplina e non tollerava il male. La loda per aver messo alla prova e respinto coloro che si dicevano apostoli e non lo erano. Ed aggiunge: «Hai costanza, hai sopportato molte cose per amor del mio nome e non ti sei stancato». Che bella testimonianza!

Il fatto che tutte queste opere, fatica, costanza e risolutezza nel giudicare il male, non sempre corrispondono a un grande e sincero amore per Lui, non è forse una prova della grandezza dell’amore del Signore per la Chiesa? Ogni credente, l’assemblea locale, o la Chiesa intera, abbandonando il primo amore perde quella felice posizione nella quale il Signore è onorato. Perciò Egli deve aggiungere: «Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti e compi le opere di prima».

Leggendo l’epistola dell’apostolo Paolo agli Efesini, che ci mostra, come nessun’altra epistola del Nuovo Testamento, le grandi benedizioni e la posizione celeste del credente, ci sembra quasi impossibile che appena trent’anni dopo il Signore stesso, indirizzando la lettera a quell’assemblea, debba rimproverarla in tal modo. Ma che cos’è l’uomo? Ha egli saputo mai mantenersi nella posizione in cui Dio l’aveva posto? Purtroppo no! Nel paradiso terrestre, in mezzo a tante benedizioni, cadde nella disubbidienza. E quando più tardi Dio si scelse un popolo, fu la stessa cosa. Mentre Dio gli dava una legge, Israele si faceva un vitello d’oro che chiamò suo dio! Poi rovinò il sacerdozio e finì col crocifiggere il suo Messia.

Così l’uomo fu sempre ingrato, disubbidiente e infedele. Un solo uomo ha continuamente glorificato Dio sulla terra: Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che si fece uomo per salvare noi, peccatori perduti.

Leggendo le grandi e magnifiche verità dell’epistola agli Efesini, dobbiamo notare come lo Spirito Santo, per prevenire il declino, faccia risaltare sovente il valore e le benedizioni dell’amore e tutto ciò che ha fatto per noi, e come Dio lo ricerchi anche nei nostri cuori (si legga Ef. 1:4; 2:4; 3:17-19; 4:2,15,16; 5:1,2,25; 6:23-24). Vediamo in ogni capitolo, e in modo particolare nell’epilogo, come l’apostolo Paolo richiami alla memoria degli Efesini l’amore di Dio quasi voglia prevenire il declino. Com’è importante ai nostri tempi, poiché ci gloriamo di una grande conoscenza, ricordarci che Dio cerca in noi anzitutto l’amore e desidera possedere e dirigere il nostro cuore.

Il declino della Chiesa cominciò proprio così, quando cioè i cuori perdettero il loro primo amore, vale a dire non lasciarono più, come al principio, tutto il posto al loro Salvatore e Signore, non furono più nella completa sua dipendenza. Con ciò era stata aperta una larga porta al male. Le sette lettere ci mostrano pure che il declino e la rovina, penetrati immediatamente nella Chiesa dopo l’abbandono del primo amore, continueranno ad aumentare e ad aggravarsi attraverso tutto il periodo della cristianità.

Quel che il Signore disse profeticamente in queste lettere è stato fino ad ora confermato dalla storia della Chiesa e dall’esperienza. Oggi ancora il Signore richiama ognuno dei suoi il cui cuore non batte più interamente per Lui con un amore sincero, anche se esternamente, di fronte al mondo e agli altri credenti, tutto sembra ancora in perfetto ordine; e dice: «Ma ho questo contro di te: che hai abbandonato il tuo primo amore. Ricorda dunque da dove sei caduto, e ravvediti, e compi le opere di prima». Quando un cuore ritorna a Lui, nel godimento del suo amore, può essere ristabilito e fare le opere di prima.

La grazia del Signore per ristorare i suoi è molto grande. Egli richiama alla memoria della Chiesa i preziosi rapporti e le benedizioni in cui essa dapprima si trovava, e la scongiura di ravvedersi, di pentirsi. Senza uno spietato giudizio di se stessi, nella presenza di Dio, non è possibile un vero ristabilimento. Il Signore però è pronto a produrre in noi, se apriamo il cuore ai raggi della sua luce santa, un vero giudizio di noi stessi, un vero pentimento e una vera umiliazione per mezzo del suo Spirito. E ogni credente è, Dio sia lodato, un monumento visibile della grazia con cui il Signore conduce, sopporta, risveglia e ristora.

Efeso, vista nel suo insieme, come assemblea locale, non si è pentita, e il Signore ha mandato ad effetto la sua minaccia: «altrimenti verrò presto da te, e rimoverò il tuo candelabro dal suo posto, se tu non ti ravvedi». La città fu distrutta dagli eserciti maomettani, che furono spesse volte gli esecutori dei castighi di Dio; e il suo luogo non è altro che un ammasso di rovine. In Efeso, da molto tempo, non vi sono più chiese cristiane. Ma quel che è ancor più grave è il fatto che l’intera Chiesa dei tempi apostolici, di cui Efeso è in figura la rappresentante, non si è pentita e non è ritornata al primo amore. La Chiesa ha continuato a scendere per la via del declino e della rovina, a parte qualche assemblea locale e qualche risveglio temporaneo, finché la troviamo nel settimo ed ultimo stadio, in Laodicea, ove il Signore si libera di essa; Egli vomiterà dalla sua bocca la chiesa professante, la cristianità senza vita (Apoc. 3:16). I veri credenti, i cristiani nati di nuovo, coloro che per mezzo dello Spirito sono legati a Lui, le membra del suo corpo, non verranno vomitati dalla sua bocca e rigettati, ma saranno già stati raccolti nella gloria (Giov. 14:3; 1 Tess. 4:17). Essi sono «le vergini avvedute» che posseggono la vita divina e l’«olio», cioè lo Spirito Santo, e che entrano con Lui nella sala delle nozze. Le vergini stolte, invece, rimarranno sulla terra, abbandonate alla seduzione e al giudizio (Matt. 25:1-11; 2 Tess. 2:11-12).

Il Signore trova ancora qualcosa da lodare in Efeso: «Tuttavia hai questo, che detesti le opere dei Nicolaiti, che anch’io detesto». Che cosa erano queste «opere dei Nicolaiti»? Nessuno lo sa con certezza. Alcuni dicono che esistesse una setta dei Nicolaiti, chiamata ingiustamente così dal nome di uno dei sette fratelli incaricati di occuparsi dei poveri (Atti 6:5), che trasformava la grazia del Signore in dissolutezza e viveva in peccati grossolani. Questo però non è confermato dalla storia. Può anche darsi che i Nicolaiti nominati di nuovo nella lettera alla chiesa di Pergamo (cap. 2:15) non siano gli stessi di quelli che professavano la dottrina di Balaam, il quale era colpevole di aver trascinato i figliuoli d’Israele nel peccato; costoro sono nominati a parte (cap. 2:14). Comunque il Signore odiava le opere dei Nicolaiti, non le persone; questo stesso odio si trovava nei credenti di Efeso, ed è ciò che il Signore loda. Noi pensiamo che le opere dei Nicolaiti non siano state dei peccati carnali, altrimenti l’espressione «che anch’io detesto» sarebbe stata troppo debole. Dovevano avere qualcosa di apparentemente buono.

Il significato del nome ci aiuterà in questo caso, come spesso in queste lettere, a comprendere meglio la cosa. Il termine «Nicolaita» vuol dire: vincitore del popolo (parola composta da: vittoria e popolo). In altri termini troviamo qui il principio della dolorosa divisione dei credenti in spirituali (clero) e laici. Dio non voleva assolutamente questa differenza, e il Signore Gesù diceva ai suoi: «Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli» (Matt. 23:8). E noi sappiamo, come lo Spirito Santo ce lo ricorda nelle diverse epistole, che tutti i credenti sono fratelli, un corpo in Cristo; che sono membra l’uno dell’altro e formano tutti insieme un sacerdozio reale (1 Pietro 2:9; Apoc. 1:5-6). Nella Chiesa di Gesù Cristo non deve esistere una speciale posizione per i sacerdoti, neanche nel senso del sacerdozio israelitico.

Appena si perdettero, fra i credenti, il primo amore e la freschezza spirituale, la forza e la vita vennero meno, la via fu aperta alle opere dei Nicolaiti e s’incominciò a fare delle differenze fra sacerdoti e laici. Più tardi a Pergamo (2:12) vediamo come già le «opere» erano state sostituite con la «dottrina» dei Nicolaiti. Ed è sempre così: prima si infiltra una cattiva pratica che poi si trasforma in oggetto di fede (dogma). Sappiamo come in un primo tempo Lutero ed in seguito, in modo particolare, Spener abbiano voluto eliminare la differenza fra sacerdoti e laici, cioè queste «opere e dottrina» dei Nicolaiti. Essi insistettero affinché la verità biblica del sacerdozio comune fosse messa in pratica. Purtroppo però non riuscirono nel loro intento.

Infine vogliamo ancora considerare l’appello che il Signore fa al termine di ogni lettera: «Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese». Troviamo qui un grande principio: poiché la chiesa si è allontanata e si è resa infedele non essendo rimasta sul terreno della verità, il Signore richiama i singoli fedeli e ricorda loro la sua Parola verace. In essa devono star saldi. Il Signore non dice: Chi ha orecchi ascolti ciò che la chiesa insegna, ma «ciò che lo Spirito di Dio (nella sacra Scrittura) dice alle chiese». La Parola di Dio determina quel che dobbiamo credere, non la chiesa, che poteva diventare infedele come infatti avvenne. Che importanza ha questa verità!

Da quando il declino incominciò in tutta la Chiesa o nelle singole assemblee, lo Spirito Santo e la Parola di Dio si rivolgono al credente singolarmente e lo invitano a decidersi risolutamente per Cristo, a risalire la corrente o il sentimento generale, a mettersi decisamente dalla sua parte, non lasciandosi sopraffare dal male, ma essendone vincitore. La fede che guarda al Signore, che obbedisce alla sua Parola e fa affidamento su di lui è quella che vince il mondo (1 Giov. 5:4).

Il Signore promette al vincitore di Efeso, e ciò vale per tutti i vincitori, di dargli da «mangiare dell’albero della vita, che è nel paradiso di Dio». Adamo, il primo uomo, perdette a causa della sua disubbidienza il diritto di mangiare dell’albero della vita, ed infatti non ne mangiò. Ma ciò che andò perduto a causa del peccato è dato adesso a colui che vince, ed in misura maggiore; poiché egli non mangia di un albero della vita che è sulla terra, come ai giorni di Adamo, ma dell’albero della vita che è «nel paradiso di Dio»!

Per poter mangiare dall’albero della vita, Adamo avrebbe dovuto rimanere nel suo stato iniziale d’innocenza; ora invece bisogna vincere. Il peccato è nel mondo, l’azione del male si trova ovunque, persino in mezzo alla Chiesa. Soltanto per mezzo della fedeltà, che si traduce in un’ubbidienza assoluta alla Parola di Dio, mettendola al di sopra di ogni parola d’uomo, il singolo credente può essere vincitore. è una cosa assolutamente personale.

03.3 Alla chiesa di Smirne (2:8-11)

«All’angelo della chiesa di Smirne scrivi: Queste cose dice il primo e l’ultimo, che fu morto e tornò in vita: Io conosco la tua tribolazione, la tua povertà (tuttavia sei ricco) e le calunnie lanciate da quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana. Non temere quello che avrai da soffrire; ecco, il diavolo sta per cacciare alcuni di voi in prigione, per mettervi alla prova, e avrete una tribolazione per dieci giorni.

Sii fedele fino alla morte e io ti darò la corona della vita. Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. Chi vince non sarà colpito dalla morte seconda» (2:8-11).

Abbiamo constatato la tristezza del Signore nel rimproverare i suoi perché avevano abbandonato il loro primo amore (2:4). Questo regresso nella vita spirituale e nella comunione col Signore ha aperto la via al declino e alla decadenza nell’intera Chiesa professante. Oggi è la stessa cosa, sia per la collettività, sia per ciascun credente. Se chi è convertito al Signore non rimane in comunione intima col suo Redentore e non contraccambia il suo amore meraviglioso, il suo cammino è diretto verso il basso e ritorna nel mondo. Ma il Signore nella sua grazia interviene e lo ferma su questa via per mezzo di una prova.

Egli venne subito in aiuto alla Chiesa che aveva abbandonato il primo amore, permettendo a Satana di metterla alla prova con persecuzioni allo scopo di allontanarla da quel mondo falso ed ipocrita a cui si era avvicinata. Satana poteva cacciare dei diletti del Signore in prigione (sappiamo che la Chiesa apostolica, nome che possiamo dare alla Chiesa fino all’anno 100, diventò una Chiesa di martiri sino alla dominazione dell’imperatore Costantino, che col famoso “Editto di Milano” nel 313 riconobbe ufficialmente il Cristianesimo come religione di tutto l’Impero Romano. Quella fu l’era della persecuzione dei cristiani). Già il nome della Chiesa di Smirne ci parla di queste sanguinose persecuzioni. Il vocabolo Smirne, o «mirra», vuol dire amarezza. La mirra, una resina profumata molto conosciuta in Palestina e in Arabia, era adoperata nella preparazione dell’olio dei sacerdoti, del balsamo per preservare i cadaveri dalla decomposizione e veniva anche bruciata come incenso odorifero.

è proprio nel secondo e terzo secolo che la Chiesa di Cristo si trovava immersa in un mare di dolore, fino alla morte. Ed è allora che i cristiani dovevano radunarsi nelle catacombe e vivevano nel deserto e nelle caverne; era il tempo delle persecuzioni, dei martiri, nel quale migliaia di credenti perdettero la vita. Ma il Signore li conforta definendosi «il primo e l’ultimo, che fu morto e tornò in vita». Anch’Egli come loro aveva glorificato Dio con la sua morte, ma era risuscitato, aveva tolto alla morte il dardo e la vittoria. Satana poteva pur perseguitare i credenti, gettarli in prigione e condurli alla morte, ma di più non poteva fare. Tutto ciò che si trovava al di là della morte non era più sotto il potere di Satana. Per questo il Signore consola i suoi dicendo: «Io conosco la tua tribolazione, la tua povertà (tuttavia sei ricco). … Non temere quello che avrai da soffrire… Sii fedele fino alla morte, e io ti darò la corona della vita… Chi vince non sarà colpito dalla morte seconda».

La “morte seconda” è la separazione eterna dell’anima da Dio, come la prima morte è la separazione dell’anima dal corpo. Quando Dio dice: «Il salario del peccato è la morte» (Rom. 6:23) dobbiamo pensare alla prima e alla seconda morte.

Ma Colui che ha vinto la morte dice ai suoi: «Queste cose dice il primo e l’ultimo, che fu morto e tornò in vita». Tutto era tetro davanti ai loro occhi, ma Egli, vincitore della morte, poteva condurli meravigliosamente attraverso ogni sofferenza. Egli è «il primo e l’ultimo» in ogni cosa. E se alcuni dovevano passare per la morte, avevano la stessa sorte di Colui «che fu morto e tornò in vita». Egli aveva la potenza di farli risuscitare in gloria e dar loro la «corona della vita» promessa, la corona che il Signore dà a coloro che rimangono fedeli nelle tribolazioni e nelle prove; come leggiamo: «Beato l’uomo che sopporta la prova; perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita» (Giac. 1:12). Questo accenno alla risurrezione del Salvatore e alla nostra per essere sempre con Lui, ci incoraggia in modo particolare a perseverare e ad operare fedelmente. Anche l’apostolo Paolo, dopo aver detto trionfante: «La morte è stata sommersa nella vittoria. O morte, dov’è la tua vittoria? O morte, dov’è il tuo dardo?», ci esorta con le parole: «Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, sempre abbondanti sempre nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore» (1 Cor. 15:54-58). Come sono consolanti le parole del Signore, del compassionevole Sommo Sacerdote, ai credenti perseguitati di Smirne: «Io conosco la tua tribolazione, la tua povertà (ma pur sei ricco)»!

Già verso il suo popolo Israele l’Eterno aveva dei sentimenti di profonda compassione. Quando esso si trovava nel crogiuolo [4] in Egitto, ed Egli si accingeva a liberarlo, disse a Mosè: «Ho visto, ho visto l’afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; infatti conosco i suoi affanni. Sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani» (Es. 3:7-8). Ciò che si è proposto, Dio l’ha adempiuto.

I credenti di Smirne erano temporaneamente poveri, ma questa povertà procura, come spesso abbiamo esperimentato, una grande ricchezza spirituale. Il Signore continua dicendo: «Io conosco le calunnie lanciate da quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana». Ah! i Giudei che un tempo erano il popolo di Dio, sono diventati una sinagoga di Satana! Avevano oltraggiato Dio, avevano oltraggiato Cristo, suo Figlio, il loro Messia; ed ora oltraggiano pure lo Spirito Santo, perseguitando ed uccidendo i suoi testimoni. Policarpo, ad esempio, uomo anziano e pio, fu perseguitato dall’odio dei Giudei, che lo uccisero bruciandolo verso l’anno 168. Il Signore incoraggia i perseguitati dicendo: «Non temere quello che avrai da soffrire». Egli permette la sofferenza, lascia infuriare il nemico, ma gli fissa un limite che non può oltrepassare. Satana può gettarli in prigione, ma i giorni della prigionia sono fissati da Lui: sono «dieci» e non uno di più.

Com’è confortevole sapersi nelle mani di Colui che «è pieno di compassione e misericordioso» (Giac. 5:11) e a cui «è stato data ogni potere in cielo e sulla terra» (Matteo 28:18)! Egli dice ad ognuno dei suoi: «Non temere», ma anche: «Sii fedele fino alla morte».

Ai giorni nostri e nei nostri paesi i cristiani non sono più perseguitati apertamente come un tempo; non vengono più gettati in prigione o uccisi a causa della loro fede. Tuttavia le parole: «Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati» (2 Tim. 3:12) hanno sempre il loro valore. Il mondo tollera una certa forma di pietà ed in certi casi la loda anche. Noi possiamo frequentare i radunamenti e forse anche dire di essere convertiti; sovente il mondo sopporta tutto ciò. Quando però vogliamo vivere piamente, cioè quando manifestiamo i caratteri di Cristo nella vita pratica di ogni giorno, e cerchiamo di dirigere il nostro cammino secondo le parole di Dio, ecco apparire immediatamente, da una parte o dall’altra, resistenza e persecuzione. Quel credente che non ha da soffrire per questo, non vive piamente e non è fedele; non guarda soltanto al Signore, ma a molte altre cose. Un tale cristiano fa una grave perdita. Non impara a conoscere il Signore nelle sue compassioni e nelle sue consolazioni; non porterà molto frutto e non riceverà la corona della vita, pur possedendo la nuova vita ed essendo salvato per mezzo dell’opera di Cristo.

Anche a Smirne il Signore aggiunge: «Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese». Il Signore non ha nulla da rimproverare, ma ciascuno deve ascoltare il suo incoraggiamento. Come piace poco ai credenti d’oggi dover soffrire! Lo Spirito si rivolge anche ad ognuno di noi e ci chiede se siamo decisi a seguire il Signore e a portare il suo obbrobrio. Ai fedeli di Filippi Egli diceva: «Perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in Lui, ma anche di soffrire per lui» (Fil. 1:29).

03.4 Alla chiesa di Pergamo (2:12-17)

«Queste cose dice Colui che ha la spada affilata a due tagli: Io so dove tu abiti, cioè là dov’è il trono di Satana; tuttavia tu rimani fedele al mio nome e non hai rinnegato la fede in me, neppure al tempo in cui Antipa, il mio fedele testimone, fu ucciso fra voi, là dove Satana abita.

Ma ho qualcosa contro di te: hai alcuni che professano la dottrina di Balaam, il quale insegnava a Balac il modo di far cadere i figli d’Israele, inducendoli a mangiare carni sacrificate agli idoli e a fornicare. Così anche tu hai alcuni che professano similmente la dottrina dei Nicolaìti. Ravvediti dunque, altrimenti fra poco verrò da te e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca.

Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò della manna nascosta e una pietruzza bianca, sulla quale è scritto un nome nuovo che nessuno conosce, se non colui che lo riceve» (2:12-17).

Abbiamo visto in Smirne come il Signore tentasse di fermare il declino sempre più crescente della Chiesa, permettendo delle sanguinose persecuzioni, nel secondo secolo. Esteriormente la Chiesa si trovava in grande povertà, ma agli occhi di Dio era ricca, a causa della sua fedeltà e dell’incoraggiamento che riceveva e di cui godeva.

Quando però Satana si accorse che la Chiesa non si poteva sterminare né con la forza, né col fuoco, né con la spada, poiché è fondata sulla roccia eterna, su Gesù Cristo e «le porte del soggiorno dei morti non la potranno vincere» (Matt. 16:18), cambiò tattica. Fino allora si era mostrato come il leone ruggente, ma adesso si trasforma in angelo di luce, in serpente seduttore. Questo avvenne nel terzo secolo sotto l’imperatore Costantino. Egli favorì i Cristiani, diede loro delle posizioni onorevoli, delle cariche di Stato, fece del Cristianesimo la religione nazionale, trasformò i templi pagani in chiese cristiane e vi introdusse con la forza le feste pagane. La religione cristiana non fu più perseguitata, ma divenne la religione dell’Impero Romano (anno 313).

Nell’anno 330, essendosi l’imperatore trasferito nella città greca di Bisanzio, che poi ricevette il nome di Costantinopoli, si diede al terzo periodo della Chiesa cristiana il nome di «Chiesa greca». Troviamo questa forma di religione in Grecia e, con qualche lieve differenza, in Russia col nome di «Chiesa ortodossa».

Questa mondanità che si introduceva nella Chiesa era completamente in contrasto con la Parola di Dio che dice dei suoi: «Essi non sono del mondo» (Giov. 17:14,16). Il Signore, in questa terza lettera, giudica questo stato di cose, incoraggia i fedeli e ordina a tutti di pentirsi.

Notevole è il nome che il Signore prende all’inizio della lettera a Pergamo: «Colui che ha la spada affilata a due tagli». Questa è la Parola di Dio (Ebrei 4:12), che divide e separa ciò che non è compatibile con essa, come la Chiesa dal mondo. La vera Chiesa non fa parte del mondo, e non deve né associarsi ad esso, né voler regnare su di esso e formare con quest’ultimo un sistema religioso.

Nella preghiera del Signore, dove troviamo ripetuta la frase «essi non sono del mondo», vediamo pure ch’Egli chiede al Padre: «Santificali (cioè mettili a parte) nella verità: la tua parola è verità» (Giov. 17:17).

Nondimeno il Signore deve rimproverare la Chiesa e dice: «Io so dove tu abiti, cioè là dov’è il trono di Satana». La Chiesa, che è celeste secondo il suo appello, la sua posizione, la sua speranza e le sue benedizioni, abita là dov’è il trono di Satana. Satana è il «principe di questo mondo» (Giov. 14:30). Vi era però un piccolo nucleo della Chiesa, i veri credenti, che al principio era ancora fedele, anche sotto Costantino, e il Signore lo riconosce: «Tu rimani fedele al mio nome e non hai rinnegato la fede in me». Sì, tra questi vi erano perfino dei martiri, come Antipa, che vuol dire «uno contro tutti». La testimonianza generale per Cristo però era perduta. La Chiesa aveva ascoltato la dottrina di Balaam (vers. 14). Questo falso profeta era stato invitato dal re di Moab a maledire Israele, il popolo di Dio. Non avendo potuto raggiungere il suo scopo, diede al re la malefica idea di invitare gli Israeliti alle feste dei loro idoli. Questi accettarono l’invito annullando così la separazione che doveva esistere tra loro e i pagani (Num. 25:1-2 e 31:16). Nello stesso modo Satana introdusse nella chiesa di Pergamo un legame di perdizione fra i credenti e il mondo.

Pergamo vuol dire: castello, fortezza.[5]. Era situata più a nord delle altre sei chiese dell’Asia Minore.

Senza dubbio abbiamo in Pergamo la figura della chiesa greco-cattolica dall’imperatore Costantino fino alla formazione di Tiatiri cioè della chiesa papale di Roma. La sede principale della chiesa greco-ortodossa era Costantinopoli, la città dell’imperatore. Essa si nomina con orgoglio: ortodossa, cioè che crede secondo le vere dottrine della religione; ma si è basata su opere morte e non ha avuto nessuna riforma. Costantinopoli da molto tempo non è più la sua fortezza. Pietroburgo lo fu per molto tempo, ma dopo gli avvenimenti della prima guerra mondiale non si può più parlare di fortezza. Com’è importante possedere in Cristo, il Salvatore, il perdono e la vita; una semplice confessione cristiana ortodossa, sia evangelica che cattolica, non può salvare l’anima né metterci in contatto con Dio.

Dopo aver messo sullo stesso piano la sottomissione della Chiesa allo spirito e alla potenza del mondo, con il mangiare le cose sacrificate agli idoli, il Signore chiama l’unione col mondo una “fornicazione spirituale”. Continua poi a svelare altri mali che erano nella chiesa di Pergamo, figura della chiesa professante dopo Costantino: «Così anche tu hai alcuni che professano similmente la dottrina dei Nicolaiti». In Efeso, all’epoca degli apostoli o nel primo secolo della chiesa professante, abbiamo visto l’inizio dell’opera dei Nicolaiti. Fin da allora si cominciò a fare una differenza fra clero e laici. Però questa differenza non era proclamata pubblicamente ed era generalmente odiata come Dio la odiava (2:6).

A Pergamo, invece, questa differenza era insegnata come un dogma, era diventata la «dottrina» dei Nicolaiti, ed i sacerdoti (la gerarchia) erano introdotti come se fosse Cristo a ordinarlo. Si diede loro molta importanza, e con l’andar del tempo si chiese al governo di dare a costoro onore e potenza per combattere quelli che non si fossero sottomessi all’autorità umana, e non divina, dei sacerdoti.

Quant’è solenne l’appello del Signore: «Ravvediti dunque»! Pergamo però, l’orgogliosa fortezza, non si è ravveduta, né in quel che riguarda la dottrina dei Nicolaiti né nei suoi rapporti col mondo come possiamo constatare nel periodo seguente, in Tiatiri, la chiesa romana, dove vediamo che questi mali regnano in più larga misura.

Il Signore minaccia i Nicolaiti, e con loro tutta l’assemblea con la spada della sua bocca, che è la Parola di Dio. Questa spada divide, separa e libera colui che si lascia istruire e guardare dal male, per la sua salvezza. Ma chi si ribella troverà la Parola di Dio che lo condannerà eternamente. Le Sacre Scritture ci insegnano che l’Anticristo sarà distrutto con la spada e col soffio della bocca di Cristo (2 Tess. 2:8); la stessa sorte avranno gli iniqui quando il Signore verrà per stabilire il suo regno (Apoc. 19:15-21).

La gloriosa Pergamo di una volta oggi è una piccola città in gran parte maomettana. E tutta la chiesa greca, compresa Costantinopoli, della quale Pergamo è l’immagine, è stata posta sotto la spada di Maometto, quale esecutrice del giudizio divino. Anche la chiesa ortodossa russa ha attraversato dei giudizi terribili.

Infine, il Signore si rivolge ad ognuno di coloro che hanno ancora orecchi per udire ciò che lo Spirito dice alle chiese. Egli li incoraggia a rimanere saldi nonostante il triste stato di cose e a vincere: «A chi vince io darò della manna nascosta e una pietruzza bianca, sulla quale è scritto un nome nuovo che nessuno conosce, se non colui che lo riceve». La manna nascosta è Cristo, come disse Egli stesso: «Io sono il pane della vita. I vostri padri mangiarono la manna nel deserto… Io sono il pane vivente, che è disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno» (Giov. 6:48-51). Chi vince, sprezza le cose sacrificate dal mondo agli idoli, ma in compenso può godere della dolce «manna nascosta» venuta dal cielo, che è «vero cibo».

Nei secoli passati, nonostante le tenebre che regnavano nella Chiesa, vi sono sempre stati dei vincitori; e anche ai giorni nostri vi sono alcuni nella chiesa ortodossa che possiedono la vita e la pace in Cristo Gesù e che forse sono perseguitati ed oppressi; anch’essi sono dei vincitori, e ciò che Gesù è stato per loro quaggiù sarà qualcosa di molto prezioso anche nella gioia del cielo. Israele, che fu nutrito nel deserto con la manna, dovette portare con sé nella terra promessa un vaso pieno di manna quale memoriale, e porlo nell’arca del patto nel luogo santissimo del tempio.

Il Signore vuol dare a chi vince una «pietruzza bianca». Anticamente i giudici di questo mondo, per dichiarare l’innocenza dell’accusato gettavano una pietra bianca in un’urna. Nello stesso modo il Signore vuole difendere chi vince anche se al presente è perseguitato dalla chiesa dei «Nicolaiti». Sulla pietruzza è scritto un «nuovo nome» come sulle pietre preziose del pettorale del sommo sacerdote erano incisi i nomi delle tribù d’Israele. Questo nuovo nome sarà conosciuto soltanto da colui che lo riceve. Sì, ciò che il Signore è in amore, in compassione, in fedeltà per quelli che lo seguono fedelmente può essere sperimentato e gustato soltanto personalmente, nella misura della nostra comunione con Lui.

03.5 Alla chiesa di Tiatiri (2:18-19)

«Queste cose dice il Figlio di Dio, che ha gli occhi come fiamma di fuoco, e i piedi simili a bronzo incandescente: Io conosco le tue opere, il tuo amore, la tua fede, il tuo servizio, la tua costanza; so che le tue ultime opere sono più numerose delle prime.

Ma ho questo contro a te: che tu tolleri Iezabel, quella donna che si dice profetessa e insegna e induce i miei servi a commettere fornicazione, e a mangiare carni sacrificate agli idoli. Le ho dato tempo perché si ravvedesse, ma lei non vuol ravvedersi della sua fornicazione. Ecco, io la getto sopra un letto di dolore, e metto in una grande tribolazione coloro che commettono adulterio con lei, se non si ravvedono delle opere che ella compie. Metterò anche a morte i suoi figli; e tutte le chiese conosceranno che io sono colui che scruta le reni e i cuori, e darò a ciascuno di voi secondo le sue opere. Ma agli altri di voi, in Tiatiri, che non professate tale dottrina e non avete conosciuto le profondità di Satana (come le chiamano loro), io dico: Non vi impongo altro peso. Soltanto, quello che avete, tenetelo fermamente finché io venga.

A chi vince e persevera nelle mie opere sino alla fine, darò potere sulle nazioni, ed egli le reggerà con una verga di ferro e le frantumerà come vasi d’argilla, come anch’io ho ricevuto potere dal Padre mio; e gli darò la stella del mattino. Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese» (2:18-29).

Tiatiri, la odierna Akhissar, si trova sulla strada che conduce da Pergamo a Sardi; fu nota un tempo per i suoi commercianti di oppio. Attualmente vi si trova ancora una piccola comunità di cristiani professanti.

Qual è stata la chiesa che ha fatto seguito alla chiesa orientale greca, e che ha poi preso il primo posto? Senza dubbio la chiesa di Roma. Già da molto tempo i vescovi romani avevano saputo farsi avanti, ed essere elevati, con i vescovi di Costantinopoli, d’Antiochia, di Gerusalemme e d’Alessandria, al titolo di «Patriarchi». Quando poi i popoli germanici, i Goti, i Longobardi, i Franchi, gli Anglosassoni, abbracciarono la religione cristiana e vennero a contatto con la chiesa romana, i Patriarchi acquistarono grandissima importanza. La chiesa greca fu, sino al settimo secolo, il centro della cristianità. In seguito, però, questa posizione fu presa dalla chiesa romana che si separò definitivamente dalla greca. Questa quarta lettera a Tiatiri è la figura profetica della chiesa romana.

Come già abbiamo visto per le altre lettere, il significato del nome ci aiuta molto a comprendere il valore profetico della lettera.[6] Così Tiatiri vuol dire: colei che offre sacrifici, che offre incenso. Non è questo caratteristico della chiesa di Roma? Su migliaia di altari di questa potente chiesa, che tiene sotto di sé milioni e milioni di persone, si pretende di ripetere il sacrificio perfetto del Figlio di Dio, fatto una volta per sempre. Secondo la sua dottrina, questo sacrificio viene continuamente ripetuto, senza spargimento di sangue, per i vivi e per i morti. Com’è terribile e riprovevole agli occhi di Dio ogni ripetizione del grande sacrificio di Gesù Cristo, l’unigenito Figlio di Dio, fatto una volta per sempre! La Parola di Dio ci insegna che questo sacrificio fu «fatto una volta per sempre» e il suo valore è eterno (Ebrei 9 e 10).

Tutto questo è in contrasto con quel che troviamo nelle Sacre Scritture. Oltre a ciò salgono da innumerevoli incensieri di Roma dei sacrifici che si pongono al posto dei sacrifici spirituali di lode che Dio accetta dai credenti che possono adorarlo come Padre in spirito e verità (Ebrei 13:15; 1 Pietro 2:5; Giov. 4:23-24).

Consideriamo ora la lettera un po’ più da vicino. Il Signore si presenta come «il Figlio di Dio». Sappiamo che, come tale, è il fondamento e la roccia sulla quale è edificata la sua Chiesa. Alla domanda del Signore: «Chi dice la gente che sia il Figlio dell’uomo?», Pietro rispose a nome di tutti i discepoli: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Il Signore Gesù, facendo allusione al suo nome, risponde: «Tu sei Pietro (una pietra), e su questa pietra [7] (roccia) edificherò la mia chiesa, e le porte del soggiorno dei morti non la potranno vincere» (Matt. 16:18).

è dunque sotto questo carattere che il Signore si presenta qui alla chiesa di Tiatiri: come il «Figlio di Dio» quale Fondamento, Centro e Capo della sua Chiesa. Tiatiri riconosce ancora oggi, almeno formalmente, il Signore Gesù come «il Figlio del Dio vivente». Ma lo riconosce essa pienamente come Fondamento e come Capo? Lasciamo rispondere la chiesa di Roma. Cristo scruta e prova ogni cosa e non permetterà che la sua gloria sia data ad un altro. Egli «ha gli occhi come fiamma di fuoco, e i piedi simili a bronzo (o rame) incandescente». Il suo sguardo rivela le cose anche più nascoste e i suoi piedi, come rame arroventato in una fornace (1:15), ci parlano della purezza e della santità del suo cammino, quale giudice nel mezzo della Chiesa. Sì, Egli è il Giudice infallibile di ogni male e di ogni iniquità della Chiesa.

Anzitutto il Signore si compiace di mettere in evidenza ciò che vi era di buono, ciò che poteva lodare in Tiatiri. Egli dice: «Io conosco le tue opere, il tuo amore, la tua fede, il tuo servizio, la tua costanza; so che le tue ultime opere sono più numerose delle prime» (vers. 19). Dunque, troviamo qui molta energia, un grande zelo e una maggior attività; il numero delle opere era aumentato. Anche l’amore, la fede e la costanza abbondavano in coloro che erano così ripieni di zelo. La speranza dovrebbe affiancarsi alla fede e all’amore, ma qui non è neppure menzionata. Era un’evidente lacuna. Difatti, colui che sa di appartenere a Cristo e che conserva la sua Parola durante la sua assenza, spera in Lui e brama ardentemente il suo ritorno, l’adempimento della sua promessa. In Tessalonica queste tre virtù erano riunite: fede, amore, speranza (1 Tess. 1:3). Quando la speranza del ritorno del Signore si spegne nel nostro cuore, allora il mondo comincia immediatamente a farsi posto in noi, e cerchiamo di stabilirci il meglio possibile, cerchiamo i nostri diritti e il nostro onore in un luogo ove dovremmo essere stranieri e viandanti. Non è forse accaduto così anche alla chiesa di Roma, che cerca di regnare quando dovrebbe essere straniera, povera e sprezzata?

Possiamo veramente constatare che la chiesa di Roma è ricca in opere; sovente però sono le opere morte di una propria giustizia senza valore alcuno: pellegrinaggi, recite di un numero prescritto di preghiere, mortificazioni del corpo ecc… Il Signore però, che conosce il cuore di ognuno e lo scruta amorevolmente, trova in alcuni del vero amore, una fede vivente e della costanza, anche quando ciò è soffocato da vane cerimonie e da forme senza valore. Il Signore guarda al cuore e riconosce quando il motivo d’azione è l’amore per Lui; questo glorifica il suo nome. Dopo aver riconosciuto ciò che vi era di lodevole a Tiatiri, il Signore deve farle un rimprovero: «Ma ho questo contro di te: che tu tolleri Iezabel, quella donna che si dice profetessa e insegna e induce i miei servi a commettere fornicazione, e a mangiare carni sacrificate agli idoli». è veramente un grave rimprovero!

«Iezabel» (o Izebel) significa: non toccata, casta; un bel nome certamente. Ma chi era però Iezabel all’origine? Se leggiamo nella Bibbia, troveremo che Iezabel fu l’iniqua moglie del re Acab (1 Re 16:31). Era una straniera (fenicia) pagana e perciò non avrebbe mai dovuto salire sul trono d’Israele. Il male non si limitò all’interno delle frontiere del regno d’Israele, ma penetrò nel regno di Giuda, poiché una figlia di Iezabel sposò Joram, re di Giuda (2 Re 8:16-18). Poco mancò che tutti i discendenti della casa reale di Davide, dalla quale doveva nascere il Messia, fossero distrutti da Atalia, figlia di Iezabel (2 Re 11). Iezabel dunque recò morte e distruzione in Israele e in Giuda. Ella introdusse in Israele il culto a Baal con tutti i suoi orrori, e soppresse completamente il culto all’Eterno. Il culto a Baal diventò la religione del popolo, la religione di Stato, e i profeti di Baal si moltiplicarono nel paese e vissero alla corte della regina. Iezabel era dunque un’omicida, una fanatica persecutrice dei testimoni del Signore.

Iezabel, allora aveva insegnato e sedotto i servitori del Signore a commettere la fornicazione e a mangiare carni sacrificate agli idoli, come troviamo in figura nel nostro passo. La Sacra Scrittura identifica il rinnegamento del vero Dio con le parole: fornicazione e adulterio. Durante il tempo in cui Iezabel era regina d’Israele, si commettevano dei peccati morali grossolani. Ed è ciò che troviamo nel sistema spirituale che essa rappresenta. Nei secoli 9°, 10° e 11° questo sistema attraversò dei periodi molto oscuri. La posizione e la meta celeste della vera Chiesa furono completamente messe da parte. La chiesa professante cercò con tutti i mezzi di assicurarsi la signoria mondiale e volle che i principi della terra si sottomettessero alla sua potenza e la servissero. Essa si allontanò completamente dall’Evangelo, dalla Parola la quale insegna che per noi peccatori vi è un solo mezzo di salvezza, Gesù Cristo, il Figlio di Dio, e che il Suo regno, e di conseguenza il regno dei suoi, non è di questo mondo (Atti 4:10-12; Giov. 18:36). La chiesa cominciò ad insegnare che la salvezza si trovava in lei, cioè nel seguire i suoi precetti e adempiere le opere prescritte. Nello stesso tempo era in lotta con re e regine per il regno e il predominio. Al posto dell’unico umile Salvatore, che chiama a sé i peccatori: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo» (Matt. 11:28), vi fu una chiesa dominatrice, una chiesa che opprimeva le anime ed esigeva dal mondo opere, denaro, importanza ed onore.

Come un tempo i giganti nacquero dall’unione dei «figli di Dio» con le figliuole degli uomini (Gen. 6:2), così dall’unione della chiesa con il mondo, causata da Satana, nacque un grandissimo edificio, un sistema di cui la gente che non è illuminata dalla Parola di Dio si stupisce. Questo potente sistema, Iezabel profetessa in mezzo a Tiatiri, cominciò nel Medioevo a perseguitare e ad uccidere con tortura, rogo, spada coloro che ponevano la Parola di Dio al di sopra della parola degli uomini.

La chiesa però non si macchiò le mani, almeno apparentemente, col sangue dei cosiddetti «eretici»; essa lasciava, in generale, la persecuzione e il giudizio nelle mani delle autorità terrene che le erano sottomesse. Così pure aveva agito Iezabel, moglie di Achab, che scrisse la pena di morte per l’innocente Naboth (1 Re 21). La chiesa romana continuamente perseguitato i veri testimoni di Dio e versato molto sangue innocente. Da questa unione di principi religioso-spirituali, unione contraria alla volontà di Dio, nacquero dei figli (cap. 2:23). Questi, persone ed organizzazioni, saranno giudicati molto severamente, come ci è descritto in Apocalisse 17 e 18, quando tutto questo sistema sarà punito da Dio.

Dio diede a questo sistema religioso rappresentato da Tiatiri, nel corso dei secoli, «perché si ravvedesse». Quanti tentativi di riforma hanno bussato alle sue porte; ma invano! Le prigioni, i roghi in Germania, in Scozia, in Inghilterra, in Francia, in Svizzera, in Spagna e in Italia nei secoli 16° e 17°, l’annullamento delle proteste indirizzate a «Roma» da parte di grandi uomini, attestano che «lei non vuol ravvedersi», come dice il Signore nella lettera.

è molto grave quando l’orecchio si chiude alla Parola di Dio e alla sana dottrina per ascoltare la voce dell’uomo o quella del proprio cuore. Ciò conduce sotto un giogo pesante, all’idolatria e alla perdizione. Com’è dolce e benedetta, invece, la voce dell’Evangelo; ci dà la vita, la gioia; è la voce del Buon Pastore, la voce del Signore Gesù stesso. Essa conduce alla salvezza, alla vera libertà, ci dà la vita eterna.

Tuttavia vi sono sempre stati e vi sono tuttora dei veri credenti anche in Tiatiri. Il Signore li conosce e li ama, ma soffre però nel vederli in tale ambiente. Come sono consolanti le parole che l’apostolo Paolo ha scritto pensando appunto alla grande confusione che sarebbe avvenuta: «Il Signore conosce quelli che sono suoi» (2 Tim. 2:19).

Dopo aver chiaramente descritto il sistema corrotto della chiesa di Tiatiri e le malefiche opere di Iezabel, il Signore si volge al residuo fedele che si trova nel sistema, che non ha visto il male e soprattutto non ha saputo distinguere l’origine satanica di molte cose. Egli scrive loro: «Ma agli altri di voi, in Tiatiri, che non professate tale dottrina e non avete conosciuto le profondità di Satana (come le chiamano loro), io dico: Non vi impongo altro peso. Soltanto, quello che avete, tenetelo fermamente finché io venga» (vers. 24-25).

Nel mezzo di Tiatiri (colei che offre incenso, che con la venerazione dei santi e delle reliquie, le sue cerimonie esteriori, i sacrifici per le messe, le immagini e il culto di Maria, non lascia alla Persona del Signore e al suo sacrificio perfetto il posto e l’onore dovuto) Dio ha una schiera di veri credenti che nella loro semplicità non hanno conosciuto e non conoscono le profondità di Satana. Essi possiedono il Salvatore, conoscono la sua opera redentrice e non desiderano, né comprendono, né sanno di più. Cercano, e con ragione, nel Cristo crocifisso ciò che la loro coscienza e il loro cuore desiderano: perdono dei peccati, misericordia e consolazione per il cammino attraverso questo mondo arido e malvagio. A tali credenti il Signore non impone altro peso: sono già abbastanza aggravati. Ma manca spesso loro la pace di Dio e la certezza della salvezza che l’Evangelo dà ad ogni credente, perché non conoscono abbastanza le Scritture.

Dalle parole del Signore «agli altri» possiamo ricavare due insegnamenti per noi. Prima di tutto il Signore non riconosce più tutta la chiesa come sua testimone, ma solamente un residuo, una parte di essa. In secondo luogo vediamo che Tiatiri rimarrà, quale sistema religioso, a fianco di Sardi, Filadelfia e Laodicea, fino alla venuta del Signore. Infatti, il Signore dice: «Quello che avete, tenetelo fermamente finché io venga» (vers. 25). Il giudizio completo di Tiatiri e di tutte le false chiese che con lei formeranno una grande religione ecumenica ci è descritto verso la fine del libro, nei capitoli 17 e 18 ove assistiamo al giudizio di «Babilonia la Grande», giudizio che avrà luogo soltanto quando il male sarà giunto al massimo. Come già abbiamo visto, Tiatiri «non vuol ravvedersi», anzi continua ad inoltrarsi nel male finché Cristo verrà per giudicarla.

è notevole vedere che nella lettera a Tiatiri, come nelle tre seguenti, le parole «chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese», non precedono la ricompensa, la promessa al vincitore, ma si trovano in fondo alla lettera (confrontare 2:7,11,17 con 2:29 e 3:6,13). Anche questo ci dimostra che il Signore non spera più, dalla chiesa come insieme, un ritorno alla fedeltà, una restaurazione, e perciò si rivolge solo più a dei singoli. Fin qui la promessa era a «chi vince», o a «chi ha orecchi» in rapporto con la testimonianza di tutta la Chiesa; ora invece s’indirizza agli individui.

Il Signore dice dunque a «chi vince» in Tiatiri: «Quello che avete, tenetelo fermamente finché io venga». Se il lettore ha notato ciò che abbiamo detto a proposito della semplicità di certe persone, comprenderà facilmente l’esortazione del Signore. Costoro possiedono qualcosa che vale la pena tenere fermamente. Essi ritengono le dottrine fondamentali della Parola di Dio, mentre milioni di protestanti, condotti da pastori moderni, liberali, negano la divinità, la morte e la resurrezione di Cristo, come pure la totale ispirazione delle Sacre Scritture! Com’è consolante per «chi vince» udire che Colui che ha dato Se stesso per salvarlo, e che egli ama, ritornerà!

Il Signore continua dicendo: «A chi vince e persevera nelle mie opere sino alla fine». Egli dà al vincitore Se stesso come modello da imitare. Il Signore Gesù Cristo non manifestò mai la propria potenza e non fece mai, in questo mondo caduto nel peccato, delle opere per attirarsi la simpatia e il rispetto degli uomini. No, Gesù fece soltanto ciò che il Padre gli aveva dato da fare. Non cercò mai la propria gloria, ma in ogni sua opera glorificò il Padre. Colui che vince è dunque esortato ad essere simile a Lui in quel che riguarda le opere. Lo imitiamo noi? Dobbiamo perseverare nelle sue opere sino alla fine. Quale contrasto vi è però fra Cristo e Tiatiri, che oggi ancora cerca di regnare in questo mondo e lotta coi re e i principi per il dominio, come già fece apertamente nel Medio Evo.

I veri credenti non hanno la loro parte sulla terra; il loro regno non è di questo mondo. Però, quando Cristo regnerà essi regneranno con Lui, al suo ritorno per giudicare il mondo. I riscattati del Signore avranno un giorno il dominio sulla terra, ma non ora che il Signore è rigettato. Per il presente si tratta di portare il suo obbrobrio; solo più tardi avranno la corona, quando il Signore regnerà come Messia, «Signore dei signori» e «Re dei re». è la promessa a Tiatiri, a chi vince.

Il Signore dice ancora a chi vince: «E gli darò la stella del mattino». Questa è la promessa più preziosa per il cuore che ama il Signore. Con tali parole Egli annunzia il suo ritorno come già abbiamo visto al versetto 25: «Soltanto, quello che avete, tenetelo fermamente finché io venga». Egli stesso è la «lucente stella del mattino», con tutta la sua celeste bellezza. Come tale si presenta al cuore dei suoi, quale speranza durante il loro pellegrinaggio sulla terra. Nello stesso modo si presenta alla sua Sposa, all’insieme dei credenti che, nella notte, si preparano al suo incontro. E la Sposa risponde: «Amen! Vieni, Signor Gesù» (22:15,17,20).

Gesù Cristo, quale «sole di giustizia», apparirà in questo mondo con il furore della sua ira (Malachia 4). Quale «stella del mattino», invece, che appare prima dello spuntar del sole, rapirà in cielo la sua Sposa, la Chiesa, prima dei terribili giudizi che piomberanno sulla terra. Farà parte di questa Sposa anche «chi vince» a Tiatiri, oltre tutti coloro che vengono a Gesù Cristo durante l’attuale tempo della grazia.

è notevole vedere che il Signore esorta, nelle prime tre lettere, al pentimento e al ritorno allo stato primitivo, mentre nella lettera a Tiatiri e nelle seguenti Egli dirige lo sguardo verso il futuro. Non si aspetta più un ritorno, un miglioramento della Chiesa nel suo insieme, ma esorta ed incoraggia quelli che hanno orecchi per udire la sua voce, ponendo dinanzi a loro il suo prossimo ritorno.

04. Capitolo 3

04.1 Lettere alle chiese di Sardi, Filadelfia, Laodicea

04.2 Alla chiesa di Sardi (3:1-6)

«Queste cose dice colui che ha i sette Spiriti di Dio e le sette stelle: Io conosco le tue opere: tu hai fama di vivere ma sei morto. Sii vigilante e rafforza il resto che sta per morire; poiché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio. Ricordati dunque come hai ricevuto e ascoltato la parola, continua a serbarla e ravvediti. Perché, se non sarai vigilante, io verrò come un ladro, e tu non saprai a che ora verrò a sorprenderti. Tuttavia a Sardi ci sono alcuni che non hanno contaminato le loro vesti; essi cammineranno con me in bianche vesti, perché ne sono degni. Chi vince sarà dunque vestito di vesti bianche, ed io non cancellerò il nome suo dal libro della vita, e confesserò il suo nome davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli. Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese» (capitolo 3:1-6).

Con la lettera a Sardi incomincia qualcosa di nuovo. In ebraico il nome Sardi significa: «residuo» o «lo scampato». In questa lettera abbiamo la storia del protestantesimo come ebbe inizio nel 16° secolo. Troviamo qui un nuovo principio, come ce lo dimostra l’intestazione della lettera. Infatti il Signore si presenta a Sardi come al principio della Chiesa: «Queste cose dice Colui che ha i sette Spiriti di Dio e le sette stelle» (3:1 e 2:1).

Il Signore Gesù non «tiene» più le stelle «nella sua destra» come allora; non vi è più una manifestazione di potenza come al principio, ma Egli ha ancora le stelle, è ancora la più alta Autorità nella Chiesa. Per incoraggiare quelli che ascoltano la sua Parola, dice che ha «i sette Spiriti», vale a dire che presso di Lui vi è ancora tutta la pienezza dello Spirito, della grazia e della benedizione. Non c’è dunque motivo di scoraggiarsi, di stancarsi, o di abbandonare la sua testimonianza, poiché chi confida in Lui non sarà mai confuso. Il Signore però deve dire a Sardi, più che alle chiese precedenti, delle parole molto solenni. Dice a Sardi: «Io conosco le tue opere: tu hai fama di vivere ma sei morto». Che terribile sentenza esce dalla bocca del giusto Giudice, il cui occhio è come una fiamma di fuoco, e «che prova i cuori e le reni»! Il suo giudizio è inappellabile, ha valore eterno.

Che opera meravigliosa ha compiuto Dio con la Riforma! Il Signore «che ha i sette Spiriti di Dio e le sette stelle» ha fatto qualcosa di nuovo. Ha ridato al popolo la sua Parola eterna, la Santa Scrittura, che è la fonte della luce e della salvezza. Ha posto nuovamente davanti ai suoi occhi la grazia e la verità che Egli stesso aveva portato a tutti, insegnando che l’uomo non è salvato per mezzo di opere di legge ma solamente per la fede nel perfetto sacrificio di Gesù Cristo al Golgota, che ha valore eterno. Così la Parola di Dio ridivenne la guida della fede e della vita.

Veramente, la Riforma fu un’opera meravigliosa ed ebbe un principio glorioso. Però il seguito non fu come il principio. Se si può dire con certezza che la Riforma fu un’opera di Dio, con altrettanta certezza si può dire che l’attuale protestantesimo [8] è un’opera degli uomini.

Lo Spirito del Signore cominciò l’opera, ma fu la volontà dell’uomo, la carne, a continuarla. Dio fece udire a tutti che l’uomo non è giustificato per mezzo delle opere, ma soltanto per mezzo del sacrificio di Gesù Cristo. Una gran parte del popolo cristiano accettò la «nuova dottrina», come era chiamata allora, ma, ad eccezione di un piccolo numero, per la maggioranza non vi fu un vero ritorno a Dio, non vi fu la vera fede nel Signore Gesù Cristo e per conseguenza neanche la nuova vita. Gran parte dei protestanti rimase senza Spirito né vita.

Príncipi e popoli accettarono una confessione senza vera fede, senza Gesù e senza salvezza. Uscirono, è vero, da «Babilonia», liberandosi dai suoi legami e protestando contro ad essa, ma non penetrarono nella luce e nella vita divina. Il popolo accettò una confessione ortodossa e biblica – «hai fama di vivere» – ma effettivamente era e rimane, nel suo insieme, «morto».

Il Signore non ha da rimproverare Sardi per delle cattive dottrine o per corruzione, cose che la profetessa Iezabel aveva introdotte in Tiatiri, da cui Sardi uscì tramite la Riforma. Però vi mancano la vita e l’energia spirituale. Il Signore, molto afflitto, dice a Sardi: «Io conosco le tue opere: tu hai fama di vivere ma sei morto. Sii vigilante (veglia) e rafforza (o “dà maggior fermezza a”) il resto che sta per morire; poiché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio».

Vi era dunque a Sardi – in contrasto con Tiatiri – una professione ortodossa, cioè biblica, ma mancava alla maggior parte la vita divina che è comunicata dalla forza rigeneratrice della Parola di Dio e dello Spirito Santo. E appunto perché mancava la vita e una fede vivente, comprendiamo facilmente che le opere non siano state trovate «perfette» (o compiute) nel cospetto di Dio. Una professione ortodossa non basta davanti a Dio e non dà nessuna forza. Sardi deve risvegliarsi per dare maggior fermezza al “resto che sta per morire”. Pur essendo caratterizzata dalla morte, la chiesa di Sardi possedeva qualche germe vitale, qualche canale di benedizione ma, mancando la vita e l’energia, questi stavano per morire. Il Signore esorta quindi l’angelo della chiesa di Sardi a fare uno sforzo per mantenere e fortificare la poca vita e la benedizione che rimanevano ancora.

Più avanti leggiamo: «Ricordati dunque come hai ricevuto e ascoltato la parola; continua a serbarla e ravvediti». Con queste parole il Signore ricorda alla chiesa di Sardi il bel principio che Egli stesso aveva operato. Dopo gli anni tenebrosi del Medio Evo, Dio aveva dato, nella sua grazia infinita, un’epoca nuova. Che cosa avevano, per grazia, ricevuto e udito nella chiesa di Sardi? La Parola eterna di Dio, la sua verità. Dovevano dunque ricordarsi di ciò che avevano «ricevuto» e «ascoltato», della grazia di Dio e della Verità, conservarlo e poi ravvedersi. Ha Sardi pensato a questo? Ha serbato le benedizioni, la grazia e la verità di Dio che aveva ricevuto? Si è ravveduta? No. Essa ha mantenuto gli scritti e la confessione dei riformatori, ma questi non sono la vita, anche se a coloro che li hanno accettati danno «la fama (lett. il nome) di vivere».

Oggi in “Sardi” vi sono dei professori nelle università di teologia, dei professori di religione nelle scuole inferiori e purtroppo anche molti predicatori che cercano di smuovere gli scritti dei riformatori. Soltanto pochi conduttori protestanti credono ancora alla totale ispirazione delle Sacre Scritture che, invece, era stata riconosciuta dalla Riforma quale unico fondamento e guida per la fede. Nello stesso tempo molti negano la divinità di Gesù Cristo, il suo sacrificio sulla croce, la sua vittoriosa risurrezione e il suo ritorno per il giudizio. Ben lontani dal pensiero di ravvedersi, si allontanano sempre più dalla Parola di Dio.

Di fronte ad una tale situazione, il Signore dice: «Perché se non sarai vigilante, io verrò come un ladro, e tu non saprai a che ora verrò a sorprenderti».

Nel Nuovo Testamento troviamo sette volte che il Signore verrà come un ladro, cioè nel momento in cui non si aspetta, e nella notte. Ma per i suoi riscattati Egli non vuole venire in tal modo. I suoi aspettano la Stella mattutina; la Sposa desidera ardentemente il ritorno dello Sposo che la introdurrà nella casa del Padre (Giov. 14:3; Apoc. 3:11; 22:20).

Il fatto che il Signore parli a Sardi della sua venuta come quella di un ladro, ci fa pensare che Egli non consideri Sardi nel suo insieme come facente parte della sua Sposa, ma come appartenente al mondo (1 Tess. 5:1-3). Non è forse il mondo che dirige Sardi? Mentre Tiatiri, la chiesa papale, cerca ingiustamente di regnare sul mondo, in Sardi, la chiesa protestante, vediamo il mondo che regna su di lei. Le due situazioni sono sbagliate. Mondo e Chiesa, secondo i pensieri di Dio, sono due cose molto diverse, due concetti opposti, due campi che devono sempre restare nettamente separati. La Chiesa si liberò, è vero, per mezzo della Riforma, da un giogo pesante, ma i príncipi di allora vuotarono i monasteri, s’impadronirono dei tesori ammassati nelle chiese e divennero i signori della chiesa. Chiunque è battezzato ed ha ricevuto la cresima fa parte della chiesa! Della “nuova nascita” e dello Spirito Santo, senza il quale nessuno può far parte della Chiesa, o Sposa di Cristo, non se ne parla affatto.

Anche qui a Sardi vi è un «ma» (o “tuttavia”, com’è tradotto qui): «Tuttavia a Sardi ci sono alcuni che non hanno contaminato le loro vesti; essi cammineranno con me in vesti bianche, perché ne sono degni». La Parola di Dio, che era stata ridata a Sardi, non rimase senza portare frutto. Molte anime furono rigenerate dal «seme incorruttibile» della Parola di Dio (1 Pietro 1:22-23). Ricevettero la vita di Dio e la veste della giustizia divina mediante la fede nel Figlio di Dio e nel suo sacrificio. Tutti costoro non si accontentano più del “nome” o della professione ortodossa. Essi hanno ricevuto la vita di Dio e la sua giustizia in Cristo Gesù e camminano ora con Lui.

Sì, anche in Sardi, che è l’immagine della chiesa protestante, Dio ha delle anime che sono state rigenerate dalla sua Parola e dal suo Spirito. Sono figli di Dio «che non hanno contaminato le loro vesti». Appartengono al Signore Gesù, che li conosce ad uno ad uno, e saranno per sempre con Lui nel cielo. Cammineranno con Lui in vesti bianche, perché ne sono degni. Hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello e hanno attraversato con Lui questo mondo malvagio. Sono veri cristiani, rigenerati, in mezzo ad una professione mondana. Sono disprezzati da coloro che hanno «il nome di vivere» ma son morti, i cui nomi sono scritti nel libro della chiesa ma non nel libro della vita!

«Chi vince – dice il Signore ai suoi in Sardi – sarà dunque vestito di vesti bianche, e io non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma confesserò il suo nome davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli».

Anche se questi credenti hanno dovuto sopportare il disprezzo da parte di una professione mondana, il Signore, alla sua apparizione, li onorerà pubblicamente con l’ornamento della giustizia dei suoi fedeli (19:7-8). I loro nomi sono scritti incancellabili nel «libro della vita» e il Signore li riconoscerà davanti al Padre e ai suoi angeli come figli di Dio, rigenerati per mezzo della sua Parola e suggellati col suo Spirito.

Il Signore dice di coloro che vincono: «Essi cammineranno con me in vesti bianche». Siamo noi dei vincitori? Noi che siamo in mezzo ad una cristianità indifferente e morta, stimiamo noi il Nome del Figlio di Dio, la sua Parola e la sua testimonianza più della sapienza e della gloria degli uomini? «Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese».

04.3 Alla chiesa di Filadelfia

«Queste cose dice il Santo, il Veritiero, colui che ha la chiave di Davide, colui che apre e nessuno chiude, che chiude e nessuno apre: Io conosco le tue opere. Ecco, ti ho posto davanti una porta aperta, che nessuno può chiudere, perché, pur avendo poca forza, hai serbato la mia parola e non hai rinnegato il mio nome. Ecco, ti do alcuni della sinagoga di Satana, i quali dicono di essere Giudei e non lo sono, ma mentono; ecco, io li farò venire a prostrarsi ai tuoi piedi, per riconoscere che io ti ho amato. Siccome hai osservato la mia esortazione alla costanza, anch’io ti preserverò dall’ora della tentazione che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra. Io vengo presto; tieni fermamente quello che hai, perché nessuno ti tolga la tua corona.

Chi vince io lo porrò come colonna nel tempio del mio Dio, ed egli non ne uscirà mai più; scriverò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, e della nuova Gerusalemme che scende dal cielo da presso il mio Dio, e il mio nuovo nome.

Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese» (3:7-13).

Le sette lettere ci danno, nel loro insieme, un’immagine profetica della storia della Chiesa dal principio sino alla fine. Se le consideriamo ora nel loro ordine, troviamo: in Efeso, il principio del declino della Chiesa; in Smirne, la grande persecuzione che seguì, molto salutare per la vita spirituale della Chiesa; in Pergamo, l’unione della Chiesa con il mondo, o la mondanità nella Chiesa; in Tiatiri, corruzione e gerarchia (signoria dei sacerdoti); in Sardi, nonostante le benedizioni ricevute dalla Riforma, a parte un piccolo numero, vediamo ortodossia morta (credenza esteriore) e un’apparenza di vita.

In Filadelfia troviamo i credenti della fine, coloro che, in mezzo all’iniquità crescente della cristianità professante e poco prima del suo declino totale, trovano il loro rifugio nella Persona e nella Parola del Signore Gesù, il Figlio di Dio, e gli sono fedeli pur avendo poca forza. è l’ultimo chiaro splendore della testimonianza del Signore nella cristianità professante, prima che il Signore venga a rapire la sua Chiesa (l’insieme dei veri credenti sulla terra) come rapì il vivente Enoc nel cielo prima del diluvio. Dopo il rapimento della sua Chiesa, ossia l’introduzione nel cielo delle vergini avvedute (Matt. 25:10; 1 Tess. 4:17 e 1 Cor. 15:51-52), il Signore ci separerà completamente dalla tiepida e morta cristianità. Egli la «vomiterà dalla sua bocca», come ci è detto nell’ultima lettera, quella a Laodicea.

Filadelfia, il cui nome significa «amore fraterno», era una chiesa nell’Asia Minore, precisamente nella regione di Lidia, a sud di Sardi. La città era stata fondata nell’anno 154 a. C. dal re di Pergamo Attalo Filadelfo, dal quale ricevette il nome. Fu danneggiata da diversi terremoti, e al tempo degli apostoli era una delle più piccole e povere città dell’Impero Romano. Il Signore glorioso vi aveva però una piccola chiesa di credenti rimasti fedeli a Lui e alla sua Parola. Com’è meraviglioso vedere la sollecitudine del Signore per preservarla dal giudizio perché essa ha serbato la sua parola e non ha rinnegato il suo nome (vers. 8)!

La piccola città di Filadelfia esiste tuttora, mentre le altre città dell’Asia Minore furono distrutte e di esse non rimane che un cumulo di rovine. Essa fu trattata con grazia quando i Mongoli e i Turchi invasero il paese e devastarono ogni cosa. Non sappiamo quanti veri credenti vi siano. La città porta oggi il nome turco di Allahsher, cioè «città di Dio».

Il Signore si presenta alla chiesa di Filadelfia, come in tutte le altre lettere; con un carattere che corrisponde alla condizione di questa chiesa. Egli si nomina «il Santo e il Veritiero». Questo non è un titolo ufficiale del Signore, bensì la definizione della gloria e dell’eccellenza della sua Persona. In ogni tempo il Signore si è manifestato tale: Egli è santo, veritiero e fedele: il Santo e il Veritiero che desidera santità e verità in coloro che gli appartengono. Santità e verità devono caratterizzare il loro cammino e la loro testimonianza ed essere la loro guida. Queste parole ci ricordano la preghiera del Signore Gesù al Padre per i suoi: «Padre santo, conservali nel tuo nome… santificali nella verità; la tua Parola è verità» (Giov. 17:11,17). I credenti, personalmente e insieme, devono riconoscere e onorare il Signore Gesù, loro Salvatore e Signore, come «il Santo e il Veritiero», e trovare in Lui, in mezzo al declino e all’indifferenza della cristianità, forza e costanza per il loro cuore, e prezioso ristoro.

Contemporaneamente al piccolo residuo di credenti di Filadelfia in mezzo al quale devono trovarsi la santità, la verità e, come il nome lo indica, l’amore fraterno, esistono ancora Pergamo, cioè la chiesa ortodossa, Tiatiri, la potente chiesa di Roma, e Sardi che rappresenta le chiese protestanti, per la maggior parte senza vita. Filadelfia non deve aspettarsi di essere riconosciuta da queste. Se dipendesse soltanto dai due primi sistemi religiosi, Filadelfia, che si raduna fraternamente attorno al Signore e Salvatore Gesù Cristo, sarebbe ben presto soffocata, e le innumerevoli denominazioni di credenti che si sono formate da molti decenni non esisterebbero più. Ma il Signore Gesù ci dice: «Queste cose dice il Santo, il Veritiero, colui che ha la chiave di Davide, colui che apre e nessuno chiude, che chiude e nessuno apre». E ancora: «Ecco, ti ho posto davanti una porta aperta, che nessuno può chiudere». Che cosa significa ciò? Mentre Sardi, che si formò dopo i secoli oscuri del Medioevo, scelse lo Stato come autorità della Chiesa, credendo di assicurare così la propria esistenza, vediamo qui che il Signore pone davanti al debole residuo di Filadelfia una porta aperta: Egli stesso è la sua protezione. Ma la porta aperta impegna anche i credenti a diffondere l’Evangelo.

In mezzo al declino della cristianità professante, il Signore si è ancora formato in Filadelfia una testimonianza, prima del suo ritorno. E questa testimonianza è che i suoi apprezzano la sua Persona, Lui stesso, il Santo e il Veritiero, gioiscono e rispondono al suo affetto, e annunziano la sua grazia mentre aspettano il suo ritorno.

Il Signore vuol possedere il nostro cuore! Non basta portare il suo Nome o avere una professione ortodossa e giusta, possedere quindi il nome di vivere pur essendo morti. Se il Signore di gloria è il centro e l’attrazione del nostro cuore, vi sarà anche una testimonianza resa per Lui in questo mondo che lo ha rigettato e lo sprezza tuttora. Inoltre, non avremo bisogno di cercare aiuto nel mondo, tra gli uomini; Cristo è il nostro rifugio ed è «colui che ha la chiave di Davide, che apre e nessuno chiude». Nella sua grande conoscenza, il Signore dirige ogni cosa, anche se apparentemente lascia il mondo a se stesso, e veglia affinché vi sia sempre una testimonianza resa al Suo nome in questo mondo che si è dichiarato nemico di Dio. è il Signore che tiene nella sua mano ogni cosa, ed è anche Lui che aprì la via del trono a Davide, quando Israele era in rovina e in rivolta contro a Lui.

Riferendoci ad Isaia 22:22, in rapporto con la chiave di Davide, vediamo che essa è simbolo del governo e dell’autorità che sono nelle mani del Signore. Quando Egli era Uomo sulla terra, in mezzo all’infedeltà d’Israele e al sistema giudaico, Dio, «il Portinaio» (Giov. 10:3), gli aprì la porta e nessuno poté chiuderla; né Erode («la volpe»), né gli scribi, né alcun altro nemico.

Quale incoraggiamento è il fatto di avere una porta aperta e che rimane aperta! Il carattere del mondo e dei tempi può essere avverso, lo spirito del declino e dell’anticristo può acquistare sempre più potenza, ma la porta rimarrà aperta sino alla sua venuta.

Il Signore non pretende che ci impegniamo a forzare delle porte chiuse; non è necessario, poiché sono già aperte; d’altra parte non ne saremmo capaci, con la «poca forza» che abbiamo. Gli apostoli Paolo e Pietro e i primi credenti, come anche Martin Lutero e altri riformatori, avevano più forza di quanta ne abbiamo noi oggi. è molto importante adoperare questa «poca forza» per Lui e sino alla fine, non lasciandoci trascinare dall’indifferenza o dalla mondanità o dalla mancanza di amore per Lui e per la sua Parola, poiché perderemmo il carattere, la posizione e la testimonianza degli ultimi tempi.

Se il Signore dice a Filadelfia: «Io conosco le tue opere», è come approvazione. Esse non sfuggono al suo sguardo e sono preziose per il suo cuore. Il mondo, sia religioso che ateo, non vi bada, anzi le disconosce e le giudica. Anche Geremia era debole e disprezzato in mezzo alla disubbidienza e al declino dell’infedele popolo d’Israele. Il Signore però conosceva le sue opere e la sua testimonianza, e lo incoraggiava dicendo: «Se tu separi ciò che è prezioso da ciò che è vile, tu sarai come la mia bocca; ritorneranno essi a te, ma tu non tornerai a loro. Io ti farò essere per questo popolo un forte muro di bronzo» (Geremia 15:19-20). Il residuo che il Signore, nella sua grazia, fece ritornare dalla cattività di Babilonia era, se pur debole, una testimonianza per Dio. Le mura che questo piccolo residuo ricostruiva attorno a Gerusalemme, la città santa, erano un soggetto di derisione da parte dei nemici, ma erano un’opera compiuta con la forza di Dio e quindi gradita a Lui.

Sono ormai finiti i giorni di grande forza, della prima energia della Chiesa alla Pentecoste. L’occhio del Signore però è sempre, anche nei giorni del declino e di poca forza, rivolto sui suoi e ricerca in loro amore e fedeltà. Dove si trovano queste cose vi è anche ubbidienza e di conseguenza benedizione.

Il Signore scrive ancora a Filadelfia: «Hai serbato la mia Parola e non hai rinnegato il mio nome». Qualcuno potrebbe pensare che ciò che il Signore apprezza in quei credenti non sia niente di straordinario o di grande testimonianza. Ma è molto di più che se il Signore avesse scritto: Hai dei grandi doni in mezzo a te, dei grandi miracoli e segni, e hai molto successo.

Filadelfia, come abbiamo detto, è profeticamente la testimonianza del Signore negli ultimi tempi, in mezzo al declino della cristianità e poco prima del suo ritorno. Il Signore stesso, per la prima volta in questa lettera, dice: «Io vengo presto».[9]

Che cosa caratterizza il tempo attuale, prima della venuta di Cristo? Ecco quel che profetizza l’apostolo Paolo a questo riguardo: «Negli ultimi giorni verranno tempi difficili… gli uomini saranno egoisti… aventi l’apparenza della pietà, mentre ne hanno rinnegato la potenza… i malvagi e gl’impostori andranno di male in peggio, ingannando gli altri ed essendo ingannati» (2 Tim. 3). Non vediamo forse oggi tutto questo? La cristianità è costituita in gran parte di semplici professanti, spiritualmente morti, che hanno solamente la forma della pietà senza vita divina e perciò senza la potenza della pietà che vince il mondo.

Il tempo attuale è anche caratterizzato dalle false dottrine, come scrisse l’apostolo Paolo nel passo riportato più su. «I malvagi e gli impostori andranno di male in peggio, ingannando gli altri ed essendo ingannati». Dove si trova rifugio e riparo contro la morte spirituale, il formalismo e le innumerevoli false dottrine? Nella stima e nella valutazione della Persona del Signore Gesù e nell’attenerci saldamente alla sua Parola. Per questo l’apostolo Paolo, scrivendo dei «tempi difficili» in cui viviamo, dice a Timoteo: «Tu, invece, persevera nelle cose che hai imparate, sapendo che fin da bambino hai avuto conoscenza delle Sacre Scritture, le quali possono darti la sapienza che conduce alla salvezza mediante la fede in Cristo Gesù. Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo, e ben preparato per ogni opera buona» (2 Tim. 3:14-17).

Lo stesso scrisse anche l’apostolo Giuda nella sua epistola profetica, parlando dei tempi della fine ed esortando a combattere «per la fede che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre», cioè combattere per la pura dottrina che i primi credenti ricevettero da Dio e serbarono. La Parola di Dio è la difesa e l’arma che dobbiamo adoperare nella lotta per la verità; la Parola di Dio è, nello stesso tempo, «la verità» (Giov. 17:17). Più avanti nell’epistola di Giuda troviamo la seguente esortazione: «Edificando voi stessi nella vostra santissima fede»! Anche qui ci troviamo ricondotti alla Parola di Dio. La Parola, la Bibbia, è per noi, in questi tempi difficili, la spada e la cazzuola. Con la spada dobbiamo «combattere» e con la cazzuola dobbiamo «edificare» (Giuda 3,20). Entrambe sono necessarie a tutti i credenti che vogliono rendere testimonianza al Signore nei giorni del declino. Come vediamo al tempo di Neemia, quando il residuo fedele, ritornato dall’esilio di Babilonia nella terra dei padri, teneva in una mano la spada per difendersi dagli attacchi del nemico e nell’altra il martello e la cazzuola per costruire (Neemia 4:10-12).

Beato quel credente, e beato quel gruppo di credenti, al quale il Figlio di Dio, che cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro e che esamina ogni cosa, può dire in questi tempi di declino e prossimi alla decadenza completa: «Hai serbato la mia Parola»!

È dunque di importanza capitale che il credente si sottometta completamente alla Parola di Dio. Ai giorni nostri, da una parte regna la superstizione, come nella chiesa di Roma dove le tradizioni umane hanno sopraffatto il semplice Evangelo che porta la salvezza e sono riuscite a far tacere praticamente la Bibbia; d’altra parte incontriamo un’incredulità sfrontata, anche in molte chiese protestanti, dove professori di teologia, valendosi della loro autorità, negano alla Parola di Dio la sua autorità divina, davanti al loro uditorio. Povera teologia, e povera cristianità che ascolta simili dottori!

Oltre alla superstizione e all’incredulità, le false dottrine si fanno sempre più numerose e prendono sempre più campo: le false dottrine dei Mormoni, dei seguaci di Irving, in modo particolare quelli del nuovo ordine, degli Auroristi, dei Testimoni di Geova, della “Nuova Era” (più conosciuta come New Age) ed altre ancora, che feriscono e avvelenano mortalmente migliaia di anime. Non è dunque poca cosa che il Signore dica ai suoi, i quali fondano ancora la loro salvezza unicamente sulla Sacra Scrittura, che è per loro la più alta autorità in ciò che riguarda la fede: «Hai serbato la mia Parola»!

Quanto è necessario leggere e meditare ogni giorno la Parola di Dio, non solo per ciò che riguarda la salvezza e la redenzione, ma anche per quel che riguarda il cammino quaggiù, per trovare in essa le direttive necessarie in ogni circostanza, sia terrena che spirituale. Il cristiano che in ogni circostanza si chiede: Che cosa dice la Parola di Dio? Che cosa dice il mio Signore e Salvatore? può rendere buona testimonianza. Dobbiamo quindi regolare i nostri passi secondo quel che il Signore dice nella sua Parola, anche se gli altri si basano sull’intelligenza umana, su sistemi o forme religiose.

La conoscenza della verità divina e la separazione dal mondo e dalla sua religione, possono diventare rapidamente una forma senza forza, appena il cuore diventa indifferente e il cammino mondano. Si crede di possedere più beni spirituali di altri e si diventa miopi verso se stessi e orgogliosi nel giudicare altri cristiani che hanno forse meno luce e meno conoscenza, ma mostrano più fedeltà nel loro cammino, più dedizione al Signore e più amore verso i perduti. Dobbiamo considerare che si fa parte di Filadelfia soltanto se i pensieri e il cammino pratico corrispondono alle qualità che il Signore approva e riconosce!

Il Signore dice anche a Filadelfia: «Non hai rinnegato il mio nome», vale a dire: Non mi hai rinnegato in un mondo che ha odiato e rigettato me, il Figlio di Dio; mi hai accettato per la fede come tuo Salvatore, e onorato come Signore, in questo mondo nemico, e ti sono bastato.

Com’è prezioso il nome di Gesù! Quale pienezza abita in Lui! Chi lo invoca sarà salvato. Per la fede nel suo Nome, l’anima riceve perdono, pace e vita eterna, e nel suo Nome può vincere ogni nemico ed evitare ogni pericolo. Che il Nome di Gesù ci sia prezioso più d’ogni altro nome. Si incontrano delle persone orgogliose di appartenere a tale o tal’altra chiesa; ma possono per questo essere salvate? No, certamente. Esse s’ingannano se il Signore Gesù non è il loro sostegno e la loro salvezza, la loro consolazione e la loro parte, la loro forza e il loro rifugio per il tempo presente e per l’eternità.

Per questo Filadelfia è una fedele testimone di Dio nel mondo e ha l’approvazione del Signore, in mezzo al declino della cristianità professante, perché Egli può dire: «Hai serbato la mia parola e non hai rinnegato il mio nome».

Per Dio, il restare saldamente attaccati alla Persona del Signore Gesù ha un grande valore. Nessun cristiano d’oggi può dire di appartenere praticamente a Filadelfia, cioè alla testimonianza del Signore nel tempo del declino, se il Signore non può rendere questo elogio a suo riguardo. Egli vuole della realtà pratica. Soltanto una dedizione completa del cuore e della vita al Signore può accontentare il suo cuore pieno d’amore. Lo constatiamo nella prima lettera dove il Signore, afflitto, dice: «Hai abbandonato il tuo primo amore». Se il nostro cuore batte unicamente per Lui, la nostra vita quaggiù corrisponderà in verità e in fatti alla sua santa Parola. L’ubbidienza ad essa e ai suoi comandamenti caratterizzerà il nostro cammino sino alla fine. Il Signore promette ad una tale fedeltà una grande ricompensa.

Quelli della sinagoga di Satana, che dicono di essere Giudei ma non lo sono, dovranno prostrarsi e riconoscere quanto Filadelfia è stata preziosa al cuore del Signore. Sardi, che ha il nome di vivere ma è morta, possiede, come Tiatiri, nella sua forma e nella sua organizzazione, delle ombre del giudaismo, però non sono Giudei.[10] Essi dovranno un giorno riconoscere, a loro vergogna, quanto il Signore ha amato quel piccolo gregge di credenti fedeli, che loro hanno maltrattato e sprezzato: «Li farò venire a prostrarsi ai tuoi piedi, per riconoscere che io ti ho amato».

Ma il Signore ha ancora una ricompensa più grande; Egli continua dicendo: «Siccome hai osservato la mia esortazione alla costanza, anch’io ti preserverò dall’ora della tentazione che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra».

Quando il Signore era quaggiù, manifestò molta pazienza in mezzo alla contraddizione dei peccatori. Oggi ancora è paziente, durante il tempo in cui è rigettato da Israele e dal mondo, in attesa che Dio gli dia il regno sulla terra e raccolga presso di sé la Chiesa, l’insieme di tutti i credenti. I cristiani fedeli di ogni popolo della terra aspettano con Gesù il momento della realizzazione dell’unione di Cristo ai suoi, e guardano desiderosi verso Lui, lo Sposo. Essi gli rispondono: «Amen! Vieni, Signore Gesù!». E poiché essi sono così legati a Lui, Egli promette loro di «guardarli dall’ora della tentazione (o della prova)», vale a dire che li rapirà a sé prima dei tempi difficili dell’Anticristo che precederanno il regno di Cristo. Solo in questo modo può «guardarli», poiché «l’ora della tentazione sta per venire sul mondo intero». Il Signore non dice che li proteggerà nell’ora della prova, ma che li guarderà «dall’ora», cioè li metterà al sicuro prima che quell’ora incominci.

I profeti parlarono sovente delle sofferenze del «giorno dell’Eterno»[11] e anche gli scrittori del Nuovo Testamento.[12] Il Signore Gesù però, come abbiamo udito, guarderà i suoi che hanno serbato la sua Parola, da quel tempo terribile, cioè li rapirà presso di sé, come rapì Enoc prima del diluvio (Gen. 5:24; Ebrei 11:5). Anche a noi il Signore ha promesso: «Tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io siate anche voi» (Giov. 14:3). Che preziosa promessa! Il Signore è vicino. Egli dice ai suoi, particolarmente in questi ultimi tempi: «Io vengo presto, tieni fermamente quello che hai, affinché nessuno ti tolga la tua corona!». Quale incoraggiamento e nello stesso tempo quale avvertimento contro i pericoli e il nemico! Questi sa benissimo che non può rapirci dalla mano del Signore, il buon Pastore. Egli può privarci di forza e di benedizione per un certo tempo, di certi privilegi anche durante tutto il tempo della nostra vita terrena. Può pure toglierci la corona che dovrebbe essere il nostro ornamento, e la nostra ricompensa nella gloria. Ci rendiamo conto di questo? Il Signore ci ha dato molta luce sulla sua grazia e molta conoscenza della Parola. Adoperiamo noi questa luce come lampada per il nostro sentiero? Mettiamo noi in pratica la conoscenza della volontà di Dio? Solo in questo modo potremo «tenere fermamente quello che abbiamo», e il Signore potrà concederci una grazia maggiore e una più ampia conoscenza. «Badate dunque come ascoltate, perché “a chi ha” (cioè a chi riceve nel suo cuore ciò che ode e lo mette in pratica nel suo cammino) sarà dato; ma a chi non ha anche quel che pensa di avere gli sarà tolto» (Luca 8:18).

Il Signore non fa nessun rimprovero a Filadelfia, ma avverte: «Tieni fermamente quello che hai». Poiché «a chi molto è stato dato, molto sarà  richiesto» (Luca 12:48). Perciò «chi pensa di star in piedi, guardi di non cadere» (1 Cor. 10:12).

Così vediamo che, benché il Signore possa anzitutto riconoscere e lodare lo stato di Filadelfia, anche qui vi è la possibilità di deperimento spirituale. Per questo il Signore, alla fine della lettera, come fa anche nelle altre lettere, si rivolge ad ognuno in particolare dicendo: «Chi vince io lo porrò come colonna nel tempio del mio Dio, ed egli non ne uscirà mai più; scriverò su di lui il nome del mio Dio, e il nome della città del mio Dio, e della nuova Gerusalemme che scende dal cielo da presso il mio Dio, e il mio nuovo nome».

I credenti che in mezzo ai professanti senza vita rimangono fedeli alla Parola di Dio e attaccati al Nome di Gesù, sono agli occhi del mondo deboli e disprezzati. Il Signore però conosce le loro opere e vuol fare di loro nel futuro, quale ricompensa per la loro fedeltà sulla terra, una colonna nel tempio di Dio. La colonna è la figura della forza ed era il sostegno del tempio. Inoltre, il Signore scriverà su questi fedeli tre nomi: il nome del suo Dio, il nome della città del suo Dio, cioè della nuova Gerusalemme, e il suo nuovo nome. Essi sono il nome del Padre, il nome della Sposa e il nome dello Sposo, che la sposa riceve dal Padre.

Di fronte alla ricompensa che il Signore ci pone dinanzi, e pensando all’affetto che essa ci dimostra, dovremmo applicarci a non aver ricevuto la grazia di Dio invano, ma a camminare invece in modo che Egli possa ricompensare la nostra fedeltà per la gioia del suo cuore e alla lode della sua grazia.

Qualcuno potrebbe chiedere: Dove posso in questi tempi trovare Filadelfia? Dobbiamo rispondere che Filadelfia non è formata da questa o quella comunità di credenti. è una cosa personale; quali rapporti ha il nostro cuore col Signore, e quale posizione rispetto a Lui e alla sua Parola? Tuttavia i credenti che vivono strettamente legati al loro Salvatore e Signore e mantengono fedelmente la sua Parola si raduneranno assieme (2 Tim. 2:22) e cercheranno di «conservare l’unità dello Spirito col vincolo della pace» (Ef. 4:3). Però la posizione del cuore rispetto a Lui e alla sua Parola è la cosa più importante. Perciò il Signore richiama anche quelli che sono fedeli alla sua Parola dicendo: «Tieni fermamente quello che hai, perché nessuno ti tolga la tua corona»!

04.4 Alla chiesa di Laodicea (3:14-22)

«All’angelo della Chiesa di Laodicea scrivi: Queste cose dice l’Amen, il testimone fedele e veritiero, il principio della creazione di Dio: Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente. Oh, fossi tu pur freddo o fervente! Così, perché sei tiepido, e non sei né freddo né fervente, io ti vomiterò dalla mia bocca. Tu dici: “Sono ricco, mi sono arricchito, e non ho bisogno di niente!”. Tu non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo. Perciò io ti consiglio di comperare da me dell’oro purificato dal fuoco, per arricchirti; e delle vesti bianche, per vestirti e perché non appaia la vergogna della tua nudità; e del collirio per ungerti gli occhi, e vedere. Tutti quelli che amo, io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti. Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me.

 Chi vince lo farò sedere presso di me sul mio trono, come anch’io ho vinto e mi sono seduto con il Padre mio sul suo trono. Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese» (3:14-22).

Giungiamo ora all’ultima delle sette chiese di Apocalisse, le quali avrebbero dovuto splendere sulla terra, come splendeva il candelabro a sette lampade nel luogo santo in Gerusalemme, con una luce perfetta, e rendere testimonianza a Dio. Le sette chiese formano un’unità; rappresentano, come già abbiamo detto a più riprese, la chiesa cristiana nella sua responsabilità e nella sua storia, dai giorni degli apostoli sino a che sarà completamente tiepida e senza forza alcuna, cioè fino al giorno in cui Cristo, suo Signore e Capo, la ripudierà definitivamente. Questo stato di cose lo troviamo nella lettera a Laodicea, dopo aver considerato in Filadelfia l’ultimo raggio di testimonianza per il Signore Gesù.

Anche Laodicea era situata nell’Asia Minore, a sud-est di Filadelfia e vicino a Colosse. Il suo nome deriva da Laodice, la terribile moglie di Antioco II, re di Siria del quale è fatta menzione in Daniele 11:10-19. Era una grandissima città, le cui ricchezze ci sono descritte dallo storico romano Tacito. Fu però distrutta completamente, come la città di Efeso, dal brutale esercito di Tamerlano, conquistatore tartaro, nell’anno 1402. Il suo luogo è oggi un cumulo di macerie, chiamato Eski-Hissar, dal nome di una rovina; un vecchio castello è tutto quel che rimane della fiorente città di un tempo.

Il nome Laodicea significa «giusto per il popolo», cioè adatta al popolo, come piace al popolo. Come per le altre chiese dell’Asia Minore, il suo nome definisce lo stato di cose in Laodicea. è la chiesa futura come il mondo la desidera, come piace agli inconvertiti, che non si lasciano dirigere e giudicare dalla Parola di Dio e dal suo Spirito, una chiesa dunque che è «giusta per il popolo». L’Evangelo che ci narra le opere di Dio, la missione del Figlio di Dio nel mondo per cercare e salvare ciò che è perduto, i miracoli del Signore Gesù Cristo, il suo sacrificio alla croce, la sua risurrezione dai morti, la sua vittoria su Satana, sul mondo, sul peccato e sulla morte, il suo ritorno, tutto ciò è considerato antiquato ed è abbandonato da tempo. Tutte queste verità sono messe da parte nella chiesa futura, che già si delinea ai nostri occhi; più nessuno se ne interessa.

I titoli che il Signore Gesù Cristo si attribuisce al principio di ogni lettera definiscono lo stato interiore che il Signore vorrebbe che la chiesa avesse. Egli si presenta qui come «l’Amen, il testimone fedele e veritiero, il principio della creazione di Dio» (vers. 14). In primo luogo si presenta come «l’Amen»[13], cioè il compitore di tutte le promesse di Dio. Gesù Cristo è il grande «Amen» di tutto quel che Dio ci ha promesso e ci vuol dare. Tutte le promesse hanno in Lui il loro «sì»; «perciò pure per mezzo di lui noi pronunciamo l’Amen alla gloria di Dio» (2 Cor. 1:20). Anche la Chiesa di Cristo avrebbe dovuto essere l’Amen dei pensieri e dei piani di Dio. Essa però non si è comportata in modo da corrispondere alla sua chiamata celeste; non è stata l’Amen dei disegni divini. Le sono mancati il vero amore e la purezza nel cammino.

Il Signore si nomina ancora: «Il testimone fedele e veritiero». Ciò che la Chiesa avrebbe dovuto essere per Dio, ma che purtroppo non è stata, come ce lo dice la sua storia, lo fu il Signore Gesù in perfezione: «Il testimone fedele e veritiero».

Il terzo titolo del Signore è: «Il principio della creazione di Dio». Egli è il capo di ogni cosa, come anche l’espressione e il testimone di ciò che la Chiesa di Cristo, quale «nuova creazione», avrebbe dovuto essere.

In 2 Cor. 5:17 leggiamo: «Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura». I veri credenti nati di nuovo sono «le primizie delle sue creature» (Giac. 1:18), e sono resi capaci, quali testimoni, a dimostrarlo con il loro comportamento quaggiù. Come si manifesta questa nuova creazione? Qual è il frutto dello Spirito di Dio? Dio ce lo dice: «Amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo» (Gal. 5:22). Ha forse la cristianità professante manifestato questi attributi, queste virtù della nuova creazione per lo Spirito di Dio, in mezzo ad un mondo tenebroso e nemico di Dio? No! Appena la chiesa è stata edificata in tutta la sua bellezza, il nemico è venuto e ha seminato, mentre gli uomini dormivano, la zizzania in mezzo al frumento. Con l’andar del tempo, la cristianità si è trasformata in un insieme di uomini che, per la maggior parte, non sono convertiti. Hanno ricevuto col battesimo il nome di cristiani, ma non posseggono la nuova vita di Dio. La Parola dice di costoro: «Aventi l’apparenza della pietà, mentre ne hanno rinnegato la potenza» (2 Tim. 3:5), la potenza che vince il peccato, il mondo e Satana.

Quant’è solenne per i cristiani professanti la parola del Signore: «Oh, fossi tu pur freddo o fervente!». Queste parole sono indirizzate anche a noi. Colui che è nato dalla Parola e dallo Spirito di Dio esamini se stesso: il mio cuore batte con fervore e fedelmente per il mio Signore e Salvatore? Lo seguo e lo servo io veramente con un cuore intiero? Cerco di essergli grato? Facilmente può scoraggiarsi anche il vero credente. Può essere «miope», «ozioso» e «sterile» (2 Pietro 1:5-10). Per questo lo Spirito di Dio, che conosce il pericolo per tutti i credenti di diventare tiepidi, esorta: «Risvegliati, o tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo t’inonderà di luce» (Ef. 5:14). Nel suo amore, Egli riempirà nuovamente il tuo cuore di gioia e di forza, onde tu possa vivere per Lui che per te è morto.

In verità, le parole che il Signore indirizzava a Laodicea, la rappresentante della chiesa professante nell’ultima fase del declino, sono molto solenni. Egli dice: «Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente io ti vomiterò dalla mia bocca». Egli annuncia così il suo distacco definitivo dalla chiesa professante. Già negli Evangeli il Signore ha detto: «Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido… non è più buono a nulla se non ad essere gettato via e calpestato dagli uomini». Un tempo questo sale era il popolo d’Israele, ma divenne insipido e per questo oggi ancora è rigettato. Al posto di Israele è sorta la Chiesa quale testimone di Dio sulla terra. Ma quella parte di essa, la cristianità professante, che è tiepida, senza vita e senza alcuna forza spirituale, sarà «vomitata» dalla bocca del Signore, dopo che la vera Chiesa sarà entrata nella gloria del cielo.

L’apostolo Paolo, in Romani 11, ci parla del giudizio d’Israele e della chiesa nella parabola dell’ulivo. Qui leggiamo l’esortazione che rivolge alla cristianità: «Non insuperbirti, ma temi. Perché se Dio non ha risparmiato i rami naturali (Israele), non risparmierà neppure te. Considera dunque la bontà e la severità di Dio: la severità verso quelli che sono caduti (Israele); ma verso di te la bontà di Dio, purché tu perseveri nella sua bontà; altrimenti, anche tu sarai reciso. Allo stesso modo anche quelli (Israele), se non perseverano nella loro incredulità, saranno innestati (sull’ulivo delle benedizioni e della testimonianza di Dio); perché Dio ha la potenza di innestarli di nuovo».

Infatti è ciò che avverrà; la cristianità non è rimasta nella comunione di Dio, nelle benedizioni e nella verità; sarà «recisa» dall’albero della testimonianza di Dio sulla terra. Essa sarà, come è detto nell’Evangelo, «gettata via» come il «sale» diventato «insipido» e, poiché «tiepida», sarà «vomitata» dalla bocca di Cristo.

Evidentemente non si tratta qui di veri credenti. Quest’ultimi, infatti, membra del corpo di Cristo, saranno rapiti nel cielo prima del giudizio; ed è ciò che il Signore predice a Filadelfia. Essi formano il nucleo, la vera Chiesa, la Sposa di Cristo, l’insieme di tutti i cristiani nati di nuovo, che hanno ricevuto il battesimo di un unico Spirito per formare un unico Corpo. Quando essa sarà tolta dalla terra, rimarranno solo i cristiani professanti senza vita. Quindi il Signore si allontanerà completamente dalla chiesa professante che non sarà più né la sua dimora, né la sua testimonianza.

Fino ad oggi i veri credenti sono ancora sulla terra. Lo spirito, lo stato morale, la tiepidezza, l’arroganza, che caratterizzano Laodicea, esistono già e ci circondano. Si sente dire: «Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di niente». Ma che cosa deve rispondere il Signore? «Tu non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo». è cosa ben terribile quando uno è malato, povero, condannato a morire, e non lo sa! Come dev’essere spaventevole il risveglio di un tale malato!

Finché il Signore lascia i suoi quaggiù, lo Spirito Santo è sulla terra; poiché «lo Spirito e la Sposa» lasceranno insieme la terra (Apoc. 22:17). Fino a quel momento il Signore si presenta ancora come Salvatore, e come tale dice a Laodicea: «Io ti consiglio di comprare da me dell’oro… e delle vesti bianche… e del collirio per ungertene gli occhi… Tutti quelli che amo, io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti»!

L’oro nella Bibbia è sovente adoperato come figura della giustizia divina. Quest’oro è stato acquistato da Cristo per i peccatori, nel fuoco delle sofferenze e del giudizio alla croce. Le vesti bianche ci parlano di un cammino puro e della pietà che si possono trovare solo in coloro che posseggono la nuova vita divina. Nel collirio abbiamo una figura dello Spirito Santo che apre gli occhi del cuore per poter vedere ogni cosa come Dio la vede.

Le persone di Laodicea erano cieche riguardo alla loro povertà e nudità davanti a Dio, non sentivano nessun bisogno di salvezza e riconciliazione, né dell’oro della giustizia di Dio, né delle vesti della santità pratica. Gli occhi e i cuori di Laodicea erano ciechi e chiusi riguardo al valore e alla gloria di Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Mentre i fedeli di Filadelfia sono caratterizzati dalla stima, dall’amore e dalla fedeltà verso la Persona di Gesù Cristo, in Laodicea regna una grande indifferenza verso di Lui. I cuori sono privi di amore per Lui. Il vero cristiano si trova soltanto in quelli che riconoscono Cristo il Figlio di Dio e lo onorano veramente nelle parole e negli atti. Quando l’occhio è aperto, l’uomo riconosce il suo stato di povertà e di peccato davanti a Dio e riconosce pure Dio in tutta la sua santità. Il cuore ricerca la salvezza e la trova soltanto in Gesù Cristo, il Salvatore. Perciò il cuore lo ama al di sopra di ogni altra cosa e trova in Lui tutta la sua gioia e la sua felicità.

Benché non abbia trovato in Laodicea né amore, né interesse per la sua Persona e per la sua opera, ma piuttosto tiepidezza, indifferenza e, per di più orgoglio, il Signore agisce ancora nel suo amore per cercare, correggere e salvare.

Egli dice: «Tutti quelli che amo, io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti. Ecco, io sto alla porta e busso». Questa parola si è già sovente realizzata. Tanti e tanti cuori della Chiesa professante, senza vita, sono stati toccati dalla Parola del Signore e hanno ricevuto la salvezza, particolarmente in questi ultimi decenni. In diversi ambienti, le sofferenze e le afflizioni hanno aperto la porta alla Parola di Dio e a Cristo. Persone che erano rimaste per tanto tempo indifferenti alla salvezza della loro anima hanno riconosciuto di essere povere, cieche e nude davanti a Dio. Si sono ravvedute come il Signore richiede, si sono rivolte a Lui, hanno trovato quell’oro della giustizia divina che Egli ci ha acquistato attraverso le sofferenze e la morte sulla croce. Cristo è ora il loro rifugio e, guidate dallo Spirito e sostenute dalla sua grazia, camminano nelle vesti bianche della pietà, zelanti per servire Dio.

Ancora adesso il Signore sta alla porta di migliaia di cuori e bussa, chiedendo di entrare. Lo fa con te, caro lettore, se non gli appartieni ancora, se non gli hai ancora dato il tuo cuore.

Il Signore non è soltanto davanti alla porta dei singoli cuori, ma, poiché ha dovuto abbandonare il suo posto in mezzo a Laodicea, è fuori e bussa desideroso di entrare. Se un’assemblea è in accordo coi pensieri di Dio, il Signore si troverà in mezzo a lei, come è scritto: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Matt. 18:20).

È doloroso vedere che Laodicea, nella sua tiepidezza e cecità, non ha più posto per Cristo, il Figlio di Dio; Egli è fuori. Non è grave una simile cosa? Ciò può accadere rapidamente o poco a poco, insensibilmente; il Signore è rimosso dal centro di una comunità di credenti, non nella loro teoria, ma nella pratica, e finisce col rimanere alla porta, fuori, a chiedere, bussando, di poter entrare. Siamo dunque vigilanti e accertiamoci che sia in mezzo a noi!

Che cosa troviamo nella cristianità professante? Sardi, la chiesa protestante, si dirige sulle orme di Laodicea, mentre la chiesa cattolica, Tiatiri, si sviluppa sempre più verso Babilonia. In occasione della 23a Giornata Protestante della Germania, tenuta a Wiesbaden nel secolo scorso, un noto pastore di Berlino disse: «Il cattolicesimo… e il liberalismo (il cui rappresentante è il protestantesimo) vogliono far penetrare il mondo nella Chiesa».[14] Ora, il cristianesimo mondano non è altro che Laodicea: la chiesa che soddisfa e piace al popolo, un cristianesimo senza Cristo.[15] La meta che si propone la teologia liberale protestante è questa: «Dobbiamo liberarci dal giogo, della cristologia».

Lettore credente, sai tu che cos’è il giogo della cristologia, che molti predicatori protestanti vogliono rimuovere? Sono le verità riguardanti la divinità della Persona di Gesù Cristo; dicono che Egli non è l’eterno Figlio di Dio, né il Salvatore per mezzo del suo sangue. Gesù non sarebbe risuscitato, né salito nella gloria e non ritornerebbe come Signore e Giudice del mondo, davanti al quale ogni ginocchio dovrà piegarsi. In poche parole, il loro desiderio è di togliere Cristo, il Figlio di Dio, dalla Chiesa.

Questa è Laodicea: Cristo è messo fuori. Storicamente Laodicea non è ancora apparsa completamente, però lo spirito e lo stato di sufficienza e di tiepidezza di Laodicea sono già apparsi da molto tempo, e si fanno sentire anche tra quelli che confessano di essere convertiti e di appartenere al Signore.

Dopo la venuta del Signore Gesù per rapire i suoi riscattati e condurli nella casa del Padre, lo stato di Laodicea nella cristianità sarà appieno realizzato. Il Signore è vicino; il grido di mezzanotte si è fatto udire: «Ecco lo sposo!». E la sua voce: «Vengo presto», ha trovato eco nei cuori dei veri credenti. «Amen! Vieni, Signore Gesù».

Che cosa accadrà fra breve? In Matteo 25:10 leggiamo: «E quelle che erano pronte (cioè le vergini che avevano l’olio, lo Spirito Santo) entrarono con lui nella sala delle nozze, e la porta fu chiusa». Allora molti che pur professando d’essere cristiani sono spiritualmente morti, chiederanno di entrare; busseranno alla porta: «Signore, Signore, aprici!». Ma invano. Egli, che oggi bussa alla porta dei cuori perché desidera entrare, non aprirà più a quelli che, durante il giorno della salvezza, non hanno voluto aprirgli il loro cuore!

Gesù sa che la chiesa di Laodicea, figura della tiepida e infedele cristianità degli ultimi tempi, nel suo insieme non lo riceverà più. Al principio le cose erano diverse, ma ora essa è completamente cieca, non sente bisogno di nulla, è piena di sé. Il Figlio di Dio, il testimone fedele e veritiero, non ha più nessun valore per i cuori, perciò non ha più posto in mezzo a loro: Egli è fuori. Però fino al giorno in cui si presenterà come Giudice per eseguire il giudizio già pronunciato. Egli si presenta ancora come Salvatore al cuore delle singole persone chiedendo di poter entrare. Per questo sta scritto: «Se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui».

Il tempo della grazia però dura ancora, e «se qualcuno apre» viene ricompensato. Il Signore dice: «Io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me. Chi vince lo farò sedere presso di me sul mio trono, come anch’io ho vinto e mi sono seduto con il Padre mio sul suo trono». Con quest’ultima promessa, il Signore assicura che chi ascolta la sua voce e gli apre la porta, anche poco prima della sua venuta, sarà unito a Lui e ben presto, in cielo, regnerà con Lui.

Prima della chiusura definitiva del tempo della grazia, come vediamo nella parabola del gran convito (Luca 14:16), l’anima può ancora ricevere la vita e gustare la comunione col Signore; allora gli appartiene in proprio e farà parte della prima risurrezione. Il fedele sarà seduto sul trono e regnerà con Lui.

Come in tutte le lettere, il Signore rivolge alla fine un appello: «Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese».

Sono queste le sue ultime parole alle sette chiese. D’ora innanzi non sarà più parlato, nel libro dell’Apocalisse, della sua Chiesa sulla terra e della cristianità. Nel capitolo seguente troviamo la porta del cielo aperta e i credenti nella gloria (cap. 4 e 5). Il Signore ha allora realizzato la sua promessa ed ha raccolto tutti i suoi nella casa del Padre (Giov.14:3). Essi sono stati «rapiti» per essere «sempre con il Signore» (1 Cor. 15:51; 1 Tess. 4:17).

Col capitolo 6 incomincia la descrizione dell’«ora della tentazione», cioè dei giudizi e delle tribolazioni al tempo dell’Anticristo, la quale «sta per venire sul mondo intero» dopo il rapimento dei credenti (3:10-11).

05. Capitolo 4

05.1 Dio Creatore

«Dopo queste cose» una porta si apre nel cielo davanti all’apostolo Giovanni, e una voce gli dice: «Sali quassù e ti mostrerò le cose che devono avvenire in seguito» (4:1).

Qui incomincia la parte del libro dedicata ai giudizi. Al capitolo 1:19 abbiamo trovato la divisione del libro in tre parti: «Scrivi dunque le cose che hai viste (l’apparizione del Signore come Giudice – cap. 1), quelle che sono (le sette lettere con la descrizione profetica della Chiesa intesa come professione cristiana, della quale anche Giovanni faceva parte – cap. 2 e 3) e quelle che devono avvenire in seguito (cap. 4 e seguenti)».

«Dopo queste cose», cioè dopo il rapimento nel cielo della Sposa di Cristo, che forma il nucleo vivente della cristianità professante (cfr. Apoc. 3:11 con 1 Tess. 4:17), e dopo la riprovazione della cristianità professante (3:16), Giovanni fu rapito in spirito dall’isola di Patmos nel cielo.

Il rapimento dei credenti non è descritto nel nostro libro. L’Apocalisse considera la Chiesa finché si trova sulla terra non nei suoi privilegi, bensì nei suoi doveri e nella sua responsabilità. Essa ci narra le cose raggruppate secondo certi aspetti che vedremo e non per ordine cronologico.

Giovanni deve occuparsi adesso dei giudizi: prima del giudizio della chiesa professante, poi del giudizio del mondo che avverrà quando la Sposa, la vera Chiesa, sarà rapita nel cielo. Il rapimento viene appena accennato; ma come avverrà, lo troviamo in altre parti della Sacra Scrittura (1 Tess. 4:16-17; 1 Cor. 15:51-52).

L’apostolo Giovanni racconta quindi ciò che vide: «Subito fui rapito dallo Spirito. Ed ecco, un trono era posto nel cielo e sul trono c’era uno seduto. Colui che stava seduto era simile nell’aspetto alla pietra di diaspro e di sardonico; e intorno al trono c’era un arcobaleno che, a vederlo, era simile allo smeraldo. Attorno al trono c’erano ventiquattro troni su cui stavano seduti ventiquattro anziani vestiti di vesti bianche e con corone d’oro sul capo» (4:2-4).

Sulla terra, la porta della grazia è stata chiusa; le «vergini stolte» bussano invano (Matt. 25:10-11). Dall’altra parte vi sono le «vergini avvedute» messe al sicuro nel cielo, dove più tardi avranno luogo le nozze; esse si trovano in compagnia di tutti i riscattati, dalla creazione in poi. Sono tutti rappresentati, in figura, dai ventiquattro anziani, vestiti di bianco, coronati d’oro e seduti su troni. Le vesti bianche dimostrano che sono dei sacerdoti, le corone e i troni che sono re, vale a dire contemporaneamente sacerdoti e re. Ciò è stato detto sia dei credenti d’Israele che della Chiesa (Es. 19:6 e Apoc.1:6).

Il numero simbolico ventiquattro (due volte dodici) ci dice che tutti i credenti, sia d’Israele che della dispensazione attuale, si trovano nel cielo. Nell’antico patto, sotto Davide, l’unto dell’Eterno, figura di Cristo, vi erano ventiquattro classi di sacerdoti e ventiquattro classi di cantori (1 Cron. 24 e 25). Vedremo più avanti che i «sacerdoti e re» nel cielo sono anche dei cantori (Apoc. 5:8-10). Questi ventiquattro anziani, in figura tutti i credenti, siedono su ventiquattro troni, attorno al trono dell’Altissimo, in piena luce e sicurezza nonostante i «lampi, le voci e i tuoni» che procedono dal trono.

È dal trono di Dio che saranno emanati gli ordini per i giudizi che devono cadere sulla terra, quando il tempo della grazia avrà preso fine (cap. 6 e seg.). Da questo momento ha inizio «l’ora della tentazione» o “della prova”, dalla quale il Signore vuole preservare i suoi venendo a rapirli; «il giorno del Signore» con tutti i suoi terrori spunta per il mondo. I riscattati, invece, sono al riparo e siedono tranquilli sui troni, accanto al Giudice del mondo che non cammina più in mezzo ai sette candelabri d’oro (1:13), ma siede sul trono per giudicare; e davanti a Lui vi sono sette lampade ardenti. Egli sta per nettare interamente l’aia col ventilabro; dopo aver raccolto il grano nel suo granaio (Luca 3:17), Egli prende in mano il libro (5:1) nel quale sono scritti i giudizi che devono cadere sulla terra.

Troveremo ancora, durante il tempo dei giudizi (cap. 6 e seg.), dei credenti sulla terra, Israeliti e Gentili, che si saranno convertiti durante «l’ora della tribolazione», poiché già Cristo avrà raccolto presso di sé tutti i credenti del tempo della grazia. Questi ultimi, come sappiamo, hanno lasciato la terra prima dell’apparizione dell’Anticristo che porterà al suo culmine la tribolazione (2 Tess. 2:4-8). Essi ridiscenderanno dal cielo dopo le nozze (19:7-9), insieme a Cristo che verrà per il giudizio finale e per stabilire il suo Regno con potenza e gloria, e regneranno con lui mille anni (19:11; 20:6).

Consideriamo ora un po’ più da vicino il trono del giudizio e Colui che vi è seduto. Egli non è nominato e non ci è detto chi sia; leggiamo soltanto: «E sul trono c’era uno seduto». Più avanti però le quattro creature viventi dicono a Lui: «Santo, santo, santo è il Signore, il Dio onnipotente». è l’Eterno, «che era, che è e che viene». Egli è chiamato «Signore», l’Eterno dell’Antico Testamento, e «Dio», cioè Elohim; e con l’attributo di «onnipotente» (o El Schaddai), nella presenza del quale Abrahamo camminava (Gen. 17:1). Egli non siede più sul trono della grazia, ma su quello del giudizio, come indicano i «lampi, voci e tuoni» e le «sette lampade accese». Attorno al Giudice che era «simile nell’aspetto alla pietra di diaspro e di sardonico» (come lo saranno anche i riscattati quando ritorneranno con Cristo dal cielo sulla terra per il giudizio e per il regno; vedi cap. 21:10,11,19,20).

Attorno al trono vi era un arcobaleno, il segno del patto che il Creatore fece con la creazione ai giorni di Noè. Nel giudizio che sta per venire, Dio si ricorderà del patto concluso con la terra. Nello stesso modo, prima che Dio esegua i giudizi particolari verso Israele (cap. 12), si vedrà il cielo aperto e l’arca del suo patto – il trono della grazia per Israele, che è nel tempio – (11:19). Dio si ricorderà del suo patto con il suo popolo terreno; nel nostro passo, come Creatore, pensa al suo patto con la creazione.

Vediamo anche davanti al trono le «sette lampade accese, che sono i sette spiriti di Dio». Oggi lo Spirito di Dio agisce in modo ben diverso; Egli esamina il cuore e provoca il pentimento verso Dio e la fede nel Signore Gesù Cristo, per la salvezza eterna. Oggi è ancora il tempo della grazia. Davanti al trono vediamo lo Spirito come fuoco (i lampi) che rischiara il trono del giudizio di Dio. Chi sussisterà davanti a Lui?

«Un mare di vetro, simile al cristallo» era pure davanti al trono. Non è più un mare d’acqua, nel quale le persone possono purificarsi, ma un mare di vetro. Oggi lo Spirito Santo adopera la Parola di Dio quale acqua che purifica il cuore e comunica la nuova vita. Per i rigenerati, lo Spirito si serve della Parola, come i sacerdoti nell’Antico Testamento usavano l’acqua della conca di rame per lavarsi i piedi, per purificarli da ogni macchia contratta durante il cammino. Là, davanti al trono, non vi sarà più nessuna possibilità per i non convertiti di purificarsi, perché sarà il tempo del giudizio; e i riscattati non avranno più bisogno di lavarsi i piedi, poiché sono attorno al Giudice e siedono con Lui su dei troni, in pace, nella stessa sua gloria.

Poi Giovanni vede «in mezzo al trono e intorno al trono, quattro creature viventi, piene di occhi davanti e di dietro» (vers. 6-8). Gli «esseri viventi» dell’Antico Testamento (vedi Ezechiele 1) e le «creature viventi» del nostro passo sono gli stessi. Sono i cherubini. Nell’Antico Testamento sono conosciuti come i guardiani del luogo santo della presenza di Dio, come i rappresentanti dei suoi diritti, della sua giustizia e della sua santità. Li troviamo già, dopo il peccato dell’uomo, all’ingresso del giardino di Eden con una spada fiammeggiante; li troviamo rappresentati in vari modi nel tabernacolo e nel tempio, e in modo particolare nella cortina che impediva all’uomo di penetrare nella presenza di Dio. Nel nostro passo le «creature viventi» sono considerate come facenti parte del trono; esse sono «in mezzo al trono e intorno al trono». Ci parlano del carattere del Figlio di Dio e dei suoi giudizi che saranno eseguiti con gran discernimento; per questo le quattro creature sono «coperte di occhi tutt’intorno e di dentro», o, come altri traduce, “piene di occhi davanti e dietro” (vers. 8). In Ezechiele 10:12 leggiamo che i cherubini erano pieni d’occhi tutto attorno, ma non anche di dentro come nel cielo. Questo indica maggior discernimento e maggior conoscenza.

In Ezechiele 10:12, i quattro esseri viventi non hanno soltanto delle ali, ma anche delle ruote, perché li vediamo in rapporto con la terra. In Apocalisse, invece, li troviamo soltanto con delle ali, in rapporto col cielo. Per esprimere la loro rapidità nel servizio, sono visti con sei ali. Nello stesso modo sono descritti i serafini in Isaia 6:2.

Le «quattro creature viventi» rappresentano simbolicamente i quattro capi degli esseri viventi della creazione: «La prima creatura vivente era simile ad un leone», il capo degli animali selvaggi; «la seconda simile a un vitello» il rappresentante delle bestie domestiche; «la terza aveva la faccia come d’un uomo», l’essere dotato d’intelligenza; «e la quarta era simile ad un’aquila mentre vola», il capo degli uccelli. Qui si tratta della creazione, rappresentata interamente dalle quattro creature viventi, poiché Dio viene lodato come Creatore: «Perché tu hai creato tutte le cose; e per la tua volontà furono create ed esistono» (vers. 11).

Le «creature viventi», come già abbiamo accennato, manifestano anche le caratteristiche dei santi giudizi di Dio: il leone è la figura della forza e della potenza regale; il vitello è la figura della costanza e della perseveranza (un bue infatti non traina a strappi come un cavallo, ma con regolarità); l’uomo è la figura della sapienza e del discernimento; l’aquila è la figura della rapidità. Esse «non cessavano mai di ripetere giorno e notte: Santo, santo, santo è il Signore, il Dio onnipotente, che era, che è, e che viene»!

Dio è luce, e per questo è anche perfettamente santo nell’esecuzione dei giudizi; le creature viventi sono un’immagine, e, ad un tempo, una figura del suo trono, del suo governo.

Che cosa fanno i ventiquattro «anziani», cioè i sacerdoti e re, i riscattati che siedono con Cristo nel cielo? è scritto al versetto 9: «Ogni volta che queste creature viventi rendono gloria, onore e grazia a colui che siede sul trono, e che vive nei secoli dei secoli, i ventiquattro anziani si prostrano davanti a colui che siede sul trono e adorano colui che vive nei secoli dei secoli e gettano le loro corone davanti al trono, dicendo: Tu sei degno, o Signore e Dio nostro, di ricevere la gloria, l’onore e la potenza: perché tu hai creato tutte le cose, e per la tua volontà furono create ed esistono».

Che scena meravigliosa! Questi anziani nella loro posizione celeste sono perfettamente felici; un tempo peccatori sulla terra, ma riscattati durante il giorno della salvezza, si trovano adesso nella presenza di Dio, il Giudice. E quando le quattro creature viventi gli dicono: «Santo, santo, santo…», gli anziani lasciano volontariamente il loro posto, dove né lampo né tuono del giudizio li disturba e si prostrano davanti al Dio creatore, lo adorano, e gettano le loro corone ai suoi piedi. La conoscenza di questi peccatori, perdonati e salvati eternamente, è ben più grande e più intima di quella delle «creature viventi», poiché gli anziani si prostrano davanti a Lui e lo adorano. Ritroveremo ancora questo fatto più volte.

Leggendo il capitolo seguente vedremo quale posizione elevata hanno i «ventiquattro anziani»: adoratori davanti a Dio. Essi lodano Dio e l’Agnello, prima che i giudizi abbiano inizio, per il meraviglioso riscatto: sono stati comprati da ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e adorando intonano nella gioia «un cantico nuovo: Degno è l’Agnello…».

06. Capitolo 5

06.1 L’Agnello e il libro dai sette sigilli

Nel capitolo precedente abbiamo visto il Dio Creatore sul suo trono.

Nel quinto capitolo vediamo Dio come Giudice, che dà tutto il giudizio al Figlio (Giovanni 6:22-27). E così troviamo anche l’Agnello, il Salvatore. La lode che è presentata davanti a Dio, il Signore, per la sua creazione e provvidenza è, senza dubbio, molto grande; ma la sua gloria per l’opera di salvezza è ancora più grande, e per questo sarà adorato eternamente.

Al capitolo 4 non si ode nessuno cantare; però le cose cambiano quando gli anziani vedono l’Agnello che ha versato il suo sangue prezioso per comprarli a Dio da ogni popolo e nazione. Che salvezza e quali benedizioni abbiamo ricevuto dall’Agnello che ha lasciato la sua vita per noi! Non solo ha cancellato i nostri peccati alla croce, ma per noi la morte non ha più il suo dardo; e noi, già lontani e nemici, siamo stati avvicinati a Dio. I cuori che prima erano pieni di tenebre e di odio sono riempiti di luce e d’amore, e adorano Dio in spirito e verità.

La prima cosa che colpisce Giovanni è un libro [16] scritto di dentro e di fuori e sigillato con sette sigilli, nella mano destra di Colui che siede sul trono. è scritto interamente e anche perfettamente sigillato con «sette» sigilli. Questo libro che contiene i consigli di Dio e i suoi giudizi per la terra è offerto a tutti perché sia aperto. Ma «chi è degno di aprire il libro e sciogliere i sigilli?». è quel che un potente angelo grida con gran voce, e a cui nessuno risponde. Che silenzio angoscioso e solenne! Giovanni piange. «Ma nessuno, né in cielo, né sulla terra, né sotto la terra, poteva aprire il libro, né guardarlo». Non c’è nell’universo nessuna creatura, nessun essere creato, nessun uomo, nessun angelo fra gl’innumerevoli eserciti, principati e potestà, che sia degno o abbia il diritto di adempiere i consigli di Dio ed eseguire i suoi giudizi. Nessun angelo prende la parola, né un serafino, né un cherubino, né Michele, né Gabriele; tacciono anche i testimoni fedeli dell’Antico Testamento: Abele, Enoc che Dio rapì; Abraamo chiamato «amico di Dio», Mosè il mediatore, Aaronne il sommo sacerdote, Davide il grande e amato salmista, e Salomone il re saggio e potente; nessuno risponde all’appello di Dio.

Giovanni, profondamente commosso, piangeva forte perché nessuno s’era trovato degno di aprire il libro dei consigli di Dio e di adempiere i suoi disegni e giudizi; allora uno degli anziani, cioè uno dei riscattati, venne a lui e lo consolò con le parole: «Non piangere; ecco, il leone della tribù di Giuda, il discendente di Davide, ha vinto per aprire il libro e i suoi sette sigilli».

Che liberazione per Giovanni che era nell’angoscia e piangeva amaramente per il silenzio fattosi attorno a lui! E quale salvezza per tutti noi! Uno solo era degno di adempiere i gloriosi consigli e i piani divini, sia per la terra che per il cielo, per il tempo e l’eternità: «il leone della tribù di Giuda, il discendente di Davide».

Già una volta, dalla tribù di Giuda (alla quale il patriarca Giacobbe morente, benedicendola, aveva predetto grandi cose) era sorto un “leone”: il re Davide, che vinse i Filistei, i grandi nemici d’Israele, e uccise il gigante Goliat con una pietra e lo decapitò. Nel nostro passo però si tratta di un altro, di un “leone” più forte: Gesù Cristo che è il Signore di Davide, ma anche «il discendente di Davide».

Gesù Cristo, il leone della tribù di Giuda, ha vinto. Egli, il Figlio di Dio, morendo sulla croce al Golgota, ha battuto e vinto Satana, e ha spezzato la sua forza per sempre. Benché sembrasse apparentemente soccombere, nella lotta più grande che il mondo abbia mai conosciuta, ha riportato la vittoria; «ha spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro per mezzo della croce» (Col. 2:15).

Così si adempì la più antica profezia che Dio aveva pronunciato riguardo al Salvatore, subito dopo il peccato dell’uomo: «Io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la progenie di lei; questa progenie ti schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno» (Gen. 3:15).

Appena Giovanni ebbe udito parlare del leone della tribù di Giuda, il gran vincitore, l’unico in tutto l’universo che fosse trovato degno di aprire il libro e i suoi sette suggelli, si voltò per vedere il leone; ma ecco che vide un «Agnello», un Agnello che era stato ferito, «che sembrava essere stato immolato». L’Agnello però non era morto; Giovanni lo vide «in piedi», vale a dire che vive e regna quale vincitore glorioso. Sì, Egli è in piedi «in mezzo al trono e alle quattro creature viventi e in mezzo agli anziani».

L’Agnello, che per mezzo della sua sofferenza e della sua morte alla croce ha pienamente glorificato Dio e ha operato la salvezza dell’uomo peccatore e perduto, forma ora il centro del trono di Dio, del suo governo, dei suoi giudizi, ma anche il centro di tutti i riscattati. Tutti si schierano attorno a Lui, il Salvatore che ci ha riconciliati con Dio.

L’apostolo Giovanni vede dunque Gesù Cristo, l’Agnello di Dio, che «aveva sette corna e sette occhi che sono i sette spiriti di Dio, mandati per tutta la terra». Il numero sette lo conosciamo come il numero della perfezione, della completezza divina. Le «sette corna» esprimono il potere che l’Agnello ha su tutta la terra, mentre i «sette occhi» rappresentano il perfetto discernimento e la perfetta sapienza nello Spirito per regnare su tutta la terra.

L’Agnello che è stato immolato, pieno di potenza e di conoscenza per esercitare il giudizio, riceve il libro dalla mano di Dio che siede sul trono. Nello stesso istante, senza aver ricevuto nessun ordine, le quattro creature viventi e i riscattati si prostrano unanimi davanti a Lui avendo «ciascuno una cetra e delle coppe d’oro piene di profumi, che sono le preghiere dei santi». Gli anziani, vestiti di bianco (5:8) con le coppe di profumi, esercitano la funzione di sacerdoti di Dio. Le loro cetre però sono ancora mute.

La Parola non ci dice chi siano questi «santi», le cui preghiere sono offerte dagli anziani. Poiché i santi nella gloria, i ventiquattro anziani, non hanno più bisogno di pregare nel cielo, ma unicamente di adorare, possiamo pensare ai santi sulla terra, convertiti durante la grande tribolazione. Le loro preghiere sono rappresentate dai profumi offerti dai ventiquattro anziani nel cielo in coppe d’oro, che corrispondono alla giustizia di Dio (vedi 6:9-11; 8:3-5). Forse possiamo vedere in questi «santi» il residuo giudeo, come leggiamo in Luca 18:7-8, che nella tribolazione e nell’angoscia griderà a Dio giorno e notte.

Gli anziani non si prostrano soltanto in un’adorazione muta, ma cantano, e contemporaneamente si ode anche il suono delle loro cetre. I riscattati cantano un inno di lode all’Agnello, un nuovo cantico: «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai acquistato a Dio, con il tuo sangue, gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e ne hai fatto per il nostro Dio un regno e dei sacerdoti; e regneranno sulla terra» (vers. 9-10).

Che giubilo vi è nel cielo a causa della salvezza che il Figlio di Dio, quale Agnello, ha preparato ed adempiuto in un mondo peccatore che Lo ha rigettato, dove ha sofferto ed è morto per la gloria di Dio e la nostra eterna redenzione! Per la sua ubbidienza fino alla morte della croce, Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, è ora nel cielo al centro del trono di Dio e di tutti i riscattati. Egli è l’oggetto dei pensieri di Dio, delle sue delizie e dell’adorazione di tutti coloro che furono strappati dal mondo e sono per sempre nel cielo.

Gli anziani nel loro inno alla lode dell’Agnello di Dio non cantano “ci hai acquistati”; non cercano di festeggiare il fatto della loro propria salvezza. Vogliono invece lodare il Salvatore e l’opera della salvezza in se stessa; Egli ha glorificato infinitamente ed eternamente Dio ed ha acquistato a Dio un’immensa schiera di riscattati da ogni popolo della terra per farne dei sacerdoti e dei re.

Essi rappresentano tutti i riscattati che sono in cielo. Sono dei «sacerdoti» e come tali sono «vestiti di bianche vesti» e portano delle «coppe d’oro piene di profumi». Nello stesso tempo sono anche dei «re», e come tali hanno delle «corone d’oro» (4:4). Sono anche dei cantori, come lo erano i Leviti nel tempio, con delle cetre. La loro lode e il loro canto sono per Colui a cui lo devono in perpetuo; colla sua sofferenza e la sua morte Egli ha pienamente glorificato Dio ed ha acquistato per loro delle benedizioni eterne.

Già nella prima creazione Dio aveva preparato per sé onore e gloria, e per l’uomo benedizione. Così voleva Dio: a Lui la gloria, all’uomo la benedizione. Ma il peccato entrò nella prima creazione; l’uomo ascoltò la voce di Satana, che voleva rapire a Dio la gloria e all’uomo le benedizioni. Egli promise all’uomo la stessa gloria di Dio: «Sarete come Dio». Quale menzogna! L’uomo tentò di rapirla, ma non vi riuscì; anzi, scacciato da Dio e punito, perdette anche la magnifica e benedetta posizione in cui si trovava. Anche la gloria e l’onore a Dio sembravano perduti; Satana aveva separato l’uomo da Dio e portato nel mondo il peccato e la morte. Ma ecco che Gesù Cristo venne nel mondo per cercare e salvare ciò che era perduto, per togliere il peccato del mondo e vincere la morte e Satana. Morì alla gloria di Dio e per la nostra salvezza. Morendo, Egli ha posto le basi di una nuova creazione e di un nuovo ordine di cose. Il peccato aveva sconvolto l’ordine delle cose (a Dio l’onore e la gloria, all’uomo la benedizione), ma per mezzo della redenzione, l’ordine è stato ristabilito e assicurato per sempre.

Possiamo dunque comprendere che l’Agnello nella gloria formi il centro del trono di Dio e della lode eterna dei riscattati, e che tutto sarà consegnato, alla fine, nelle sue mani.

Anche gli angeli partecipano a questa scena celeste; così non era nel capitolo 4. Essi però non sono al beneficio della salvezza, poiché per gli angeli caduti non c’è il Salvatore e gli altri non hanno bisogno di un Salvatore.[17] E non a loro sarà «sottoposto il mondo futuro» (Ebrei 2:5). Ma appena Cristo, l’Agnello, ebbe preso il libro sigillato con sette sigilli per aprirlo, per eseguire i giudizi di Dio e mandare ad effetto i suoi consigli riguardo alla terra, anche gli angeli vengono a partecipare alla lode. Essi però non possono parlare all’Agnello col dolce «Tu», come lo fanno i ventiquattro anziani (vers. 9) e neppure cantano. L’apostolo Giovanni ci dice: «E vidi, e udii voci di molti angeli intorno al trono, alle creature viventi e agli anziani; e il loro numero era di miriadi di miriadi, e migliaia di migliaia. Essi dicevano a gran voce: Degno è l’Agnello!». Gli angeli non parlano direttamente all’Agnello e non cantano, ma gli testimoniano il loro omaggio dicendo: «Degno è l’Agnello!». I riscattati, invece, con un cuore traboccante di gioia, possono cantare: «Tu sei degno!».

Vediamo dunque che questa immensa schiera di angeli non occupa il primo posto nel cielo e attorno al trono di Dio. Più vicino al trono e all’Agnello vi sono i ventiquattro anziani, vale a dire i riscattati dal mondo caduto nel peccato. Che meraviglia! Nella gloria, più vicini persino degli angeli, esseri puri e sublimi che non si sono mai allontanati da Dio, vi sono dei peccatori, perdonati e salvati dal sangue di Cristo. Essi sono stati fatti figli di Dio, Sposa di Cristo.

Gli angeli sono attorno alle creature viventi e agli anziani, e dicono con gran voce: «Degno è l’Agnello, che è stato immolato, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l’onore, la gloria e la lode». Come dev’essere potente questa settupla lode che l’innumerevole esercito degli angeli tributa al Giudice dell’universo! Tutto il creato si unisce a questo coro grandioso. Tutte le creature che sono nel cielo, sulla terra, e sotto la terra [18] e sul mare, e tutte le cose che sono in essi, prendono parte al giubilo e alla lode dicendo: «A Colui che siede sul trono, e all’Agnello, siano la lode, l’onore, la gloria e la potenza nei secoli dei secoli». Troviamo qui le stesse parole che gli angeli dicono all’Agnello, però in un altro ordine: lode, onore, gloria e potenza. Abbiamo solo quattro nomi corrispondenti alle quattro estensioni dello spazio (cielo, terra, sotto terra, mare) mentre gli angeli ne nominano sette.

Quando il Salvatore, il Figlio di Dio, scese su questa terra, dove l’uomo si era ribellato contro Dio e si attribuiva la potenza, la ricchezza e la sapienza, e se ne gloriava, Egli abbandonò tutte le sette cose che abbiamo lette. Per la gloria di Dio e per la nostra salvezza, prese la forma del servitore e venne nella povertà e nell’obbrobrio. Nel cielo però, durante l’eternità, gli sarà tributato tutto ciò che Gli appartiene, che volontariamente ha abbandonato per scendere quaggiù: «Potenza, ricchezza, sapienza, forza, onore, gloria, lode». Le quattro creature viventi uniscono le loro voci e dicono: «Amen!». Gli anziani, però, i riscattati, fanno di più: si prostrano ripieni della grazia, del valore e della gloria dell’Agnello, e «adorano»!

07. Capitolo 6

07.1 I sette sigilli

Come già abbiamo fatto notare al principio, l’Apocalisse è un libro di giudizi. Vi troviamo il programma che Dio ha dato al suo Figlio «per mostrare ai suoi servi le cose che devono avvenire tra breve» (1:1). I servitori di Gesù Cristo che durante il tempo della sua assenza si adoperano per Lui e per il suo Regno in questo mondo malvagio, devono essere incoraggiati dalla conoscenza di ciò che avverrà, di come si succederanno le cose quaggiù fino a che il male sia completamente eliminato e il Signore stabilisca il suo Regno glorioso.

Il giudizio comincia sempre «dalla casa di Dio» (1 Pietro 4:17), come già abbiamo visto meditando le sette lettere (cap. 2 e 3). E appena Egli avrà raccolto i riscattati di Dio nel cielo, si libererà dalle «vergini stolte», dai cristiani di nome, i professanti senza vita (Apoc. 3:16).

Dopo che ci è stato mostrato, nei capitoli 4 e 5, il cielo aperto e Dio come creatore e giudice, e l’Agnello sul trono, ecco che si scatenano sulla terra i giudizi di Dio. Essi sono contenuti nel libro sigillato dai sette sigilli, che Giovanni ha visto nella mano destra di Dio, e che fu dato al Figlio di Dio, accompagnato dall’adorazione e dal nuovo cantico degli anziani. Il Redentore che diede la sua vita per il peccato del mondo, è ora il suo giudice. A Lui siano «la potenza e le ricchezze e la sapienza e la forza e l’onore e la gloria e la benedizione»!

L’Agnello, alla presenza dei riscattati, apre uno dopo l’altro sei dei sette suggelli. Ad ogni apertura dei primi quattro, una delle quattro creature viventi con voce di tuono dice: «Vieni». Sono le quattro creature viventi facenti parte del trono che chiamano i quattro primi giudizi. Ed ogni volta appare un cavaliere. Il primo, su un cavallo bianco, è un vincitore; porta un arco e riceve una corona. Rappresenta una grande potenza che si farà avanti in breve tempo e a cui Dio darà la vittoria. Nella storia abbiamo diversi esempi di tali conquistatori; basti pensare ad Alessandro Magno e a Napoleone I. Però nell’arco che il cavaliere porta al posto della spada, comprendiamo che questa conquista non l’otterrà con delle battaglie sanguinose. Questi non sono veri cavalieri ma delle immagini dei grandi e solenni avvenimenti che accadranno sulla terra, dopo che i veri credenti, la vera Chiesa, saranno rapiti nel cielo.

All’apertura dei tre sigilli successivi, appaiono altri tre cavalieri, uno su un cavallo rosso riceve «una grande spada». Ciò significa una grande guerra con tutti i suoi terrori. Poi segue un cavaliere con una bilancia in mano, e che cavalca un cavallo nero: raffigura una carestia[19] Infine, dopo la guerra e la carestia, viene il quarto cavaliere su un cavallo giallastro, per portare delle epidemie, la morte, le belve. Con queste quattro piaghe: la spada, la fame, le belve e la peste, Dio aveva già un tempo minacciato l’uomo malvagio (vedi Ezech. 14:21). Nella sua onnipotenza e giustizia, Dio sa colpire la terra con i suoi giudizi. I progressi dell’uomo nella cultura e nella tecnica non frenano l’ira divina, né possono offrire al mondo un riparo sicuro. L’uomo non può nascondersi davanti a Lui e non potrà, allora, rifugiarsi in Lui. Per questo ci è offerto il giorno della grazia. Approfittiamone tutti!

Quando l’Agnello di Dio apre il quinto sigillo del libro dei giudizi, benché presenti un seguito negli avvenimenti, Giovanni vede, sotto l’altare, le anime di coloro che erano stati uccisi per la Parola di Dio e per la testimonianza. E ode, invece del grido «Vieni», una gran voce: «Fino a quando aspetterai, o Signore santo e veritiero, per fare giustizia e vendicare il nostro sangue su quelli che abitano sopra la terra?».

L’altare è visto nel cielo, attraverso la porta che è stata aperta (4:1). Il fatto che le anime si trovino sotto l’altare, significa che questi credenti hanno dato la loro vita come testimoni e come martiri, poiché sta scritto: «Per la Parola di Dio e per la testimonianza che gli avevano resa». Appena la Chiesa di Cristo sarà rapita nel cielo, Dio susciterà dei nuovi testimoni in mezzo al suo popolo terrestre, che oggi vediamo ancora in gran parte disperso fra le nazioni e senza fede. Molti di questi testimoni, benché convertiti da poco, dovranno perdere la loro vita durante il tempo della grande tribolazione. Il Signore aveva già accennato questo ai suoi discepoli, considerandoli come i rappresentanti del residuo giudaico, nell’ultimo sermone sul monte degli ulivi: «Allora vi abbandoneranno all’oppressione e vi uccideranno» (Matt. 24:9).

Giovanni dunque vide un gran numero di questi martiri, anzi le loro anime (vers. 9), poiché il loro corpo non era ancora risuscitato; risusciterà più tardi, quando il Signore avrà stabilito il suo regno. Queste «anime» gridano, e con gran voce, affinché tutti odano il loro richiamo. Esse domandano il giudizio e la vendetta su quelli che abitano sopra la terra, che hanno sparso il loro sangue. Il grido di giudizio e di vendetta che udiamo qui non stona nella bocca dei credenti e dei testimoni d’Israele, mentre sarebbe completamente fuori posto in bocca ai cristiani. L’atteggiamento del cristiano è quello della grazia; noi dobbiamo dire col Signore alla croce e con Stefano, il primo martire: «Padre, perdona loro». I martiri d’Israele, invece, hanno una posizione del tutto diversa; essi gridano giustamente al Dominatore della terra per il giudizio e la vendetta, come vediamo sovente nei Salmi. Non lo fanno per sé, ma per l’onore e la gloria di Colui che regna e per il suo Regno. Infatti, finché i nemici di Cristo non saranno giudicati ed eliminati, la sua gloria e il Regno non potranno essere stabiliti sulla terra. Soltanto per questo motivo gridano i martiri, come spesso nei Salmi: «Fino a quando?» (Salmo 74:10; 79:5; 94:3). Il nostro grido, invece, il grido dello Spirito e della Sposa, è ben diverso. Noi diciamo: «Vieni, Signor Gesù!». La nostra posizione è celeste. E spinti dall’amore di Cristo supplichiamo gli uomini nel suo Nome: «Siate riconciliati con Dio». «Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda in dono dell’acqua della vita»!

Ma chi sono «quelli che abitano sopra la terra», sui quali dovrebbe cadere il giudizio? Questa espressione, che troveremo diverse volte nel libro dell’Apocalisse, designa i cittadini della terra che vivono senza Dio e contro Dio, che dovrebbero essere dei pellegrini e degli stranieri e invece si sono stabiliti quaggiù quali dominatori e signori. Le anime sotto l’altare chiamano con ragione Gesù Cristo: «Signore», e gli chiedono di eseguire il giudizio, affinché possa stabilire i suoi diritti sulla terra. Come Giosuè sterminò i Cananei che abitavano nella terra promessa ad Israele, a causa dei loro peccati, così Cristo, giudicherà «quelli che abitano sopra la terra» che sprezzano il suo Nome ed hanno sparso il sangue dei suoi testimoni.

Le «anime» che sono sotto l’altare devono pazientare ancora un po’ di tempo, come noi pure dobbiamo aspettare «ancora un brevissimo tempo» fino a che il Signore Gesù ci conduca lassù dove Egli è (Giov. 14:3; Ebrei 10:37). Nel frattempo, le anime ricevono una veste bianca a riconoscimento del loro cammino di purezza sulla terra (cfr. Apoc. 3:4). Questa veste è anche il pegno dell’adempimento della loro speranza. Al presente, è dato a noi un pegno più grande per la nostra speranza, come caparra della nostra eredità: lo Spirito Santo, che ci conduce verso lo Sposo, verso la casa del Padre.

Fino a quando devono pazientare le anime sotto l’altare? Devono attendere che il numero dei loro fratelli e conservi, che devono essere uccisi, sia completo (vers. 11). Noi aspettiamo la venuta del nostro Salvatore che avverrà quando il numero dei riscattati sarà completo (2 Pietro 3:9-15). Vedremo più avanti che, secondo la risposta data alle anime sotto l’altare, altri testimoni del Signore saranno uccisi, durante la tribolazione, nel mondo malvagio dominato da Satana (12:17 e 20:4).

Il grido delle anime non riceve soltanto una risposta, ma introduce l’apertura del sesto sigillo: un grande giudizio, più terribile dei precedenti.

Leggiamo: «Si fece un gran terremoto; e il sole diventò nero come un sacco di crine, e la luna diventò tutta come sangue; e le stelle del cielo caddero sulla terra come quando un fico scosso da un forte vento lascia cadere i suoi fichi immaturi. Il cielo si ritirò come una pergamena che si arrotola; e ogni montagna e ogni isola furono rimosse dal loro luogo. I re della terra, i grandi, i generali, i ricchi,  i potenti e ogni schiavo e ogni uomo libero si nascosero nelle spelonche e tra le rocce dei monti» (vers. 12-15).

Forse il lettore potrà pensare, leggendo questa descrizione, che si tratti dell’ultimo giudizio, della fine del mondo, come sta scritto: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Matt. 24:35). Certamente il cielo e la terra saranno scossi, come abbiamo visto quando il Signore era sulla croce, e passeranno, ma quello che troviamo all’apertura del sesto sigillo non è ancora la fine del mondo, bensì una grande scossa data alla società umana, un capovolgimento dell’ordine morale e legale, dei troni e delle potenze. Sappiamo che Dio, la «cui voce scosse allora la terra» (quando diede la legge dal Sinai), ha promesso: «Ancora una volta farò tremare non solo la terra, ma anche il cielo. Or questo “ancora una volta” sta a indicare la rimozione delle cose scosse, come di cose fatte, perché sussistano quelle che non sono scosse» (Ebrei 12:26,27). Ai giorni nostri vediamo già che questa scossa e questo capovolgimento delle cose di ogni ordine si sta preparando. Ciò che uomini del nostro tempo preannunziano con ansietà, accadrà allora, all’apertura del sesto sigillo: l’abolizione di ogni ordine. L’ordine del paese è dato da Dio, e ne godiamo le benedizioni; perciò dovremmo renderne grazie. La Parola di Dio esorta i credenti a pregare per le autorità e per tutti gli uomini. Quando però i riscattati e lo Spirito Santo lasceranno la terra, allora le fondamenta della società saranno scosse, poiché non vi saranno più quaggiù i sostegni dell’ordine. Ciò che trattiene la manifestazione dell’«uomo del peccato» sarà tolto e non vi sarà più freno (2 Tess. 2:6-7).

è proprio di questa rovina che il nostro passo ci parla in figura. Sole, luna e stelle, come pure monti e isole, sono, ci sembra, l’immagine dei governi, delle autorità e potenze e degli ordini che esistono. Non è però escluso che dei segni appariranno nel cielo, come accadrà più tardi nella storia della terra, annunziati profeticamente (vedi Matt. 24:29 e seguenti). Il nostro passo descrive invece in figura quei giorni terribili in cui le organizzazioni umane e l’ordine che regnava sulla terra saranno scossi. Gli orrori delle rivoluzioni ci danno una pallida idea di ciò che saranno quei giorni[20]

La scossa generale colpisce tutti gli abitanti della terra, ma in modo particolare i grandi di questo mondo. Nella loro angoscia tutti alzano la voce per gridare non al Dio onnipotente e Giudice, e ancor meno al Salvatore; gridano a quelle montagne, nelle cui spelonche hanno cercato invano un rifugio: «Cadeteci addosso, nascondeteci!». Quegl’infelici hanno trascurato, durante il giorno della grazia, di rivolgersi all’Eterno, al Dio Salvatore per ricevere la salvezza, e rifugiarsi in Cristo, «la Roccia eterna». Così nel giorno del giusto giudizio cercano inutilmente la salvezza nelle rocce e nei monti, e domandano loro di coprirli davanti agli occhi del Giudice. Ecco qual è la loro vana preghiera: «Cadeteci addosso, nascondeteci dalla presenza di Colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello; perché è venuto il gran giorno della sua ira. Chi può resistere?» (v. 16-17).

Caro lettore, preghi tu? Quando preghi? Ora, nel giorno della salvezza, nel tempo favorevole? O pregherai soltanto più tardi quando la terra sarà scossa e la porta della grazia sarà chiusa? Chi preghi tu? Il Dio onnipotente, che solo ci offre una salvezza eterna in Cristo Gesù, o pregherai più tardi le rocce della terra? è più ragionevole pregare oggi con sincerità: «O Dio, abbi pietà di me, peccatore», che dover gridare nel giorno del giudizio ai monti e alle rocce: «Cadeteci addosso, nascondeteci». Solo colui i cui peccati sono cancellati dal sangue di Cristo è in un sicuro rifugio per il tempo e per l’eternità. Dio stesso dice di lui: «Beato l’uomo a cui la trasgressione è perdonata, e il cui peccato è coperto!» (Salmo 32:1).

Quelli che nel giorno del giudizio gridano ai monti, parlano pure dell’Agnello di Dio. Ma, cosa terribile, si tratta «dell’ira dell’Agnello». Gesù Cristo, ora il Salvatore del mondo, sarà un giorno il giusto Giudice. Al giorno della grazia, segue il giorno della sua ira. Beato colui che lo conosce come Salvatore e si è rifugiato in Lui: «Chi crede in Lui non è giudicato» (Giov. 3:18). Egli fa parte di coloro riguardo ai quali l’Apostolo dice, parlando dello sconvolgimento generale delle cose: «Perciò, ricevendo un regno che non può essere scosso, siamo riconoscenti» (Ebrei 12:28). In verità, quale motivo abbiamo di ringraziare e lodare eternamente Dio per la sua grande e perfetta salvezza in Cristo Gesù, suo Figlio!

Quanto sono solenni le ultime parole di quegl’infelici nel giorno del giudizio e dell’ira dell’Agnello, che tuttavia non è ancora il finale e grande giorno del giudizio, come essi pensano! «Chi può resistere?». Chi potrà infatti resistere quando Egli, il giusto Giudice, giudicherà? Nessuno! Soltanto il riscattato potrà star tranquillo, poiché possiede la giustizia di Dio per la fede in Cristo Gesù, e «non viene in giudizio» (Giov. 5:24). «Non c’è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù» (Rom. 8:1).

08. Capitolo 7

08.1 I 144.000 d’Israele. La grande lotta delle nazioni

Questo capitolo descrive ciò che avverrà nel periodo fra l’apertura del sesto e dell’ultimo sigillo.

Abbiamo visto quali terribili castighi verranno sulla terra dopo l’apertura del sesto sigillo (6:12-17). Prima che nel cielo venga sciolto il settimo sigillo del libro, il Signore ci mostra come salverà due grandi gruppi di uomini dai giudizi per introdurli viventi nel suo Regno terrestre. Il settimo sigillo forma dunque un’interruzione nell’enumerazione dei giudizi.

Leggiamo: «Dopo questo, vidi quattro angeli che stavano in piedi ai quattro angoli della terra, e trattenevano i quattro venti della terra perché non soffiassero sulla terra, né sopra il mare, né sugli alberi. Poi vidi un altro angelo che saliva dal sol levante, il quale aveva il sigillo del Dio vivente; e  gridò a gran voce ai quattro angeli ai quali era stato concesso di danneggiare la terra e il mare, dicendo: “Non danneggiate la terra, né il mare, né gli alberi, finché non abbiamo segnato sulla fronte, con il sigillo i servi del nostro Dio”. E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati di tutte le tribù dei figli d’Israele» (7:1-4).

Le espressioni: «Dopo questo» e «dopo queste cose», che troviamo ai versetti 1 e 9, ci indicano di nuovo che questi avvenimenti accadranno dopo il rapimento della Chiesa, dei veri credenti.

Non ci è detto chi siano i quattro angeli che sono ai «quattro angoli della terra» e che trattenevano i quattro venti. Può darsi che siano gli stessi che troveremo più tardi sul fiume Eufrate (9:14); vediamo che Dio ha a sua disposizione un grandissimo numero di spiriti che lo servono.

L’altro angelo che sale dal sol levante spiega perché la terra e il mare non dovevano essere danneggiati dai venti o dai giudizi. Anzitutto bisognava sigillare «i servitori del nostro Dio». Finché tutti i servitori non sono segnati col sigillo in fronte (un segno ben visibile) e messi al sicuro, la terra, il mare e gli alberi non devono essere danneggiati dai venti, cioè dai giudizi. «La terra» rappresenta un paese stabile, tranquillo e ben ordinato, mentre «il mare» è la figura dei popoli in tumulto, sballottati dalle onde (confr. Apoc. 17:15). La terra è una figura dell’Impero Romano che esisteva all’epoca della visione dell’apostolo Giovanni, e che sarà ristabilito. Così sulla «terra» e sul «mare» cioè su tutti i popoli, non doveva cadere nessun altro giudizio fino a che tutti i servitori di Dio non fossero sigillati; e neppure sugli «alberi», che sono una figura di protezione e fertilità, forse anche di ordine e di floridezza nel commercio e nell’industria.

Ma chi sono questi «servitori del nostro Dio» che saranno allora sulla terra e che dovranno passare attraverso il giudizio, messi però al sicuro come Noè nell’arca? Sono il residuo d’Israele, cioè degli Israeliti diventati credenti, come possiamo vedere nei versetti seguenti. Israele, che ha rigettato il suo Messia e che è stato disperso fra tutti i popoli («terra» e «mare») sarà nuovamente riunito. «Colui che ha disperso Israele lo raccoglie» (Ger. 31:10). Questo è pienamente confermato dai profeti e anche nel Nuovo Testamento. Infatti, «un indurimento si è prodotto in una parte di Israele, finché non sia entrata la totalità degli stranieri; e tutto Israele sarà salvato» (Rom. 11:25). Noi viviamo nell’epoca, che dura da circa 2000 anni, in cui il Signore salva «la totalità degli stranieri» (delle varie nazioni). Quando la Chiesa di Cristo sarà rapita nel cielo, verrà l’epoca in cui, attraverso dei grandi giudizi che cadranno su tutto il mondo (3:10), molti Israeliti credenti, cioè il residuo d’Israele, saranno salvati, preservati e suggellati per il Regno di Cristo[21]

Il passo che siamo studiando non ci dice niente delle prove che il residuo attraverserà; troviamo questo altrove. Sarà condotto attraverso varie prove e dovrà, come i fratelli di Giuseppe, confessare il suo peccato e piangere sulle proprie iniquità prima di ricevere il perdono. Esso si convertirà a Dio e sarà rigenerato. Dio non perdona nessun peccato che prima non sia stato riconosciuto, giudicato e confessato. Del resto agisce così anche oggi, quando delle anime sono sigillate per il suo Regno celeste. Ma anche oggi Egli vuole il pentimento dei peccatori, un cordoglio secondo Dio per il male che abita nel cuore, e soltanto dopo dona all’anima la certezza del perdono e la pace. A tutti quelli che vengono a Lui col carico dei loro peccati e che accettano il riscatto per la fede in Cristo Gesù, Dio dà un’assoluta certezza, riguardo alla loro salvezza, per mezzo della sua Parola. Dopo il perdono, il sigillo. Per gl’Israeliti il sigillo sarà un segno esteriore, mentre oggi i riscattati sono sigillati dallo Spirito Santo che Dio dà a tutti quelli che credono col cuore alla Persona del suo Figlio, morto sulla croce per i loro peccati e risuscitato (Giov. 7:39; Ef. 1:13-14; Gal. 3:26 e 4:6).

Dopo la gioiosa schiera dei riscattati delle dodici tribù di Israele, i 144.000 sigillati (vers. 1-8), vediamo in questo capitolo «una folla immensa» di tutte le nazioni. Anche questa sarà preservata in vista del tempo della benedizione del Regno di Cristo ed entrerà vivente nel Regno. Leggiamo riguardo a questa folla: «Dopo queste cose guardai e vidi una folla immensa  che nessuno poteva contare, proveniente da tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue, che stava in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, vestiti di  bianche vesti e con delle palme in mano. E gridavano a gran voce dicendo: La salvezza appartiene al nostro Dio che siede sul trono, e all’Agnello» (vers. 9-10).

Questa folla di tutte le nazioni ha delle «vesti bianche», simbolo della giustizia, e «delle palme in mano», figura della vittoria e della pace. Nello stesso tempo glorifica Colui che siede sul trono, l’Agnello, da cui ha ricevuto «la salvezza». Essa non si può esprimere come coloro che fanno parte della Sposa, la Chiesa di Cristo: «A Lui che ci ama, e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno e dei sacerdoti…» (1:5-6), e non può neanche cantare quel nuovo cantico: «Tu… sei stato immolato e hai acquistato a Dio, con il tuo sangue, gente di ogni tribù» (5:9).

Questi vincitori vestiti di bianco proclamano semplicemente di dovere la loro salvezza a Dio ed all’Agnello. Dio, «che  siede sul trono», è intervenuto in loro favore e li ha salvati di mezzo ai giudizi coi quali ha colpito i loro nemici, e Cristo, «l’Agnello», ha dato loro nel suo Regno sulla terra il desiderato riposo e la pace. Indubbiamente anch’essi hanno «lavato le loro vesti, e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello».

Questi, dunque, non fanno parte della Chiesa di Cristo, poiché, come vediamo nei capitoli 4 e 5, la Chiesa si trova nel cielo «attorno al trono». Questi riscattati, invece, con delle palme in mano, si trovano sulla terra, «davanti al trono». Essi hanno gridato a Dio nell’ora «della tentazione», ed Egli ha udito il loro grido e li ha aiutati e liberati. Riguardo al tempo della grande tribolazione è scritto: «Chiunque (d’Israele o delle nazioni) invocherà il nome del Signore sarà salvato» (Gioele 2:32). Questa folla di tutte le nazioni entrerà dunque vivente, come i 144.000 d’Israele, nel riposo e nella benedizione che vi sarà sulla terra alla venuta di Cristo.

Anche gli angeli, gli anziani e le quattro creature viventi si rallegrano per la salvezza di queste due schiere, Israele e le nazioni. Essi si prostrano davanti al trono, attorno al quale si trovano per adorare Dio, e aggiungono: «Amen»! (vers. 11-12).

Uno degli anziani rivolto a Giovanni chiede: «Chi sono queste persone vestite di bianco e da dove sono venute?». E Giovanni risponde: «Signor mio, tu lo sai». Allora l’anziano dice: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione. Essi hanno lavato le loro vesti, e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello. Perciò sono davanti al trono di Dio, e lo servono giorno e notte, nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda su di loro. Non avranno più fame e non avranno più sete, non li colpirà più il sole né alcuna arsura; perché l’Agnello che è in mezzo al trono li pascerà e li guiderà alle sorgenti delle acque della vita; e Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi» (vers. 13-14).

Quanto è bella la parte di tutti coloro che si rifugiano in Dio, prima che sia troppo tardi! Essi sono davanti al trono di Dio e lo servono giorno e notte nel suo tempio,[22] e Colui che siede sul trono stenderà su loro la sua tenda. Come già abbiamo visto, essi non sono nel cielo attorno al trono, bensì davanti al trono, cioè ancora sulla terra. Durante il Regno di Cristo sulla terra, una tenda sarà spiegata dal cielo su Gerusalemme e sugli abitanti suoi. La folla delle nazioni avrà anch’essa parte a questa protezione e benedizione. In Isaia 4:5-6 leggiamo: «Su tutta la gloria vi sarà un padiglione. Ci sarà un riparo per far ombra di giorno e proteggere dal caldo, e per servir di rifugio e d’asilo durante la tempesta e la pioggia».

I riscattati delle nazioni, la folla vestita di bianco, avranno anche parte alle altre benedizioni promesse che Israele godrà durante il Regno di Cristo sulla terra. In rapporto a quel tempo troviamo nella Scrittura: «Non avranno fame né sete, né miraggio, né sole li colpirà più; perché Colui che ha pietà di loro li guiderà, li condurrà alle sorgenti d’acqua» (Isaia 49:10). E anche: «Il Signore, Dio, asciugherà le lacrime da ogni viso, toglierà via da tutta la terra la vergogna del suo popolo, perché il Signore ha parlato» (Isaia 25:8).

Quindi, Giovanni vede in anticipo, dopo il rapimento della Chiesa e dopo «l’ora della tentazione che sta per  venire sul mondo intero» (3:10), due grandi gruppi di persone:

1) i «centoquarantaquattromila segnati» d’Israele

2) una «gran folla» vestita di bianco tra  tutte le nazioni. Gli uni e gli altri provengono dalla «grande tribolazione» ed entrano viventi nel Regno di Cristo sulla terra. Possiamo chiederci: Vi sarà ancora, tra quelli che saranno salvati durante la gran tribolazione e introdotti nel Regno, qualche professante cristiano? Le «vergini stolte» che saranno rimaste sulla terra dopo il rapimento della Sposa, potranno ancora convertirsi durante il tempo della tribolazione e dell’Anticristo? Secondo le Sacre Scritture non è possibile. La cristianità non ha forse avuto il privilegio di ascoltare per secoli e secoli il messaggio della grazia di Dio? Non possedeva forse, quasi ogni famiglia dei popoli cristiani, la preziosa Parola di Dio? Non avevano essi avuto molto tempo e molte occasioni per convertirsi? Ahimè! lasciarono trascorrere inutilmente il tempo della grazia e trascurarono così la «grande salvezza». Come potrebbero sfuggire al giudizio, se non hanno «aperto il cuore all’amore della verità per essere salvati» quando il sole del giorno della grazia splendeva ancora? Le tenebre del giudizio li circondano adesso e «Dio manda loro una potenza d’errore perché [23] credano alla menzogna; affinché… siano giudicati» (2 Tess. 2:10-12).

Tuttavia, se qualche persona in mezzo a questa cristianità morta, non avesse veramente avuto l’occasione di udire l’Evangelo durante il tempo della grazia, potrà certamente essere ancora salvata. Questo perché, dopo il rapimento delle «vergini avvedute», durante la «grande tribolazione» sarà loro offerta la possibilità di udire e credere l’Evangelo del Regno. Difatti leggiamo che dei Giudei credenti saranno inviati come messaggeri a Tarsis (in Spagna) e in altri paesi per annunziare l’Evangelo del Regno e la gloria del Signore (Is. 66:18-19).

Ciò corrisponde simbolicamente alla disposizione che l’Eterno aveva dato ad Israele di non mietere completamente e di non spigolare; ciò che restava era «per il povero e per lo straniero» (Lev. 23:22). Possiamo quindi pensare che Dio, nella sua grazia, darà ancora una possibilità «al povero e allo straniero», nel tempo dell’Anticristo, di sfuggire al giudizio divino. Questo però non è applicabile alla cristianità senza vita; sopra di essa cadrà la giusta collera del Signore. Coloro che saranno salvati durante la grande tribolazione, non faranno parte della Chiesa, o Sposa celeste, che occupa il primo posto nel cuore del Signore e sarà al suo fianco per tutta l’eternità. Nondimeno anch’essi saranno felici; Dio, che siede sul trono, spiegherà la sua tenda su loro. Non saranno più nel bisogno, non avranno più fame, né sete, né il sole li colpirà. E com’è bello quello che ci è detto ancora di loro: «L’Agnello, che è in mezzo al trono li pascerà e li guiderà alle sorgenti delle acque della vita e Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi»!

</a >09. Capitolo 8

</a >09.1 Il settimo sigillo. Le prime quattro trombe

Soltanto a questo momento viene aperto il settimo sigillo del libro dei giudizi: «Quando l’Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio nel cielo per circa mezz’ora» (8:1).

È giunto un momento solenne ed importante. I giudizi, descritti nel capitolo 6, sono passati; essi sono il principio dei dolori (Matteo 24:8). I giudizi più gravi devono ancora venire; il Signore Gesù nell’ultimo suo discorso li definisce «grande tribolazione» (Matteo 24:21). Ed ora ecco una quiete solenne: «Si fece silenzio nel cielo per circa mezz’ora». Perché? Perché l’ultimo sigillo del libro dei giudizi, che solo l’Agnello fu trovato degno di prendere e di aprire, deve essere sciolto.

</a >09.2 I sette angeli con le trombe

Da questo momento sette angeli suonano, in sequenza, una tromba. Gli effetti devastanti del suono di queste sette trombe sono descritte nei capitoli 8, 9, 10, 11.

«Poi vidi i sette angeli che stanno in piedi davanti a Dio, e furono date loro sette trombe. E venne un altro angelo con un incensiere d’oro; si fermò presso l’altare e gli furono dati molti profumi affinché li offrisse con le preghiere di tutti i santi sull’altare d’oro posto davanti al trono. E dalla mano dell’angelo il fumo degli aromi salì davanti a Dio insieme alle preghiere dei santi. Poi l’angelo prese l’incensiere, lo riempì del fuoco dell’altare e lo gettò sulla terra. Immediatamente ci furono tuoni, voci, lampi e un terremoto» (cap. 8 vers. 2-5).

Per quanto strano ed inatteso possa sembrarci, dobbiamo riconoscere nell’«altro angelo» che vediamo presso l’altare la persona del Signore Gesù, il Figlio di Dio. Egli, nel libro dell’Apocalisse, riappare pubblicamente e apertamente soltanto alla fine dei giudizi. Prima di allora, si manifesta sotto la forma di un angelo, come già abbiamo visto in Apoc. 7:2. Questo lo troviamo già nell’Antico Testamento, di cui l’Apocalisse porta un po’ il carattere, poiché si occupa di nuovo in particolar modo della terra e d’Israele, come antico patto. Là troviamo delle espressioni come «l’angelo del Signore» o «il Signore» che spesso ci parlano di una sola e medesima Persona[24]

Qui il Signore si presenta come «Mediatore» e «Sommo Sacerdote»; Egli intercede per i santi che si troveranno sulla terra in quei tempi così tristi, per i Giudei convertiti a Cristo durante il tempo della gran tribolazione e che saranno perseguitati a causa della loro fede e della loro testimonianza. Cristo è Colui che dà forza alle preghiere a Dio (vers. 4 e 5). Già altra volta abbiamo udito dalla terra, durante il tempo dei giudizi, delle voci che pregavano (6:9-10); si trattava però di anime che erano sotto l’altare, vale a dire di martiri che, come Cristo, erano stati rigettati ed uccisi. Essi erano già resi perfetti [25], anche se il loro corpo non era stato ancora risuscitato. Nel cap. 8, invece, si tratta di preghiere di santi che vivono ancora sulla terra e che, benché siano stati sigillati (cap. 7), per essere protetti, hanno bisogno di intercessione e di forza; per questo Cristo, quale Mediatore e Sommo Sacerdote nel cielo, presenta a Dio le loro preghiere e si occupa di loro (vers. 4). Il Signore, loro Avvocato, prende del fuoco dell’altare, lo mette nell’incensiere e lo getta sulla terra iniqua come risposta alle preghiere di questi suoi santi testimoni.

Poiché viviamo nel tempo della grazia, è forse difficile per qualche credente immaginare che i santi che saranno sulla terra dopo il rapimento della Chiesa chiedano il giudizio divino e che il Signore risponda loro con del fuoco. Soltanto attraverso i giudizi quelli che abitano sulla terra impareranno a conoscere Dio. E per mezzo dei giudizi, Israele sarà riabilitato e il Regno di Cristo sarà introdotto con potenza (Is. 1:27; 26:8 e seguenti).

In risposta alle preghiere di Cristo nel Cielo, e dei santi sulla terra, nuovi giudizi cadono sulla terra. I segni della potenza divina sono manifesti: «Lampi, voci e tuoni» (come già abbiamo visto all’erezione del trono nel capitolo 4:5), seguiti da «un terremoto» e simile alla scossa del capitolo 6:12 che ha rovesciato l’ordine e le condizioni sulla terra.

Queste trombe squillanti annunziano l’intervento di Dio.

</a >09.3 Le prime quattro trombe

Come i sette suggelli, e prima ancora le sette lettere, così le sette trombe si dividono in due gruppi: il primo comprende quattro trombe e il secondo tre. Il suono delle prime quattro trombe provoca il giudizio sui rapporti e sulle condizioni di vita degli uomini. Questi giudizi vengono illustrati con delle figure, il cui significato lo troviamo nelle Sacre Scritture stesse.

La prima tromba

La prima tromba provoca un giudizio inaspettato dal cielo («grandine e fuoco») contro i grandi della terra («gli alberi») e contro il benessere generale («ogni erba verde»). Anche del «sangue» sarà visto sulla terra, cioè vi saranno violenza e omicidi, in modo particolare tra i grandi della terra.

Se qui, come anche più tardi, viene nominata «la terza parte della terra», è certamente per fare allusione al territorio compreso nelle frontiere dell’antico Impero Romano[26]

La seconda tromba

Al suono della seconda tromba (vers. 8 e 9) nell’interno di queste frontiere «una massa simile ad una grande montagna ardente fu gettata nel mare», vale a dire un gran regno è distrutto. La montagna è gettata nel mare dei popoli che sono in rivolta e nell’anarchia. Essa propaga «sangue», cioè reca la morte. Degli uomini saranno uccisi, e ciò che serviva al loro nutrimento e al loro commercio («le navi»), viene distrutto.

La terza tromba

Al suono della terza tromba una potenza, o una grande personalità («una grande stella»), cade dal cielo. Abbandona così il posto assegnatole da Dio, da dove spandeva luce e benedizione, e cade sulla terra spargendo rovina tra gli uomini, guastando «i fiumi e le sorgenti», cioè l’origine della benedizione per il popolo. Invece della benedizione si spande adesso un’influenza velenosa che distrugge gli usi e le leggi («assenzio e acque amare» che recano la morte).Vediamo già fin d’ora delle correnti di pensiero che vengono da parte di increduli, nemici di Dio, sia nella legislazione che nei giornali, riviste, libri. Veramente, che assenzio amaro! (cfr. Deut. 29:18).

La quarta tromba

Alla quarta tromba (vers.12-13) un terzo delle autorità governative («sole, luna, stelle») fu oscurato. Invece della luce esse spargono ora tenebre e cessano di essere delle autorità stabilite e ordinate da Dio (Rom.  13:1). Questo è provocato, come vedremo più tardi, da Satana, «il dragone» (12:3-4).

Come sono gravi i castighi di Dio! I paesi cristiani, dove la luce dell’Evangelo ha brillato come in nessun altro luogo del mondo, saranno privati di questa luce e precipitati in fitte tenebre. Già oggi vediamo come l’incredulità e la superstizione si estendano sempre più su milioni di cristiani professanti. Fino ad ora, però, vi sono ancora sulla terra lo Spirito Santo e la Chiesa dei credenti, e l’Evangelo della grazia è ancora predicato.

Dopo il rapimento della Sposa di Cristo (22:17-20) la cristianità rimarrà senza “sale” e senza “luce”, e sarà il teatro della decadenza dove «Babilonia», la chiesa apostata (17 e 19), spiegherà la sua potenza. Errori e menzogna saranno diffusi e creduti ovunque (2 Tess. 2:11-12). La terra, dove lo Spirito Santo oggi agisce e abita in mezzo al popolo di Dio, sarà il teatro di spiriti maligni. Satana stesso con i suoi angeli caduti vi abiterà fino a che sarà gettato nell’abisso (12:7 e seg.).

Dopo il suono della quarta tromba, l’apostolo Giovanni vede un’aquila (non più un angelo). Essa è la figura della rapidità e della forza con cui i giudizi successivi cadranno sulla terra. Essa dice con gran voce e per tre volte: «Guai agli abitanti della terra»[27], a causa dei giudizi delle tre ultime trombe.

10. Capitolo 9

10.1 La quinta e la sesta tromba

Le tre ultime sono le trombe dei «guai». I giudizi sono più terribili dei primi, poiché non colpiscono soltanto le condizioni di vita degli uomini, ma gli uomini stessi.

La quinta tromba – il primo “guai”

Il primo «guai» (vers. 1-11) colpisce gli uomini dell’Oriente, cioè la Palestina. La parola «terra», menzionata così sovente nel nostro passo, è la «terra promessa», vale a dire la Palestina. Ciò viene confermato dal versetto 4 dove è detto che il giudizio cadrà dove ci sono i «segnati in fronte», che abitano nello stesso luogo ove è avvenuta la scena di Apocalisse 7:1-8. I centoquarantaquattromila nominati in quel passo sono dei Giudei ritornati nella terra dei loro padri.

Leggiamo: «Poi il quinto angelo suonò la tromba e io vidi un astro che era caduto dal cielo sulla terra; e a lui fu data la chiave del pozzo dell’abisso. Egli aprì il pozzo dell’abisso e ne salì un fumo come quello di una grande fornace; il sole e l’aria furono oscurati dal fumo del pozzo. Dal fumo uscirono sulla terra delle cavallette a cui fu dato un potere simile a quello degli scorpioni della terra. E fu detto loro di non danneggiare l’erba della terra, né la verdura, né gli alberi, ma solo gli uomini che non avessero il sigillo di Dio sulla fronte. Fu loro concesso, non di ucciderli, ma di tormentarli per cinque mesi con un dolore simile a quello prodotto dallo scorpione quando punge un uomo. In quei giorni gli uomini cercheranno la morte ma non la troveranno; brameranno morire ma la morte fuggirà da loro» (9:1-6).

Dopo aver descritto l’aspetto delle cavallette, Giovanni continua: «Il loro re era l’angelo dell’abisso il cui nome in ebraico è Abaddon, e in greco Apollion» (v. 11).

Qui vediamo che un angelo, «l’angelo dell’abisso», il cui nome è «distruttore» (questo è il significato dei nomi Abaddon e Apollion), è il capo di questo terribile spirito di tormento, strumento dei giudizi. è Satana stesso. Questo angelo dell’abisso, il distruttore, aveva una posizione benedetta ed elevata presso Dio; era come «una stella» (Is. 14:12-19; Ezech. 28:1-9), ma cadde «dal cielo sulla terra». Ora è diventato uno strumento di giudizio.

Come vi sono degli angeli di Dio «mandati a servire in favore di quelli che devono ereditare la salvezza» (Ebrei 1:14), così pure vi sono degli «angeli di Satana» che servono, quali strumenti di giudizio, a punire gli iniqui. Però gli angeli malvagi non saranno i soli esecutori del giudizio di Dio, ma anche gli angeli santi. Essi lo sono già stati a più riprese e lo saranno ancora nel giudizio del mondo che sta per cadere (Matteo 13:49-50; 25:31 e altri ancora).

L’abisso che il distruttore apre è il luogo dove il male è incatenato. Da questo luogo esce immediatamente un fumo che si sparge ovunque; esso non è altro che una malvagia influenza satanica; oscura «il sole e l’aria», la fonte della luce e della salvezza sono avvolte dalle tenebre. Quelli che sono rimasti nell’incredulità dei loro padri, che hanno rigettato la vera luce e la vera salvezza, il Signore Gesù, il loro Messia, sono privati ora della fonte della luce e della salvezza.

Non solo «il sole e l’aria» sono oscurati e tolti agl’increduli, ma dal fumo escono delle squadre numerose di strumenti di potenza satanica. A causa del loro numero molto elevato sono chiamati «cavallette», poiché spesso in Oriente le cavallette, come densa colonna di fumo, oscurano il sole. Mentre le cavallette distruggono la vegetazione delle campagne, gli strumenti di Satana, come «scorpioni», tormenteranno con i loro pungiglioni, per un tempo determinato, per cinque mesi (non è ancora il giudizio finale), i Giudei increduli. Essi procureranno un tale tormento che gli uomini preferiranno morire piuttosto che subire più a lungo questa sofferenza; ma la morte fuggirà da loro.

Se è detto di questi strumenti che erano simili a cavalli pronti per la guerra, che avevano una corona sul capo, il cui viso era come il viso degli uomini, i cui capelli erano come capelli di donna, che avevano denti come di leone e toraci simili a corazze di ferro, è per mostrare la loro forza vittoriosa e il loro furore. Se li consideriamo però un po’ più da vicino, essi tradiscono la loro debolezza e la sottomissione completa ad una potenza superiore («capelli di donne»). Sono comunque armati di forza distruttrice e corazzati contro ogni sentimento di compassione o pietà.

Molto probabilmente queste cavallette sono dei demoni, degli spiriti malvagi, e non un vero esercito di combattenti. Per questo troviamo in questi versetti spesse volte la congiunzione «come».

Grandi tormenti, più terribili della morte, uniti ad un turbamento indicibile, saranno la sorte del popolo di Dio, quel popolo un tempo così benedetto! Alla fine di questi versetti è detto: «Il primo “guai” è passato; ecco, vengono ancora due “guai” dopo queste cose».

La sesta tromba – il secondo “guai”

«Poi il sesto angelo sonò la tromba e udii una voce dai quattro corni dell’altare d’oro che era davanti a Dio. La voce diceva al sesto angelo che aveva la tromba: “Sciogli i quattro angeli che sono legati sul gran fiume Eufrate”. E furono sciolti i quattro angeli che erano stati preparati per quell’ora, per quel giorno, quel mese e quell’anno, per uccidere la terza parte degli uomini» (vers. 13-15).

Il sesto angelo ha introdotto, con questo giudizio, il secondo “guai” (vedi Apoc. 8:13; 9:12). Egli colpisce l’Impero Romano, che sarà stato ristabilito in quel tempo, il territorio della «bestia», ma non l’occidente, bensì la parte orientale, a esclusione della Palestina. Il secondo “guai” cade dunque sull’oriente dell’Impero Romano ristabilito (sull’Eufrate) mentre il primo «» aveva colpito i Giudei increduli in Palestina.

L’altare d’oro che troviamo qui è l’altare dei profumi, cioè delle preghiere. Esso si trovava, nel tabernacolo, separato dal velo del luogo santissimo, dove c’erano l’arca della testimonianza e il propiziatorio. Nello stesso luogo, in figura, abbiamo visto fermarsi «l’altro angelo», che presentava a Dio le preghiere dei santi sulla terra (8:3-4). La voce che ha dato l’ordine di sciogliere i quattro angeli sull’Eufrate, è uscita dai quattro corni dell’altare d’oro; è dunque la risposta di Dio alle preghiere che di qui sono salite a Lui.

Tutta la scena è naturalmente futura come lo sono del resto tutti gli avvenimenti dal capitolo 4 in poi. Possiamo forse pensare che l’invasione delle truppe innumerevoli che distrussero nel passato l’Impero Romano in oriente, siano state in parte l’adempimento di questi giudizi, però la vera realizzazione di questo «guai» è futura. Ciò è confermato dal fatto che le conquiste di allora non furono la risposta di Dio alle preghiere dei santi. E l’invocazione del giudizio di Dio da parte dei credenti può avvenire soltanto dopo il tempo della grazia, quando Cristo stabilirà il suo Regno in potenza, in questo mondo malvagio.

è la prima volta che ci è parlato di angeli legati sul fiume Eufrate; nella seconda epistola di Pietro (cap.2:4) e in quella di Giuda (vers. 6) troviamo che degli angeli, che non hanno conservato la loro dignità iniziale ma che hanno avuto delle relazioni illecite (come oggi degli uomini hanno rapporti illeciti con i demoni), sono incatenati. Può darsi che gli angeli legati sull’Eufrate, il luogo dove hanno peccato, facciano parte di costoro. Essi dunque vengono liberati per un tempo, per eseguire il giudizio di Dio sui malvagi nel tempo stabilito da Lui.

Il fiume Eufrate formava un tempo la frontiera dell’Impero Romano che, come abbiamo già detto, sarà stato ristabilito (13:1; 17:7-11). Il potente capo del nuovo Impero Romano perseguiterà accanitamente i Giudei credenti, e per questo motivo cadranno sul suo regno terribili giudizi. Benché non siano eseguiti immediatamente, sono però preparati per quell’ora, per quel giorno, mese e anno (9:15).

Questa precisa indicazione del tempo non si riferisce, come molti pensano, alla durata del «guai», bensì alla data del suo inizio. Il numero degli eserciti della cavalleria era di duecento milioni. Questo numero indica la terribile potenza di quell’esercito. Esso è inferiore al numero degli angeli (capitolo 5:11) ma è pur sempre una potente armata che viene dall’altra riva dell’Eufrate. La descrizione dei cavalli con «teste simili a quelle dei leoni» e con bocche dalle quali «usciva fuoco e fumo e zolfo» che uccisero la terza parte degli uomini, e la descrizione dei cavalieri con «corazze color di fuoco, di giacinto e di zolfo», ci mostra che gli esecutori del giudizio di Dio sono delle potenze malvagie. Il fuoco, il fumo e lo zolfo sono i simboli dell’inferno e della punizione. Il giudizio viene rapidamente come i «cavalli», è potente come i «leoni», e il suo effetto è satanico. I cavalli propagano la morte e la distruzione, con le loro bocche e le loro code «simili a serpenti e avevano delle teste, e con esse ferivano» (9:19). I colpiti mortalmente dal fuoco e dallo zolfo sono poi tormentati dal morso velenoso dei serpenti.

Che questi cavalieri siano delle truppe di uomini crudeli venuti dall’interno dell’Asia e dotati di potenza satanica, o che siano dei demoni, la loro venuta sarà un grave giudizio. Ma l’ostinazione e la rivolta contro Dio non sarà ancora infranta. Per ben due volte leggiamo: «E non si ravvidero». Continuano a venerare le opere delle loro mani [28] e adorare i «demoni» e i diversi «idoli».

Com’è terribile pensare che le nazioni cosiddette cristiane ritornino al culto degli idoli e siano il teatro dei demoni! Gli uomini, nonostante i giudizi, non si ravvederanno dalle loro opere malvagie, «dai loro omicidi, né dalle loro magie» (relazione con potenze occulte), “né dalla loro fornicazione, né dai loro furti”, vale a dire dalla loro immoralità e malvagità. Il loro cuore è indurito.

11. Capitolo 10

11.1 AItre conseguenze della sesta tromba

Le conseguenze della sesta tromba iniziano al capitolo 10 e proseguono fino al capitolo 11 versetto 14.

Come tra l’apertura del sesto e del settimo sigillo del libro dei giudizi vi è stata un’interruzione (cap. 7), così anche qui abbiamo un’interruzione che va dal capitolo 10 al capitolo 11 versetto 14. Dobbiamo però notare una differenza. Gli avvenimenti descritti nella prima interruzione (cap. 7) appartengono già alla parte seguente, mentre il capitolo 10 e seguenti ci parlano di cose che appartengono ancora alla parte precedente, cioè alla sesta tromba, al secondo “guai” (11:14).

è importante notare questa differenza, in quanto ci permette di determinare dove e quando avverrà il secondo «guai».

La parentesi che stiamo per considerare ci presenta due cose:

1° – Il proclama dell’«angelo potente» che tiene in mano un libretto aperto, e dice «che non ci sarebbe stato più indugio» e che presto «si sarebbe compiuto il mistero di Dio» (10:6-7).

2° – La descrizione dello stato della nazione, verso cui sono rivolti i pensieri di Dio, ancora prima che si adempiano gli avvenimenti annunziati dell’angelo di Dio (11:1-14).

11.2 L’angelo potente e il libretto

«Poi vidi un altro angelo potente che scendeva  dal cielo, avvolto in una nube; sopra il suo capo vi era l’arcobaleno; la sua faccia era come il sole e i suoi piedi erano come colonne di fuoco. Egli aveva in mano un libretto aperto e posò il suo piede destro sul mare e il sinistro sulla terra; poi gridò a gran voce, come un leone ruggente; e quando ebbe gridato, i sette tuoni fecero udire le loro voci. Quando i sette tuoni ebbero fatto udire le loro voci, io stavo per mettermi a scrivere, ma udii una voce dal cielo che mi disse: “Sigilla le cose che i sette tuoni hanno dette, non le scrivere” (10:1-4).

Cristo ci è già stato presentato in questo libro sotto forma di un Angelo (7:2 e seg.); Egli è «l’Angelo del patto» che Israele brama (Mal. 3:1), e come tale porta la liberazione ad Israele con il quale ha fatto un patto.

Il nostro passo ci parla appunto del tempo in cui la bramata liberazione è vicina; perciò Cristo viene presentato come «l’Angelo potente». La prova che si tratta veramente di Cristo ci è data dalla descrizione stessa del personaggio: Egli è avvolto «in una nube», simbolo ben noto della presenza di Dio e in modo particolare in rapporto col giudizio: «Nuvole e oscurità lo circondano; giustizia ed equità sono le basi del suo trono» (Salmo 97:2). Come Figlio dell’uomo «ritornerà sulle nuvole con gran potenza e gloria» per liberare il suo popolo Israele. Sul capo porta il segno del patto di Dio con la terra, l’arcobaleno, che abbiamo anche visto attorno al trono (4:3). La sua faccia splende «come il sole» e i suoi piedi sono «come colonne di fuoco», e ciò corrisponde alla descrizione del Signore di gloria «che cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro»[29] (1:15-16).

L’Angelo potente, cioè Cristo, l’Eterno, l’«Angelo del patto» per Israele, ha in mano «un libretto aperto». Esso non è sigillato come il primo libro (cap. 5). Il contenuto di un libro sigillato è sconosciuto, mentre quello di un libro aperto è rivelato; deve ancora essere «mangiato» vale a dire ricevuto nel cuore, come è accaduto a Giovanni, che ha dovuto mangiare il libretto (vers. 9-10).

Il primo libro sigillato (cap. 5) è un libro di giudizi, i quali pur essendo già stati annunziati nell’Antico Testamento, sono oggetto di una nuova rivelazione per ciò che riguarda la loro successione e realizzazione. Questo secondo libretto è ora un libro di profezie aperto, che Giovanni deve accettare e comprendere.

Nell’Antico Testamento leggiamo: «Al Signore appartiene la terra e tutto quel che è in essa, il mondo e i suoi abitanti» (Salmo 24:1) e che Dio darà al suo Unto, a Cristo, «in eredità le nazioni e in possesso le estremità della terra» (Salmo 2:8). Conformemente a questa e a molte altre profezie, vediamo qui che l’Angelo potente, l’Unto di Dio, «posò il suo piede destro sul mare (figura dei popoli in rivoluzione o in disordine) e il sinistro sulla terra» (figura dei popoli ordinati). Con ciò Egli prende possesso del mondo intero e dei suoi abitanti.

La prima cosa che il Signore fa, quando riceve «in eredità le nazioni», è il giudizio: «Tu le spezzerai con una verga di ferro» (Salmo 2:9). Così ci è subito parlato della sua ira, dell’ira del «Re» che è come «il ruggito di un leone» (Prov. 19:12): «Poi gridò a gran voce, come un leone ruggente; e quando ebbe gridato, i sette tuoni fecero udire le loro voci» (10:3).

L’apostolo Giovanni voleva subito scrivere ciò che i tuoni avevano detto, ma gli fu vietato; egli doveva sigillare le loro parole. Così, la fine dei giudizi per la terra intera è vicina. L’Unto di Dio fa valere i suoi diritti sulla terra, come già abbiamo visto, e incomincia l’esecuzione dei giudizi finali preannunziati da lungo tempo: «Il Signore ruggisce dall’alto, tuona la sua voce dalla sua santa abitazione… Il rumore giunge fino all’estremità della terra; poiché il Signore ha una lite con le nazioni, Egli entra in giudizio contro ogni carne» (Ger. 25:30-31).

Vediamo Cristo alzare la mano destra verso il cielo e giurare per Colui che vive eternamente e che ha creato ogni cosa «che non ci sarebbe stato più indugio. Ma nei giorni in cui si sarebbe udita la voce del settimo angelo, quando Egli avrebbe suonato, si sarebbe compiuto il mistero di Dio, come Egli ha annunziato ai suoi servi, i profeti» (vers. 5-7).

Tutto si avvicina alla fine, e appena la settima tromba suonerà si compirà «il mistero di Dio». E allora si udirà la voce del cielo: «Il regno del mondo è passato al nostro Signore e al suo Cristo, ed Egli regnerà nei secoli dei secoli» (11:15).

Già Dio aveva annunziato ai profeti che Cristo prima avrebbe sofferto e poi avrebbe regnato sulla terra. Essi parlarono «delle sofferenze di Cristo, e delle glorie che dovevano seguirle» (1 Pietro 1:11). Però non è stato loro rivelato il tempo che sarebbe trascorso tra le sofferenze e il glorioso ritorno di Cristo per stabilire il suo Regno con potenza (Marco 13:32). è il tempo durante il quale Dio tace e lascia maturare il male. Un tale modo di agire da parte di Dio è stato, per molti giusti, incomprensibile ed oscuro (Salmo 73 e altri passi ancora). Perciò questo periodo, durante il quale Dio lascia libero corso al male, è chiamato il «mistero di Dio». Esso però avrà fine quando Egli entrerà in scena con potenza, purificherà la terra con dei terribili giudizi e rimetterà il Regno al Figlio dell’uomo, al suo Unto.

Già anticamente i profeti guardavano con intensa brama al «giorno del Signore», quel «mattino senza nuvole» in cui la pace e la giustizia avrebbero regnato sotto lo scettro di Cristo. Gesù disse: «Abraamo… ha gioito nell’attesa di vedere il mio giorno; e l’ha visto (in spirito), e se n’è rallegrato» (Giov. 8:56). «Tutti costoro sono morti nella fede, senza ricevere le cose promesse, ma le hanno vedute e salutate da lontano» (Ebrei 11:13).

Sì, le numerose promesse dell’Antico Testamento che parlano della «restaurazione di tutte le cose» erano per i profeti, i servitori di Dio, un buon annuncio (vers. 7; Atti 3:21). L’oggetto della buona novella non erano i giudizi, benché i profeti abbiano dovuto parlarne sovente, bensì la posizione che il Cristo, il Messia, avrebbe avuto dopo i giudizi sulla terra, il suo Regno e le benedizioni del Regno, poiché, come è scritto, «la conoscenza del Signore riempirà la terra» (Isaia 11:9).

Ai nostri tempi, Dio fa annunziare un’altra «buona novella», più elevata, cioè l’Evangelo di gloria del suo Figlio. Coloro che lo accettano sono riscattati per il Regno celeste ed eterno. Cerchiamo dunque, durante il breve tempo del nostro soggiorno quaggiù, di essere fedeli a Cristo, al Signore di gloria. «Certa è questa affermazione: se siamo morti con Lui, con Lui anche vivremo; se abbiamo costanza, con Lui anche regneremo; se lo rinnegheremo, anch’Egli ci rinnegherà; se siamo infedeli, Egli rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso» (2 Tim. 2:11-13).

L’apostolo Giovanni è quindi invitato a divorare il libretto (10:9) come un tempo il profeta Ezechiele (3:3). Entrambi devono prima ricevere dentro di sé ciò che avrebbero poi dovuto annunziare ad altri. Questo è molto importante per i testimoni di Dio.

Il libretto era nella bocca di Giovanni, come di Ezech., dolce come il miele. La Parola di Dio per il credente è sempre «più dolce del miele, anzi di quello che stilla dai favi» (Salmo 19:10). Quando fu però nelle viscere dell’apostolo Giovanni divenne amaro. Quanto soffrì Cristo, che possedeva lo Spirito Santo, per i giudizi che dovevano cadere sulla terra e in modo particolare sul d’Israele! Nel perfetto Servitore di Dio troviamo sempre la gioia e il dolore. Per le vie e le azioni di Dio esultava (Luca 10:21), ma pensando al giudizio, «vedendo la città, pianse su di essa» (Luca 19:41).

Ora Giovanni, per la conoscenza ricevuta divorando il libretto, deve continuare a profetizzare «su molti popoli, nazioni, lingue e re» (cap. 10:11).

12. Capitolo 11

12.1 Conclusione della sesta tromba. La settima tromba

12.2 I due testimoni in Palestina (V. 1-14)

«Poi mi fu data una canna, simile a una verga; e mi fu detto: Alzati e misura il tempio di Dio e l’altare, e conta quelli che vi adorano; ma il cortile esterno del tempio, lascialo da parte e non lo misurare, perché è stato dato alle nazioni, le quali calpesteranno la santa città per quarantadue mesi. Io concederò ai miei due testimoni di profetizzare, ed essi profetizzeranno vestiti di sacco per milleduecentosessanta giorni. Questi sono i due olivi e i due candelabri che stanno davanti al Signore della terra» (11:1-4).

Qui abbiamo la descrizione di quella parte della terra verso la quale sono sempre stati rivolti gli occhi e i pensieri di Dio (Deut. 11:12), cioè la Palestina, una descrizione delle cose poco prima dell’adempimento degli avvenimenti preannunciati al cap. 10.

Negli scritti dei profeti è sovente parlato d’una potenza pagana che avrebbe regnato sul Paese e sul popolo di Dio, ma che sarebbe stata distrutta da Dio, il quale dopo aver ripreso contatto col suo popolo e col suo paese stabilirà sul trono, in Sion, Cristo, il suo Unto. La terribile lotta contro quella potenza pagana e nemica la incontreremo verso la fine del libro dell’Apocalisse, dove è fatta anche piena luce sui passi dell’Antico Testamento che si riferiscono ad essa. Nel cap. 11 abbiamo Gerusalemme e il tempio. Giovanni è pregato di misurare il tempio di Dio e l’altare, e contare coloro che vi adorano. Essi sono riconosciuti da Dio, non però il «cortile esterno del tempio». Che cosa ci dice questo?

In diversi passi profetici troviamo che un grande numero di Giudei ritornerà nel paese dei padri, in Palestina, prima dell’inizio della grande tribolazione, al tempo dell’Anticristo (vedere Is. 18). Parzialmente questo si realizza oggi sotto i nostri occhi. Nel nuovo Stato d’Israele abitano già milioni di Giudei. Essi però non accettano ancora il Messia rigettato e crocifisso; ricostruiranno il tempio, ma senza fede. L’apostolo Giovanni getta uno sguardo sul tempo che va da prima della tribolazione fino a poco prima dell’instaurazione del Regno di Cristo, che ora ha davanti a sé (11:15). Tra i Giudei non convertiti si formerà, durante questo tempo, un nucleo di credenti. Dio lo distingue dal mezzo della massa del popolo non credente. Grazie a questo residuo, lo Spirito Santo nomina già il tempio, che è stato costruito sul luogo dell’antico, «il tempio di Dio», e chiama Gerusalemme, che meriterebbe ancora il nome di Sodoma (vers. 8), «la città santa» (vers. 2). Dei pochi credenti Giudei è detto che «adorano» (vers. 1). Ma la grande massa del popolo è chiamata «il cortile», cioè quelli che sono fuori. Il cortile sarà dato ai Gentili, «e questi calpesteranno la città santa per quarantadue mesi» (3 anni e mezzo).

Come già abbiamo detto, il popolo giudeo nel suo insieme è senza fede e sotto la pressione dei non Giudei. «I tempi dei Gentili» (Luca 21:24), che hanno avuto inizio alla distruzione del regno di Giuda da parte di Nabucodonosor e che dureranno fino al regno d’Israele sotto la signoria di Cristo, non sono ancora terminati. Le nazioni continuano a calpestare «la città». Più tardi ci soffermeremo sulla causa di questo; ora consideriamo l’appello e l’apparizione dei «due testimoni».

Il Signore stesso susciterà i due testimoni e darà loro forza e potenza contro i nemici; e profetizzeranno durante milleduecentosessanta giorni, periodo che ha la stessa durata di quello durante il quale Gerusalemme sarà calpestata dalle nazioni, prima dell’instaurazione del Regno di Cristo (vers. 15).[30]. è inoltre lo stesso periodo definito: «Un tempo (un anno), dei tempi (due anni), e la metà di un tempo (mezzo anno)», vale a dire tre anni e mezzo (cap. 12:14).

Questi tre anni e mezzo formano la seconda metà dell’ultima settimana di anni (come una settimana ha sette giorni, così una settimana d’anni profetica comprende sette anni) della quale Daniele ha già profetizzato (Dan. 9:25-27).[31] Durante la seconda metà dell’ultima settimana d’anni vi sarà dunque una testimonianza resa ogni giorno ininterrottamente, in modo perfetto, secondo la Parola di Dio (vedere Deut. 19:15). I due testimoni incontreranno sofferenze e obbrobrio, saranno «vestiti di sacco», ma avranno a disposizione una forza quale avevano avuta Elia e Mosè i quali, mentre il popolo di Dio si trovava in decadenza e nella schiavitù, fecero rispettivamente chiudere il cielo affinché non piovesse e mutarono l’acqua in sangue (vers. 6 e 7).

Questi due testimoni faranno valere i diritti del «Signore della terra», a cui appartiene tutta la terra e in modo particolare il paese amato, la Palestina, nonostante che dei nemici regnino ancora e calpestino la città. Questi nemici però non hanno nessun potere sui due testimoni. Il «fuoco», sentenza e giudizio divino, difende la testimonianza (vers. 5) che essi rendono al «Signore della terra», che ristabilirà il regno d’Israele.

Il profeta Zaccaria, nella visione del candelabro e dei due ulivi (Zacc. 4:3-14), vede la restaurazione d’Israele; i due ulivi dei quali egli parla sono in figura i rappresentanti del regno e del sacerdozio d’Israele ristabiliti e nello stesso tempo i rappresentanti del residuo giudeo fedele di quei giorni. Questo residuo sarà anche vestito di «sacco», cioè sarà nella tristezza e pentito di aver misconosciuto e disprezzato Cristo, e si troverà nella sofferenza a causa della sua fede e della sua testimonianza per Lui. Il residuo d’Israele non potrà, come il credente d’oggi, per la grazia di Dio, «rallegrarsi del continuo» (Fil. 4:4; 1 Tess. 5:11; 2 Cor. 6:10)! Mentre noi preghiamo per i nostri nemici, il residuo, come anche i due testimoni, domanderanno il giudizio divino e la sua vendetta contro i loro nemici, come spesso leggiamo nei Salmi, perché sono anche i nemici di Dio.

Quando i due testimoni, vere personalità storiche, avranno compiuto la loro testimonianza e terminato il loro servizio, la «bestia che sale dall’abisso» muoverà contro di loro.

Nel libro dell’Apocalisse si parlerà più tardi di questa «bestia»; ce n’è parlato nel libro di Daniele. La bestia muoverà guerra contro i due testimoni «li vincerà e li ucciderà. I loro cadaveri giaceranno sulla piazza della grande città, che simbolicamente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il loro Signore è stato crocifisso» (vers. 7-8).

Quel che precede ci indica chiaramente che Gerusalemme sarà il teatro della testimonianza e della morte di questi due uomini. Benché il Signore abbia sofferto ovunque, Egli ha trovato la morte soltanto a Gerusalemme. Che qui si tratti veramente di Gerusalemme ci viene confermato dalla visione del «tempio di Dio e dell’altare», al versetto 1 di questo capitolo 11.

In questo passo troviamo due aspetti diversi di Gerusalemme. Secondo il consiglio di Dio, e perché in essa è visto anche il residuo, è chiamata «la città santa» (vers. 2). Sotto l’influenza della potenza satanica, «della bestia che sale dall’abisso», e poiché qui sono stati uccisi il Figlio di Dio e i due testimoni, ci è presentata come «Sodoma ed Egitto».

In questo tempo troviamo in Palestina due partiti in opposizione: da una parte i due testimoni e il residuo fedele dei Giudei, afflitti e sofferenti, e dall’altra «la bestia che sale dall’abisso» e i Giudei infedeli.

In che cosa consiste la testimonianza dei due testimoni e del residuo? Nell’annunziare il ritorno del Messia, Re d’Israele. Secondo l’insegnamento di diversi libri della Scrittura, abbiamo già detto che si formerà a Gerusalemme, prima della seconda venuta del Messia, in un periodo di grande confusione, un residuo di credenti che dovrà, in grande distretta e fra ogni sorta di segni in cielo e sulla terra, soffrire grandemente portando la colpa dei loro padri che rigettarono il Signore e lo misero a morte. Ma gli verrà detto: «Levate il capo, perché la vostra liberazione si avvicina» (Luca 21:25-28; Zacc. 12:2-11). Così udiamo l’angelo potente, il rappresentante di Cristo che prende possesso di tutta la terra, giurare, poco prima dello squillo della settima tromba, «che non ci sarebbe stato più indugio» (cap. 10:5-7) e dopo il suono della settima tromba, delle voci nel cielo dicono: «Il regno del mondo è passato al nostro Signore e al suo Cristo» (cap.11:15).

Qual è dunque il secondo partito che si oppone al residuo e in particolar modo ai due testimoni, fino ad ucciderli? Si tratta della «bestia che sale dall’abisso» e del suo seguito (11:7-10). Per la prima volta è qui menzionata, con poche parole, questa «bestia». Una descrizione più completa la troveremo nei capitoli 13, 17 e nel cap. 19 dove è detto (vers. 19) che prima della sua caduta definitiva muoverà guerra contro Colui che verrà dal cielo, il Re dei re e il Signore dei signori, e contro il suo esercito. Anzitutto, vediamo che la bestia sale dall’abisso, quindi ha origine satanica. In secondo luogo leggiamo che ha «dieci corna e sette teste… e il dragone (Satana) le diede la sua potenza, il suo trono e una grande autorità». Giovanni continua: «E vidi una delle sue teste come ferita a morte; ma la sua piaga mortale fu guarita; e tutta la terra meravigliata andò dietro alla bestia… e le fu dato potere di agire per quarantadue mesi (3 anni e mezzo)… le fu pure dato di far guerra ai santi e di vincerli, di avere autorità sopra ogni tribù, popolo, lingua e nazione» (13:1-10).

Nel capitolo 17 è anche detto che la bestia «era e non è, e verrà di nuovo» (vers. 8) e che le sue sette teste sono «sette monti sui quali la donna siede» (vers. 9). Secondo questi passi la bestia rappresenta un impero che a quell’epoca, poco prima del ritorno del Signore come Messia, avrà potere su Gerusalemme, pur avendo il suo trono a Roma, la città dai sette colli: è il rinato Impero Romano.

L’Impero Romano fu l’ultimo dei quattro imperi che, secondo il sogno di Nabucodonosor e le visioni di Daniele, si sarebbero avvicendati nella storia del mondo, formando così i tempi delle «nazioni». La venuta di Cristo, come pietra «che si staccò, senz’opera di mano», porrà fine a questo impero; e sulla terra sarà allora stabilito il regno di Cristo (Dan. 2:31-45; 7:7 e seguenti).[32]

L’Impero Romano «era»; è però stato distrutto dai popoli germanici, così adesso «non è», come troviamo al vers. 8 del capitolo 17 del nostro libro; ma, fra lo stupore di tutta la terra, «la sua piaga mortale fu guarita» (13:3); salirà dall’abisso, cioè «verrà di nuovo» sotto un’influenza satanica. Più avanti troveremo dei particolari riguardo alla formazione di questo impero e al suo odio contro Cristo e contro il residuo fedele giudaico nella terra promessa.

Dunque, il residuo dei Giudei ritornati in Palestina, compresi «i due testimoni» in Gerusalemme dove il tempio sarà stato ricostruito, e l’Impero Romano ristabilito, si troveranno a quel tempo in opposizione. Il residuo, spiritualmente “nato di nuovo”, sarà accettato e riconosciuto da Dio, mentre il popolo non convertito non lo sarà ancora; sarà fuori dell’area misurata da Giovanni (11:2).

Come vediamo, il capo di quest’ultimo impero ucciderà i due testimoni. E molti dei vari popoli, abitanti a Gerusalemme, si rallegreranno e non permetteranno ch’essi siano posti in un sepolcro. Forse temeranno che, come «il loro Signore», risuscitino dalla tomba. La loro gioia però è di breve durata. In capo a tre giorni e mezzo, «uno spirito di vita procedente da Dio» entrerà in quei cadaveri giacenti sulla strada.

«Essi si alzarono in piedi e grande spavento cadde su quelli che li videro. Ed essi udirono una voce potente che dal cielo diceva loro: “Salite quassù”. Essi salirono al cielo in una nube, e i loro nemici li videro» (vers. 11-12).

A questo riguardo troviamo una differenza tra la loro ascensione e quella del «loro Signore». Mentre essi saranno visti anche dai loro nemici, il Signore salì in cielo in presenza di testimoni credenti. Il mondo che vide per l’ultima volta il Signore quando sulla croce, sprezzato e schernito, portava la corona di spine, non lo vedrà più prima che ritorni sulle nuvole con grande gloria e potenza, accompagnato dagli eserciti celesti.

Dio fa accompagnare l’ascensione dei due testimoni da un grande terremoto che distrugge la decima parte della città, e settemila nemici sono uccisi. A causa di questi avvenimenti quelli che scampano sono spaventati, ma solo per un tempo, e rendono gloria a Dio. Però non è un vero pentimento; il seguito lo dimostrerà.

12.3 La settima tromba – il terzo “guai” (v. 15-19)

«Il secondo “guai” è passato; ma ecco, il terzo “guai” verrà presto» (vers. 14).

«Poi il settimo angelo sonò la tromba, e nel cielo si alzarono voci potenti che dicevano: “Il regno del mondo è passato al nostro Signore e al suo Cristo; ed Egli regnerà nei secoli dei secoli”» (vers. 15).

La settima tromba, l’ultima, suona. Al suo suono si unisce un’armonia celeste di adorazione e lode. Grandi voci annunziano che il Regno di Dio e del suo Cristo, promesso da tanti secoli, è giunto. Le monarchie del mondo volgono al termine; il dominio dei regni terrestri, che per lunghi anni è stato in mano a uomini in gran parte malvagi, passa finalmente nelle mani benedette di Dio, il Signore, e del suo Unto. Questo è, naturalmente, per tutti i nemici un grande «guaio», ma per coloro che in cielo o sulla terra si trovano dalla parte di Dio e di Cristo è una grande gioia e una completa vittoria. Il glorioso Regno è giunto, del quale leggiamo: «Nei Suoi giorni il giusto fiorirà e vi sarà abbondanza di pace… Egli dominerà… fino all’estremità della terra…e tutti i re gli si prostreranno davanti, tutte le nazioni lo serviranno» (Salmo 72). Allora sarà adempiuta la parola: «L’Eterno regnerà per sempre, in perpetuo»; «L’Eterno regna; Egli si è rivestito di maestà» (Es. 15:18; Salmo 93:1). Con che gioia esclameranno gli abitanti del cielo: «Il regno del mondo è venuto ad essere del nostro Signore» (vers. 15). Egli è «Signore» e, come lo chiamano gli anziani, «il Signore Dio, l’Onnipotente» (cioè Javeh, Elohim, Shaddai dell’Antico Testamento). Questo Regno di Dio è anche di Cristo, il quale, quando vi saranno un nuovo cielo e una nuova terra, rimetterà tutto il potere nelle mani di Dio (1 Cor. 15:24,28).

Ascoltiamo ora come festeggiano l’avvenimento i «ventiquattro anziani», cioè i riscattati che sono stati rapiti in cielo prima dei giorni dell’Anticristo e che siedono ora su dei troni: «E i ventiquattro anziani che siedono sui loro troni davanti a Dio, si gettarono con la  faccia a terra e adorarono Dio, dicendo: “Ti ringraziamo, Signore, Dio onnipotente che sei e che eri, perché hai preso in mano il tuo grande potere e hai stabilito il Tuo regno”» (vers. 16,17).

Per la prima volta essi vedono, con gran gioia, i diritti di Dio riconosciuti e rispettati sulla terra, e anche per la prima volta Cristo, il Creatore e loro Salvatore, seduto sul trono del suo Regno; allora scendono prontamente dai loro troni per onorarlo e adorare.

Essi dicono: «Ti ringraziamo perché hai preso in mano il tuo grande potere, e hai stabilito il tuo regno. Le nazioni si erano adirate, ma la tua ira è giunta, è arrivato il momento di giudicare i morti, di dare il loro premio ai tuoi servi, ai profeti, ai santi, a quelli che temono il tuo nome, piccoli e grandi, e di distruggere quelli che distruggono la terra» (vers. 18).

I giusti di quell’epoca sulla terra sono divisi in tre classi:

1°. «I profeti», che annunciano, durante il tempo della grande tribolazione, la venuta del Regno del Signore.

2°. «I santi», dei quali già Daniele parlò (Dan. 7:18), vale a dire gl’Israeliti credenti, perseguitati dalle potenze nemiche. Ma ecco che il loro Messia è giunto e «adorna di salvezza gli umili» (Salmo 149:4), poiché il Regno appartiene a loro come già Cristo aveva detto nel sermone sul monte (Matteo 5:5).

3°. Coloro tra le nazioni «che temono il tuo nome» (il nome di Dio); dunque non sono dei Giudei. Troviamo questi Gentili con il timore del Signore in Matteo 25:34-40. Essi erediteranno il Regno assieme ai credenti Giudei, i «fratelli del Signore».

Gli anziani, al termine della loro lode, accennano al fatto che Dio distruggerà «quelli che distruggono la terra». Sarà un giudizio tremendo. Tutto ciò che i ventiquattro anziani dicono dei giudizi che cadranno sulla terra prima che il Regno sia stabilito, ci ricorda le solenni parole del Salmo 2.

I «due testimoni» avevano appunto annunziato quel che troviamo nel Salmo 2: «Ora, o re, siate saggi; lasciatevi correggere, o giudici della terra. Servite il Signore con timore, e gioite con tremore. Rendete omaggio al Figlio, affinché il Signore non si adiri e voi non periate nella vostra via». Ma la maggioranza dei re e giudici della terra non volle udire; anzi essi continuarono a dire: «Spezziamo i loro legami e spezziamo le loro catene». Ma Dio «si farà beffe di loro» e manterrà il suo «decreto» di introdurre Cristo come Re su tutta la terra. Egli dice: «Io ho stabilito il mio Re sopra Sion, il mio monte santo». Sì, questo decreto sarà eseguito senza difficoltà. Dio dice al suo Figlio, al quale ha dato il giudizio del mondo: «Chiedimi, io ti darò in eredità le nazioni e in possesso le estremità della terra. Tu le spezzerai con una verga di ferro; tu le frantumerai come un vaso di argilla» (Salmo 2:9).

La descrizione dei giudizi di Dio che dovranno cadere sulla terra prima che Cristo stabilisca il suo Regno, forma l’oggetto di molte profezie nei Profeti e nei Salmi. Il Signore stesso ne parla sovente (Matteo 24). Però, soltanto nel libro dell’Apocalisse troviamo tutti i particolari che concernono questi giudizi.

Nelle parole dei «ventiquattro anziani» che onorano Dio, troviamo il programma della parte seguente del nostro libro; poiché il ritorno di Cristo e il suo Regno sulla terra sono l’oggetto dei cap. 19 e 20, mentre gli anziani vedono già qui, in spirito, la sua venuta dicendo: «Il regno del mondo è passato al nostro Signore e  al suo Cristo».

Il trono di Dio, benché la sua instaurazione formi il motivo della gioia degli anziani e della loro lode a Dio, rimane per il momento indietro. Al posto di questo viene mostrato a Giovanni, che guardava nel cielo aperto, «il tempio di Dio» che era pure aperto. In esso si vede l’arca del patto, un oggetto del luogo santo molto importante: «Allora si aprì il tempio di Dio che è in cielo e apparve nel tempio l’arca dell’alleanza. Vi furono lampi e voci e tuoni ed un terremoto e una forte grandinata» (vers. 19).

L’ultimo e più terribile tempo dei giudizi, anche per Israele, è giunto; «quel giorno è grande; non ce ne fu mai altro di simile; è un tempo di angoscia per Giacobbe» (Ger. 30:7), «perché allora vi sarà una grande tribolazione, quale non v’è stata dal principio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà» (Matteo 24:21). Uno sguardo all’arca del patto di Dio, è per il suo popolo Israele un rinforzo e un ristoro per la fede. Essa garantisce che Dio, pur provando e giudicando il suo popolo, non lo distruggerà.

Per lo stesso motivo, cioè per fortificare la fede, all’introduzione dei giudizi sul creato il Signore si era presentato con un arcobaleno attorno al trono, con il segno, cioè, del patto che Dio aveva fatto con la terra. L’arcobaleno attorno al trono significa, come abbiamo visto in Apoc. 4:3, che la terra non sarebbe stata mai più distrutta per mezzo di questi giudizi, bensì purificata e liberata per poter godere appieno delle sue benedizioni.

13. Capitolo 12

13.1 Il residuo fedele in Israele e il suo persecutore

Qui la rivelazione ritorna indietro e tratta del residuo fedele d’Israele, rappresentato dalla «donna», in rapporto con i suoi potenti avversari: Satana (cap. 12) e le due “bestie” (cap. 13), strumenti delle tenebre.

13.2 La donna e Satana

Finché la Chiesa di Cristo, l’Assemblea di Dio, era sulla terra, era soggetta agli attacchi delle potenze delle tenebre e d’iniquità. Ora che la Chiesa è nel cielo, il residuo fedele d’Israele è l’oggetto dell’odio di Satana.

Abbiamo visto che dopo il rapimento della Chiesa nel cielo il Signore riprenderà contatto con il suo popolo terrestre Israele.

Abbiamo detto, nella meditazione del cap. 11, che un residuo fedele di credenti d’Israele si trovava allora a Gerusalemme, mentre il popolo, nel suo insieme, pur abitando a Gerusalemme non era convertito; perciò, così come il cortile, esso non è riconosciuto da Dio e neppure «misurato». Appunto per questo Gerusalemme e la terra promessa saranno ancora per un periodo di tempo calpestate e lasciate in mano a nazioni straniere.

Alla fine del cap. 11 abbiamo visto che l’arca del patto, che era stata smarrita dopo la deportazione d’Israele a Babilonia, è mostrata a Giovanni, che può vederla attraverso il cielo aperto nel tempio di Dio. Finché era nel tempio di Gerusalemme, l’arca era il centro e il simbolo della presenza di Dio sulla terra. Era, per così dire, la caparra del suo patto con Israele e della sua fedeltà e provvidenza per il popolo. Ed era anche l’emblema della potenza di Dio contro i suoi nemici, come vediamo sovente nella storia d’Israele: ad esempio, nella divisione delle acque del Giordano, nella presa di Gerico le cui mura caddero dinanzi all’arca del patto, nelle piaghe causate ai Filistei dalla sua presenza. Per lo stesso motivo troviamo qui, appena l’arca è mostrata nel cielo, «lampi e voci e tuoni e un gran terremoto ed una forte grandinata». Dunque l’apparizione dell’arca del patto è il segno che Israele riprende la sua posizione di popolo di Dio e di testimone sulla terra.

Ma allora Israele diventa l’oggetto dell’inimicizia di Satana, come era stata la Chiesa. Ciò che ha del valore quaggiù agli occhi di Dio è sempre esposto all’odio di Satana, il grande avversario.

«Poi un grande segno apparve nel cielo: una donna rivestita del sole, con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul capo… Apparve ancora un altro segno nel cielo: ed ecco un gran dragone rosso, che aveva sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi… Il dragone si pose davanti alla donna che stava per partorire, per divorarne il figlio, non appena l’avesse partorito. Ed ella partorì un figlio maschio, il quale deve reggere tutte le nazioni con una verga di ferro; e il figlio di lei fu rapito vicino a Dio e al suo trono» (12:1-5).

Chi è questa donna? Indubbiamente Israele; non Israele nei suoi peccati e nella sua onta, ma quello secondo Dio, come dovrebbe essere e come sarà secondo il pensiero di Dio; sta scritto di loro: «…ai quali appartengono l’adozione, la gloria, i patti, la legislazione, il servizio sacro e le promesse» (Rom. 9:4); perciò troviamo qui Israele rivestito del sole, cioè della più alta autorità e del governo. Dio stesso regnava un tempo sopra Israele e darà nuovamente ad Israele potenza e gloria, affinché la sua signoria, partendo da Gerusalemme, si estenda ai popoli della terra.

La donna porta una corona di dodici stelle, vale a dire Israele avrà nelle mani, nel futuro regno di Cristo, l’amministrazione completa della terra; e la luna, figura di un’autorità emanata dal sole, sorgente suprema della luce, giacerà sotto i suoi piedi.

Il Figlio che viene partorito dalla «donna» ci aiuta a comprendere che «la donna» è Israele, poiché, secondo il vers. 5, il Figlio è il Messia, descritto nel Salmo 2, «il quale deve reggere tutte le nazioni con una verga di ferro» (Salmo 2:8-9; Apoc. 2:26-27; 12:5). Dalla donna «proviene, secondo la carne, il Cristo» (Rom. 9:5 e Is. 9:7). Lo Spirito Santo, parlando dei dolori del parto della donna, vuol ricordarci che la storia d’Israele fu dolorosa fin dall’inizio e che tutto convergeva sul fatto che da quel popolo doveva venire il Messia.

Il «dragone», però, l’antico nemico di Dio e dell’uomo, si pone contro la donna, contro Israele. Egli è grande in potenza e malizia, ed è «rosso» come il fuoco, il colore delle fiamme dell’inferno. Egli è, come dice chiaramente il vers. 9, il Diavolo, Satana.[33] Il suo odio contro la donna e contro la sua progenie, il Figlio, esiste fin dal principio, com’è espresso nella prima profezia messianica quando Dio disse al «serpente»: «Io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la progenie di lei; questa progenie ti schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno» (Gen. 3:15). Appena Cristo nacque, già si cercava di farlo morire; e appena apparve sulla scena fu condotto da Satana nel deserto per essere tentato. Ma vediamo in modo particolare in Getsemani e al Golgota come Satana spiegò tutta la sua inimicizia e tutta la sua potenza infernale contro di Lui.

Nel nostro passo troviamo Satana in rapporto con l’Impero Romano che riapparirà ai tempi della fine. Per questo il dragone ha «sette teste e dieci corna». La stessa bestia era già stata vista dal profeta Daniele: «Una bestia spaventosa… e aveva dieci corna» (Dan.7:7). E Daniele ci spiega che le dieci corna sono dieci re (vers. 24).

Il dragone trascina dietro a sé «la terza parte delle stelle» e le precipita sulla terra. Queste «stelle» potrebbero essere delle potenze e dei regni terrestri che saranno uniti all’Impero Romano, oppure degli angeli sedotti da Satana, il loro duce, che sono scacciati dal cielo e gettati sulla terra (confrontare vers. 4 col vers. 9). Allora la terra diventerà il teatro di opere e di potenze tenebrose terribili.

Cristo, «il Figlio» che nasce dalla «donna» (confr. vers. 5 con Rom. 9:5) «fu rapito vicino a Dio ed al suo trono». Questo ci parla evidentemente dell’ascensione di Cristo, il quale, dopo aver compiuto l’opera della redenzione e dopo la sua risurrezione, ha ripreso il suo posto nel cielo alla destra di Dio Padre. Questo avvenimento si verificò alcuni decenni prima che l’Apocalisse fosse scritta.

Perché l’ascensione di Cristo nel cielo ci viene descritta ancora una volta fra avvenimenti che accadranno più di duemila anni dopo, e che fino ad oggi non si sono ancora verificati? Per due motivi:

1°. Il nostro capitolo ci presenta delle cose che avverranno poco prima dell’ultima lotta finale tra la luce e le tenebre, e lo Spirito di Dio fa risaltare nuovamente il fatto che la vittoria è già assicurata: Cristo, salito presso Dio e il suo trono, siede alla destra di Dio. Di là verrà per mettere fine ai «tempi delle nazioni» e ai governi malvagi dei regni del mondo (Luca 21:24; Apoc. 11:15). Allora, come Figlio dell’uomo glorificato, stabilirà il suo regno sulla terra e reggerà tutte le nazioni con una verga di ferro (Salmo 2:8-9; Apoc.12:5; 19:15). Satana, dopo esser stato scacciato dal cielo, sarà ben presto eliminato per sempre. Allora verrà «la salvezza e la potenza, il regno del nostro Dio, e il potere del suo Cristo» (12:10).

2°. Dove saremo noi, uomini credenti che Dio gli ha dato dal mondo (Giov. 17:6), all’ora dell’ultima battaglia? La Scrittura non ci lascia nell’incertezza a questo riguardo. Le parole del Signore ci dicono chiaramente che Egli vuole avere presso di sé i riscattati, la sua Sposa celeste (Giov. 14:3; 17:24). Ancora prima che il regno dell’Anticristo cominci, il Signore ci rapirà presso di sé.

La promessa del rapimento della Chiesa prima dei giudizi della fine, è sovente ripetuta dalla Scrittura. La Sposa e lo Spirito del Signore (poiché sono loro che «trattengono» l’apparizione dell’Anticristo e dei giudizi, 2 Tess. 2:6-10) devono essere rapiti in cielo prima che avvenga l’ultima battaglia decisiva sulla terra. Secondo la Parola di Dio, la Sposa celeste di Cristo, la sua Chiesa, è nello stesso tempo il Corpo di Cristo e forma con Cristo, suo Capo celeste, una sola cosa (Ef. 1:21-23; 5:23; 1 Cor. 12:12.

Qui, dove la certezza della vittoria è fatta risaltare, ci viene ricordato che i santi celesti saranno al sicuro durante il tempo della grande tribolazione: essi sono rapiti, in Cristo e con Cristo, nel cielo.

Per quel che riguarda i santi sulla terra, cioè i credenti del popolo d’Israele, rappresentati nel nostro capitolo dalla «donna», ci è parlato della loro protezione durante i giudizi della fine: «Ma la donna fuggì nel deserto, dove ha un luogo preparato da Dio, per esservi nutrita per 1260 giorni» (vers. 6).

Così viene spiegata la situazione durante il tempo della grande tribolazione: i santi “celesti” abitano nel cielo dove sono in piena sicurezza; i santi “terrestri”, ai quali appartiene la terra e che eserciteranno la loro autorità quaggiù, trovano sulla terra, per l’intervento e l’aiuto di Dio, un rifugio per tutto il tempo in cui il nemico infuria.

Non è detto però dove si trova il deserto nel quale «la donna», il residuo fedele giudaico, si rifugerà durante il regno dell’Anticristo e della «bestia» romana. Tuttavia possiamo pensare, secondo alcuni cenni dell’Antico Testamento, che si tratterà delle nazioni vicine alla Palestina. A nord-ovest dell’Arabia troviamo il deserto di Kedar che confina con il sud della Palestina; verso la parte orientale dell’Asia Minore, a nord della Palestina, vi è Mesec (Salmo 120:5; Is. 21:14-15). Vi è inoltre il paese dei Filistei (Sofonia 2:7-9) e Moab a sud-est della Palestina che viene chiamato «l’ombra» per gli esuli e un «rifugio contro il devastatore» (Is. 16:3-4). Questi paesi possono essere il «deserto» dove gran parte dei credenti troveranno rifugio durante la seconda metà dell’ultima settimana di giudizi, mentre una parte dei testimoni rimarranno, sembra, a Gerusalemme esposti all’odio implacabile dell’Anticristo.

Ad ogni modo, la fuga nel «deserto» avverrà rapidamente; è detto: «Ma alla donna furono date le due ali della grande aquila affinché se ne volasse nel deserto, nel suo luogo, dove è nutrita per un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo, lontana dalla presenza del serpente» (vers. 14).

Il Signore stesso, prima della sua morte, parlava ai discepoli (che considerava ancora come dei credenti israeliti, e perciò li assimilava, nella loro posizione, ai credenti del residuo che sarebbero vissuti molti secoli dopo) di questa rapida fuga dei credenti giudei della fine. Egli diceva: «Allora quelli che saranno nella Giudea, fuggano ai monti… Pregate che la vostra fuga non avvenga d’inverno né di sabato; perché allora vi sarà una grande tribolazione, quale non v’è stata dal principio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà» (Matteo 24:16-21).

Il tempo che la donna passa nel deserto durante i giudizi è di 3 anni e mezzo: «un tempo (1 anno), dei tempi (2 anni) e la metà d’un tempo (mezzo anno)», che fanno 1260 giorni (vers. 6). Questo ci dimostra che il Signore, il quale ha contato i capelli del nostro capo, ha stabilito i giorni durante i quali i suoi testimoni dovranno soffrire. La sofferenza non durerà né un giorno, né un’ora di più di quanto Egli ha stabilito (vedi anche Apoc. 2:10). Il Signore, come un affinatore al crogiuolo, veglia sui suoi che vengono affinati, e quando il tempo voluto è raggiunto toglie subito il crogiuolo dal fuoco (Mal. 3:2-3; Lam. 3:31-33).

Durante questo periodo i due testimoni agiscono a Gerusalemme (11:3) e Gerusalemme è calpestata dai Gentili (11:2).

Giovanni ci narra ora qualcosa di straordinario:

13.3 Una battaglia nel cielo

«E ci fu battaglia in cielo: Michele ed i suoi angeli combatterono contro il dragone. Il dragone e i suoi angeli combatterono ma non vinsero, e per loro non ci fu più posto nel cielo. Il gran dragone, il serpente antico, che è chiamato diavolo e Satana, il seduttore di tutto il mondo, fu gettato giù; fu gettato sulla terra, e con lui furono gettati anche i suoi angeli» (vers. 7-9).

Un avvenimento così straordinario è facilmente comprensibile. L’apostolo Paolo, a cui è stato rivelato il mistero della Chiesa di Cristo e della sua intima e vivente unione col Cristo, ci insegna nelle sue epistole che l’Anticristo, e certamente anche le potenze delle tenebre, non possono svilupparsi pienamente sulla terra finché la Chiesa e lo Spirito Santo sono ancora quaggiù (2 Tess. 2:3-7).[34] Lo Spirito Santo lascerà la terra insieme alla Sposa di Cristo.

Dopo ciò, sulla terra vi sarà posto per l’apparizione dell’Anticristo e il pieno sviluppo delle potenze sataniche. Nel cielo invece, dove si trovano Cristo con la Sposa celeste, pienezza e perfezione di Cristo, e lo Spirito Santo, non potranno più aver posto Satana e il suo seguito, pur essendo stati tollerati fino allora.[35] Dopo la dura battaglia saranno gettati giù sulla terra.

Con questo è completo il possesso dell’eredità acquistata (Ef. 1:14). La nostra eredità celeste è attualmente in mani straniere, poiché non vi abitiamo ancora e delle potenze nemiche vi soggiornano tuttora. Però ci appartiene; Dio ce l’ha data, e ci ha dato pure lo Spirito Santo come caparra, fino a che ne prenderemo possesso. Egli stesso la conserva nel cielo per noi (1 Pietro 1:4; Col. 1:5). Dopo la nostra entrata nel cielo, l’eredità sarà presa definitivamente in possesso.[36] Troviamo qualcosa di simile nel popolo d’Israele per il possesso del paese di Canaan. La terra promessa era stata data da Dio ad Israele, ma i Cananei vi abitavano; e Dio prese possesso del paese insieme al popolo soltanto dopo che gli Israeliti furono entrati nel paese e ne ebbero scacciati gli abitanti a causa della loro iniquità. Così Satana e i suoi angeli, che non serbarono la loro posizione, dovranno far posto nel cielo al popolo di Dio.

Il duce degli angeli di Dio, schierati contro Satana e i suoi seguaci, è l’arcangelo Michele. Il suo nome è caratteristico. Egli si chiama Michele che significa: Chi è come l’Eterno? Quando Satana sedusse il primo uomo nel paradiso di Eden mentì dicendo: «Voi sarete come Dio». Dan. 10:13-21 e 12:1 danno altri particolari su Michele.

Possiamo immaginare la gioia che vi fu nel cielo allorché Satana fu precipitato: «Allora udii una gran voce nel cielo, che diceva: Ora è venuta la salvezza e la potenza, il regno del nostro Dio, e il potere del suo Cristo, perché è stato gettato giù l’accusatore dei nostri fratelli, colui che giorno e notte li accusava davanti al nostro Dio. Ma essi lo hanno vinto per mezzo del sangue dell’Agnello, e con la parola della loro testimonianza; e non hanno amato la loro vita, anzi l’hanno esposta alla morte. Perciò rallegratevi, o cieli, e voi che abitate in essi!» (12:10-12).

Questo grido di gioia esce certamente dalla bocca dei santi celesti, dei ventiquattro anziani, poiché gli angeli non potrebbero dire degli uomini riscattati: «nostri fratelli». Questi «fratelli», benché purificati davanti a Dio col «sangue dell’Agnello» e fedeli agli occhi degli uomini per la «parola della loro testimonianza», non fanno parte della Chiesa. Pur dovendo rimanere ancora sulla terra, non hanno da temere Satana, nel senso che non saranno più accusati davanti a Dio. Nondimeno, incontreranno sulla terra l’odio di Satana che li colpirà per mezzo della «bestia», l’Imperatore romano, e per mezzo dell’Anticristo, il «falso profeta».

Sarà terribile quel che i credenti Giudei dovranno soffrire a causa delle due «bestie»! Però vediamo nel nostro passo che essi dovranno sfuggire a Satana all’inizio della seconda metà dell’ultima settimana d’anni di Daniele, e subire un tempo di dura prova di 3 anni e mezzo, prima che il Regno di Dio e del suo Cristo sia stabilito (vers. 13-17).

Se è detto ai cieli e a coloro che vi abitano di rallegrarsi, è pure detto: «Guai a voi, o terra, o mare! Perché il diavolo è sceso verso di voi [37] con gran furore, sapendo di aver poco tempo».

13.4 La donna nel deserto

Il dragone, Satana, che è stato precipitato sulla terra e che perciò non può più accusare i santi nel cielo, scatena tutto il suo furore contro la donna sulla terra, la perseguita e cerca di distruggere la sua testimonianza. Ma «la donna», figura di tutta la nazione d’Israele e in modo particolare del residuo fedele, fugge. L’ora della liberazione non è ancora giunta; vi sarà soltanto all’apparizione di Gesù Cristo, il Messia, che verrà a stabilire il suo regno. Per il momento non le rimane altro scampo che nella fuga. Ma Dio si prende cura della «donna che aveva partorito il figlio maschio», e le dà «le due ali della grande aquila» affinché se ne voli nel deserto (cfr. Matteo 24:15-21; Marco 13:14-19), nel suo luogo, dove è nutrita un tempo, dei tempi e la metà di un tempo, lontana dalla presenza del serpente. Non è detto: le ali di una grande aquila, bensì: «le due ali della grande aquila». Non è forse Dio stesso? Non ha Egli liberato il suo popolo dall’Egitto? Non l’ha Egli «portato sopra ali d’aquila?» e condotto a sé? [38]. Dio stesso proteggerà il suo popolo e lo nasconderà nel deserto (vedi anche vers. 6). Il serpente non potrà nulla contro la donna, in quel luogo del deserto (anche in rapporto con Is. 26:20). Dio la nasconderà, la proteggerà e la curerà; anche qui si realizzerà quel passo: «Tu imbandisci la tavola, sotto gli occhi dei miei nemici» (Salmo 23:5).

Satana però non si dà pace e getta «acqua dalla sua bocca, come un fiume, dietro alla donna, per farla travolgere dalla corrente». Questo fiume è indubbiamente la figura di un esercito tumultuoso.[39] Dio lascia che la «terra» – figura di un sistema o di uno stato ordinato – soccorra la donna e inghiottisca il fiume. Un intervento diretto da parte di Dio, come abbiamo visto nel terremoto del cap.11:12, non è necessario. Si tratta qui della stessa persecuzione e della stessa salvezza che abbiamo visto nel vers. 6 di questo capitolo e che il Signore stesso ha profeticamente annunziato in Matteo 24:15-21. Dio può benissimo arrestare l’esercito romano e dell’Anticristo in modo impensato, senza dover ricorrere al terremoto. Egli saprà inghiottire il fiume, vale a dire togliere la vittoria e ogni azione all’esercito nemico; ogni mezzo è a sua disposizione. Il serpente allora, vistosi ingannato, volge la sua ira contro «quelli che restano della discendenza di lei». Costoro fanno parte del residuo fedele, e ritengono fermamente la Parola di Dio e la testimonianza di Gesù. Forse sono rimasti a Gerusalemme come testimoni o per altri motivi; ad ogni modo, non hanno potuto fuggire nel deserto assieme agli altri.

Questo tempo di tribolazione, per «la donna» nel deserto e per «quelli che restano della discendenza di lei» sotto la collera e il furore di Satana, è permesso da Dio per provare e affinare il residuo come leggiamo spesso nei profeti (vedi Osea 2:13 e segg.; Is. 4:3-4; Zacc.13:8-9). Anche qui vediamo che Satana e il suo complice non sono altro che gli strumenti adoperati da Dio per giudicare.

«E si fermò sulla riva del mare». Satana, «il dragone» è fermo sul mondo agitato (il mare), pieno di astuzia e di sdegno.

14. Capitolo 13

14.1 Le due “bestie”

Per fare la guerra contro Israele, che Dio ristabilirà ai tempi della fine come suo popolo e suo testimone quaggiù, Satana si serve di due potenti avversari, due uomini chiamati «bestie».

Le due «bestie» salgono dall’abisso. Vediamo che la prima sale «dal mare» e ha dieci corna; la seconda invece ha soltanto due corna e sale «dalla terra». Come abbiamo detto si tratta di due persone dotate da Satana di una potenza particolare; è soltanto a causa della loro malvagità che vengono chiamate «bestie».[40] Non sono gli unici strumenti di Satana, ma in loro la potenza di Satana e l’inimicizia del mondo arrivano al colmo. Dopo la caduta dell’uomo, e in modo particolare dopo il rifiuto del Figlio di Dio, Satana è il principe di questo mondo e viene anche chiamato «il Dio di questo secolo». Quando lo Spirito Santo e la Sposa celeste di Cristo avranno abbandonato questa terra, e Satana vi sarà precipitato, la povera umanità che, dalla sua caduta brama essere in libertà, sarà completamente schiava di Satana, e spinta da lui darà pieno corso al suo odio contro Dio. Il mondo nemico di Dio avrà due condottieri visibili, diretti da Satana, il quale rimarrà invisibile pur abitando sulla terra. La prima bestia rappresenta il capo della potenza politica, la seconda invece il capo della potenza religiosa e sociale.

Consideriamo orala descrizione della prima bestia cioè del capo della potenza politica.

14.2 L’Impero Romano: la prima “bestia” (13:1-10)

«Poi vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e sulle teste nomi blasfemi. La bestia che io vidi era simile a un leopardo, i suoi piedi erano come dell’orso e la sua bocca come quella del leone. Il dragone le diede la sua potenza, il suo trono e una grande autorità. E vidi una delle sue teste come ferita a morte; ma la sua piaga mortale fu guarita; e tutta la terra, meravigliata, andò dietro alla bestia» (vers. 1-3).

«Il dragone», cioè Satana, aveva già offerto a Gesù Cristo, nella tentazione, il suo potere e il suo trono, ma Gesù, che riceverà ogni cosa in eredità dal Padre, ha rifiutato. Ora Satana dà «la sua potenza, il suo trono e una grande autorità» ad un uomo, alla bestia. Il mondo si meraviglierà a causa della «bestia», non soltanto per la sua grandezza, ma anche perché essendo un tempo ferita a morte, riappare adesso sanata e potente.

Come già abbiamo notato, troviamo nella prima «bestia» l’Impero Romano che sarà ristabilito sotto altra forma e avrà un carattere satanico. È detto a questo riguardo: «La bestia che hai vista era, e non è, essa deve salire dall’abisso… Gli abitanti della terra… si meraviglieranno vedendo la bestia perché era, e non è, e verrà di nuovo. Qui occorre una mente che abbia intelligenza. Le sette teste sono sette monti» (Apoc. 17:8-9). «La bestia» ha la sua sede a Roma, la città dai sette colli. La descrizione che l’angelo ci dà della bestia ci permette di vedere in lei l’Impero Romano o Latino.

La rassomiglianza della descrizione di questa «bestia» con quella che il profeta Daniele ci dà dell’ultimo dei quattro grandi imperi è sorprendente. Daniele ci narra la sua visione dicendo: «Io guardavo, nella mia visione notturna, ed ecco scatenarsi sul Mar Grande (il Mediterraneo) i quattro venti del cielo.  Quattro grandi bestie salirono dal mare, una diversa dall’altra. La prima era simile a un leone,… una seconda bestia, simile ad un orso… un’altra bestia simile a un leopardo… Io continuavo a guardare le visioni notturne, ed ecco una quarta bestia spaventosa, terribile, straordinariamente forte… era diversa da tutte le bestie precedenti e aveva dieci corna» (Dan.7:2-7). Dunque, sia nell’Apocalisse che in Daniele la bestia ha dieci corna e sale dal mare, vale a dire dai popoli in completo disordine («Le acque che hai viste… sono popoli, moltitudini, nazioni e lingue» – Apoc.17:15). «La bestia» del capitolo 13 riunisce in sé tutti i caratteri selvaggi dei tre imperi precedenti. «Leopardo»: la rapidità e l’agilità di Alessandro Magno e del suo regno di Macedonia formatosi in brevissimo tempo. «Orso»: il furore del numeroso esercito del regno Medo-Persiano che distruggeva ogni cosa. «Leone»: l’altezza regale e la potenza del regno di Babilonia.

Il fatto che Giovanni vede i quattro regni nell’ordine opposto a quello di Daniele è comprensibile. Daniele, che viveva alla corte del re di Babilonia, guardando nel futuro ha visto prima il leone e poi le altre bestie. Giovanni invece che viveva al tempo dell’Impero Romano deve guardare nel passato e quindi l’ordine viene ad essere invertito. A questo impero, che possiede i caratteri dei tre imperi precedenti, Satana dà una grande potenza e il proprio trono. La bestia «era», cioè esisteva ancora ai tempi dell’apostolo Giovanni; e «non è» nel presente; ma «deve salire dall’abisso», vale a dire riapparirà nuovamente e salirà se non dal «mare»[41] perlomeno «dall’abisso» (Apoc. 17:8).

L’osservatore continua: «E vidi una delle sue teste come ferita a morte; ma la sua piaga mortale fu guarita; e tutta la terra, meravigliata, andò dietro alla bestia» (v. 3).

La meraviglia sarà certamente molto grande, già a causa della rapidità con la quale l’Impero Romano si formerà e ciò, come sappiamo, poco prima del Regno di Cristo (Dan. 7:8-14).

Mentre le dieci corna che la bestia possiede, sia secondo Daniele che secondo Giovanni, sono dieci capi che regneranno insieme e sotto il capo supremo dell’Impero Romano (vedi Apoc. 13:1; 17:7; Dan. 7:7), le teste, che rappresentano sette colline, sono nello stesso tempo la figura di sette re simbolici (17:10). Per meglio dire, si tratta di sette forme diverse di governo, poiché è detto: «cinque sono caduti» (non “sono morti”). Non si tratta di persone ma di sette forme governative, forme di costituzioni.[42]

Quando l’apostolo Giovanni scriveva l’Apocalisse, l’Impero Romano aveva già conosciuto cinque di queste diverse forme di governo. Egli dice: «cinque sono caduti» (17:10). La sesta forma, cioè l’imperiale, esisteva al tempo dell’apostolo ed è per questo che è detto: «uno è». Lo scrittore continua dicendo: «L’altro (la settima forma di governo) non è ancora venuto; e quando sarà venuto, dovrà durar poco».[43] Nell’Impero Romano futuro vi saranno dieci capi che regneranno insieme ma sottomessi ad un capo supremo: «la bestia». Questa nuova e ultima forma di governo andrà pure rapidamente in perdizione.

Dunque, il prossimo grande avvenimento della storia politica mondiale sarà la riapparizione dell’Impero Romano sotto una nuova forma di governo, la settima (o ottava se la settima è stata sotto Napoleone), e sarà formato da dieci regni o stati indipendenti diretti però da un capo supremo.[44]

Nel cap.17:12 e 13 leggiamo: «Le dieci corna che hai viste sono dieci re, che non hanno ancora ricevuto regno; ma riceveranno potere regale, per un’ora, assieme alla bestia. Essi hanno uno stesso pensiero e daranno la loro potenza e la loro autorità alla bestia» (confr. cap. 13:1 e Dan.7:7).[45] La bestia che sale dall’abisso, il capo supremo dell’Impero Romano nella sua ultima forma satanica, deve dunque ancora comparire.

Per quanto riguarda la testa della bestia che è stata «come ferita a morte» possiamo ben pensare che si tratti del breve regno di Napoleone I, come settima forma dell’Impero Latino. Egli fu sconfitto e nello stesso tempo l’Impero Romano che si stava riformando ricevette una «ferita a morte». Però la piaga mortale sarà «sanata» e tutta la terra ne sarà «meravigliata». Con questo, il futuro Impero si troverà in una stretta e misteriosa relazione con la settima forma di governo passata. Il modo con cui ciò avverrà, si vedrà e si capirà soltanto quando questi avvenimenti accadranno.

Oltre a ciò, il futuro Impero sarà formato, come già abbiamo accennato, da dieci regni sottomessi ad un solo capo. Essi regneranno con lui «un’ora», vale a dire durante tutto il tempo e lo stesso tempo della «bestia». Leggiamo che la bestia «aveva dieci corna… e sulle corna dieci diademi»; e la spiegazione ci dice: «Le dieci corna… sono dieci re che… riceveranno potere regale, per un’ora, insieme alla bestia» (13:1; 17:12-13). Quest’ora di regno, con e sotto la «bestia», dura «quarantadue mesi», tre anni e mezzo (13:5), e cioè fino alla venuta di Cristo, quando stabilirà il suo Regno sulla terra in potenza (Dan. 2:34-35). Durante questi 42 mesi, i Giudei credenti attraverseranno le loro più grandi prove ma potranno sperimentare la protezione di Dio.

Quando il capo del quarto impero, l’Impero Romano, sarà stabilito, tutta la terra si meraviglierà e, cosa terribile, adorerà il dragone, cioè Satana perché ha dato il suo potere alla «bestia». E non soltanto questo, ma adorerà anche la bestia (vers. 4) dicendo: «Chi è simile alla bestia? e chi può combattere contro di lei?».

L’uomo sulla terra si sarà staccato completamente dal Dio vivente e al suo posto adorerà Satana e la bestia. Questa è la fine del progresso dell’umanità. L’uomo è diventato lo strumento impotente di Satana e giace nella polvere davanti a lui onorandolo e adorandolo. L’uomo voleva essere indipendente e liberarsi dal Dio di bontà, che è luce e amore, «il Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione», benché la dipendenza da Lui significhi vita e felicità. Ecco che adesso si trova completamente sotto il potere di Satana e adora lui, mentitore e omicida.

Per lungo tempo, durante migliaia d’anni, Dio nella sua mansuetudine e pazienza si è preso cura degli uomini e ha parlato loro amorevolmente e seriamente. Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo Unigenito Figlio, ma il mondo non ha voluto né il suo amore né la sua salvezza. Allora Dio lascia gustare agli uomini l’amaro frutto e le conseguenze della durezza del loro cuore.

«E le fu data (alla bestia) una bocca che proferiva parole arroganti e bestemmie. E le fu dato potere di agire per quarantadue mesi» (vers. 5).

La bestia riceve da Satana forza e potere, e si rivolta e bestemmia contro Dio, contro la sua Chiesa già glorificata nel cielo e contro i santi sulla terra. «Essa aprì la bocca per bestemmiare contro Dio, per bestemmiare il suo nome, il suo tabernacolo e quelli che abitano nel cielo» (vers. 6).

Durante questo breve ma terribile periodo di quarantadue mesi, Satana e la bestia manifesteranno sulla terra tutta la loro ira e inimicizia. Durante lo stesso tempo Israele si troverà nel crogiuolo, affinché l’argento sia purificato dalle scorie (Is. 48:10); e ancora in questo stesso periodo l’uomo sulla terra dovrà sperimentare cosa significhi aver scelto Satana e non Dio come Signore. Per questo Satana e la bestia hanno pieno potere e vittoria assoluta nella loro lotta contro il popolo di Dio e contro tutti gli uomini. Infatti:

«E le fu pure dato di far guerra ai santi e di vincerli, di avere autorità sopra ogni tribù, popolo, lingua e nazione. L’adoreranno tutti gli abitanti della terra i cui nomi non sono scritti fin dalla creazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello che è stato immolato» (vers. 7-8).

Qui notiamo nuovamente la rassomiglianza che vi è tra la «bestia» dell’Apocalisse e il «piccolo corno» che il profeta Daniele vide sulla quarta bestia, cioè l’Impero Romano. In Dan. 7:21 leggiamo: «Io vidi quel corno («un altro piccolo corno», vers. 8) fare guerra ai santi e avere il sopravvento». A riguardo della «bestia» è detto: «E le fu pure dato di far guerra ai santi e di vincerli» (Apoc. 13:7). Del «piccolo corno» è detto in Dan.7:25 che «parlerà contro l’Altissimo»; e della «bestia» è scritto: «Essa aprì la bocca per bestemmiare contro Dio».

Oltre a ciò sappiamo che potenza e autorità saranno date nelle mani del «piccolo corno» per «un tempo (un anno), dei tempi (due anni), e la metà d’un tempo (mezzo anno)» (Dan.7:25). La potenza della «bestia» ha la stessa durata, cioè «quarantadue mesi» (Apoc. 13:5). Il piccolo corno di Daniele, come vediamo chiaramente, è dunque il capo supremo dell’Impero Romano degli ultimi giorni.

In quei giorni le preghiere dei Giudei credenti, che saranno perseguitati, saliranno ininterrottamente al trono di Dio, come le supplicazioni di quella vedova, nella parabola del giudice iniquo dell’evangelo di Luca, che perseverò fino a che il giudice le fece giustizia. Questa parabola pronunciata dal Signore Gesù, è per consolare il residuo fedele d’Israele quando si troverà in quei tempi difficili; alla fine è detto: «Dio non renderà dunque giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti? Io vi dico che renderà giustizia con prontezza». Il Signore fa però una domanda molto seria: «Ma quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?» (Luca 18:1-8), vale a dire: troverà Egli questa fede nella costanza e nella preghiera?

Il residuo fedele giudaico, nella sua distretta, griderà: «O Dio, le nazioni sono entrate nella tua eredità, hanno profanato il tuo santo tempio, hanno ridotto Gerusalemme in un mucchio di rovine… Fino a quando, Signore, sarai tu adirato? La tua gelosia arderà essa come fuoco per sempre?… Soccorrici, o Dio della nostra salvezza, per la gloria del tuo nome… Giunga fino a te il gemito dei prigionieri; secondo la potenza del tuo braccio, salva quelli che sono condannati a morte… E noi, tuo popolo e gregge del tuo pascolo, ti celebreremo in eterno, proclameremo la tua lode per ogni età» (Salmo 79).

In tal modo griderà il residuo d’Israele, quando si troverà nella fornace della prova; mentre gli iniqui nel loro disprezzo ed orgoglio diranno: «Non c’è Dio!» e: «il Signore non farà inchieste»; e ancora: «Dio dimentica, nasconde la sua faccia, non vedrà mai» (Salmo 10:4-11).

In mezzo alla descrizione della situazione dolorosa di questi sofferenti, vi è pure un ammonimento: «Se uno ha orecchi, ascolti. Se uno deve andare in prigionia, andrà in prigionia; se uno uccide con la spada, bisogna che sia ucciso con la spada. Qui sta la costanza e la fede dei santi» (Apoc. 13:9-10). Nella loro sofferenza non devono sguainare la spada, come Pietro (Matt. 26:51), ma attendere la liberazione dell’Eterno con la costanza e la fede dei santi.

14.3 L’Anticristo: la seconda “bestia” (13:11:18)

«Poi vidi un’altra bestia, che saliva dalla terra, e aveva due corna simili a quelle di un agnello, ma parlava come un dragone. Essa esercitava tutto il potere della prima bestia in sua presenza, e faceva sì che tutti gli abitanti della terra adorassero la prima bestia la cui piaga mortale era stata guarita. E operava grandi prodigi fino a far scendere fuoco dal cielo sulla terra in presenza degli uomini» (vers. 11-13).

Oltre alla prima bestia, l’Impero Romano, c’è anche una seconda «bestia». La prima, una potenza mondiale politica, esce dal «mare», cioè si forma dalla massa dei popoli in sommossa. L’altra «bestia» misteriosa sale invece «dalla terra», dunque dalla terraferma, da un terreno dove regna un ordine ben stabilito. Potremmo forse dare qualche particolare per quanto concerne «la terra». Come nel terzo giorno della creazione le acque furono separate dalla «terra», così Dio, dopo il peccato di Adamo e dopo il giudizio nei giorni di Noè, separò dal mare dei popoli la nazione d’Israele. La «terra» è il popolo d’Israele. In verità la seconda bestia esce dal popolo d’Israele come del resto lo vediamo in diversi passi della Parola.

La «bestia», a prima vista, sembra un «agnello». Anche ciò è significativo. è un’imitazione del vero Agnello, il Figlio di Dio. Essa ha due «corna», simili a quelle di un agnello. Le corna sono l’emblema della forza. Il Signore Gesù Cristo, il vero Agnello, è Sacerdote e Re. La seconda bestia tenterà di appropriarsi anche di queste due glorie. Però l’orecchio ammaestrato da Dio ed esercitato a discernere il bene dal male non potrà ingannarsi, poiché la «bestia» ha una voce satanica: «Ma parla come un dragone». Molti avvertimenti del Signore si riferiscono a questa «bestia». Così quando dice: «Guardatevi dai falsi profeti i quali vengono verso di voi in vesti da pecore, ma dentro son lupi rapaci» (Matt. 7:15). Veramente «la bestia» è un falso profeta, anzi il falso profeta, l’Anticristo.

Il Signore ha sovente parlato di ciò per mezzo dei profeti ed ha annunciato che dal popolo d’Israele, quando riapparirà come «terra» (vale a dire quando sarà nuovamente riunito e politicamente ben ordinato e stabilito), uscirà il falso messia che avrà successo.

Udiamo per esempio il Signore Gesù dire ai Giudei increduli: «Io sono venuto nel nome del Padre mio, e voi non mi ricevete; se un altro verrà nel suo proprio nome, quello lo riceverete» (Giov. 5:43). Costui è appunto l’Anticristo, il falso messia d’Israele, che Satana introdurrà come profeta e re. Egli non apparirà subito come «l’empio», come «l’uomo del peccato, il figlio della perdizione», ma si manifesterà come tale soltanto in seguito, e arriverà «fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando se stesso e proclamandosi Dio» (2 Tess. 2:3-10).

Abbiamo dunque davanti agli occhi «l’Anticristo», come lo chiama Giovanni; egli è «colui che nega che Gesù è il Cristo (il Messia)» (1 Giov. 2:22). Ciò nonostante troverà dei seguaci nella cristianità infedele, anzi già adesso il suo spirito è in attività nei paesi cristiani ed è caratterizzato dal fatto «che nega il Padre e il Figlio» (1 Giov. 2:22). Egli è quel «re» del quale Daniele diceva nelle sue profezie: «Il re agirà a suo piacimento, s’innalzerà, si esalterà al di sopra d’ogni dio… prospererà finché non sia finita l’ira (sopra Israele)» (Dan. 11:36; vedi anche Is. 30:33). Oltre a ciò è anche «il pastore» che agirà perfidamente in Palestina, finché il Signore stesso non lo giudicherà e non lo «distruggerà con il soffio della sua bocca» (Zacc.11:16-17; 2 Tess. 2:8).

Che l’Anticristo sia un Giudeo si vede anche in Daniele 11:37 dov’è parlato del Dio «dei suoi padri» e «del dio preferito dalle donne» (leggi: del desiderio delle donne) vale a dire dell’attesa del vero Messia. è evidente che ogni donna credente in Israele sperava che il suo figlio fosse il Messia promesso, il bramato Salvatore. L’Anticristo non ha riguardo né a «Dio» né al «suo Unto», il vero Messia promesso. Anche dimenticando questi passi dovremmo lo stesso ammettere, per altri motivi, che l’Anticristo sarà un Giudeo. Potrebbe egli avere un barlume di possibilità di essere accettato dai Giudei come il messia se non fosse egli stesso un Giudeo?

Se ci mettiamo col pensiero al posto del popolo giudeo al tempo dell’apparizione dell’Anticristo, possiamo benissimo comprendere il gioco di Satana che introduce il messia. Il residuo fedele sarà allora in attesa del vero Messia; dei testimoni predicheranno la sua prossima venuta, la sconfitta delle potenze pagane per stabilire il suo Regno. Ed ecco che appare il profeta di Satana, l’Anticristo. Gli eletti lo riconoscono a causa della sua voce, poiché parla «come un dragone»; questa non è la voce del buon «Pastore», ma quella di Satana. Dalla bocca dell’Anticristo non uscirà certamente una sola parola di conforto o di pace per l’anima stanca ed aggravata. Il Signore stesso metteva in guardia contro costui come contro tutti i «falsi profeti» e i «falsi cristi» di quell’epoca (Matteo 24:23-27).

Ma il potere di seduzione e il pericolo della tentazione sarà molto grande per i Giudei degli ultimi tempi. Prima di tutto l’Anticristo (il falso profeta, la seconda «bestia») stringerà alleanza e farà un accordo con la prima «bestia», il capo dell’Impero Romano, e ciò le permetterà di assicurarsi una posizione di altissima autorità. Quest’alleanza tra l’Anticristo e l’Impero Romano è in vista di una protezione contro una potenza politica nemica. In diversi profeti è parlato di questa potenza del nord della Palestina che esisterà prima della venuta di Cristo e prima della liberazione di Gerusalemme. Essa sarà al posto dell’Assiria, l’accanito nemico d’Israele, ed è «il re del settentrione». Troviamo questo in Is. 28:15-21 dove il re del nord è sovente nominato «l’inondante flagello» e contro il quale l’Anticristo cerca invano protezione. Anche il profeta Daniele annuncia che la potenza di Roma e del mondo occidentale, «il piccolo corno», stabilirà «un saldo patto con molti» cioè con la massa dei Giudei professanti a capo dei quali si trova appunto l’Anticristo (Dan. 9:27).

L’Anticristo ha una posizione di forza a causa del patto che ha fatto con il capo dell’Impero Romano e presso al quale «esercitava tutto il potere della prima bestia… e faceva sì che tutti gli abitanti della terra adorassero la prima bestia» (esercita dunque le funzioni di sacerdote del capo romano), ma per di più ha il potere di «operare grandi prodigi». Nel libro di Giobbe vediamo che Satana può (con il permesso di Dio, evidentemente) metter mano ai fenomeni della natura; egli scatenò un vento di tempesta sulle possessioni di Giobbe. Così pure Satana darà all’ultimo e più grande dei suoi strumenti, l’Anticristo, tale potenza. Di questa seconda bestia è detto: «E operava grandi prodigi sino a fare scendere fuoco dal cielo sulla terra in presenza degli uomini» (vers.13).

Dunque, ciò che Elia fece sul monte Carmel davanti ai profeti di Baal per dimostrare che era un testimone dell’unico vero Dio, adesso lo fa la seconda «bestia», l’Anticristo, per far valere i suoi diritti. E come Gesù Cristo dimostrò di essere Figlio di Dio «mediante opere potenti, prodigi e segni» (Atti 2:22), così l’Anticristo tenterà nello stesso modo di qualificarsi come Messia. Ci è detto di lui: «La venuta di quell’empio avrà luogo, per l’azione efficace di Satana, con ogni sorta di opere potenti, di segni e di prodigi bugiardi» (2 Tess. 2:9). Egli sedurrà coloro che abitano sulla terra e li costringerà a fare un’immagine della prima bestia. «Le fu concesso di dare uno spirito (o per meglio dire l’alito, non la vera vita) all’immagine della bestia, affinché l’immagine potesse parlare e far uccidere tutti quelli che non adorassero l’immagine della bestia» (vers. 14-15).

La seconda bestia, l’Anticristo, farà dunque «un’immagine» del capo dell’Impero Romano futuro, forse una statua, le darà l’alito [46] e la parola. In questo modo riuscirà a sedurre i Giudei increduli e «coloro che abitano sulla terra» affinché adorino l’immagine della prima bestia «che aveva ricevuto la ferita della spada ed era tornata in vita». E tutti coloro che non adoreranno «l’immagine della bestia» saranno uccisi.

Dio permette questo inganno satanico. Poiché gli uomini e in modo particolare Israele non hanno dimostrato nessun amore per la verità, Dio manderà loro «una potenza d’errore perché credano alla menzogna; affinché tutti quelli che non hanno creduto alla verità ma si sono compiaciuti nell’iniquità, siano giudicati». Quale triste situazione!

Dobbiamo pensare che l’Oriente, cioè Gerusalemme, sarà il luogo dove l’Anticristo metterà l’immagine del capo supremo dell’Impero d’occidente che regnerà a Roma. Di modo che anche i sedotti d’oriente avranno un’immagine visibile del grande capo dell’Impero Romano. Adorando qui l’immagine, adorano «la bestia» stessa che si trova lontana, e adorano nello stesso tempo pure Satana (confr. Apoc. 13:4 e 8 con vers. 12 e 15).

Infine, cioè nella seconda metà dell’ultima settimana d’anni di Daniele, l’immagine verrà posta nel tempio che i Giudei, sebbene infedeli, costruiranno, e addirittura nel luogo santo (Dan. 11:31; 12:11). è persino detto che «il figlio della perdizione», l’Anticristo, si porrà a sedere nel «tempio di Dio» e dirà di se stesso che è Dio (2 Tess. 2:4). L’adorazione dell’Anticristo è strettamente legata con l’adorazione di Satana e anche della «bestia».[47] Satana cerca di formare una specie di trinità di origine infernale, per contraffare quella di origine celeste alla quale però Israele e gl’increduli non hanno voluto sottomettersi. Satana sarà quindi adorato, ricevendo l’onore e l’omaggio che appartiene a Dio (12:9 e 12; 13:4), e l’Anticristo, «l’uomo del peccato», sarà adorato al posto di Cristo (Apoc. 13:11; 2 Tessal. 2:3-4). Come terzo elemento della trinità satanica abbiamo «l’immagine» della prima bestia che può parlare poiché ha «uno spirito». Questa è al posto dello Spirito Santo mediante il quale i riscattati di Dio adorano il Padre e il Figlio.

In verità un tale castigo dalla parte di Dio non è mai caduto sugli abitanti di questo povero mondo. Però, come i fedeli nei giorni di Daniele non si prostrarono dinanzi all’aurea immagine di Nabucodonosor, il capo del primo impero mondiale, così neppure il residuo fedele giudaico adorerà l’immagine della bestia, capo dell’ultimo impero mondiale. Quando nella metà dell’ultima settimana d’anni (al principio della quale il capo dell’Impero Romano aveva fatto un patto con i Giudei increduli – vedi Dan.9:27), la distretta arriverà al colmo e «l’abominazione [48] della desolazione» si porrà «in luogo santo», nel tempio di Gerusalemme, allora il residuo fedele («la donna» del cap. 12) fuggirà dalla Giudea (Matt. 24:15).

14.4 Il marchio della “bestia”

Grande e terribile sarà l’afflizione sulla terra e in modo particolare in Palestina.

«Inoltre (la seconda «bestia») obbligò tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi, a farsi mettere un marchio sulla mano destra o sulla fronte. Nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchio, cioè il nome della bestia o il numero che corrisponde al suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza, calcoli il numero della bestia, perché è un numero d’uomo; e il suo numero è 666» (vers. 16-18).

L’Anticristo, «il falso profeta» (Apoc. 19:20) non si attribuisce soltanto ogni potere nel campo religioso, ma anche su ogni commercio e traffico. Nessuno può più comprare o vendere, nessuno può più trattare un affare se non porta sulla mano destra o sulla fronte un marchio, un distintivo, che dimostri la sua dipendenza del capo del regno, la «bestia» romana.

Una certa forma di libertà è rimasta, poiché uno può scegliere se apporre il marchio sulla mano o sulla fronte, però deve esserci, alla mano destra o sulla fronte, di modo che si riconosca immediatamente. Vediamo ancora un sembiante di libertà nel fatto che si può scegliere tra il nome della bestia e il suo numero. Satana è furbo. Egli lascia i suoi schiavi nell’illusione di essere uomini liberi. Ma guai a colui che va contro la sua volontà! In quei giorni, dunque, chiunque non porterà il marchio della bestia, sarà espulso dalla società e dal commercio senza alcun riguardo al suo rango sociale, e sarà lasciato deperire o morire. E tutti coloro in Israele che non sono stati «sigillati» da Dio, e tutti quelli «che abitano sulla terra», e tutti coloro i cui nomi non sono «scritti nel libro della vita dell’Agnello», già fin dalla fondazione del mondo, accetteranno il marchio della bestia malgrado l’avvertimento di Dio (leggi Apoc. 14:9-12).

Invece della libertà tanto desiderata, vi sarà allora sulla terra un terribile regime terrorista, come non è mai esistito. Nel campo religioso regnerà una schiavitù sotto la religione dello stato, sotto la potenza di Satana e l’immagine della bestia. Nel campo commerciale saranno pure eliminati tutti coloro che non portano «il marchio della bestia». Il governo tirannico in un terribile tempo di rivoluzione; il fanatismo cieco di uomini religiosi in un tempo di persecuzioni sanguinarie; il furore dei terroristi contro tutti coloro che non seguono la loro bandiera; tutte queste potenze messe insieme non sono che una pallida figura di quella che sarà la tirannia di Satana e al giogo di ferro «della bestia» nei tempi della fine.

A questo tempo terribile farà seguito il beato regno di pace e di giustizia del Signore Gesù Cristo sulla terra. Il suo «giogo» sarà «dolce» anche per il suo popolo, come lo è oggi per noi, e il suo «carico leggero». Prima però dovrà essere compiuto ciò che l’Eterno disse al suo popolo Israele, avvertendolo: «Per non avere servito il Signore, il tuo Dio, con gioia e di buon cuore in mezzo all’abbondanza di ogni cosa, servirai i tuoi nemici… essi ti metteranno un giogo di ferro sul collo» (Deut. 28:47-48).14.5 Il numero 666

«Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia, perché è un numero d’uomo; e il suo numero è 666».

L’espressione del vers.18 «qui sta la sapienza» vuol dire semplicemente: ecco qui la spiegazione per l’uomo savio e assennato. Troviamo la stessa cosa nel cap. 17:9 dove l’apostolo svela il segreto della «donna» e della «bestia»; anche lì sta scritto: «Qui occorre una mente che abbia intelligenza. Le sette teste sono sette monti».

Ogni fedele e accorto servitore di Dio, trovando nel nome di quel dominatore il numero 666, riconoscerà in lui «la bestia» che ha da venire.

è noto che nelle lingue antiche certe lettere sono anche un numero ben determinato.[49] Se la somma dei numeri di ogni lettera del nome del futuro dominatore dà 666, il fedele servitore riconoscerà immancabilmente che il portatore di quel nome è «la bestia che deve salire dall’abisso». Il suo regno, il quarto e ultimo impero mondiale, sarà rovesciato da Cristo, la «Pietra» che deve «staccarsi dal monte, senza intervento umano» per far posto al Regno «del Signor nostro e del suo Cristo»: il Millennio (Dan. 2:31-45; Apoc. 11:15).

Invano la curiosità dell’uomo di oggi cerca di trovare il personaggio preannunciato con l’aiuto del numero 666, e di poter indicare con sicurezza chi personificherà «la bestia che deve salire dall’abisso».[50] Ciò nondimeno il numero 666 è molto interessante.

Il numero 6 esprime lavoro e fatica poiché corrisponde al numero dei giorni feriali, i giorni di lavoro. Se a questi giorni manca il settimo, il giorno del riposo del Signore, essi sono l’espressione dell’imperfezione.

Il numero 6 è quindi il numero dell’insufficienza dell’uomo, anche se si trova all’apice della sua carriera. Il gigante Goliath, il nemico di Davide (l’unto di Dio in Israele) era alto 6 cubiti e un palmo! Dio però diede il gigante nelle mani del suo unto. Quando il numero 6 è ripetuto, troviamo che all’insufficienza dell’uomo vengono ad aggiungersi la sua cattiveria e la sua arroganza. L’immagine d’oro che Nabucodonosor, il capo del primo impero mondiale, fece erigere nella provincia di Babilonia per essere adorato, misurava sessanta cubiti di altezza e sei cubiti di larghezza (Dan. 3:1). «Il numero della bestia» è 666 dunque un 6 triplo. Esso ci parla dell’uomo peccatore al colmo della sua sapienza, all’apice umanamente raggiungibile, ma che non giunge però fino alla gloria di Dio. Il 6 è vicino al 7, il numero della perfezione divina, ma non lo raggiungerà mai.

Bisogna ancora aggiungere che, come il numero 666 esprime un triplice 6, questo dominatore della fine si approprierà ogni onore e gloria e arriverà, nella sua rivolta contro Dio, a dire ch’egli è dio. Dio invece lo chiama: «bestia», perché appunto non ha né timore di Dio né dipendenza da Dio, né comunione con Dio; tre cose che formano l’ornamento e l’elevatezza dell’uomo.

Senza dubbio alcuno, la prima e la seconda bestia, cioè il capo del quarto impero e l’Anticristo, sono la più alta e la più potente manifestazione dell’umanità senza Dio. Per questo il suo numero è 666.

Quant’è bello che il prezioso nome di Gesù in greco, la lingua del Nuovo Testamento, porti il numero 888.[51]

Gesù Cristo, il Figlio di Dio, s’è fatto uomo: l’uomo completamente dipendente da Dio, il Figlio dell’uomo, Colui che ha pienamente onorato Dio in questo mondo malvagio. Per mezzo della sua morte e della sua risurrezione è diventato il nostro Salvatore, capo di una nuova creazione; e Dio l’ha posto al disopra di ogni principato e potenza, e l’ha innalzato alla sua destra e metterà ogni cosa sotto di Lui. Non è certamente per caso che il numero del suo nome glorioso, nome a cui ogni ginocchio si piegherà, sia 888, in contrasto con quello della «bestia» che è 666. Il numero 8 designa il principio di un nuovo ordine di cose. Così per esempio l’ottavo giorno dell’antico patto (confr. Lev. 9:1; 12:3; 14:10; 23:11; 36:39), poiché la settimana ha solo 7 giorni, si è trovato ad essere il primo giorno del nuovo patto, il giorno della risurrezione in gloria del Signore, della vittoria su Satana, sul peccato, sulla morte e sul mondo, la domenica.

Quale contrasto vi è tra «il Figlio dell’uomo che è nel cielo» (Giov.3:13; confr. Atti 7:56; Salmo 80:17) e «l’uomo di peccato», il vertice dell’uomo infedele a Dio. Lo stesso contrasto lo troviamo anche con il capo dell’ultimo grande impero, che malgrado la sua autorità e potenza non è davanti a Dio altro che una «bestia».

Non notiamo, già nei nostri giorni, come l’orgoglio dell’uomo aumenta? Con «l’uomo di peccato», che «mostrando se stesso» si proclamerà Dio (2 Tess. 2:4) e col capo dell’Impero Romano futuro, il quale sarà anche adorato, l’esaltazione dell’uomo giungerà al colmo. è significativo vedere che oggi non si dice più come un tempo: «Dio non esiste» ma si comincia a dire che Dio non è estraneo al mondo, è dappertutto, è nell’uomo. Più l’uomo crede di trovare Dio in se stesso, più crede di essere egli stesso Dio. Dio viene dunque lentamente smosso dal suo posto e l’uomo s’innalzerà fino a che giungerà a dire d’essere Dio. Questo lo vediamo e udiamo già nei nostri giorni, e caratterizza il nostro tempo.

15. Capitolo 14

15.1 L’Agnello sul monte di Sion. Il residuo di Giuda

«Poi guardai e vidi l’Agnello che stava in piedi sul monte Sion e con lui erano centoquarantaquattromila persone che avevano il suo nome e il nome di suo Padre scritto sulla fronte. Udii una voce dal cielo simile a un fragore di grandi acque e al rumore di un forte tuono; e la voce che udii era come il suono prodotto da arpisti che suonano le loro arpe. Essi cantavano un cantico nuovo davanti al trono, davanti alle quattro creature viventi e agli anziani. Nessuno poteva imparare il cantico se non i centoquarantaquattromila, che sono stati riscattati dalla terra. Essi sono quelli che non si sono contaminati con donne, poiché sono vergini. Essi sono quelli che seguono l’Agnello dovunque vada. Essi sono stati riscattati tra gli uomini per esser primizie a Dio e all’Agnello. Nella bocca loro non è stata trovata menzogna: sono irreprensibili» (14:1-5).

Fin qui abbiamo dovuto considerare le due «bestie», vale a dire il capo dell’ultimo impero e l’Anticristo; adesso però il nostro sguardo è rivolto, in contrasto con le «bestie», verso «l’Agnello». La sua Persona rallegra il nostro cuore e quanto volentieri restiamo nella sua presenza! L’intero libro dell’Apocalisse potrebbe essere chiamato il libro dei diritti e delle vittorie dell’Agnello. Sovente in questo libro il Signore Gesù è chiamato «l’Agnello».

Appena l’osservatore guarda nei cieli aperti (cap. 5), vede «l’Agnello» in mezzo al trono. E i riscattati pieni di gioia giubilano: «Degno è l’Agnello» di aprire il libro dei giudizi divini che debbono cadere sulla terra per purificarla. Coloro che saranno colpiti da questi giudizi grideranno ai monti e alle rocce: «Cadeteci addosso, nascondeteci dalla presenza di colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello» (6:16). La grande folla di tutte le nazioni che entra nel Regno dopo la grande tribolazione, vestita di bianco e con delle palme in mano, loda ed onora Dio e l’Agnello. «L’Agnello che è in mezzo al trono li pascerà e li guiderà» (7:17). Il libro della vita è il «libro della vita dell’Agnello che è stato immolato» (13:8). Della visione dell’Agnello sul monte parleremo più a lungo in seguito; adesso ricordiamo solo che la gioia e l’onore dei suoi consiste nel seguire «l’Agnello dovunque vada» (14:4). Nel capitolo seguente, quelli che hanno ottenuta «vittoria sulla bestia» cantano «il cantico di Mosè, servo di Dio, e il cantico dell’Agnello» (15:3).

«La bestia» e i dieci re fanno la guerra contro «l’Agnello» ma, come leggiamo nel cap. 17:12-14, «l’Agnello li vincerà, perché egli è il Signore dei signori e il Re dei re». Dopo che tutti i sigilli del libro dei giudizi saranno stati aperti, e che tutte le trombe avranno echeggiato, e tutte le coppe dell’ira di Dio saranno state sparse, e «Babilonia», la prostituta, sarà stata giudicata, giungeranno infine le bramate «nozze dell’Agnello» (19:7-9). Quando anche Satana sarà stato incatenato nell’abisso e tutti i giudizi si saranno compiuti sulla terra, Giovanni è invitato da uno degli angeli che hanno eseguito le ultime piaghe a contemplare «la sposa, la moglie dell’Agnello» nella sua bellezza; essa scende dal cielo, simile ad una città ripiena della gloria di Dio (cap.21:9). Sui dodici fondamenti della città vi sono «i dodici nomi di dodici apostoli dell’Agnello» (21:14). «Il Signore, Dio onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio» e «l’Agnello è la sua lampada» (21:22-23). In questa beata città non vi sarà nessun abitante che non sia scritto «nel libro della vita dell’Agnello» (21:27). Il limpido «fiume dell’acqua della vita» che scorre attraverso la città, procede «dal trono di Dio e dell’Agnello» (22:1). Oltre a ciò non vi sarà nella città «nulla di maledetto» (nessuna conseguenza del peccato) poiché in essa «vi sarà il trono di Dio e dell’Agnello» (22:3).

Come dicevamo, il libro dell’Apocalisse è il libro dei diritti e delle vittorie dell’Agnello immolato. Quaggiù, su questa scena di peccato e di morte, il Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, ha sofferto come Agnello e ha dato la sua vita per la gloria di Dio e per la nostra salvezza. Nel cielo, però, a causa delle sue sofferenze e della sua morte riceverà, come Agnello, ogni onore e gloria. Dio l’ha innalzato in mezzo al suo trono, e tutti i riscattati e gli angeli lo attorniano e lo lodano del continuo. Davanti a Lui ogni ginocchio dovrà piegarsi nei cieli, sulla terra e sotto la terra, e confessare che Egli è il Signore, alla gloria di Dio Padre.

Ritorniamo al nostro passo: «L’Agnello che stava in piedi sul monte Sion» (14:1). La visione dell’Agnello sul monte è messa ancora più in risalto dalle parole che precedono: «Poi guardai e vidi», e ancora: «stava in piedi». La sua potenza, come vincitore delle due «bestie» del cap. 13 è messa così in evidenza. Così pure il nome del monte, «Sion», ricorda la grande grazia divina. «Sion» ci parla dell’intervento di Dio in grazia per la salvezza del suo popolo Israele. Dopo l’infedeltà del sommo sacerdote Eli e la disubbidienza di Saul, quando tutto sembrava essere finito per il popolo d’Israele, ecco che Dio, nella sua grazia, suscitò Davide, il quale aveva il suo rifugio sul monte Sion: per mezzo di lui Dio salvò Israele. Così il vero Davide, il nostro Signore Gesù Cristo, che quale «Agnello» è diventato il nostro Salvatore, radunerà in Sion presso di sé, dopo un tempo molto tenebroso (poiché l’Impero Romano e l’Anticristo spiegheranno la loro potenza), una schiera di 144.000 fedeli Giudei. Si tratta di Sion, Gerusalemme, sulla terra dopo la grande tribolazione, all’inizio del Regno di Cristo.

Ciò che ci viene detto all’inizio del cap. 14 ha luogo soltanto dopo il tempo della tribolazione. Sovente nell’Apocalisse vediamo che il Signore prima mostra all’osservatore l’oggetto in lontananza e soltanto dopo gli dichiara il cammino per giungervi. Nel capitolo 7 abbiamo avuto lo stesso caso; l’angelo faceva vedere all’apostolo i 144.000 suggellati d’Israele e la grande folla delle nazioni che entreranno nel Regno dopo la grande tribolazione; nel cap. 8 e seg. però ci viene descritta la grande tribolazione, durante la quale i 144.000 suggellati saranno salvati.

Mentre nel cap. 7 abbiamo una schiera di 144.000 suggellati d’Israele che entrerà nel Regno, qui nel cap.14 troviamo invece una schiera di ugual numero ma formata solamente dalle due tribù del Regno di Giuda, la cui capitale era e sarà nuovamente «Sion» (Gerusalemme con la fortezza di Davide). «Poiché il Signore ha scelto Sion, l’ha desiderata per sua dimora. Questo è il mio luogo di riposo in eterno; qui abiterò, perché l’ho desiderata» (Salmo 132:13-14). Il numero 144.000 (=12×12.000) è forse simbolico ed esprime la perfezione nel governo e nell’amministrazione di Dio, per indicare che nel numero dei credenti nessuno mancherà.

Tutti coloro che si sono lasciati sedurre da Satana e dalla «bestia» hanno ricevuto «il marchio» della bestia sulla mano destra o sulla fronte. Qui invece abbiamo letto che i vincitori di Giuda portano ben visibile sulla fronte il nome dell’«Agnello» e di suo Padre; un onore alla loro pubblica confessione per Dio e per il Salvatore, in un tempo di tenebre fittissime.

Gli abitanti del cielo si rallegrano grandemente per la salvezza del residuo di Giuda, che entrerà vivente nel Regno (vers.2), poiché avrà terribilmente sofferto sotto l’ira di Satana e delle due «bestie».

Un’altra parte del residuo, che non appartiene a questi 144.000, troverà la morte nella grande tribolazione; questi martiri si troveranno allora in cielo. è per questo che udiamo un inno di lassù come di arpisti che accompagnano il loro canto con lo strumento. In rapporto con questo, udiamo sulla terra «un cantico nuovo», cioè il cantico della salvezza. Le parole di questo cantico però non ci sono rivelate, mentre le parole del «nuovo cantico» cantato dai «ventiquattro anziani» nel cap. 5 ci sono rivelate. Come già abbiamo detto, nel nuovo cantico del cap. 14 si tratta anche di una salvezza o di un riscatto (vers. 3 e 4), però piuttosto in rapporto con le benedizioni terrene nel Regno; i 144.000 che imparano il cantico dagli arpisti celesti sono ancora sulla terra.

Due cose sono importanti: soltanto i 144.000, che hanno superato vittoriosamente la tribolazione, possono imparare dai loro fratelli, i martiri nel cielo, questo cantico e cantarlo; essi lo cantano, in unione con la gioia e il canto di quei martiri nel cielo, davanti al trono di Dio, e davanti alle quattro creature viventi, e ai ventiquattro anziani. Il loro inno non è soltanto recepito lassù, ma loro stessi, benché ancora sulla terra, sono in rapporto con Dio, col cielo e con coloro che vi abitano, poiché hanno meravigliosamente sperimentato, come nessun altro, la potenza di Dio in salvezza e protezione. Essi sono stati strappati dalle mani di Satana quando egli impegnava tutta la sua forza. Sono chiamati «vergini», perché sono rimasti puri quando tutto sulla terra si contaminava. Neppure nella loro bocca fu trovata «menzogna» alcuna.

Natanaele che fu condotto a Gesù da sotto «il fico» (figura di Giuda), e che ha udito il Signore dire: «Ecco un vero Israelita in cui non c’è frode», è una figura di questa benedetta schiera. I 144.000, come ha fatto Natanaele, diranno al Signore Gesù con giubilo: «Tu sei il Figlio di Dio, tu sei il Re d’Israele» (Giov. 1:49; Salmo 2). Essi saranno trovati, per la grazia di Dio, «irreprensibili». Quando il Signore apparirà in gloria per stabilire il suo Regno in Sion, essi accompagneranno dovunque «l’Agnello» che per mezzo della sua morte ha acquistato per loro una salvezza eterna.

Dopo il privilegio che abbiamo avuto (vers. 15) di poterci rallegrare alla vista della gloria che sarà la parte del residuo di Giuda quando il Signore Gesù Cristo, «l’Agnello», verrà sulla terra, sul monte di Sion per stabilire il suo Regno, Giovanni osserva in seguito il succedersi degli avvenimenti secondo le vie di Dio, durante il tempo della crisi finale. Dio prende queste disposizioni per introdurre appunto le glorie del Regno, poiché l’Agnello è «in piedi sul monte Sion». Il Signore parla a Giovanni per mezzo di angeli.

15.2 I tre angeli e “l’Evangelo eterno ”

«Poi vidi un altro [52]  angelo che volava in mezzo al cielo, recante il vangelo eterno per annunziarlo a quelli che abitano sulla terra, a ogni nazione, tribù, lingua e popolo. Egli diceva con voce forte: Temete Dio e dategli gloria, perché è giunta l’ora del suo giudizio. Adorate colui che ha fatto il cielo, la terra, il mare e le fonti delle acque» (vers. 6-7).

Il primo angelo

Questo è il messaggio del primo angelo. Dio chiama gli uomini al pentimento dal mezzo della loro iniquità. In un’epoca in cui l’umanità si volge verso gl’idoli e onora più la creatura che il Creatore, Dio fa valere i suoi diritti: «Temete Dio e dategli gloria…». Questo non è «l’evangelo della grazia di Dio» (Atti 20:24), che è predicato ai giorni nostri, e neppure «l’evangelo del Regno» (Matt. 4:23 e altri) che è stato predicato ai Giudei e che sarà loro nuovamente predicato (Matt. 10:7-23; 24:14). Qui abbiamo «l’evangelo eterno» che ci presenta i diritti di Dio come Creatore e Giudice; Egli ha rivendicato questi suoi diritti fin dal principio e in ogni tempo. Già al principio della Genesi (3:15) troviamo un evangelo (buona novella) che annuncia risultati eterni.

Né Israele, che entrerà un giorno nel Regno di mille anni, né noi, che abbiamo la nostra dimora eterna nel cielo nella casa del Padre, avremmo potuto fondare la nostra salvezza altro che nella grazia che è soltanto in Cristo Gesù. Nell’evangelo eterno, ai tempi della fine, Dio esige da ogni nazione adorazione e sottomissione (ciò che Paolo ha detto ai pagani d’Atene). Qui è solamente detto: «Temete Dio e dategli gloria, perché è giunta l’ora del suo giudizio. Adorate colui che ha fatto il cielo, la terra».

Due cose sono messe dinanzi agli occhi degli uomini infedeli e idolatri: la creazione e il prossimo giudizio. Dio non ha mai richiesto meno di ciò che esige qui; non può esigere meno. Chi risponderà a queste esigenze nei tempi tenebrosi della fine, chi si inginocchierà per adorare il Creatore e il Giudice, avrà afferrato questo evangelo e la sua salvezza. Nel magnifico Salmo 96 troviamo l’evangelo eterno espresso dalle parole del salmista, come sarà annunciato, per mezzo dello Spirito di Dio, alle nazioni della fine prima del giudizio e del Regno di Cristo: «Poiché tutti gli dèi delle nazioni sono idoli vani; il Signore, invece, ha fatto i cieli… Prostratevi davanti al Signore vestiti di sacri ornamenti, tremate davanti a lui, abitanti di tutta la terra! Dite fra i popoli: il Signore regna… poich’Egli viene, viene a giudicare la terra».

Non è necessario ammettere che sarà un angelo a predicare «l’evangelo eterno», anche se qui vediamo un angelo prendere la cosa in mano. Dio predica agli uomini per mezzo di uomini. Saranno i «fratelli» del Signore Gesù, cioè i Giudei credenti, che Egli riconoscerà pubblicamente come suoi «fratelli» dopo che avrà separato le pecore dai capri (Matt. 25:40), che predicheranno «l’evangelo del Regno» ai Giudei, e «l’evangelo eterno» alle nazioni (Matt. 24:14; Marco 13:10). Nel capitolo 7 dell’Apocalisse è già stato comunicato l’esito benedetto della predicazione dell’evangelo eterno: «Una folla immensa che nessuno poteva contare, proveniente da tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue, che stava in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, vestiti di bianche vesti e con delle palme in mano».

Il secondo angelo

Il secondo angelo annuncia: «Caduta, caduta è Babilonia la grande, che ha fatto bere a tutte le nazioni del vino dell’ira della sua prostituzione» (vers. 8).

Nella lettera scritta alla chiesa di Tiatiri (cap. 2) è parlato delle «profondità di Satana», della «donna Jezabel» e della sua attività malefica in seno alla chiesa professante. Finché lo Spirito Santo e la Sposa del Signore Gesù, la vera Chiesa, saranno sulla terra, anche il male religioso nella cristianità è frenato. Nella cristianità corrotta i credenti sono ancora luce e sale. Finché essi sono quaggiù, il sistema religioso, benché corrotto e malvagio, non viene mai chiamato: «Babilonia», anche se il carattere di Babilonia si fa sempre più sentire. Appena lo Spirito Santo e la Chiesa del Signore avranno abbandonato la terra (come Enoc che fu rapito in cielo prima del diluvio), gli appartenenti a quel sistema religioso senza Dio né Spirito, che professava di appartenere alla Sposa di Cristo, sarà chiamata «Babilonia»; «Babilonia la grande, che ha fatto bere a tutte le nazioni del vino dell’ira della sua prostituzione (infedeltà completa)». Molti credenti sono legati a ciò che un giorno sarà chiamata «Babilonia»; poiché più avanti (cap. 18), dove troviamo la descrizione del giudizio annunciato adesso dall’angelo, è scritto: «Uscite da essa, o popolo mio». Dio vuole che i credenti ubbidiscano alla Parola e ai suoi insegnamenti circa la separazione dal male, prima che il giudizio cada; essi devono già oggi vedere il male e conoscere i pensieri di Dio rivelati nella sua Parola.

Babilonia, l’acerrimo nemico del popolo di Dio dell’Antico Testamento, sotto il quale gli Israeliti come prigionieri e schiavi soffrirono per ben 70 anni, è nominato qui «la grande». Babilonia, o Babele, già nell’antichità «ubriacava tutta la terra» col suo vino (Ger. 51:7). Adesso però è spiegato che il suo vino è stato il «vino dell’ira (furore e inimicizia) della sua prostituzione». Non è più soltanto, come un tempo, una potenza politica, bensì una potenza religiosa e spirituale. Essa, che confessava di appartenere a Cristo, si è data nelle mani del mondo e di Satana per ottenere potenza ed onore quaggiù, mescolando così le cose di Dio con quelle del mondo, cosa che è un’abominazione davanti a Dio. Se pur troviamo che in Tiatiri (la chiesa Romana) si manifestano i principi di Babilonia, vale a dire una confusione del mondano con il divino, nondimeno tale chiesa oggi non è ancora «Babilonia» nella sua forma assoluta. E neanche sarà la sola ad esserlo; anche altri sistemi religiosi cristiani, che aspirano alla gloria del mondo e uniscono ciò che è spirituale con ciò che è di questo mondo, faranno parte di Babilonia.

Il terzo angelo

Il terzo angelo grida con gran voce: «Chiunque adora la bestia e la sua immagine, e ne prende il marchio sulla fronte o sulla mano, egli pure berrà il vino dell’ira di Dio versato puro nel calice della sua ira… Qui è la costanza dei santi che osservano i comandamenti di Dio e la fede in Gesù» (vers. 9-12).

L’adorazione palese della «bestia», strumento di Satana, è più grave ancora di «Babilonia» il giudizio della quale, pur essendo già annunciato, verrà eseguito più tardi e descritto nei cap. 18 e 19. Nelle persone della bestia che porterà il numero 666 e dell’Anticristo possiamo vedere, com’è già stato detto, l’apice della rivolta e della ribellione dell’uomo contro Dio. Di conseguenza il giudizio temporale ed eterno annunciato contro coloro che si sottomettono alla «bestia» è spaventevole. Evidentemente quei santi e fedeli «che osservano i comandamenti di Dio e la fede in Gesù» dovranno soffrire terribilmente in quei tempi dell’Anticristo (vedi Matt. 24; Marco 13; Luca 17:22-36 e Apoc. 21). Ma cosa sono le sofferenze temporali a confronto dell’ira eterna e del giudizio di Dio contro i malvagi?

Esiste una chiara relazione tra i giudizi annunziati dal secondo e quelli del terzo angelo. Dopo la partenza dalla terra dello Spirito Santo e della Chiesa di Cristo, il mondo si piegherà davanti alla potenza del sistema religioso iniquo ed infedele, che è «Babilonia». Sotto le esigenze di Satana e dell’Anticristo, gli uomini adoreranno la «bestia», il capo dell’Impero Romano, e porteranno il marchio della sua immagine. Il secondo e terzo angelo hanno annunziato a costoro i giudizi di Dio.

«E udii una voce dal cielo che diceva: Scrivi: Beati i morti che da ora innanzi muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, essi si riposano dalle loro fatiche perché le loro opere li seguono» (vers. 13).

Qui udiamo un’altra voce; non è più la voce del terzo angelo. Essa viene «dal cielo» e non annuncia un giudizio contro il persecutore come le parole precedenti, bensì parla della beatitudine dei perseguitati, che sono morti o stanno per morire.

Il nostro passo viene sovente applicato a tutti i credenti che abbandonano la scena di questo mondo. Pur potendo essere applicato a tutti i cristiani, non è parlato qui di loro. Ciò è dimostrato dall’espressione «da ora innanzi», sia che la poniamo davanti: Beati da ora innanzi i morti che muoiono nel Signore, o alla fine: Beati i morti che da ora innanzi muoiono nel Signore. Nel primo caso, tutti coloro che successivamente hanno perso la vita a causa della fede sono considerati una sola classe la cui beatitudine sarà da quel momento in poi completa. Il tempo della pazienza e delle sofferenze è passato per sempre, e non vi saranno più martiri sulla terra. Il Regno di Gesù Cristo è vicino, e al suo inizio Egli risusciterà tutti i martiri del tempo della tribolazione affinché abbiano parte al dominio e alla gloria. Nel secondo caso, la voce dal cielo dice che i credenti sulla terra, che preferiscono morire piuttosto che prendere il marchio della bestia, hanno ancora parte alla prima risurrezione.

Quanto facilmente si può formare nel cuore di questi fedeli che non cercano la loro parte nel cielo come noi, ma che attendono l’adempimento delle promesse terrene, questa domanda: Che ne sarà di noi se dobbiamo lasciare la nostra vita a causa della testimonianza di Cristo? Quale sarà la nostra sorte nel Regno futuro che desidereremmo condividere con Cristo? Morendo non perderemo forse la nostra parte e il nostro posto nel Regno? Perciò è necessario che questa voce assicuri che anche loro parteciperanno alla prima risurrezione, della quale è detto: «Beato e santo è colui che partecipa alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la morte seconda, ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo e regneranno con lui quei mille anni» (20:6). Per questo troviamo questa voce confortante: «Beati i morti che da ora innanzi muoiono nel Signore». Le loro opere, che sembrano apparentemente perse, «li seguono». Il loro frutto sarà raccolto in cielo dove essi avranno la loro parte in eterno (20:4). Per il presente «si riposano dalle loro fatiche». è possibile che siano loro che cantano il nuovo cantico davanti al trono, alle creature viventi e agli anziani, e che lo insegnano ai 144.000 sul monte Sion (14:3).

Chi però annuncia dal cielo queste parole consolanti a quei fedeli che non prendono il marchio della bestia ma che preferiscono invece morire? è forse il Signore Gesù stesso? Pare di sì, poiché lo Spirito Santo conferma quelle parole con un «sì», e dichiara che essi «si riposano delle loro fatiche, poiché le loro opere li seguono».

Dopo aver visto quali benedizioni saranno la parte dei vincitori sul monte Sion e dei martiri che moriranno durante la seconda metà dell’ultima settimana d’anni di Daniele, e dopo aver udito quali terribili giudizi cadranno su Babilonia e eternamente su coloro che adoreranno la bestia e la sua immagine e porteranno il suo marchio, ci vengono rivelati due nuovi giudizi sulla terra. Ci è parlato in figura di una mietitura e di una vendemmia.

15.3 La mietitura e la vendemmia

1 – La mietitura (vers. 14-16)

Adesso troviamo, seduto su una nuvola bianca, il Figlio dell’uomo in procinto di eseguire il giudizio. è con questo titolo che Cristo riceve il Regno dalla mano di Dio (Dan. 7:13-14). Come Figlio dell’uomo interviene per liberare il suo popolo eletto (Salmo 80:17-19). Questo è anche il nome che gli è dato quando è detto che ogni cosa sarà posta sotto i suoi piedi (Salmo 8:4-6; Ebrei 2:5-8). Ed è ancora come «Figlio dell’uomo» che appare sulle nuvole del cielo per liberare il suo popolo Israele, secondo la sua promessa (Luca 21:27-28). In qualità di Unto di Dio e Re d’Israele porta una corona d’oro; mentre in qualità di Giudice di tutta la terra ha in mano una falce affilata. «La terra fu mietuta».

Una profezia di Gioele ci aiuta a comprendere questi giudizi che cadranno sul campo da mietere e sulla vigna della terra. In Gioele 3:12 leggiamo: «Le nazioni si muovano e vengano alla valle di Giosafat! perché là io mi metterò seduto per giudicare tutte le nazioni circostanti» (leggi anche Sofonia 3:8 e seg.).

Qui nell’Apocalisse troviamo l’adempimento dei giudizi terribili annunciati dai profeti. Nelle profezie troviamo pure quando e perché questi giudizi debbono avvenire. «Il giorno del Signore» sarà il tempo ch’Egli giudicherà le nazioni e ristabilirà il suo popolo. Israele è l’oggetto dei suoi consigli, Gerusalemme è il centro dei suoi interessi e Sion il centro del suo imperio. Le nazioni, che per lunghi anni hanno oppresso Israele, sono adesso radunate per il giudizio. La potenza e la gloria di Dio si volgono a favore del suo popolo terrestre e si spandono dal luogo della sua dimora.

Per lungo tempo Dio ha lasciato le nazioni agire secondo la loro volontà; ora però «i tempi delle nazioni» sono passati (Luca 21:24). Fin dove è giunta la loro iniquità? L’abbiamo visto nella «bestia», il capo del quarto impero, il quale, sotto la direzione di Satana, s’innalza contro Dio.

Tutto ciò che abbiamo studiato adesso è quindi in rapporto con Israele e col Regno messianico. E un angelo che esce dal tempio, il tempio che è nel cielo nel quale abbiamo visto la significativa arca del patto (11:19), dà il segnale per l’inizio del giudizio.

2 – La vendemmia (vers. 17-20)

La mietitura ci parla del giudizio del Signore sulle nazioni della terra (da non dimenticare però che il grano è già stato da lungo tempo raccolto nei granai celesti, Matt. 3:12; 13:30). La vendemmia ci presenta il giudizio del «Figlio dell’uomo» sul perverso popolo d’Israele. Questo popolo è stato, già fin dall’antichità, paragonato ad una vite o ad una vigna (Salmo 80:8,14; Is. 5:1-7).

In rapporto con le nazioni idolatre, è diventato una «generazione malvagia» e, secondo la profezia del Signore, dimora di sette spiriti immondi (Matt. 12:43-45). Benché i credenti del residuo fedele abbiano da soffrire molto, non saranno però colpiti da questo giudizio. Anche questa volta un angelo lo esegue, un angelo che esce dal tempio con «una falce affilata». Questo secondo giudizio è più terribile del primo. Nella mietitura sarà fatta una distinzione tra le nazioni (analogamente a ciò che troviamo in Matt. 25: la separazione tra i capri e le pecore); invece qui, nella vendemmia, ci viene presentata la giusta «ira di Dio» contro l’infedele Israele senza distinzione alcuna. è per questo che il secondo giudizio è eseguito all’ordine di un angelo che esce «dall’altare» e avente «potere sul fuoco». Questo è il fuoco del giudizio. «La vigna della terra», cioè il popolo d’Israele, malgrado le cure ricevute, non ha portato del buon frutto. I suoi grappoli sono adesso raccolti e gettati «nel grande tino dell’ira di Dio». Il tino però sarà «pigiato fuori della città» (fuori di Gerusalemme), e il sangue dei Giudei iniqui e idolatri, e delle nazioni nemiche radunate a Gerusalemme e dei loro eserciti, colerà su una «distesa di milleseicento stadi». Questa distanza corrisponde alla lunghezza di tutta la Palestina.

16. Capitolo 15

16.1 I sette angeli e gli ultimi sette flagelli

I capitoli 15 e 16 descrivono il giudizio finale contro il mondo anticristiano.

16.2 I cantori sul mare di vetro

«Poi vidi nel cielo un altro segno grande e meraviglioso: sette angeli che recavano sette flagelli, gli ultimi, perché con essi si compie l’ira di Dio. E vidi come un mare di vetro mescolato con fuoco e sul mare di vetro quelli che avevano ottenuto vittoria sulla bestia e sulla sua immagine e sul numero del suo nome. Essi stavano in piedi, avevano delle arpe di Dio, e cantavano il cantico di Mosè, servo di Dio, e il cantico dell’Agnello, dicendo: Grandi e meravigliose sono le tue opere, o Signore, Dio onnipotente; giuste e veritiere sono le tue vie, o Re delle nazioni. Chi non temerà, o Signore, e chi non glorificherà il tuo nome? Poiché tu solo sei santo; e tutte le nazioni verranno e adoreranno davanti a te, perché i tuoi giudizi sono stati manifestati» (15:1-4).

Con questo capitolo comincia un nuovo paragrafo del nostro libro. In esso troviamo i giudizi che avverranno per difendere i diritti «dell’Agnello» e preparare il suo Regno.

Giovanni sull’isola di Patmos contempla una nuova visione: «Poi vidi nel cielo un altro segno grande e meraviglioso»; questo ci ricorda i precedenti «segni nel cielo» (12:1 e 3). Giovanni aveva visto prima «una donna rivestita del sole»: Israele, o Gerusalemme come punto centrale d’Israele, come sarà un giorno secondo i consigli e i pensieri di Dio; in secondo luogo aveva visto Satana «il dragone», il quale per mezzo della «bestia» (il capo dell’Impero Romano) si opporrà a Dio, al suo Cristo e al suo popolo sulla terra. In questo nuovo «segno» (15:1) troviamo una figura delle ultime piaghe poco prima del ritorno di Cristo [53]: con esse si compie «l’ira di Dio». Qui abbiamo l’adempimento dei giudizi predetti dai ventiquattro anziani dopo il suono della settima tromba.

Infatti, allo squillare della settima tromba si fecero delle voci nel cielo che dicevano: «Il regno del mondo è passato al nostro Signore e al suo Cristo»; e i ventiquattro anziani, che dimostrano sempre una piena conoscenza dei pensieri divini, aggiungono: «Ti ringraziamo, o Signore, Dio onnipotente (lo stesso nome che abbiamo nel cap. 15:3; è l’espressione che dipinge Dio come il Giudice di tutta la terra nell’antico patto) perché hai preso in mano il tuo grande potere, e hai stabilito il tuo regno. Le nazioni si erano adirate, ma la tua ira è giunta» (11:15-18). Quindi questo giudizio già annunciato giunge adesso (15:5 e seg.) al suo adempimento. Nel cap. 14:10 è anche parlato «dell’ira di Dio», in rapporto con coloro che adorano l’immagine della «bestia» e che portano il suo marchio.

Appena questi ultimi giudizi, introdotti dagli angeli, saranno passati, una gran voce griderà dal cielo: «è fatto» (16:17). Ritroviamo un’espressione analoga più tardi, quando vi saranno i nuovi cieli e la nuova terra (21:6). Quant’è bello considerare che il fine delle vie di Dio non è il giudizio, ma la rivelazione della sua gloria e l’adempimento in perfezione dei suoi consigli.

Prima però che gli ultimi giudizi ci siano descritti, cioè prima che i sette angeli versino le sette coppe, Giovanni vede, come abbiamo letto (15:2-4), una schiera celeste di martiri su «un mare di vetro» che cantano e lodano. Il mare di vetro era simile al cristallo come abbiamo già visto nel cap. 4:6 davanti al trono di Dio. Questa volta però è mescolato col fuoco, cioè arroventato.

Questo «mare di vetro» trasparente ci fa ricordare il «mare» di rame pieno d’acqua che serviva alla purificazione giornaliera dei sacerdoti (2 Cron. 4:2-6). Nel cielo, però, dove i martiri si trovano, non vi è più bisogno di purificazione. I riscattati lassù sono puri, perfetti e glorificati per tutta l’eternità. Perciò il «mare» nel cielo è solido e simile al cristallo. Il fuoco che troviamo qui ci parla delle sofferenze che hanno attraversato prima di giungere lì e forse anche del terribile giudizio (le sette coppe) che proviene di là e che sarà riversato sul mondo iniquo.

Chi è questa gioiosa schiera che si trova sul mare di vetro e di fuoco e che, con «delle arpe di Dio» in mano, canta «il cantico di Mosè, servo di Dio, e il cantico dell’Agnello»? è la schiera di coloro che hanno «ottenuta vittoria sulla bestia e sulla sua immagine, e sul numero del suo nome».

Essi avrebbero dovuto, sulla terra, sottoporsi all’Anticristo, adorare «la bestia» e la sua immagine, e non l’hanno fatto. Avrebbero dovuto portare il marchio della bestia o il numero del suo nome, e non l’hanno fatto. Sembravano aver la peggio; durante i giorni difficili della seconda metà dell’ultima settimana d’anni di Daniele erano odiati, perseguitati e uccisi (confr. Matt. 24:9). Davanti a Dio però sono considerati dei vincitori, poiché hanno riportato la vittoria. Adesso essi esultano di gioia, mentre tutti coloro che nei tempi della fine hanno onorato Satana e i suoi due strumenti (il capo dell’Impero Romano e l’Anticristo), devono bere «del vino dell’ira di Dio» (14:10).

Questa schiera di vincitori nel cielo è senz’altro la stessa che abbiamo incontrato nel cap.14:2-3, di cui Giovanni aveva udito la voce e il suono delle arpe, e dalla quale i 144.000 di Giuda sul monte Sion avevano imparato il nuovo cantico. Ora Giovanni (15:2) vede questi arpisti la cui voce già conosce. Ed è anche per loro incoraggiamento che una voce si è fatta udire dal cielo: «Beati i morti che da ora innanzi muoiono nel Signore» (14:13). Per amore del Signore sono passati per la morte e ora sono nel cielo, nella gioia eterna e cantano «il cantico di Mosè, servo di Dio, e il cantico dell’Agnello».

Migliaia d’anni or sono, Mosè e il popolo sull’altra riva del Mar Rosso, dopo che gli Egiziani erano periti, cantarono quell’inno (Es. 15). La potenza di quella nazione nemica che aveva così a lungo oppresso il popolo di Dio era distrutta per sempre. I martiri nel cielo sul mare di vetro hanno fatto la stessa esperienza del popolo d’Israele; sono per sempre liberati da ogni timore e ora si riposano presso il Signore delle loro fatiche e delle loro sofferenze.

Questi vincitori cantano «il cantico di Mosè», cioè il cantico della liberazione. Nello stesso tempo cantano «il cantico dell’Agnello», poiché la loro vittoria è quella «dell’Agnello» che una volta fu rigettato e che morì per loro, ma che ora è onorato come il «Re delle nazioni».

Il loro cantico di vittoria e di ringraziamento comincia con le parole: «Grandi e meravigliose sono le tue opere, o Signore, Dio onnipotente!». Da ciò possiamo arguire che almeno una parte di questi vincitori sono dei Giudei. Come già abbiamo detto, è con questo nome che Dio si è rivelato a loro nell’Antico Testamento. Alla fine del cantico troviamo che le esigenze dell’Evangelo eterno sono riconosciute ed esaltate: «Giuste e veritiere sono le tue vie, o Re delle nazioni». «Chi non temerà, o Signore, e chi non glorificherà il tuo nome?… e tutte le nazioni verranno e adoreranno davanti a Te, perché i tuoi giudizi sono stati manifestati». Confrontiamo con ciò le parole dell’angelo nel cap. 14:7.[54]

Poiché l’evangelo eterno sarà predicato alle nazioni, dobbiamo dedurre che i vincitori sul mare di vetro non sono soltanto dei Giudei ma in parte anche delle nazioni. Sono dunque dei martiri di Giuda e delle nazioni, i quali, durante quei tempi difficili in cui è stato annunciato «l’evangelo del Regno» e «il vangelo eterno» (Matt. 24:13; Apoc. 14:6-7), hanno creduto di tutto cuore al messaggio divino, si sono sottomessi a Dio e alla sua Parola, e a causa di questo hanno subito la morte (vedi Luca 21:12-19).

Mentre nel cap. 7 del nostro libro abbiamo visto due schiere, una d’Israele (vers. 1-8) e una delle nazioni (vers. 9-17) che passano viventi dalla grande tribolazione nel Regno di Cristo, qui nel cap. 15 troviamo invece i martiri di quell’epoca, di Giuda e delle nazioni, che hanno sigillato la loro testimonianza con la morte. Essi sono adesso nel cielo, celebrano la loro vittoria presso Cristo e ben presto regneranno con Cristo sulla terra.

Nel loro cantico lodano «le opere» e «le vie» del Signore. Si tratta delle opere di Dio quale Giudice di tutta la terra, che si è manifestato adesso in giudizio. «I tuoi giudizi sono stati manifestati». Come ha detto il profeta: «Quando i tuoi giudizi si compiono sulla terra, gli abitanti del mondo imparano la giustizia» (Is. 26:9).

Anche «le vie» del Signore vengono lodate; essi possiedono quella conoscenza speciale necessaria per comprenderle. Ci è detto dell’Eterno: «Egli fece conoscere le sue vie a Mosè e le sue opere ai figli d’Israele» (Salmo 103:7). I vincitori che canteranno il «cantico di Mosè, servo di Dio, e il cantico dell’Agnello» non conosceranno soltanto la salvezza, ma comprenderanno pure in che modo e per quale via è stata realizzata.

16.3 Il tempio nel cielo

Dopo l’incoraggiamento che abbiamo avuto nell’udire e nel vedere quei vincitori sul mare di vetro, dobbiamo ritornare sulla terra, la quale in quel tempo si trova ancora nelle tenebre più fitte. La nostra attenzione è però ancora attirata da una scena celeste; si tratta unicamente di una preparazione per gli ultimi giudizi che stanno per cadere sulla terra.

«Dopo queste cose vidi aprirsi in cielo il tempio del tabernacolo della testimonianza; e i sette angeli che recavano i sette flagelli uscirono dal tempio, erano vestiti di lino puro e risplendente, e avevano cinture d’oro intorno al petto. Una delle quattro creature viventi diede ai sette angeli sette coppe d’oro piene dell’ira di Dio, il quale vive nei secoli dei secoli. E il tempio si riempì di fumo a causa della gloria di Dio e della sua potenza; e nessuno poteva entrare nel tempio finché non fossero finiti i sette flagelli dei sette angeli. Allora udii dal tempio una gran voce che diceva ai sette angeli: Andate e versate sulla terra le sette coppe dell’ira di Dio» (15:5; 16:1).

Il «tempio del tabernacolo della testimonianza» è nuovamente il luogo da dove Dio è in rapporto con la terra per il giudizio. Sia qui che nel cap. 11:19, Dio ci fa vedere l’arca del patto che aveva fatto con il suo popolo Israele. Essa è il punto di partenza dei suoi giudizi, poiché Egli interviene per ristabilire il popolo dell’antico patto e per introdurlo nelle benedizioni terrestri promesse. La vista dell’arca nel cielo è la garanzia, per la fede, del benedetto risultato dell’opera di Dio sulla terra riguardo a Israele. Anche se la potenza del maligno è ancora in azione sulla terra, questo risultato è certo e sicuro quanto lo è l’arca nel cielo.

Vediamo il tempio pieno di fumo. Anche Isaia ebbe questo spettacolo quando Dio gli si presentò e gli annunciò la devastazione d’Israele (Is. 6). Nello stesso modo Dio si è manifestato al suo popolo quando gli diede la legge dal Sinai: «Il monte Sinai era tutto fumante, perché il Signore vi era disceso in mezzo al fuoco; il fumo saliva come il fumo di una fornace, e tutto il monte tremava forte» (Es.19:18). Dio, che è amore, quando ha a che fare con il male per giudicarlo, deve sempre presentarsi come un fuoco consumante. Il mondo ha messo la gloria di Dio nella polvere, ha calpestato il suo amore, ha sprezzato il suo appello al pentimento e la sua grazia; allora Dio manifesta la sua giustizia nei giudizi: «I tuoi giudizi sono stati manifestati».

Il tempio nel cielo ora è aperto soltanto per l’adempimento dei giudizi di Dio e non per l’espiazione né per delle preghiere. Sette esecutori dei suoi giudizi escono dal tempio vestiti di bianco, «di lino puro», simbolo della purezza, e cinti «di cinture d’oro», espressione della giustizia divina. Essi hanno in mano «sette coppe d’oro piene dell’ira di Dio, il quale vive nei secoli dei secoli». L’ira di Dio cade su tutti coloro che portano, sulla terra, il marchio della bestia; e la purezza risplendente degli angeli, esecutori dei giudizi, è in contrasto con la colpa e la malvagità di Babilonia i cui «peccati si sono accumulati fino al cielo (18:5).

17. Capitolo 16

17.1 Le sette coppe

è una delle «quattro creature viventi» (vedi cap. 4 e 5) che dà le sette coppe d’oro in mano ai sette angeli, perché qui si tratta ancora del potere di Dio in giudizio come Creatore. L’ordine però che è dato agli angeli di versare le coppe sulla terra esce dall’interno del tempio.

17.2 Relazione fra le “sette trombe” e le “sette coppe”

Prima di parlare delle coppe dettagliatamente, sarà forse bene dare qualche indicazione sulla loro importanza generale. Il loro numero è uguale a quello dei suggelli e delle trombe: sette; il numero completo della perfezione in tutte le sue forme. Mentre le sette trombe sono state introdotte dal settimo sigillo, e formano quindi la continuazione dei suggelli, le sette coppe invece non sono la continuazione delle trombe. Le sette trombe con i loro giudizi si estendono fino al momento in cui Cristo scenderà in potenza sulla terra per il suo Regno (11:15-18). Qui però non troviamo ancora una descrizione completa del Regno poiché tutti gli avvenimenti che devono precedere la venuta di Cristo e il suo Regno non sono ancora stati narrati.

Le sette coppe, con le quali il giudizio di Dio si compie prima del Regno, «le ultime piaghe», si estendono, come le trombe, fino all’instaurazione del Regno. Per ciò che riguarda il tempo, esse cadono parzialmente o totalmente assieme alle trombe, solamente hanno inizio più tardi di queste ultime e occupano quindi un periodo più corto. Esse formano i giudizi finali.

è notevole vedere che le sette coppe presentano lo stesso ordine di giudizi che le sette trombe. Enumeriamoli:

Giudizio sopra la terra:

1a Tromba: 8:7                                1a Coppa: 16:2

Giudizio sopra il mare:

2a Tromba: 8:8-9                             2a Coppa: 16:3

Giudizio sui fiumi e sulle fonti delle acque:

3a Tromba: 8:10-11                         3a Coppa: 16-4-7

Giudizio sopra il sole (e la luna):

4a Tromba: 8:12                              4a Coppa: 16:8-9

Tenebre e supplizio senza morte:

5a Tromba: 9:1-11                           5a Coppa: 16:10-11

Invasione di potenze nemiche dall’Eufrate:

6a Tromba: 9:13-21                         6a Coppa: 16:12-16

Introduzione del Regno di Cristo:

7a Tromba: 11:15-18                       7a Coppa: 16:17.

Ciò non toglie che vi sia tra le coppe e le trombe qualche diversità. Considerando però lo sviluppo di questi giudizi siamo colpiti dalla loro analogia. Siamo quindi propensi a dire, come molti altri commentatori, che le sette coppe non sono nuovi giudizi, bensì la ripetizione dei giudizi delle sette trombe che verso la fine diventeranno sempre più terribili e avranno una maggior estensione. Ad ogni modo i giudizi delle trombe, che dureranno anche, come abbiamo visto, fino all’introduzione del Regno, devono cadere nel medesimo periodo di quelle delle coppe; soltanto, questi ultimi cominciano più tardi e il loro raggio di azione è più vasto.

Come avviene spesso nel libro dell’Apocalisse, non troviamo qui gli avvenimenti in ordine cronologico, ma piuttosto in un ordine ciclico cioè una rappresentazione secondo diversi cerchi.

Consideriamo ancora le sette coppe dell’ira di Dio un po’ più da vicino.

La prima coppa

La prima coppa è versata sulla terra (16:2), vale a dire su una regione dove le cose pubbliche sono ancora bene ordinate. Sia che l’ulcera maligna attacchi unicamente il corpo, come un tempo fu presso gli Egiziani e i Filistei, il che sarebbe possibile poiché Dio umilia l’orgoglioso e copre lo schernitore di vergogna, sia che significhi un dolore morale, questa piaga sarà terribile e cadrà su tutti coloro che avranno il marchio della bestia.

La seconda coppa

La seconda coppa è versata nel mare (vers. 3), cioè tra la massa dei popoli, poiché i giudizi di Dio non si limitano soltanto alla «bestia» (dell’Impero Romano) e ai suoi adoratori; infatti l’intero mare dei popoli arrosserà per lo spargimento di sangue; «esso (il mare) divenne sangue».

La terza coppa

La terza coppa è versata sui fiumi e sulle fonti delle acque (vers. 4-7); ciò significa che le sorgenti della gioia e delle benedizioni sono colpite. Al suono della terza tromba (8:10-11) avevamo trovato gli stessi giudizi divini, però solamente la terza parte dei fiumi e delle fonti è colpita, ed inoltre le acque diventano soltanto amare. Adesso, invece, le acque sono trasformate in sangue e recano la morte su tutta la terra. «L’angelo delle acque» (il rappresentante delle benedizioni che il Creatore ha concesso alla sua creatura) approva pienamente Dio in questi giudizi e dice: «Sei giusto!».

Quest’angelo conosce certamente quanto spesso l’uomo ha calpestato e sprezzato le benedizioni che Dio gli ha dato nella natura, nei legami familiari e in molte altre cose. Dove prima l’uomo trovava benedizioni e ristoro, adesso regna l’amarezza e la morte. Anche l’altare è in pieno accordo con Dio e con i suoi giudizi: «Sì, o Signore, Dio onnipotente, veritieri e giusti sono i tuoi giudizi» (vers. 7).

La quarta coppa

Il quarto angelo versò la sua coppa sul sole (vers. 8 e 9), cioè sulla più alta autorità terrestre. Un calore insopportabile ne è la conseguenza, vale a dire gli uomini sono oppressi da una potenza dispotica. Malgrado questi giudizi dolorosi gli uomini bestemmiano il nome di Dio e non si pentono.

La quinta coppa

Il quinto angelo versa la sua coppa «sul trono della bestia» (vers. 10 e 11), cioè sul luogo e sulla stabilità che Satana aveva dato alla sua autorità. Il suo regno diventa tenebroso. L’Impero Romano futuro comprenderà specialmente l’Europa occidentale, dove la scienza e l’istruzione, l’arte e la tecnica, hanno avuto il loro pieno sviluppo; dove l’uomo si gloria dei suoi progressi e del suo successo, dove sogna nuovi trionfi, uno stato futuro perfetto nella libertà, lì vi sarà «il trono della bestia», la sede della più grande oppressione. Ecco a che punto sono giunti gli uomini che volevano liberarsi di Dio e porsi al di sopra di Lui. Sono caduti sempre più in basso nelle tenebre di Satana e sotto il suo giogo crudele. Miseria, tenebre e confusione sono ora la loro parte: «Si mordevano la lingua per il dolore, e bestemmiarono il Dio del cielo a causa dei loro dolori». Ma neppure ora si umiliano e si ravvedono.

L’Eufrate prosciugato (cap. 16:12-14)

La sesta coppa

La sesta coppa è versata dall’angelo sul grande fiume Eufrate. Questo fiume ci è noto fin dal giardino di Eden (Gen. 2:14). Babilonia fu costruita sulle sue rive ed esso costituì un tempo, nella parte superiore del suo corso, la frontiera del quarto impero (il Romano). Il contenuto della sesta coppa fu prosciugare le acque del fiume di confine. Questo linguaggio figurato significa che il Giudice supremo toglierà il muro o l’ostacolo che avrà protetto il futuro Impero Romano dai popoli orientali, e preparerà così «la via ai re che vengono dall’oriente» per far guerra contro quel regno della «bestia» che risiede a Roma. Come fece un tempo Ciro che mise a secco l’Eufrate deviando il suo corso per espugnare Babilonia, così adesso il Signore dal cielo fa prosciugare l’Eufrate affinché la grande «Babilonia» e il regno della «bestia» siano distrutti. Non che i re dell’oriente che attraverseranno l’Eufrate vengano principalmente per attaccare «Babilonia», cioè il sistema religioso infedele, che sarà seduta sopra la bestia; no, la loro battaglia sarà piuttosto contro la «bestia» stessa, contro l’Impero Romano; e Gerusalemme sarà coinvolta da questa guerra. Il giudizio di Babilonia lo troviamo nella prossima coppa (vers. 17-20).

Possiamo domandarci chi sono questi re «dell’oriente» che muovono guerra contro il regno della bestia, dopo che l’Eufrate è stato prosciugato, cioè dopo che è stato tolto ciò che separava gli stati d’oriente e d’occidente. Qui si tratta di popoli asiatici; qualcuno pensa alla Cina, ma è possibile che si tratti dei paesi arabi (Iran, Iraq, Siria), nemici storici del popolo di Israele che anche oggi si dimostrano pronti a fare guerra a Israele ed ad essere alleati dei palestinesi. Essi saranno uniti sotto un unico duce che prenderà il posto dell’antico Assiro. Generalmente il re d’Assiria è chiamato il re del nord, rispetto a Gerusalemme o alla Palestina,[55] considerato invece dal regno della «bestia» in occidente, il re d’Assiria è presentato come proveniente «dall’oriente».

Tre spiriti immondi sorgeranno come «rane» (le quali vivono nelle acque stagnanti), «dalla bocca del dragone e dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta». Questi tre spiriti di demoni che usciranno dalla bocca di Satana, del capo dell’Impero Romano e dell’Anticristo, si gonfieranno e come le rane riempiranno l’aria delle loro grida, facendo grandi segni e prodigi, e raduneranno a battaglia i re della terra. La totalità delle potenze tenebrose di malvagità, quale trinità diabolica, entra in azione contro Dio, poiché la guerra dichiarata contro Gerusalemme, dove anche sarà combattuta, è dopo tutto contro Dio e il suo Cristo.

Il luogo dove i re si raduneranno e dove avrà luogo la battaglia è chiamato «Harmaghedon» (cioè monte Meghiddo) con riferimento alla valle di Meghiddo (Giud. 5:19-20) che si trova in Palestina. è qui che si radunarono anticamente i re dei Cananei per combattere contro Israele; ma Dio prese la difesa del suo popolo come è scritto: «Dai cieli si combatté: gli astri, nel loro corso, combatterono contro Sisera (capo dell’esercito cananeo)».

Non è necessario pensare che il ritrovo dei re si faccia anche questa volta veramente a Meghiddo. Molto più probabilmente sarà nelle vicinanze di Gerusalemme che gli eserciti dell’Impero Romano dell’occidente e gli eserciti dei re d’oriente si incontreranno «per la battaglia del gran giorno del Dio Onnipotente». Il luogo e la battaglia vengono chiamati «Harmaghedon» perché il Signore, come fece ai giorni dei Giudici, interverrà direttamente dal cielo a favore del suo popolo e del suo Regno. I popoli della terra troveranno qui il loro giudizio, quando Cristo scenderà improvvisamente dal cielo (vedi Zac. 12:2-9; 14-3-5; Michea 4:11-13). Ciò che Cristo diceva alla cristianità nella lettera a Sardi lo dice ora al mondo: «Ecco, io verrò come un ladro». E per il residuo di Giuda nella distretta, poiché i popoli d’occidente e d’oriente saranno radunati contro di lui, aggiunge: «Beato chi veglia e custodisce le sue vesti perché non cammini nudo e non si veda la sua vergogna» (vers. 15).

Quanto sono preziose queste parole anche per noi! Abbiamo del continuo bisogno di essere incoraggiati a vegliare. Quanto facilmente ci spogliamo delle nostre vesti e la nostra nudità si palesa al mondo in quanto non rimaniamo separati da esso come il nostro Salvatore e Signore è separato. Gli abiti, le «vesti», sono nella Scrittura la figura della nostra professione cristiana. Con grande facilità ci adattiamo a questo mondo. Qui è detto «beato» colui che «veglia e serba le sue vesti». Considerando le conseguenze della sesta coppa che solleva i popoli dell’Asia contro l’occidente, abbiamo anticipato gli avvenimenti narrati nel cap. 19:11 dove vediamo Cristo scendere dal cielo con i suoi eserciti improvvisamente, per giudicare le nazioni.

La settima coppa

La settima coppa è versata nell’aria dall’ultimo dei sette angeli. «L’aria» è il luogo nel quale o dal quale Satana dimostra la sua forza; egli è chiamato «il principe della potenza dell’aria» (Ef. 2:2). Una gran voce, certamente la voce del Signore poiché esce dal tempio e dal trono, dice: «è fatto!».

Che cosa è fatto? è compiuta l’ultima parte dei giudizi che dovevano venire affinché il Regno di Cristo potesse essere stabilito nel mondo e «la città del gran re» diventasse la «gioia di tutta la terra» (Salmo 48). Il giudizio è compiuto (confr.: Apoc. 10:5-7; 11:15; 15:1: 16; 17). Come già accennato, il Signore pronuncerà con gioia: «Ogni cosa è compiuta» (21:6). L’adempimento eterno e glorioso di tutte le sue vie sarà basato sulla sua opera perfetta alla croce, sulla quale ha potuto dire: «è compiuto».

17.3 Preliminari del giudizio di Babilonia (16:17-21)

Appena la settima coppa fu versata ecco che si fecero «lampi, voci, tuoni e un terremoto; così forte che da quando gli uomini sono sulla terra, non se n’è avuto uno altrettanto disastroso» (vers. 18).

Le potenze e le autorità stabilite sulla terra sono smosse da questo potente «terremoto» e capitolano: «La grande città si divise in tre parti, e le città delle nazioni crollarono» (vers. 19). Gerusalemme è chiamata «la santa città» (21:10); quindi la grande città è Roma; essa è anche chiamata «la gran città che impera sui re della terra» (17:18). La «città» designa qui l’intero dominio dell’Impero Romano, il quale sarà diviso in tre parti. Non soltanto questo si sfascia ma anche «le città delle nazioni» cadono; sono il ferro e l’argilla frantumati insieme all’oro, all’argento e al rame dalla «pietra» che si è staccata «senz’opera di mano», dalla venuta di Cristo al quale appartengono tutti i regni della terra, come vediamo in Dan. 2:35.

Ma avviene ancora qualcosa: «E Dio si ricordò di Babilonia la grande per darle la coppa del vino della sua ira ardente» (vers. 19). Babilonia, il malvagio sistema religioso che rimane sulla terra quando la vera Chiesa, la Sposa di Cristo, sarà rapita nel cielo, riceve ora il suo terribile giudizio, come ci viene esposto nei capitoli seguenti. Nello stesso tempo: «Ogni isola scomparve, e i monti non furono più trovati» (vers. 20). Tutte le autorità esistenti e le sedi di sicurezza sono tolte. «E cadde dal cielo sugli uomini una grandine enorme, con chicchi del peso di circa un talento»[56] (vers. 21). I giudizi che procedono direttamente da Dio colpiscono gli uomini dal cielo. Si pentiranno? No; ci è detto: «Gli uomini bestemmiarono Dio a causa della grandine; perché era un terribile flagello». Sembra che l’ostinazione degli uomini e la loro inimicizia contro Dio aumentino sempre più.

Nel cap. 16:9 avevamo letto che gli uomini «bestemmiarono il nome di Dio» a causa del gran calore. Dopo, quando furono colpiti dalle ulcere, «bestemmiarono il Dio del cielo a causa dei loro dolori» (16:11). E infine «gli uomini bestemmiarono Dio a causa della grandine» (16:21). Dunque vediamo che i giudizi non conducono l’uomo a riconciliarsi con Dio.

18. Capitolo 17

18.1 Il giudizio di Babilonia

Il giudizio di Babilonia è descritto nei cap. 17, 18 e 19:1-4.

Babele, o Babilonia, significa «confusione». L’umanità fece il primo tentativo collettivo di resistenza contro Dio a Babele, poiché gli uomini si unirono per tenergli testa costruendo la torre. Per questo motivo Dio li confuse (Gen. 11). Più tardi, sotto Nabucodonosor, Babele [57] divenne la capitale delle potenze pagane che soggiogarono Israele, il popolo di Dio. Per questa ragione Babele è spesso menzionata come la rappresentante delle diverse potenze mondiali e delle nazioni.

I profeti dell’Antico Testamento hanno sovente minacciato Babele di castighi di Dio, a causa del suo orgoglio e della sua idolatria sfacciata, in modo particolare i profeti Isaia e Geremia. Ovunque Babele è nominata, sia nell’Antico Testamento come potenza politica, sia nel Nuovo Testamento come sistema religioso, la troviamo sempre in inimicizia ed in contrasto con Dio e con la sua città. L’indipendenza da Dio caratterizza Babele nel suo principio; l’oppressione del popolo di Dio il seguito della sua storia, la bestemmia aperta contro Dio la sua fine.

La città di Babilonia è diventata da lungo tempo un ammasso di macerie dove trovano rifugio «le bestie del deserto» e dove ballano «i satiri» (Is. 13:21). Il sistema, però, raffigurato da Babilonia, che è caratterizzato dalla sua inimicizia contro Dio e il suo popolo, esiste ancora oggi come sistema religioso che aspira a potenza e a signoria, ed ha una grande influenza politica. Nei tempi della fine questo sistema sarà, peggio di ciò che già adesso vediamo nella chiesa Romana, un insieme di religione e di mondanità. L’antica Babilonia, il primo grande regno sotto Nabucodonosor,  con il quale ebbero inizio “i tempi dei Gentili”, finirà con la “bestia” che sale dal mare (Apoc. 13:1), l’Impero Romano. Sul piano religioso, l’ultimo frutto satanico di Babilonia è “la donna”, “la grande meritrice” seduta “sopra una veste di colore scarlatto”. Ella è portata dalla bestia, cioè dall’Impero Romano, sul quale per un tempo esercita il comando.

18.2 Babilonia la madre delle prostitute

Se consideriamo la vera Chiesa di Gesù Cristo, della quale Satana ha fatto una caricatura in «Babilonia», vediamo che nella sua posizione rispetto a Cristo è «la sposa, la moglie dell’Agnello» (21:9); nella sua posizione rispetto al mondo, invece, è sovente paragonata ad una città; in modo particolare, quando essa regnerà con Cristo durante il regno di mille anni, è chiamata «la santa città, Gerusalemme» (21:10). Nello stesso modo anche la falsa chiesa, l’infedele Babilonia che pretende di essere la Sposa di Cristo, ci viene presentata sotto due aspetti. In contrasto con la vera sposa, la vera moglie dell’Agnello, essa, la falsa moglie, è chiamata «prostituta»; in contrasto con «la santa città» che scende dal cielo, è «la gran città, la potente città» che è «diventata ricettacolo di demoni» (18:2-10). Nel capitolo 17 Babilonia ci è descritta come la «prostituta», mentre il capitolo 18 ce la presenta come «la gran città». Il suo giudizio terribile è raccontato in tutti e due i capitoli.

Prima che Cristo scenda dal cielo con la sua Sposa celeste, «la moglie dell’Agnello», per stabilire il suo Regno sulla terra, la falsa moglie diretta da Satana dovrà essere tolta dalla terra. La sua perdizione e il suo terribile giudizio ci vengono descritti con ogni particolare. «Poi uno dei sette angeli che avevano le sette coppe venne a dirmi: “Vieni, ti farò vedere il giudizio che spetta prostituta che siede su molte acque. I re della terra hanno fornicato con lei e gli abitanti della terra si sono ubriacati con il vino della sua prostituzione”. Egli mi trasportò in spirito nel deserto e vidi una donna seduta sopra una bestia di colore scarlatto, piena di nomi di bestemmia, e che aveva  sette teste e dieci corna» (vers. 1-3).

L’angelo che mostra il giudizio della «grande prostituta» a Giovanni, è l’ultimo dei sette angeli ed è lui che ha versato l’ultima coppa. Infatti una parte dell’ultima coppa d’ira era diretta contro Babilonia.

La Sacra Scrittura paragona spesso il distogliersi da Dio ad una prostituzione. è per questo che l’infedeltà verso Dio e il suo abbandono da parte d’Israele e di Gerusalemme è sovente descritto con tali parole, poiché Dio era spiritualmente il vero “marito” d’Israele. Le «molte acque» sulle quali Babilonia siede e signoreggia significano, come leggeremo più avanti, «popoli e moltitudini e nazioni e lingue» (17:15).

«Babilonia», «la grande prostituta», è dunque un sistema religioso idolatra, che si è esteso, nella sua potenza e signoria, su molte acque, cioè su «popoli e moltitudini e nazioni e lingue», e che esercita nello stesso tempo una grande azione politica. «I re della terra e gli abitanti della terra», vale a dire coloro che non hanno e neppure cercano la loro parte nel cielo, sono «ubriacati» e completamente ingannati dalla bestia, dalla sua fornicazione e dalla sua dottrina errata che mescola la religione con le concupiscenze del mondo.

Giovanni, essendo in «spirito», vede la donna in un «deserto», cioè in un luogo privo delle benedizioni spirituali, senza vita divina, mentre altri vedono, e se ne meravigliano, la sua potenza e la sua pompa esteriore e il suo seggio «sopra una bestia di colore scarlatto». Questa bestia, come già sappiamo, è l’Impero Romano futuro. Siccome esisterà in tutto il suo sfarzo, è visto qui di colore «scarlatto». Roma, l’ultimo o il quarto grande impero, porterà «la donna» e si lascerà guidare dalla «donna».

Riguardo alle sette teste della bestia, ci è detto: «Le sette teste sono monti» (vers. 9). Abbiamo qui una prova in più che si tratta di Roma, poiché tutti sappiamo che questa città è costruita su sette colline ed è anche chiamata: la città dai sette colli.

«La donna era vestita di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle. In mano aveva un calice d’oro pieno di abominazioni e delle immondezze della sua prostituzione» (vers. 4).

«La donna» non ha più il suo seggio e il suo punto d’appoggio solamente in Roma, il centro della sua forza, ma il suo onore e la sua gloria saranno palesi a tutti, poiché sarà vestita «di porpora e di scarlatto» e adorna di pietre preziose e di perle (che sono forse un’immagine delle verità con le quali la Chiesa Romana si adorna esteriormente). Ed anche le «immondezze» della fornicazione della sua religione apostata, le tiene in un calice d’oro! «Sulla fronte aveva scritto un nome, un mistero: Babilonia la grande, la madre delle prostitute e delle abominazioni della terra» (vers. 5).

La donna non porta sulla sua fronte dei nomi di bestemmia come «la bestia» (vers. 3), bensì il nome Mistero. Questo «mistero» però non è «il mistero dell’empietà» del quale l’apostolo Paolo parla (2 Tess. 2:7) benché gli sia affine; quello è lo spirito dell’Anticristo, che è già all’opera fin d’ora nella cristianità; tuttavia è un mistero che sarà svelato nella persona dell’Anticristo (2 Tess. 2:8). Il mistero di Babilonia invece, come già abbiamo visto, è il sistema religioso della fine che sarà poi odiato e distrutto dai «dieci re» e dalla bestia, cioè dall’Impero Romano futuro (17:7 e 16).

La parola «mistero» che la donna porta apertamente sulla fronte in guisa di nome ci fa pensare, per contrasto, al «mistero» che la vera Chiesa, la sposa celeste, forma nella sua vivente unità con Cristo: «Questo mistero è grande» (Ef. 5:26-32). Ma quale differenza!

La Chiesa di Cristo, la «dimora di Dio per lo Spirito» è adesso come «una casta vergine» fidanzata al Signore Gesù Cristo (2 Cor. 11:2) e sarà come «la sposa dell’Agnello», presso di Lui in eterno. La «donna», invece, che siede sulla bestia di colore scarlatto» è il «covo di ogni spirito immondo» (18:2), è l’opposto e la caricatura satanica della vera Sposa di Cristo. A cagione del suo stato di perdizione è chiamata Babilonia la grande, la madre delle prostitute, poiché gli altri sistemi religiosi malvagi della terra sono da lei generati. Un gran giudizio cade su di lei da parte di Dio.

In altre versioni (es. Darby) la parola “mistero” fa parte della definizione che viene data di  Babilonia. Il primo nome quindi che la «donna porta sulla fronte, «Mistero», è contrapposto al beato e «grande mistero» dell’unità intima ed eterna della vera Chiesa con Gesù Cristo, il suo Capo celeste. Il significato però di questo nome per la «donna» si deve cercare nella sua origine tenebrosa e nel suo essere malvagio. Chi avrebbe mai potuto pensare che dalla cristianità professante, che porta il nome di Cristo, si formasse, con l’aiuto dell’astuzia di Satana e nelle mani dell’uomo, un sistema così malvagio, colmo di potenze sataniche e nemico di Dio? Persino Giovanni si stupisce e scrive:

«E vidi che quella donna era ubriaca del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù. Quando la vidi, mi meravigliai di grande meraviglia» (vers. 6).

Sì, la sanguinaria «Iezabel» della chiesa di Tiatiri, colei «che offre incenso» (Apoc. 2:18-29), che ha sedotto i servitori di Dio «a commettere fornicazione» e, benché Dio le avesse «dato tempo per perché si ravvedesse», «non vuole ravvedersi», è diventata con il passare degli anni «Babilonia la grande, la madre delle prostitute e delle abominazioni della terra», la persecutrice «dei santi» e «dei martiri di Gesù». Quanti santi siano già stati giudicati come eretici e uccisi dalla Chiesa Cattolica Romana, quanto sangue Tiatiri abbia sparso, lo sa solo Dio; la storia del mondo e della chiesa però ne parla. Dio soltanto conosce anche quanto sangue dei «martiri di Gesù» «Babilonia la grande» spargerà ancora. Ma l’ora del resoconto e del suo terribile giudizio viene. Le visioni seguenti di Giovanni parlano appunto di ciò.

18.3 La bestia sulla quale la donna siede

Prima però udiamo qualche particolare riguardante «la bestia» sulla quale la donna siede.

«L’Angelo mi disse: “Perché ti meravigli? Io ti dirò il mistero della donna e della bestia con le sette teste e le dieci corna che la porta. La bestia che hai vista era, e non è; essa deve salire dall’abisso e andare in perdizione. Gli  abitanti della terra i cui nomi non sono stati scritti nel libro della vita fin dalla creazione del mondo, si meraviglieranno vedendo la bestia perché era, e non è, e verrà di nuovo. Qui occorre una  mente che abbia intelligenza. Le sette teste sono sette monti sui quali la donna siede. Sono anche sette re: cinque sono caduti, uno è, e l’altro non è ancora venuto; e quando sarà venuto, dovrà durare poco. E la bestia che era, e non è, è anch’essa un ottavo re, e viene dai sette, e se ne va in perdizione”» (vers. 7-11).

Il soggetto principale è «la bestia» che porta su di sé «la donna»: «era, e non è: essa deve salire dall’abisso». Ne abbiamo già parlato a lungo meditando la visione del capitolo 13. Questa bestia, come già abbiamo detto, è il quarto e l’ultimo grande impero del quale anche Daniele profetizzò (Dan. 7:1-7): l’Impero Romano o Latino ristabilito. Ai giorni dell’apostolo Giovanni «era»; «non è» al presente; «verrà di nuovo» e salirà «dall’abisso», cioè avrà un’origine satanica.

«Le sette teste» hanno nel nostro passo un duplice significato (vers. 9 e 10). In primo luogo sono sette monti «sui quali la donna siede». La donna, dunque il sistema religioso apostata, non soltanto è in relazione con la «bestia» ma nello stesso tempo forma una sola ed unica cosa con lei ed è nel medesimo luogo. Come già abbiamo fatto notare, c’è qui ancora una prova che si tratta, sia religiosamente che politicamente, della città di Roma.

Le sette teste però sono anche «sette re», cioè sette forme di governo succedutesi delle quali abbiamo già parlato al capitolo 13.

Quest’«ora» di regno comune con e sotto la bestia, significa un periodo di tempo completo, e cioè tutta la seconda metà della 70a settimana d’anni di Daniele (vedi Dan. 9:24-27). Questa mezza settimana d’anni dura tre anni e mezzo, o «42 mesi» (Apoc. 13:5) e giunge fino all’apparizione di Gesù Cristo con i suoi eserciti celesti per il giudizio e per il Regno; poiché il suo regno sarà stabilito subito dopo la caduta dell’Impero Romano (Dan. 7:9-11 e 23-27 e già 2:40-45 e Apoc. 19:11 e seg.).

Quando Gesù Cristo verrà per il giudizio e per stabilire il suo Regno, le «dieci corna» e la bestia si leveranno contro di Lui, come sta scritto: «Combatteranno contro l’Agnello e l’Agnello li vincerà, perché egli è il Signore dei signori e il Re dei re; e vinceranno anche quelli che sono con lui, i chiamati, gli eletti e i fedeli» (vers. 14).

Quale rischio e quale impresa satanica, che dimostra cecità e inimicizia, il fare guerra a Cristo, il Signore di gloria, «il Signore dei signori e il Re dei re» e contro i suoi riscattati «i chiamati, gli eletti e i fedeli»!

Questa guerra tra «la bestia» con i dieci re e Cristo è soltanto menzionata qui, poiché la battaglia nel vero senso della parola avrà luogo solo più tardi (19:19 e 17:14).

Prima che avvenga questa guerra contro «l’Agnello», il quale infliggerà una perdizione eterna alla bestia e all’Anticristo, e la morte ai dieci re ed ai loro eserciti (19:19-21), la bestia e i dieci re dovranno ancora esercitare un terribile giudizio contro «la prostituta» che fino a quel momento avevano grandemente onorato.

Leggiamo: «Le dieci corna (cioè i dieci re – vers. 12) che hai viste e la bestia odieranno la prostituta, la spoglieranno e la lasceranno nuda, ne mangeranno le carni e la consumeranno con il fuoco. Infatti Dio ha messo nei loro cuori di eseguire il suo disegno che è di dare, di comune accordo, il loro regno alla bestia fino a che le parole di Dio siano adempiute» (vers. 16-17).

Non è meraviglioso? «La donna», «la prostituta» seduta sulla «bestia» con grandi onori e ricchezze ha commesso fornicazione con i re della terra (vers. 2), vale a dire ha adoperato senza scrupoli la potenza religiosa che aveva sui cuori e sulle coscienze degli uomini per dirigere la politica mondiale secondo il suo sentimento perverso.

Dio, che è al di sopra di tutti gli uomini, anche di coloro che lo odiano, che dirige anche la storia dei popoli, metterà nel cuore dei dieci re e della bestia di eseguire contro «la donna» il giusto giudizio. La sua ora è giunta; la misura dei suoi peccati è colma. Il motivo apparente dell’odio dei dieci re e della bestia contro la donna sarà pure malvagio; poiché, come vediamo in Apoc. 13:4-15, «la bestia» si rivolterà contro ogni religione che riconosce un Essere sovrumano e l’abolirà, per poter poi esigere dai suoi sudditi che la onorino come dio. «La donna» o «la prostituta» ha fino all’ultimo magnificato la sua religione (purtroppo in relazione col nome di cristianesimo) con grande gloria e sontuosità. Ma alla fine «la bestia» si libererà della cavalcatrice orgogliosa dopo averla portata per lunghi anni. Anche i re della terra la spoglieranno della sua magnificenza e, pieni di furore e d’ira, «ne mangeranno le carni e la consumeranno con il fuoco». Prima i re della terra trovavano piacere con questa donna, che così bene sapeva utilizzare i bisogni religiosi dei cuori e delle coscienze per poi soddisfarli ingannandoli con piaceri sensuali e la pompa esteriore; adesso invece si rivoltano brutalmente contro di lei e, quali belve feroci, mangiano le sue carni, e riducono «Babilonia» in un ammasso di polvere e di cenere. Questo terribile ma giusto giudizio di Babilonia è stato annunciato già prima da un angelo come se fosse già avvenuto: «Caduta, caduta è Babilonia la grande, che ha fatto bere a tutte le nazioni il vino dell’ira della sua prostituzione» (confr. 14:8 con 18:2).

19. Capitolo 18

19.1 La caduta di Babilonia

All’inizio del cap. 17 uno dei sette angeli disse: «Vieni, ti farò vedere il giudizio che spetta alla gran prostituta». Adesso però il giudizio viene eseguito.

«Dopo queste cose vidi scendere dal cielo un altro angelo che aveva grande autorità; e la terra fu illuminata dal suo splendore. Egli gridò con voce potente: “E’ caduta, è caduta Babilonia la grande!”» (vers. 1-2).

L’angelo è una apparizione di grande potenza e ci ricorda l’angelo che abbiamo visto nel cap. 10 prima del suono dell’ultima tromba, il quale, alzando la mano destra verso il cielo, ha giurato che non vi sarebbe più indugio ma che il mistero di Dio «si compirebbe». Probabilmente egli è l’esecutore del giudizio di Dio contro «Babilonia» benché «la bestia» e «le corna» ne siano gli strumenti. La terra è temporaneamente illuminata dallo splendore della gloria dell’angelo, come dai primi raggi mattutini del sole di giustizia che splenderà sulla terra appena Babilonia «la prostituta» sarà giudicata e avranno avuto luogo le nozze dell’Agnello.

L’angelo annuncia, con voce potente, che il primo avvenimento è già accaduto: «E’ caduta, è caduta Babilonia la grande». Babilonia, la sede delle tenebre, dell’idolatria, dell’inimicizia contro Dio e contro il suo popolo non sarà più a lungo un luogo di magnificenza e di gloria, ma un luogo devastato e deserto.

Giovanni ode un’altra voce dal cielo:

«Uscite da essa, o popolo mio, affinché non siate complici dei suoi peccati e non siate coinvolti nei suoi castighi; poiché i suoi peccati si sono accumulati fino al cielo e Dio si è ricordato delle sue iniquità» (vers. 4-5).

La voce che Giovanni ode «dal cielo» non è dell’angelo potente del quale abbiamo parlato poc’anzi. Può darsi che si tratti della voce di Cristo stesso, poiché parla del suo popolo: «Uscite da essa, o popolo mio». Nessun angelo può esprimersi in tal modo, perché i credenti sono unicamente il popolo di Cristo e di Dio.

Oggi, anche in «Babilonia» vi sono dei credenti. Non vi è nessun sistema religioso cristiano, per quanto siano malvagie le sue dottrine, nel quale non vi siano delle anime che appartengono a Cristo. Quanto ciò è solenne! è incoraggiante però che sia scritto: «Il Signore conosce quelli che sono suoi» (2 Tim. 2:19). Ma non dobbiamo credere, come pensano molti cristiani, che al Signore importi poco o niente l’ambiente dove i suoi si trovano. Non è affatto così. Proprio dove abbiamo letto quelle parole incoraggianti: «Il Signore conosce quelli che son suoi», troviamo anche la solenne esortazione: «Si ritragga dall’iniquità chiunque pronunzia il nome del Signore» (2 Tim. 2:19). Così pure il Signore grida in «Babilonia»: «Uscite da essa, o popolo mio, affinché non siate complici dei suoi peccati». Egli non dice questo nel giorno del giudizio; grida oggi, anzi lo ha sempre fatto attraverso tutti i secoli finché vi è «orecchio» per udire, come è detto nelle sette lettere, «ciò che lo Spirito dice alle chiese»: «Uscite da essa»!

Il male non è adesso così sviluppato come lo sarà in Babilonia alla fine; ma ciò non toglie che fin dal principio, per ciò che riguarda la responsabilità dell’uomo, la sua propria volontà e infedeltà furono e sono all’opera nella casa di Dio. Ma il servitore fedele si sottomette sempre alla Parola e alla volontà di Dio e può così vincere il male che si trova in un’assemblea locale o in un periodo della storia della Chiesa. Il vincitore è sempre stato liberato da «Babilonia» e dal suo spirito. La parola: «Uscite» ha sempre avuto, per il popolo di Dio, il suo valore.

Prima che la Babilonia storica fosse distrutta dai Medi e dai Persiani, Dio invitò il suo popolo terreno, Israele, a fuggire: «Fuggite di mezzo a Babilonia, salvi ognuno la sua vita, guardate di non perire per l’iniquità di lei!» (Ger. 51:6). Perciò il Signore da lungo tempo, e oggi ancora, grida ai suoi prima che il giudizio colpisca «Babilonia»: «Uscite da essa». Il Signore ha pure detto per mezzo dell’apostolo Paolo: «Perciò, uscite di mezzo a loro e separatevene» (2 Cor.6:17). Similmente lo scrittore dell’epistola agli Ebrei dice ai credenti d’Israele prima della distruzione di Gerusalemme: «Usciamo quindi fuori dall’accampamento e andiamo a Lui» (Ebr. 13:13). Era una benedizione per quei cristiani di Giuda ubbidire a queste parole prima che Gerusalemme fosse distrutta. Quando due decenni dopo la sede «dell’accampamento», Gerusalemme, fu veramente distrutta, non vi era più neppure un cristiano; il Signore li aveva fatti uscire tutti da quel malvagio sistema. Così pure quando Babilonia sarà giudicata, il Signore avrà già tolto i suoi, li avrà messi al riparo dai giudizi della fine (3:10), li avrà rapiti nel cielo.

«Uscite da essa, o popolo mio» era e rimane il suo santo comando al quale i fedeli rispondono mentre sono ancora quaggiù. In occasione della descrizione dei terribili giudizi di Babilonia, udiamo per l’ultima volta il comando e l’esortazione del Signore di uscire di mezzo ad essa; e questo serve di avvertimento per tutti. Ciò ci mostra quanto il Signore abbia in orrore Babilonia e quanto desideri che i suoi siano separati da questo sistema; poiché ciò che caratterizza Babilonia e che attira la collera e il giudizio di Dio su di lei è appunto l’idolatria, la confusione col mondo e lo spirito di persecuzione. Babilonia personifica il male più odiato da Dio, perché imitava il bene, e distruggeva e perseguitava l’oggetto più caro al suo cuore sulla terra, cioè i riscattati del suo Figlio.

Non ci stupisce, dunque, che Dio colpirà Babilonia con un grande giudizio e che «in uno stesso giorno verranno i suoi flagelli: morte, lutto e fame, e sarà consumata dal fuoco». Dio dice agli esecutori del suo giudizio: «Datele doppia retribuzione per le sue opere» (vers. 6). Dio non parla qui ai suoi riscattati poiché sono già nel cielo presso di Lui; tra l’altro, quando si trovavano ancora sulla terra, essi dovevano pregare per i loro nemici e non giudicarli.

Abbiamo qui tre classi diverse che si lamentano per la caduta di Babilonia e per il suo giudizio; piangono e dicono: «Ahi! ahi!». Questi sono: «i re della terra» (vers. 9 e 10), «i mercanti della terra» (vers. 11-16), e «tutti i piloti e tutti i naviganti» (vers. 17-19). Tutti costoro, in modo particolare i mercanti e i naviganti, si erano arricchiti per mezzo di lei, ed ecco che «in un momento» è stata annientata la sua magnificenza e loro stessi sono rovinati (vers. 15,16,19).

In contrasto con questo lutto, troviamo un grido di gioia per coloro che abitano nel cielo: «Rallegrati, o cielo, per la sua rovina! E voi, santi, apostoli e profeti, rallegratevi perché Dio, giudicandola, vi ha reso giustizia» (vers. 20). Gli abitanti del cielo si rallegrano (19:1-4). Prima però che ci venga narrata la loro gioia ed il loro triplice Alleluia!, abbiamo la descrizione dei giudizi di Dio su Babilonia:

«Poi un potente angelo sollevò una pietra grossa come una gran macina, e la gettò nel mare dicendo: Così, con violenza, sarà precipitata Babilonia, la gran città, e non sarà più trovata» (vers. 21).

Babilonia sarà precipitata dalla sua altezza «con violenza», come una pietra pesante è buttata con violenza nelle profondità marine. La caduta della Babilonia politica (uno dei quattro grandi imperi) predetta da Geremia, è un anticipo di ciò che troviamo qui. Il Signore disse a Geremia: «Quando avrai finito di leggere questo libro (libro dei giudizi di Babilonia), tu vi legherai una pietra, lo getterai in mezzo all’Eufrate, e dirai: Così affonderà Babilonia, e non si rialzerà più» (Ger. 51:63-64). La caduta di questa seconda Babilonia misteriosa sarà tanto più terribile quanto la sua colpa è maggiore.

Il potente angelo fa ancora tre rimproveri a Babilonia: «I tuoi mercanti erano i principi della terra»; «tutte le nazioni sono state sedotte dalle tue magie»; «in lei è stato trovato il sangue dei profeti e dei santi e di tutti quelli che sono stati uccisi sulla terra» (vers. 23,24). Questi rimproveri sono in rapporto ai princìpi in base ai quali la Chiesa avrebbe potuto essere benedetta. In primo luogo avrebbe dovuto vivere per il cielo invece di ricercare i tesori del mondo; i suoi mercanti erano i principi «della terra». Secondariamente la Chiesa doveva essere «colonna e base della verità» (1 Tim. 3:15); Babilonia invece ha pervertito la verità ed ha sedotto le nazioni con le sue «magie». Infine, la Chiesa avrebbe dovuto vivere per Cristo, soffrire e combattere per Lui (Fil. 1:29; 2 Timoteo 2:3-12); invece Babilonia si è scatenata contro Cristo e i suoi, recando ai credenti sofferenze, persecuzioni e morte.

La caduta di Babilonia produce una grande gioia nel cielo, nella presenza di Dio.

20. Capitolo 19

20.1 Gioia nel cielo. Il trionfo di Cristo

20.2 Gioia nel cielo per la caduta di Babilonia

«Dopo queste cose, udii nel cielo una gran voce come di una folla immensa, che diceva: “Alleluia! La salvezza, la gloria e la potenza appartengono al nostro Dio; perché veritieri e giusti sono i suoi giudizi. Egli ha giudicato la grande prostituta che corrompeva la terra con la sua prostituzione e ha vendicato il sangue dei suoi servi, chiedendone conto alla mano di lei”. E dissero una seconda volta: “Alleluia! Il suo fumo sale per i secoli dei secoli”. Allora i ventiquattro anziani e le quattro creature viventi si prostrarono, adorarono Dio che siede sul trono, e dissero: “Amen! Alleluia!” (19:1-4).

In tutto il libro dell’Apocalisse non vi è un’esplosione di gioia così grande e così generale come questa, in occasione del rapido e terribile giudizio di Babilonia, «la gran città» (18:10 e 18), «la grande prostituta» (19:2). Sì, era «grande» come città e «grande» come prostituta. Abbiamo già accennato che Satana ha fatto di Babilonia una caricatura della Chiesa di Dio. Siccome la vera Chiesa sarà, durante il regno di mille anni e sulla nuova terra, «la santa città» (Apoc. 21:2,10), Satana ha fatto della falsa chiesa, per quanto gli è stato possibile, «una gran città». Inoltre la vera Chiesa è la Sposa del Figlio di Dio, «la moglie dell’Agnello» (21:2,9), fidanzata al Signore di gloria «come una casta vergine» (2 Cor. 11:2); perciò Satana ha rovinato con le sue magie tutto ciò che comportava una tale posizione, e la falsa chiesa è diventata una «grande prostituta».

Considerando ciò comprendiamo meglio il grande giudizio di Babilonia e anche la grande gioia nel cielo per la sua caduta. Per questo motivo, «la santa città» non può scendere dal cielo, né le nozze dell’Agnello possono aver luogo nel cielo, prima che la contraffazione delle due, la «città» e la «prostituta», non sia completamente distrutta ed annientata dal terribile giudizio divino.

Nel capitolo precedente (18:20) gli abitanti del cielo sono invitati a rallegrarsi. Dopo che il giudizio di Babilonia è stato eseguito, essi rispondono all’invito in copiosa misura, come abbiamo letto, ed esprimono la loro gioia con: «Alleluia!» (cap. 19).

La parola «Alleluia» è adoperata qui per la prima volta nel Nuovo Testamento; e la troviamo soltanto in questo capitolo e per ben quattro volte, nei vers. 1, 3, 4, 6. Questo ci dimostra il carattere della gioia. «Alleluia» viene dall’ebraico, e significa: Lodate l’Eterno.

Nell’Antico Testamento troviamo quest’espressione solamente nei Salmi (21 volte, cioè 3×7). Alla fine del Salmo 104, dove incontriamo la parola «Alleluia» per la prima volta, è festeggiata la vittoria definitiva contro i peccatori e gli empi, e la loro scomparsa dalla terra: «Spariscano i peccatori dalla terra e gli empi non siano più! Anima mia, benedici l’Eterno. Alleluia» (v. 35). Come sotto l’antico patto, anche qui nell’Apocalisse si festeggia con “Alleluia” la vittoria di Dio contro il nemico e le sue opere inique. «Il mistero d’iniquità» comincia ad essere tolto per far posto alla salvezza, alla gloria e alla potenza del nostro Dio sulla terra: il Regno di Cristo sta per essere stabilito.

E dissero una seconda volta: “Alleluia!” poiché Babilonia non riapparirà mai più sulla terra. Giudizio e pene eterne sono la sua parte (19:3; confr. 14:11).

Siccome Cristo sta per far comparire davanti a sé la Chiesa, “gloriosa, senza macchia, senza ruga o altri simili difetti” (Efesini 5:27) come sua Sposa celeste, e in seguito apparirà al mondo in gloria con lei per ristabilire «il regno ad Israele» (Atti 1:6), allora anche i ventiquattro anziani debbono esprimere la loro gioia (19:4). Abbiamo già visto ripetutamente gli anziani accompagnare le vie di Dio in giudizio con approvazione e con lode.[58] Qui li vediamo cadere sulle loro facce davanti a Dio, che siede sul trono, e dire con le quattro creature viventi: «Amen! Alleluia!». Dopo di ciò non li incontreremo più come tali; questa è l’ultima volta. Il motivo è comprensibile. I ventiquattro  anziani rappresentano tutti i credenti che saranno già nel cielo, sia i santi dell’antico patto, sia «la Chiesa dei primogeniti», la vera Chiesa, la sposa celeste di Cristo. Per questo erano ventiquattro (2×12).

Da ora in poi non troviamo più i credenti nel cielo sotto la forma di «ventiquattro anziani», bensì come Sposa e come invitati alle nozze.

Dal vers. 5 del cap. 19 fino al v. 5 del cap. 22  è trattato il ritorno di Cristo in gloria per regnare.

20.3 Le nozze dell’Agnello (19:5-10)

«Dal trono venne una voce che diceva: “Lodate il nostro Dio, voi tutti suoi servitori, voi che lo temete, piccoli e grandi”» (vers. 5).

L’immensa moltitudine nel cielo e i ventiquattro anziani con le quattro creature viventi lodarono Dio con un glorioso «Alleluia!», per il suo eterno giudizio contro la «grande prostituta». Ora l’invito fatto dal trono di Dio si dirige a tutti i servitori di Dio sulla terra: «Lodate il nostro Dio, voi tutti i suoi servitori, voi che lo temete, piccoli e grandi» (vers. 5). Costoro sono ancora sulla terra, attorniati da molte sofferenze, ma la loro liberazione è vicina! «Babilonia», la loro acerrima nemica, è caduta e «sono giunte le nozze dell’Agnello» (vers. 7).

Il Signore Gesù quando scenderà per giudicare la terra e stabilire il suo Regno, sarà accompagnato dalla sua Sposa celeste. La sua Sposa, la Chiesa, è una parte di Lui stesso; essa «è il corpo di lui, il compimento di colui che porta a compimento ogni cosa in tutti» (Efesini 1:22-23). Cristo entra in possesso del suo Regno, in qualità di «capo del corpo»; la sua Sposa lo accompagna dal cielo all’atto della sua apparizione sulla terra, alla vista di tutti.

Gli avvenimenti nel cielo attendevano, per così dire, lo sviluppo degli avvenimenti sulla terra. Infatti, fin tanto che «Babilonia», la prostituta, esercitava la sua potenza sulla terra, «la moglie dell’Agnello» non faceva valere i suoi diritti quaggiù. E neanche nel cielo non si potevano celebrare le nozze. Appena però la prostituta è stata distrutta, con gioia di tutti i riscattati di Dio, vediamo «la sposa», «la moglie dell’Agnello», adorna della veste di sposa.

Finalmente le nozze dell’Agnello possono essere celebrate; l’invito a rallegrarsi per la caduta di Babilonia che esce dal trono giudiziario di Dio e che precede le nozze, mette per così dire questa caduta in rapporto con le nozze.

«Poi udii come la voce di una gran folla e come il fragore di grandi acque e come il rombo di forti tuoni, che diceva: “Alleluia! Perché il Signore, nostro Dio, l’Onnipotente, ha stabilito il suo regno. Rallegriamoci ed esultiamo e diamo a lui la gloria, perché sono giunte le nozze dell’Agnello e la sua sposa si è preparata”» (vers. 6-7).

Questo Regno stabilito sulla terra, con così grande gioia, è il Regno di Cristo, chiamato però nel nostro libro il Regno di Dio. è da notarsi che prende questo nome non perché Cristo è considerato qui nella sua divinità (poiché, come vediamo nel Salmo 8, Egli prende a signoreggiare in qualità di Figlio dell’Uomo), bensì perché la signoria di Dio si manifesta finalmente e completamente attraverso Cristo, l’Uomo secondo il pensiero di Dio. Fin dall’inizio, l’uomo avrebbe dovuto regnare sulla terra solamente per Dio; ma come lo dimostra l’Antico Testamento, ciò non si è mai verificato. Alla fine, prima della venuta di Cristo, troviamo perfino la signoria in mano a Satana, perché la volontà del diavolo è esercitata dalle potenze mondiali. Ora però è giunto il momento in cui Dio dà il suo trono, la sua signoria e i regni del mondo a Cristo, l’Uomo secondo il suo cuore; ed è così che, in sostanza, è Dio stesso che «ha preso a regnare».

Dio viene nominato nuovamente «il Signore, nostro Dio, l’Onnipotente». Pure con questo nome si era già rivelato alla fede d’Abramo e al suo popolo Israele promettendogli la signoria su tutti i regni della terra. Proprio con questo nome appare ora agli occhi di tutti, nemici e amici: «l’Onnipotente» per giudicare i nemici e «l’Onnipotente» per salvare i suoi eletti d’Israele.

Questo grande giubilo che udiamo e questa gloria che Dio riceve, non è soltanto perché Cristo comincia a regnare, ma anzitutto perché «sono giunte le nozze dell’Agnello e la sua Sposa si è preparata».

Sappiamo chi è «la Sposa dell’Agnello»; è la Chiesa del Signore. Ne abbiamo già parlato e dovremo ancora ritornare su questo argomento.

Come vi è una Gerusalemme terrestre ed una celeste, così pure vi è una Sposa terrestre ed una celeste: Israele e la Chiesa. La differenza tra le due è conosciuta da tutti i lettori. Che si tratta qui della Sposa celeste è fuori di dubbio poiché le nozze sono celebrate nel cielo e non nel Regno sulla terra come vedremo più tardi per Israele. «Nel cielo» (vers. 1) udiamo questo grido di gioia: «Sono giunte le nozze dell’Agnello, e la sua sposa si è preparata» (vers. 7).

La Sposa dell’Agnello è già stata preparata sulla terra per la gloria del cielo. Come è scritto: «ringraziando con gioia il Padre che vi ha messi in grado (o preparati) di partecipare alla sorte dei santi nella luce» (Col. 1:12). Questo incoraggiamento è indirizzato fin d’ora ai credenti che formano tutti insieme la Sposa di Cristo, mentre sono ancora nel loro corpo mortale, nel deserto di questo mondo. Dio li ha salvati e ha rimesso loro tutti i peccati (Col.1:13-14). La Sposa, benché sia già stata preparata sulla terra per la gloria celeste, dev’essere preparata ancora nel cielo per le nozze e per il Regno nel quale regnerà accanto a Cristo. è scritto: «… e la sua sposa si è preparata. Le è stato dato di vestirsi di lino fino, risplendente e puro; poiché il lino fino sono le opere giuste dei santi» (vers. 7 e 8).

La Parola di Dio ci insegna che anche noi credenti dovremo tutti comparire davanti al «tribunale di Cristo», detto anche «tribunale di Dio» (2 Cor. 5:10; Rom. 14:10). Questo «comparire davanti al tribunale di Cristo» che «metterà in luce quello che è nascosto nelle tenebre e manifesterà i pensieri dei cuori» (1 Corinzi 4:5), dovrà aver luogo prima delle nozze e prima che la Sposa prenda a regnare con Cristo. Nel momento in cui è detto: «La sua sposa si è preparata. Le è stato dato di vestirsi di lino fino, risplendente e puro», la Sposa è già comparsa davanti al tribunale. Ogni credente ha ricevuto qui dal Signore il suo premio, secondo la propria fedeltà. «Ciascuno avrà la sua lode da Dio» (1 Cor. 4:5), nella misura che il Signore stabilirà nel suo giusto giudizio (1 Cor. 3:15; 2 Giovanni 8).

Dell’ornamento della Sposa ci è detto: «Il lino fino sono le opere giuste dei santi». Non si tratta qui della giustizia che è stata data a tutti i credenti per la fede in Gesù Cristo, bensì della lode di Dio per le opere giuste di ognuno dei riscattati sulla terra. La Sacra Scrittura ci dice: «Dio infatti non è ingiusto da dimenticare l’opera vostra e l’amore che avete dimostrato per il suo nome con i servizi che avete reso e che rendete tuttora ai santi» (Ebr. 6:10).

Le opere della fede e dell’amore riceveranno tutte la loro ricompensa; non fosse che un bicchiere d’acqua dato nel suo nome, o una parola di grazia o una preghiera fatta con fede; ogni manifestazione della vita divina in noi quaggiù avrà la sua lode. Ma non sarà ricompensato solamente ciò che ogni riscattato, ogni membro del corpo, avrà operato sulla terra per la grazia di Dio; anche tutto ciò che avrà sofferto, imparato e sperimentato della grazia divina, attraverso le «svariate prove», le «prove della fede», formerà, nel giorno delle nozze e per sempre, il suo ornamento a «lode, gloria ed onore al momento della manifestazione di Gesù Cristo» (1 Pietro 1:7).

Il fatto che l’ornamento e l’abito della Sposa non sono d’oro, simbolo della giustizia divina che l’anima possiede per la fede e che significa per lei la salvezza (3:18), ma sono «di lino risplendente», simbolo della giustizia pratica nel cammino (confrontiamo l’asciugatoio di lino che il Signore ha cinto per lavare i piedi dei discepoli in Giov. 13:4, con la cintura d’oro ch’Egli possiede quando appare come il Giudice in Apoc. 1:13), dimostra che nel nostro versetto ci è presentata la ricompensa per la giustizia pratica, la fedeltà e la costanza sulla terra.

Quale contrasto troviamo qui tra il semplice abito di lino risplendente che Dio dà alla Sposa del suo Figlio nel giorno delle nozze, e la tunica di porpora, di scarlatto e di gioielli che la falsa sposa, «la prostituta», ha indossato fino alla sua caduta! Ciò che è grande agli occhi del mondo è in abominazione davanti a Dio.

«E l’angelo mi disse: “Scrivi: Beati quelli che sono invitati alla cena delle nozze dell’Agnello”» (vers. 9).

Crediamo di trovare qui due categorie di persone: la Sposa, che non è menzionata particolarmente ma che deve necessariamente essere presente e avere, alle nozze, il primo posto accanto allo Sposo; e in secondo luogo gli invitati alle nozze. Se questi già sono detti «beati», quanto più lo sarà la Sposa stessa! Giovanni Battista disse: «Colui che ha la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, si rallegra vivamente alla voce dello Sposo; questa gioia, che è la mia, è ora completa» (Giov. 3:29). Vi sono dunque dei credenti che si rallegrano alla voce dello Sposo ma che non appartengono alla Sposa celeste, cioè i credenti dell’antico patto. Pur essendo eredi della gloria e ricolmi delle ricchezze eterne della grazia, essi non sono negli stessi rapporti con lo Sposo come la Sposa celeste. Come amici dello Sposo, si rallegrano alla voce dello Sposo che amano. Il loro cuore trabocca di ringraziamenti e di lode, e sono felici nel giorno delle nozze dell’Agnello, ma la Chiesa soltanto ha il privilegio di formare l’oggetto principale dei sentimenti e dell’amore del Signore di gloria; ella è la sua Sposa, «il compimento di Colui che porta a compimento ogni cosa in tutti». Che grazia e che privilegio particolare l’appartenere già fin da quaggiù a Cristo e far parte di questa beata Sposa celeste.

«Poi aggiunse: “Queste sono le parole veritiere di Dio”» (vers. 9).

Perché questa asserzione? Essa conferma l’amore del Signore verso noi e nello stesso tempo è necessaria per i nostri cuori e le nostre coscienze. Il Signore sa quanto facilmente assimiliamo nel nostro intelletto, come dottrina, le cose meravigliose che abbiamo meditato, senza che il cuore ne gioisca veramente. Se consideriamo però che nella descrizione di queste glorie future si tratta delle «parole veritiere di Dio», di realtà che ci riguardano, che presto potremo sperimentare quale Sposa di Cristo, il nostro cuore è ripieno di gioia. Di fronte ad una tale felicità, e considerando la prossima venuta del Signore per prenderci ed unirci a Lui, le gioie di questo mondo impallidiscono. Con una tale speranza in cuore ci purificheremo «da ogni contaminazione di carne e di spirito, compiendo la nostra santificazione nel timore di Dio» (2 Cor. 7:1). «Perciò, carissimi, aspettando queste cose, fate in modo di essere trovati da lui immacolati e irreprensibili nella pace» (2 Pietro 3:14).

A questa benedetta assicurazione: «Queste (la meravigliosa descrizione della Sposa e delle nozze) sono le parole veritiere di Dio», possiamo aggiungere quelle del cap. 21:5 e 22:6: «Queste parole sono fedeli e veritiere». Anche qui il Signore desidera farci pensare a questi avvenimenti, affinché possiamo rallegrarci della descrizione del benedetto Regno di Cristo e dello stato eterno sulla nuova terra, e questo tanto più che le parole «sono fedeli e veritiere».

Di fronte a tale rivelazione, Giovanni è talmente sopraffatto che si prostra ai piedi del messaggero divino per adorarlo. L’angelo però gli impedisce di farlo poiché è solo il conservo di Giovanni e dei suoi fratelli che custodiscono la testimonianza di Gesù.

Vediamo quale grave pericolo vi è per il cuore umano di porre tra Dio e se stesso altri mediatori. Già all’inizio della storia della Chiesa il Signore ci mette seriamente in guardia contro questo pericolo (Col. 2:8,18). Dio, che ci ha tanto amato, che ha dato il suo unigenito Figlio per noi, e che per mezzo di Lui ci ha posti nel suo seno paterno, desidera averci continuamente in sua diretta vicinanza e in piena fiducia e comunione. Niente e nessuno, nessun sistema, nessun uomo, nessun angelo ha il diritto di porsi tra Dio e noi; e noi non dobbiamo pensare di avere bisogno di una mediazione tra Dio e noi. Il nostro Signore e Salvatore «Cristo Gesù uomo; che ha dato se stesso come prezzo di riscatto per tutti», è il «solo mediatore fra Dio e gli uomini» (1 Tim. 2:5-6). Per mezzo dell’opera sua compiuta alla croce per il nostro riscatto, e nella sua gloriosa persona, ha introdotto per l’eternità nella presenza di Dio tutti coloro che credono in Lui.

Torniamo al nostro passo. Nel vers. 7 abbiamo visto il cielo pieno di gioia e di giubilo «perché sono giunte le nozze dell’Agnello». La gioia del cielo giunge all’apice! Quale momento per il Signore Gesù stesso, lo Sposo, quando si adempiranno i desideri del suo cuore che sono nello stesso tempo i pensieri del suo Dio e Padre fin dall’eternità passata. Egli prende ora pienamente possesso della sua Chiesa, che Dio gli ha dato, la «perla preziosa» per la quale ha dato tutto quello che aveva, e la fa «comparire davanti a sé, gloriosa, senza macchia, senza ruga o altri simili difetti, ma santa e irreprensibile» (Efesini 5:27). In verità Egli «si acqueterà nel suo amore» ed esulterà di gioia a causa della Chiesa molto più che per Israele (Sofonia 3:17).

20.4 Ritorno di Cristo con l’esercito celeste per il giudizio (19:11-16)

Appena le nozze dell’Agnello sono celebrate, Giovanni vede il cielo aperto. Il nostro sguardo è diretto sulla gloriosa apparizione di Cristo, accompagnato dagli eserciti celesti, per giudicare le nazioni e stabilire il suo Regno. Colui che abbiamo considerato poc’anzi come lo Sposo, appare ora come il Giudice di tutta la terra. D’altra parte, i riscattati, che abbiamo contemplato or ora come la Sposa dell’Agnello, formano gli «eserciti che sono nel cielo». Sono però riconoscibili perché «vestiti di lino fino bianco e puro», l’ornamento della Sposa (vers. 8).

Come già abbiamo visto nei capitoli precedenti, dei giudizi terribili sono caduti uno dopo l’altro sulla terra iniqua, ma purtroppo coloro che vi abitano non si sono pentiti, anzi si sono elevati contro Dio e hanno bestemmiato Colui che mandava gli avvertimenti e i giudizi. Hanno continuato a vivere indifferenti, senza Dio, occupati soltanto delle cose della terra.

In quel tempo regnerà sulla terra uno stato di immoralità e di indurimento dei cuori verso Dio e sulla terra promessa infurierà una guerra tremenda. Il possesso di questa terra è in gioco. Il principe dell’Impero Romano ristabilito si trova là con le sue schiere alleate, che saranno annientate ad Harmaghedon (Apoc. 16:12-16). I Giudei che non hanno creduto, ma che hanno accettato l’Anticristo come loro re, sono alleati del capo dell’Impero Romano e dovranno subire un assedio terribile. Nemici che vengono dall’altra parte dell’Eufrate assedieranno Gerusalemme, la città dove i Giudei avranno ricostruito il tempio per offrire dei sacrifici agli idoli. La città e il popolo sembrano votati alla distruzione.

Il Signore Gesù, prima di risalire in cielo, ha spesso parlato con i discepoli di questi giorni terribili (Matteo 24 e Luca 21). I Giudei credenti, il residuo fedele, continueranno però in queste difficoltà a confidarsi in Dio e a gridare a Lui. Dio si tiene in disparte, ma dispone ogni cosa secondo la sua volontà e, nel giorno del giudizio, giudicherà i suoi nemici in giustizia (vedi Luca 17:22; 18:8).

L’Apocalisse ci rivela in modo particolare il giudizio del capo dell’Impero Romano e dell’Anticristo, che qui sono considerati come i principali nemici di Dio e del suo Unto. Altre parti della Sacra Scrittura ci rivelano invece i giudizi dei tempi della fine, che cadranno su Gog, l’Assiro, sugli Edomiti e su altri popoli.

Così pure troviamo in altre parti della Bibbia (nei Salmi e nei profeti dell’Antico Testamento) una descrizione completa della gloria di Gerusalemme sulla terra, durante il Regno di Cristo, il Millennio promesso; il nostro libro invece ci presenta le glorie della Gerusalemme celeste, la Sposa dell’Agnello, la Santa Città, che scende «dal cielo da presso Dio» all’inizio del Regno di Cristo (21:9-27).

Ritorniamo quindi al nostro testo e leggiamo: «Poi vidi il cielo aperto, ed ecco apparire un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava si chiama Fedele e Veritiero; perché giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi erano una fiamma di fuoco, sul suo capo vi erano molti diademi e portava scritto un nome che nessuno conosce fuorché lui. Era vestito di una veste tinta di sangue e il suo nome è la Parola di Dio» (vers. 11-13).

Il «gran giorno del Dio Onnipotente», del quale già leggemmo nel cap. 16:14, il giorno del giudizio, è giunto. Nello stesso tempo però è il giorno che già i padri d’Israele bramavano, e che forma in modo particolare la speranza del residuo futuro nei tempi dolorosi della persecuzione da parte dell’Anticristo. Essa è pure il giorno che il creato, che «fino ad ora… geme ed è in travaglio», brama sospirando, poiché è il giorno della manifestazione dei figli di Dio che avrà luogo all’apparizione di Cristo per il suo Regno (Rom. 8:19-22; Col. 3:4).

Prima di tutto Giovanni ci dice: «Poi vidi il cielo aperto». Nella parabola delle dieci vergini, il Signore dice che quando le vergini avvedute saranno entrate alle nozze in cielo, la porta della gloria verrà chiusa (Matt. 25:10). Siccome le nozze hanno avuto luogo, il cielo si apre nuovamente, e il Signore scende sulla terra, accompagnato dalla sua Sposa e dagli eserciti celesti, per giudicare i popoli viventi e per stabilire il suo Regno con potenza e gloria (Giuda 14; Matt. 25:31-34). In primo luogo il Signore, come Sposo, verrà a prendere la sua Sposa per introdurla alle nozze nel cielo (Matt.25:10); in seguito apparirà al mondo con la Sposa ma come il Re (Apoc. 19:11-16). Dal cielo aperto Gesù Cristo scende sulla terra con gloria e potenza, come Giudice.

Dove ogni testimonianza di Dio è venuta meno, dove la fedeltà e la verità sono sparite, Egli solo è «il Fedele e il Veritiero». Troviamo questo nome anche nell’ultima delle sette lettere alle chiese dell’Asia Minore, quando l’ultima chiesa ha dimostrato il suo irrimediabile stato di decadenza e il fallimento completo alla sua responsabilità. Soltanto Lui rimane «il testimone fedele e veritiero» (Apoc. 3:14).

Egli, il secondo uomo venuto dal cielo, ha soddisfatto appieno le esigenze divine, ha glorificato in tutto e perfettamente Dio, e mai speranza posta su Lui, sia nel cielo che sulla terra, è stata delusa.

Egli cavalca un «cavallo bianco», un cavallo da battaglia, e «giudica e combatte con giustizia». Sulla terra, degli «spiriti immondi», «spiriti di demoni», hanno radunato «i re di tutto il mondo» con i loro eserciti «per far guerra a colui che era sul cavallo e al suo esercito» (Apoc. 16:14; 19:19).

Come era promesso, il Signore è venuto una volta con dolcezza e mansuetudine, come il Principe di pace e Salvatore, ed è entrato in Gerusalemme montato su un puledro d’asina (Matt. 21:1-9). Il suo popolo e il mondo lo hanno però rigettato, e allora Egli appare come Giudice su un «cavallo bianco», come pure è stato promesso: «Sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria» (Matt. 24:30).

Giovanni dà altri dettagli ancora: «I suoi occhi erano una fiamma di fuoco». Nessuno potrà mai resistere davanti agli occhi suoi. Molti diademi coronano il suo capo: Egli è «il Re dei re, il Signore dei signori». A Lui appartengono gli onori; ne ha tutti i diritti poiché ogni potestà gli è stata data nel cielo e sulla terra.

A parte questa gloria regale, nella quale viene con i suoi per avere «potere sulle nazioni» e reggerle «con una verga di ferro; tu le frantumerai come un vaso d’argilla» (Apoc. 2:25-27; Salmo 2:8-9), il Signore possiede una gloria tutta particolare che nessuno può investigare: «E portava scritto un nome che nessuno conosce fuorché lui». Questo nome misterioso è scritto su di Lui ma nessuno lo conosce, nessuno può penetrare in questa sua gloria. Tutti sanno che Egli è «il Figlio dell’uomo» il cui «segno» è apparso nel cielo (Matt. 24:30), e che ora appare sulla terra con gloria e potenza così che ogni occhio lo vede; ma nello stesso tempo Egli è il Figlio di Dio che «nessuno conosce, se non il Padre» (Matteo 11:27). La sua natura, la sua persona, come Figlio di Dio, l’uomo non la potrà mai scrutare.

La veste di questo Re dei re è tinta nel sangue. Egli giudica con giustizia, prende in mano per così dire la causa di Dio, come ha sempre fatto, sia un tempo come Salvatore in grazia, sia adesso come Giudice con la spada della giustizia. Egli manifesta continuamente Dio in perfezione: «Il suo nome è la Parola di Dio».

Gli Evangeli descrivono la sua persona come la Parola eterna, scesa sulla terra, piena di grazia e di verità; Egli ha dato la sua vita qual prezzo di riscatto per tutti. Dopo aver compiuto l’opera della croce, ha mandato i suoi servitori e testimoni a predicare la Parola di Dio a tutti i popoli della terra, ma il mondo ha sprezzato e rigettato il suo messaggio. Egli ritornerà sulla terra come «la Parola di Dio», però per giudicare con diritto e giustizia.

«Gli eserciti che sono nel cielo lo seguivano sopra cavalli bianchi, ed eran vestiti di lino fino bianco e puro. Dalla bocca gli usciva una spada affilata per colpire le nazioni» (vers. 14).

Il «Re dei re, Signore dei signori» non scende da solo dal «cielo aperto», ma un gran seguito lo accompagna: «gli eserciti che sono nel cielo». Essi, gli eletti, i fedeli, cavalcano come lui, il giudice di tutta la terra, su cavalli bianchi, simbolo della loro purezza e della loro vittoria contro i nemici di Dio. Prendono parte anche loro alla vittoria di Cristo sulla bestia e il suo esercito, però la loro veste non è come la sua «tinta nel sangue». Nel profeta Isaia, dove è spiegata nel cap. 63:1-6 l’esecuzione della vendetta in occasione della quale il Signore di gloria ha tinto la sua veste col sangue delle vittime, si tratta del giudizio contro Edom e contro il re d’Assiria (vedi anche Salmo 83). Nel nostro capitolo, invece (Apoc. 19), è parlato del giudizio del Signore sopra «la bestia», l’Impero Romano. In quest’occasione, i suoi lo accompagnano e sono testimoni del suo giudizio, quando percuote le nazioni con la spada che esce dalla sua bocca.[59] Il giudizio porta qui un carattere celeste.

Chi sono questi «eserciti che sono nel cielo» che accompagnano il Signore di gloria alla sua apparizione? Sono angeli? No, come già abbiamo visto essi sono «i chiamati, gli eletti e fedeli» (17:14). Troviamo quindi qui le stesse persone che abbiamo visto alle nozze dell’Agnello: i credenti di ogni tempo, quelli che sono già nel cielo, compresa la Sposa celeste; adesso però non sono più al banchetto delle nozze, ma accompagnano Cristo nel suo trionfo contro i suoi nemici.

I riscattati sono sempre uniti al Salvatore, nelle sue sofferenze e nella sua gloria. Essi sono partecipi della tribolazione e del Regno (Apoc. 1:9; 1 Pietro 5:1). A costoro lo Spirito dice: «La nostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando Cristo, la vita nostra, sarà manifestato, allora anche voi sarete con lui manifestati in gloria» (Col. 3:3-4).

Già Enoc aveva profetizzato: «Ecco, il Signore è venuto con le sue sante miriadi per giudicare tutti; per convincere gli empi di tutte le opere d’empietà da loro commesse e di tutti gli insulti che gli empi peccatori hanno pronunciati contro di lui» (Giuda 14-15).

Benché «gli eserciti» che accompagnano il Signore dal cielo non siano angeli bensì i suoi riscattati celesti, ciò nonostante troviamo nel suo seguito pure «i santi angeli», come ci è detto altrove (vedi per es. Matt. 16:27; 25:31; Marco 8:38; Luca 9:26). In 2 Tess.1:7-8 l’apostolo Paolo scrive ai cristiani perseguitati: «A voi che siete afflitti, riposo con noi, quando il Signore Gesù apparirà dal cielo con gli angeli della sua potenza, in un fuoco fiammeggiante, per far vendetta di coloro che non conoscono Dio, e di coloro che non ubbidiscono al Vangelo del nostro Signore Gesù. Essi saranno puniti di eterna rovina, respinti dalla presenza del Signore e dalla gloria della sua potenza, quando verrà per essere in quel giorno glorificato nei suoi santi e ammirato in tutti quelli che hanno creduto». Dimostrazione meravigliosa di potenza e di gloria, che il mondo non ha mai contemplato.

Dalla bocca del Signore esce, per la battaglia, una «spada affilata». Di questa potente spada a due tagli abbiamo già parlato più volte (1:16; 2-12 e 16). Sì, la parola del Signore è penetrante, onnipotente e colpirà un giorno tutti gli avversari e giudicherà le nazioni (Is. 11:4; 2 Tess. 2:8). Dopo di che Egli reggerà le nazioni con la sua verga di ferro. A chi vince, il Signore ha promesso che regnerà con Lui in gloria, potenza e giustizia (Apoc. 2:26-27). Il Suo nome glorioso: «Re dei re, Signor dei signori» è scritto sulla veste e «sulla coscia», cioè dove il combattente suole avere la spada.

Con questo maestoso seguito, il Giudice scende dal cielo per prendere possesso in giustizia di un mondo iniquo nel quale aveva trovato odio e morte, quando era venuto come il mansueto Redentore.

20.5 Il giudizio della “bestia” romana e dell’Anticristo (19:17-21)

«Poi vidi un angelo che stava in piedi nel sole. Egli gridò a gran voce, dicendo a tutti gli uccelli che volano in mezzo al cielo:”Venite! Radunatevi per il gran banchetto di Dio”» (vers. 17).

Che contrasto tra questo «gran banchetto» al quale sono invitati «gli uccelli del cielo», animali rapaci ed immondi, e il gran convito che la grazia di Dio ha preparato per dei poveri peccatori, sulla base del sacrificio del suo Figlio, e al quale invita ancora oggi per mezzo del Vangelo (come leggiamo in Luca 14:16): «Venite, perché tutto è già pronto»! Questo meraviglioso convito della grazia e della salvezza eterna è però disprezzato, come pure lo sono i messaggeri che da circa duemila anni continuano ad invitare.

Troviamo lo stesso contrasto tra il convito delle nozze dell’Agnello, che abbiamo meditato poc’anzi (vers. 7), e il grande convito del giudizio. I convitati, gli uccelli immondi e voraci, sono chiamati da un angelo che sta «nel sole», cioè nel luogo della più grande potenza. I numerosi e potenti eserciti della «bestia» saranno dati loro da Dio come bottino, come mangime: i cavalli ed i cavalieri, i re ed i capitani, i prodi, i piccoli ed i grandi. Già nell’Antico Testamento è parlato del giudizio di Dio che cadrà alla fine dei tempi sulle nazioni nemiche, quando Cristo stabilirà il suo Regno (Ezech. 39:17-20; confr. Ger. 12:9). Il nostro passo, comunque, ci descrive in modo particolare il giudizio del Giudice del mondo contro l’esercito della «bestia», cioè dell’Impero Romano. Vediamo qui solamente la distruzione della potenza militare della bestia e il precipitare della bestia e dell’Anticristo nello stagno di fuoco.

«E vidi la bestia e i re della terra e i loro eserciti radunati per far guerra a colui che era sul cavallo e al suo esercito. Ma la bestia fu presa, e con lei fu preso il falso profeta… Tutti e due furono gettati vivi nello stagno ardente di fuoco e di zolfo. Il rimanente fu ucciso con la spada che usciva dalla bocca di colui che era sul cavallo, e tutti gli uccelli si saziarono delle loro carni» (vers. 19-21).

Lo spirito di rivolta e d’inimicizia di Satana e dei suoi seguaci contro Dio e contro il suo popolo, che data dall’inizio della storia dell’uomo caduto, giunge qui al colmo. Tutti gli eserciti nemici sono radunati contro Dio e contro il suo Unto. L’inimicizia e la collera hanno accecato gli eserciti di Satana; essi osano muovere guerra contro il Dio degli eserciti e pensano di avere la vittoria! Ma cosa accade? «La bestia», il capo dell’Impero Romano, e «il falso profeta», l’Anticristo, sono presi e gettati viventi nello stagno di fuoco. Questa è la terribile fine e la sorte meritata dal re e dal sacerdote di Satana!

Due testimoni del Signore, Enoc ed Elia, che in giorni di grande iniquità avevano onorato fedelmente Dio, erano stati da Lui rapiti nel cielo, viventi. Qui invece le due «bestie» che abbiamo visto già nel cap. 13, i capi del mondo politico e religioso ai tempi della fine, quando l’iniquità degli uomini avrà raggiunto il suo colmo, sono gettati vivi nello stagno di fuoco. Quale fine e quale giudizio per l’orgoglio dell’uomo! Dalla sua caduta l’uomo è sempre stato in tutte le sue vie senza Dio e contro Dio; con l’aiuto di Satana ha scelto queste due bestie come capi.

Già Daniele aveva profetizzato quale sarebbe stato il giudizio della prima bestia, il capo dell’Impero Romano, che ha da essere «gettato nel fuoco per essere arso» (Dan. 7:11). Quanto all’Anticristo, l’altra bestia che subirà la stessa sorte, leggiamo in 2 Tess. 2:8 che sarà distrutta all’apparizione di Cristo e «col soffio della sua bocca». Ciò significa che una sola parola del Signore è sufficiente per rinchiudere per sempre l’Anticristo nello stagno di fuoco. Come troviamo nell’ultimo versetto del nostro capitolo, anche «il rimanente fu ucciso con la spada che usciva dalla bocca di colui che cavalcava il cavallo» (19:21). Dunque, anche qui è la parola del Signore che provoca il giudizio e la rovina degli empi. Il profeta Zaccaria ci narra più dettagliatamente quanto sarà terribile il giudizio che il Signore eseguirà per mezzo della sua parola, contro gli eserciti nemici radunati attorno a Gerusalemme (Zac. 14:12-16).

Come già abbiamo visto, le nazioni della terra da oriente e da ponente, nella cecità del loro orgoglio, si radunano attorno a Gerusalemme per la guerra e si accingono nello stesso tempo ad attaccare «il Principe dei re della terra». Gli occhi loro vogliono pascersi della «vista di Sion». «Ma esse non conoscono i pensieri dell’Eterno» che giudicherà assieme i popoli della terra alla sua venuta. Esse «non comprendono i suoi disegni: poiché egli le raduna come covoni sull’aia». In quel giorno il Signore fiaccherà molte nazioni e le «frantumerà come un vaso d’argilla», quando «verrà e tutti i suoi santi con lui» (Mich. 4:11-13; Sal. 2:8-9; Zac. 12:2 e 14:3-5).[60]

21. Capitolo 20

21.1 La sconfitta di Satana. Il regno di Cristo

21.2 Satana legato (20:1-3)

Nel libro dell’Apocalisse non troviamo la descrizione del giudizio di diversi popoli presi uno ad uno, anzi, come abbiamo anche visto nel capitolo precedente, si tratta in modo particolare dell’ultimo o quarto impero mondiale, cioè l’Impero Romano, dei suoi alleati e del giudizio di esso e dell’Anticristo. Nell’Apocalisse troviamo pure, con molti particolari, il giudizio di Satana, «il principe di questo mondo», da parte del Signore di gloria. Nel cap. 12, dove ci è descritta la battaglia che ha luogo nel cielo, leggiamo che Satana era «l’accusatore dei nostri fratelli… giorno e notte» (vers. 10). In seguito a quella battaglia Satana è stato precipitato sulla terra, ed agisce qui nei suoi strumenti, le due bestie del cap. 13 (il capo dell’Impero Romano e l’Anticristo).

Gesù Cristo però, «il principe dei re della terra», viene a far valere i suoi diritti quale Figlio di Dio, Creatore, Salvatore, Erede dell’universo. A questo momento Satana deve cedere, deve sparire. Se non riceve dalla mano di Cristo il suo giudizio definitivo, poiché il tempo di prova dell’uomo non è ancora terminato e Satana dovrà essere liberato ancora una volta (cap. 20 vers. 7), deve pur tuttavia essere legato per mille anni.

«Poi vidi scendere dal cielo un angelo con la chiave dell’abisso e una grande catena in mano. Ed egli afferrò il dragone, il serpente antico, cioè il diavolo, Satana, lo legò per mille anni, e lo gettò nell’abisso che chiuse e sigillò sopra di lui perché non seducesse più le nazioni finché fossero compiuti i mille anni; dopo i quali dovrà essere sciolto per un po’ di tempo» (20:1-3).

Prima che la vera Chiesa, la Sposa dell’Agnello, potesse fare la sua apparizione sulla terra, bisognava che la «prostituta», la falsa chiesa, fosse distrutta. Ora che il vero Signore ha da apparire sulla terra, il falso capo che si era arrogato quest’autorità deve assolutamente sparire dalla faccia della terra. Un angelo munito della «chiave dell’abisso» e di una «gran catena», apparso dal cielo, afferra Satana, lo lega e lo precipita «nell’abisso». Già prima ci è parlato di questo «abisso» (9:2-11; 11:7; 17:8), perfino negli Evangeli. Quando Gesù era sulla terra e scacciava i demoni, essi lo pregavano di non mandarli «nell’abisso» (Luca 8:31). Questo è il luogo di soggiorno degli spiriti immondi. Prima di essere precipitato nell’abisso, Satana ha passato tre anni e mezzo sulla terra (12:3 e seg.). Adesso però è privato, per mille anni, della sua libertà di movimento e d’azione. Il Figlio di Dio «ha distrutto» (Ebr. 2:14) la sua potenza alla croce e ha trionfato su di lui nella risurrezione (Col. 2:15) e ascendendo al cielo lo ha «portato in prigione» (Efesini 4:8). Dopo di che Satana verrà precipitato dal cielo sulla terra; di qui, poi, gettato «nell’abisso» e in seguito nello stagno di fuoco (20:10).

Così Satana cade sempre più in basso e il suo giudizio si aggrava di volta in volta.

La sua prigione non è semplicemente «chiusa», ma è «sigillata» ed egli stesso è «legato». Ciò ci dimostra quanto la sua potenza dev’essere grande. L’umanità è liberata, per mille anni, dalla seduzione, dalla potenza e dalla tirannia del nemico. Che grande liberazione!

L’umanità, però, dovrà subire ancora l’ultima prova, per dimostrare, dopo i mille anni di gloria e di signoria di Cristo sulla terra, se d’ora innanzi può servire Dio. Come vedremo al vers. 7, «quando i mille anni saranno trascorsi, Satana sarà sciolto dalla sua prigione».

Già nel profeta Isaia è parlato della prigione di Satana, del suo esercito e anche della sua liberazione temporanea «dopo gran numero di giorni» (Is. 24:21-23). Qui, nell’ultimo libro della Bibbia, abbiamo una rivelazione più precisa: il Regno di Cristo e la prigionia di Satana dureranno «mille anni».

21.3 Il regno di mille anni (20:4-6)

Vediamo ora che cosa Giovanni ci rivela circa questo periodo meraviglioso.

«Poi vidi dei troni. A quelli che vi si misero seduti fu dato di giudicare. E vidi le anime di quelli che erano stati decapitati per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio, e di quelli che non avevano adorato la bestia né la sua immagine e non avevano ricevuto il suo marchio sulla loro fronte e sulla loro mano. Essi tornarono in vita e regnarono con Cristo per mille anni. Gli altri morti non tornarono in vita prima che i mille anni fossero trascorsi. Questa è la prima risurrezione. Beato e santo è colui che partecipa alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la morte seconda, ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo e regneranno con lui quei mille anni» (vers. 4-6).

Ecco giunto il glorioso Regno, per la cui venuta il Signore aveva insegnato ai discepoli di pregare: «Il tuo regno venga». Come vediamo negli Evangeli, e come ci dice l’apostolo Pietro, la trasfigurazione del Signore sulla montagna è una figura di questo Regno (vedi Matt. 16:28 – 17:9; 2 Pietro 1:16-21).

Ora è apparso il Regno di Cristo che già nel cap. 12 era stato annunciato da una gran voce nel cielo: «è venuto… il regno del nostro Dio». Già nei tempi antichi questo Regno era la speranza del popolo d’Israele. Il patriarca Giacobbe benedicendo Giuda disse: «Lo scettro non sarà rimosso da Giuda, né sarà allontanato il bastone del comando dai suoi piedi, finché venga colui che darà il riposo, e a cui ubbidiranno i popoli» (Gen. 49:10). Nei salmi e nei profeti troviamo molto spesso parlato di questo Regno.

«Le nazioni rumoreggiano, i regni vacillano»; ma il vero Principe di pace, il vero Salomone, dopo aver giudicato i popoli della terra, «fa cessar le guerre fino all’estremità della terra; rompe gli archi e spezza le lance, brucia i carri da guerra» (Salmo 46:6 e seg.). «Egli giudicherà (o regnerà su) il tuo popolo con giustizia, e i tuoi poveri con equità! Portino i monti pace al popolo, e le colline giustizia!… Nei suoi giorni il giusto fiorirà e vi sarà abbondanza di pace… Egli dominerà da un mare all’altro e dal fiume fino all’estremità della terra» (Salmo 72).

Ci è assolutamente impossibile menzionare i numerosissimi passi dell’Antico Testamento che si riferiscono al Regno di Dio e di Cristo il suo Unto. Faremo unicamente allusione alle visioni nel libro del profeta Daniele, che trattano dei quattro grandi imperi e del Regno di Dio che metterà fine per sempre a questi imperi e «ai tempi delle nazioni».

Nel secondo capitolo, Daniele spiega il sogno al re di Babilonia circa la statua che aveva il capo d’oro, il petto e le braccia d’argento, il ventre e le cosce di rame, le gambe di ferro, e i piedi in parte di ferro e in parte d’argilla. Dio ha rivelato a Nabucodonosor, in questa figura, i quattro grandi imperi che sarebbero sorti sulla terra durante il tempo in cui Israele sarebbe stato rigettato da Dio: l’Assiro-Babilonese, il Medo-Persiano, il Greco e il Romano. Un giudizio proveniente dal cielo mette improvvisamente fine a questi imperi: una pietra staccatasi «senza opera di mano» colpisce la statua ai piedi e la distrugge. La pietra stessa però cresce fino a divenire una grande montagna che riempie tutta la terra. Ecco ciò che il monarca vide in sogno. Gesù Cristo è quella Pietra vivente che giudicherà e distruggerà l’ultimo dei quattro imperi, l’Impero Romano, e introdurrà il suo Regno di mille anni, regno di giustizia e di pace, quel regno benedetto del quale lo stesso profeta ci parla nel cap. 7 del suo libro. Dopo i quattro imperi che sono stati mostrati sotto forma di quattro bestie, egli vede venire sulle nuvole del cielo il «Figlio dell’uomo» a cui il «Vegliardo» dà potere, dominio, gloria e regno, perché tutti i popoli, tutte le nazioni e lingue lo servano; il suo dominio «è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà distrutto»[61] (Dan. 7:1-14).

Nell’Apocalisse, come nel profeta Daniele, il carattere di questi grandi imperi ci è presentato da Dio, malgrado tutto l’onore e la gloria che l’uomo dà loro, con la figura di una «bestia». Dopo la distruzione della «bestia», quando l’Impero Romano sarà definitivamente eliminato, l’imperio, dato alle nazioni nella persona di Nabucodonosor, sarà loro tolto. Esso ritorna a Dio, il Re dei re, il Signore dei signori. Egli lo darà al «Figlio dell’uomo» che ha adempiuto la sua volontà e lo ha glorificato appieno.

Con ciò comincia sulla terra l’epoca di benedizione e di pace per Israele e per le nazioni. Questi sono i tempi di «ristoro della presenza del Signore», «tempi della restaurazione di tutte le cose; di cui Dio ha parlato fin dall’antichità per bocca dei suoi santi profeti» (Atti 3:19-21). Si adempie adesso quella «nuova creazione» della quale il Signore parlava coi suoi discepoli. Allora il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, e gli apostoli con lui «su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele» (Matt. 19:28). Tutti i popoli della terra saranno allora benedetti per mezzo d’Israele e con lui.[62]. La terra, liberata dalla potenza di Satana, il padre della menzogna, e dalla tirannia dell’uomo, godrà appieno la pace e la gioia sotto lo scettro del Signore Gesù. L’umanità che oggi soffre e sospira per l’ingiustizia e la violenza, godrà di una ricca benedizione e «la conoscenza dell’Eterno riempirà la terra, come le acque coprono il fondo del mare» (Is. 11:9). «La verità germoglia dalla terra, e la giustizia guarda dal cielo» (Sal. 85:10-13).

La tanto agognata pace del mondo sarà allora realizzata, non per merito dell’uomo, ma per la venuta di Gesù Cristo sulla terra per regnare. «Dalle loro spade fabbricheranno vomeri, dalle loro lance, roncole; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra, e non impareranno più la guerra» (Is. 2:2-4; Michea 4:1-5; Zacc. 9:10). La stessa pace si stenderà pure sul regno animale: «Il lupo abiterà con l’agnello, e il leopardo si sdraierà accanto al capretto» (Isaia 11:1-10; confr. Osea 2:18). Al posto della fame e del bisogno vi sarà abbondanza sulla terra: «L’aratore si incontrerà con il mietitore, e chi pigia dell’uva con chi getta il seme» (Amos 9:13). «L’albero dei campi darà il suo frutto, e la terra darà i suoi prodotti» (Ezech. 34:23-31). «Vi sarà abbondanza di grano nel paese, sulle cime dei monti. Ondeggeranno le spighe come fanno gli alberi del Libano» (Sal. 72; vedi anche Is. 30:23 e seg.).

Benché la natura peccatrice si trovi ancora nell’uomo, il male non si manifesterà e non agirà più nello stesso modo, poiché Satana sarà legato e il Signore sarà presente nella sua gloria. E quand’anche il male si manifestasse, verrebbe subito giudicato (Sal. 101:8; Sof. 3:5; Isaia 65:20; Zacc. 5:3). Lo stesso accadrà a quei popoli che non porteranno il loro tributo e non onoreranno dovutamente il «Principe dei re della terra» (Zacc. 14:16-19). Dappertutto sulla terra vi sarà ubbidienza e santità; perfino sui «sonagli dei cavalli» e sulle caldaie di Gerusalemme sarà scritto: «Santità all’Eterno!» (Zacc. 14:20-21).

Pare che Gesù Cristo non sarà continuamente, durante i mille anni, presente sulla terra, poiché avrà un rappresentante quaggiù, un principe della casa di Giuda, che offrirà sacrifici come un sacerdote [63] (Ezech. 44-46). A causa dello sviluppo della potenza e della gloria del Signore Gesù sulla terra, le cose prenderanno un andamento tale che il tempo benedetto e pacifico del Millennio sembrerà su una nuova terra. Lo Spirito Santo riferendosi a questo tempo, dice per bocca del profeta: «Poiché, ecco, io creo nuovi cieli e una nuova terra… io creo Gerusalemme per il gaudio, e il suo popolo per la gioia» (Is. 65:17 e seg.; e ancora 24:23 e 30:26).

Dopo il Regno benedetto del nostro Salvatore e Signore ci sarà lo stato eterno, glorioso e perfetto, su una terra veramente nuova e nei nuovi cieli.

21.4 Quelli che regnano con Cristo (20:4-6)

Nel capitolo 19 abbiamo avuto la descrizione del giudizio del Signore Gesù contro gli eserciti delle nazioni della terra, quando Egli, come Vincitore, scende dal cielo in mezzo ai suoi eserciti e libera Gerusalemme annientando i nemici. Ora troviamo qui un secondo giudizio.

Egli stabilisce il suo trono, esercita il giudizio e regna insieme ai suoi, che sono scesi dal cielo con Lui. Sappiamo che i credenti sono «eredi di Dio e coeredi di Cristo». Quando Cristo regnerà, essi regneranno con Lui: «Certa è questa affermazione: se siamo morti con lui, con lui anche vivremo: se abbiamo costanza, con lui anche regneremo; se lo rinnegheremo anch’egli ci rinnegherà; se siamo infedeli, egli rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso» (2 Tim. 2:11-13). Però, noi che formiamo la Sposa celeste di Cristo non saremo gli unici a regnare e a giudicare con Cristo. Troviamo ben tre categorie di riscattati unite a Lui in questo Regno. Ascoltiamo:

«Poi vidi dei troni. A quelli che vi si misero seduti fu dato di giudicare» (vers. 4).

Chi sono «quelli»? Certamente gli «eserciti» scesi dal cielo col Signore vestiti di lino bianco, cioè gli stessi santi che troviamo nel cielo a partire dal cap. 4, prima presentati come i 24 anziani, poi come la Sposa e gli invitati alle nozze [64] (cap. 19), infine come gli eserciti del cielo scesi sulla terra insieme al Re dei re e al Signore dei signori.

A parte questa grande categoria, troviamo ancora due altre classi di credenti sui troni nel Regno. All’apertura del quinto sigillo «le anime di quelli che erano stati uccisi per la parola di Dio e per la testimonianza» gridano: «Fino a quando aspetterai, o Signore Santo e Veritiero, per fare giustizia e vendicare il nostro sangue?» (6:9-10). Questi martiri formano la seconda classe; è detto di loro: «E vidi le anime di quelli che erano stati uccisi per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio…» (vers. 4).

Quando erano ancora sotto l’altare, essi avevano ricevuto una veste bianca ed era loro stato detto di riposarsi ancora un po’ di tempo finché il numero dei loro fratelli e compagni di servizio, che dovevano essere uccisi come loro, fosse completo (6:11). Questi «compagni di servizio e fratelli», morti come martiri, formano la terza categoria di riscattati che troviamo qui con Cristo, all’inizio del Regno, seduti su dei troni. Di loro è detto: «…e (le anime) di quelli che non avevano adorato la bestia né la sua immagine, e non avevano ricevuto il suo marchio sulla loro fronte e sulla loro mano» (vers. 4).

Sono dunque coloro che durante il tempo della grande tribolazione hanno rifiutato di adorare il capo dell’Impero Romano e la sua immagine, «quelli che avevano ottenuto vittoria sulla bestia e sulla sua immagine e sul numero del suo nome. Essi stavano in piedi, avevano delle arpe di Dio…» (15:2-3).

La speranza di queste due ultime categorie di credenti non era celeste, bensì terrena. Costoro erano giunti alla salvezza dopo il rapimento della Chiesa e avevano sperato e atteso la venuta di Cristo sulla terra per regnare. A causa di questa speranza hanno sofferto e sono morti in mezzo ai loro nemici. Morendo come martiri pensavano di non poter più avere parte alle benedizioni promesse sulla terra. E siccome non conoscevano nessuna speranza, nessuna benedizione celeste, erano perplessi quanto al loro avvenire. Ci ricordiamo che in mezzo alle tribolazioni una voce aveva gridato dal cielo per incoraggiarli: «Scrivi: beati i morti che da ora innanzi muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, essi si riposano dalle loro fatiche perché le loro opere li seguono» (Apoc. 14:13). Adesso troviamo l’adempimento della loro gioia. All’apparizione del Signore sulla terra essi vengono risuscitati corporalmente, formando così l’ultima parte della «prima risurrezione» e insieme alla Sposa come coeredi di Cristo, trionferanno e regneranno.

Ci è detto qui, di queste categorie di credenti, con parole semplici ma molto significative: «Essi tornarono in vita, e regnarono con Cristo mille anni» (vers. 4).

L’espressione «tornarono in vita» vuol significare che questi credenti che regneranno con Cristo, morti durante la Grande Tribolazione, ora sono risuscitati e glorificati. Cristo è stato per loro «la risurrezione e la vita». Per questo ci è detto in seguito: «Gli altri morti non tornarono in vita prima che i mille anni fossero trascorsi. Questa è la prima risurrezione» (vers. 5).

La dottrina, molto diffusa nella cristianità, che insegna un’unica e contemporanea risurrezione dei buoni e dei cattivi, è errata e non fondata sulla Bibbia. Un tempo di almeno mille anni separa la prima risurrezione, che il Signore nomina in Luca 14:14 «la risurrezione dei giusti», dalla risurrezione di tutti coloro che non appartengono a Cristo.[65]. Durante i mille anni del Regno di Cristo coi suoi riscattati, tutti coloro che non fanno parte del suo popolo resteranno nel regno della morte e il loro corpo nella tomba. Soltanto più tardi, nei vers. 12 e 13, troviamo la risurrezione di quelli che non sono scritti nel libro della vita.

L’espressione del vers. 5: «Questa è la prima risurrezione» significa che la prima risurrezione dura fino a questo momento. Essa si scompone di diversi atti e fu, per così dire, inaugurata dal Signore Gesù stesso; Egli è «il Primogenito dai morti». Fanno dunque parte della prima risurrezione i credenti morti e viventi alla sua venuta, e infine le due categorie di testimoni che subiranno il martirio durante la grande tribolazione, delle quali abbiamo già parlato. Possiamo quasi dire che la loro risurrezione è un supplemento della risurrezione e del rapimento dei credenti. Ne vediamo già una rappresentazione parziale nella risurrezione dei due testimoni (11:3-12).

Non è detto che queste due categorie di martiri facciano parte della Sposa celeste di Cristo, poiché questa è unicamente la gloria della Chiesa. Ma di loro, come di tutti quelli che fanno parte della prima risurrezione, è detto: «Beato e santo». Di tutti coloro che fanno parte di questa risurrezione è detto:

«Beato e santo è colui che partecipa alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la morte seconda, ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo e regneranno con lui quei mille anni» (v. 6).

Durante la sua vita quaggiù, il Signore aveva parlato di questa risurrezione, ma i discepoli non ne avevano afferrato il significato (Marco 9:9-10). è questa risurrezione dai morti che l’apostolo Paolo bramava (Fil. 3:11). Egli parla di essa come di un «mistero» riguardo al quale però non voleva che fossimo nell’ignoranza (1 Cor. 15:51; 1 Tess. 4:13). L’apostolo ci comunica pure «l’ordine» della risurrezione: «Cristo, la primizia; poi quelli che sono di Cristo, alla sua venuta»[66]; poi avverrà la risurrezione degl’increduli, la risurrezione di giudizio. La risurrezione di «quelli che sono di Cristo», cioè dei credenti, è dunque una scelta di mezzo ai morti; questa è appunto la «prima risurrezione».

La «morte seconda» significa l’eterna separazione dell’anima da Dio, come la prima morte è la separazione dell’anima dal corpo. Essa è la punizione, il salario del peccato. Verrà eseguita contro «il rimanente dei morti» che all’instaurazione del regno «non torna in vita» e non fa quindi parte della prima risurrezione. Sui riscattati di Cristo la morte seconda non «ha potere»; essi hanno ricevuto da Cristo la vita eterna. Anzi, sono sacerdoti di Dio e re poiché «regneranno con Lui». Lo Spirito Santo, menzionando due volte il fatto che i credenti regneranno con Cristo (vers. 4 e 6), vuol far notare in modo particolare la gloria di questo Regno sulla terra, del quale i profeti dell’Antico Testamento hanno parlato a più riprese. Ma siccome l’Apocalisse è il libro dei giudizi sulla terra, la gloria stessa del Regno sulla terra non viene descritta. Nel nostro libro troviamo soltanto la descrizione della gloria della Gerusalemme celeste e della Sposa celeste, come pure la felicità dello stato eterno dei nuovi cieli e sulla nuova terra (21:1-5). Prima però l’apostolo Giovanni ci narra che cosa avverrà sulla terra quando Satana, come è già stato annunciato nel vers. 3, dopo il Regno di mille anni, sarà sciolto dalla sua prigione «per un po’ di tempo».

21.5 Satana sciolto e vinto per sempre (20:7-10)

Profetizzando del futuro Regno di Cristo, il profeta dichiara: «Cantate, o cieli, poiché il Signore ha operato! Giubilate, o profondità della terra! Prorompete in grida di gioia, o montagne… Poiché il Signore ha riscattato Giacobbe e manifesta la sua gloria in Israele!» (Is. 44:23). Israele, dopo il grave castigo, ha infine reso il suo «frutto» sul terreno di una libera grazia e del nuovo patto nel millennio. Durante mille anni, gli abitanti della terra hanno gustato la pace e la giustizia, e goduto delle benedizioni del Signore sotto il suo scettro e in presenza della sua gloria. Però, ecco una nuova e ultima prova per loro: Satana, che è stato legato per mille anni, ma che è rimasto lo stesso nemico, sarà sciolto «per un po’ di tempo». E che avviene?

«E uscirà per sedurre le nazioni che sono ai quattro angoli della terra, Gog e Magog, per radunarle alla battaglia: il loro numero è come la sabbia del mare. E salirono sulla superficie della terra e assediarono il campo dei santi e la città diletta; ma un fuoco dal cielo discese e le divorò. E il diavolo che le aveva sedotte fu gettato nello stagno di fuoco e di zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta; e saranno tormentati giorno e notte, nei secoli dei secoli» (vers. 8-10).

Così è Satana, e così pure sono gli uomini! Una prigionia di mille anni non lo ha cambiato, e un periodo di mille anni di benedizione ha lasciato gli uomini immutati. Anche se non tutti, alla fine del millennio, si rivolteranno contro Dio (quelli d’Israele e delle nazioni che sono “nati di nuovo” non si rivolteranno di certo), e in grande numero («il loro numero è come la sabbia del mare»).

«Gog e Magog» hanno qui un significato molto più esteso che in Ezechiele. Questo profeta ci presenta l’attacco che Gog fa in Palestina prima del Millennio. Gog è una grande potenza a nord della Palestina. Quest’attacco avrà luogo contro gli Israeliti rientrati nella terra dei padri con i loro beni; Gog vorrà impadronirsi dei beni di questo «popolo raccolto in mezzo alle nazioni» (Ezech. 38:10 e seg.). Nel libro dell’Apocalisse invece è parlato di Gog e di Magog «quando i mille anni saranno trascorsi» (vers. 7) e rappresentano le nazioni in generale: «Sono ai quattro angoli della terra». In Ezechiele, Gog e Magog cadono sulle montagne e i loro cadaveri vengono sotterrati. Qui nell’Apocalisse i molti popoli radunati per la guerra sono annientati dal fuoco che scende dal cielo, come nel caso di Sodoma e di Gomorra.

Ecco come finisce l’ultimo tentativo di rivolta dell’uomo contro Dio: un giudizio immediato e definitivo.

Il popolo d’Israele è chiamato qui «campo dei santi», e Gerusalemme «la città diletta». Ciò corrisponde alla posizione benedetta del popolo d’Israele e di Gerusalemme dopo che la grazia li avrà rigenerati e condotti a Cristo; il Vecchio Testamento parla sovente di questa grazia spiegata verso Israele nel nuovo patto.[67] Questa seduzione delle nazioni che si sollevano contro Cristo e contro il campo dei santi sarà l’ultima vittoria e l’ultimo trionfo che Satana riporta sull’umanità caduta. E questa rivolta sarà pure l’ultima manifestazione, sulla nostra terra macchiata di sangue, dell’inimicizia contro a Dio. Il fuoco scenderà allora dal cielo. Una volta, durante il tempo della grazia, Giovanni aveva chiesto che il fuoco scendesse dal cielo su una località ostile al Signore della Samaria (Luca 9:54). Ma allora Gesù era ancora il Salvatore e non il Giudice. Adesso Giovanni contempla il fuoco scendere dal cielo per distruggere i nemici in un santo giudizio; dopo di che anche Satana, il gran rivale di Dio e seduttore degli uomini, sarà colpito: «Fu gettato nello stagno di fuoco e di zolfo», dove già vi sono i due capi dell’umanità sedotta, cioè il capo dell’Impero Romano, il capo politico, e l’Anticristo, il capo religioso. La loro parte è un tormento eterno.

Con ciò, la santa ira di Dio contro i suoi nemici ha eseguito la sentenza.

La grande battaglia tra luce e tenebre, la più grande battaglia che si è prolungata attraverso tutta la storia dell’umanità sulla terra e che sovente sembra terminare con una sconfitta della luce, è dunque finita. Dio ha trionfato su Satana e sulla sua potenza! Il Signore ha avuto la vittoria. Sì, Gesù, il Salvatore, è Vincitore.

21.6 Il giudizio dei morti e la fine del mondo (20:11-15)

Dopo il giudizio di Satana, ci viene descritto il giudizio dei morti. Abbiamo già visto che la prima risurrezione si riferisce soltanto ai giusti, ai riscattati: «Gli altri morti non tornarono in vita prima che i mille anni fossero trascorsi» (vers. 5).

Il giudizio dei morti è il terzo giudizio che troviamo dopo la venuta sulla terra del Signore di gloria, dopo le nozze dell’Agnello, accompagnato dagli eserciti celesti. Il primo giudizio potremmo nominarlo il giudizio di guerra (19:11 e seg.); il secondo giudizio, quello del Re, poiché Egli stesso sederà sul trono come Giudice (20:4 e seg.). Il giudizio delle nazioni viventi, che il Signore stesso preannuncia in Matteo 25:31 e seg., appartiene pure a quest’ultimo, poiché avrà luogo all’inizio del Regno di mille anni. Segue il terzo, o giudizio eterno, quello dei morti, non riconciliati con Dio e che ora, alla fine del millennio e dopo l’esecuzione del castigo di Satana, devono comparire davanti al trono di Dio. A questo riguardo leggiamo:

«Poi vidi un grande trono bianco e Colui che vi sedeva sopra. La terra e il cielo fuggirono dalla sua presenza e non ci fu più posto per loro. E vidi i morti, grandi e piccoli , in piedi davanti al trono. I libri furono aperti e fu aperto anche un altro libro, che è il libro della vita; e i morti furono giudicati dalle cose scritte nei libri, secondo le loro opere» (vers. 11 e 12).

La fine del mondo è giunta. Il Giudice del mondo siede su un alto ed elevato trono bianco e puro, splendente della luce dell’incorruttibile santità e della giustizia divina. Dalla sua presenza (non ci è detto il suo nome, ma sappiamo che è Cristo, poiché Dio ha messo ogni giudizio nelle mani del suo Figlio) il cielo e la terra fuggiranno. Ecco il giorno nel quale «i cieli passeranno stridendo, gli elementi infiammati si dissolveranno, la terra e le opere che sono in essa saranno bruciate» (2 Pietro 3:10). è l’ultimo avvenimento del «giorno del Signore», è la fine di questo giorno. Tutto ciò che l’uomo ha fatto e costruito, i suoi monumenti e i tesori, i suoi palazzi e i suoi regni, tutto ciò di cui si vantava e a cui il suo cuore era attaccato, svanisce ora come nebbia: «E non ci fu più posto per loro».

Ma benché tutte le opere dell’uomo siano annientate e la terra stessa svanita, gli uomini non sono stati annientati e non lo saranno mai; l’anima loro vive e non cesserà mai di esistere. Dio alla creazione soffiò nell’uomo un alito di vita, poi gli diede uno spirito; non fece lo stesso per gli animali. E l’uomo divenne così immortale. Perciò «tutti quelli che sono nelle tombe», tutti i morti e tutti i viventi e anche «quelli che hanno operato male» dovranno udire la voce del Figlio di Dio e comparire davanti al suo trono (Giov. 5:28-29; Rom. 14:10).[68]

Qui, tutti dovranno stare davanti al Giudice, «grandi e piccoli», e udire la sua sentenza giusta ed eterna. «I libri furono aperti e fu aperto un altro libro, che è il libro della vita».Vi sono dunque diversi libri. In uno di questi libri sono elencate unicamente le opere, poiché i presenti saranno giudicati secondo le loro opere. Nell’altro libro non troviamo delle opere, ma dei nomi; i nomi di coloro che hanno la vita divina e che sono nella gloria per l’eternità.

Qui troviamo uomini di tutte le classi che erano sulla terra, dai più grandi ai più.[69].Ora, davanti a Dio, sono tutti uguali, poiché Egli non fa «favoritismi» (1 Pietro 1:17).

Possiamo ancora dividere la folla che si trova davanti al trono bianco in due gruppi: coloro che sono morti dalla creazione fino a prima che Cristo stabilisse il suo Regno sulla terra, e gli altri che sono morti durante il Regno. Tutti coloro che fin dal principio della storia dell’uomo non si sono umiliati davanti a Dio con sincerità, sono chiamati qui per render conto del loro operato. Le schiere di quelli che non hanno superato l’ultima prova, che dopo la fine del Regno si sono ribellati contro Dio sotto l’influenza di Satana e che sono stati distrutti dal fuoco, risusciteranno essi pure per apparire davanti al trono bianco per essere condannati insieme a migliaia di generazioni passate.

La Bibbia è meno esplicita per quanto riguarda la sorte di coloro che muoiono durante il millennio. In Isaia Dio dice: «Poiché, ecco, io creo Gerusalemme per il gaudio, e il suo popolo per la gioia. Io esulterò a motivo di Gerusalemme e gioirò del mio popolo; là non si udranno più voci di pianto né grida d’angoscia; non ci sarà più, in avvenire, bimbo nato per pochi giorni, né vecchio che non compia il numero dei suoi anni; chi morirà a cent’anni morirà giovane, e il peccatore sarà colpito dalla maledizione a cent’anni…; poiché i giorni del mio popolo saranno come i giorni degli alberi; i miei eletti godranno a lungo l’opera delle loro mani» (Is. 65:18-22). Dunque, anche durante il millennio la morte rapirà degli uomini; e certamente coloro che morranno, durante questo periodo, essendo peccatori, risusciteranno per comparire davanti al tribunale ed essere condannati.

«Il mare restituì i morti che erano in esso; la morte e il soggiorno dei morti (l’Ades) restituirono i loro morti» (vers. 13). Il mare e la terra [70] renderanno i cadaveri che giacciono in essi, anche se hanno già da tempo visto la corruzione. E l’Ades renderà le anime dei morti.[71]

«Poi la morte e il soggiorno dei morti», cioè le innumerevoli anime prigioniere, «furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la morte seconda, cioè, lo stagno di fuoco» (vers. 14), per sempre. Infatti leggiamo:

«E se qualcuno non fu trovato scritto nel libro della vita, fu gettato nello stagno di fuoco» (v. 15). Questa è la morte seconda.

Il giudizio di milioni e milioni di uomini che hanno udito la Parola di Dio, ma che non si sono convertiti e pentiti, e hanno disprezzato la grande ed eterna salvezza in Gesù, sarà particolarmente severo. Quanti avevano il nome di vivere ed erano morti! Erano forse onorabili e religiosi, ma non erano nati di nuovo, non erano riconciliati con Dio. Quanti milioni di essi erano, come Festo ai tempi di Paolo, «quasi persuasi», ma dissero: «Per ora va’; e quando ne avrò l’opportunità, ti manderò a chiamare» (Atti 25:25). Hanno rimandato la propria salvezza fino al momento in cui fu troppo tardi, per sempre. La loro parte è ora lo «stagno di fuoco».

Nessuno pensi che «lo stagno di fuoco», cioè la morte seconda o eterna, sia un annientamento. «Fuoco» significa giudizio, ma non sempre distruzione. Di Satana e dei suoi angeli, che sono gettati nello stagno di fuoco, ci è detto: «E saranno tormentati giorno e notte, nei secoli dei secoli» (20:10). La Parola di Dio designa un uomo che vive nei suoi peccati come «morto», eppure non è distrutto (Ef. 2:1 e 5; 1 Timoteo 5:6). Oh, che gli uomini, invece di soffocare il terrore della perdizione e del fuoco eterno, accettino adesso, durante il giorno della salvezza, la grazia meravigliosa che Dio offre in Gesù Cristo! Quanto sono preziose, ma solenni, le parole di 2 Cor. 6:2: «Eccolo ora il tempo favorevole; eccolo ora il giorno della salvezza!».

22. Capitolo 21

22.1 Lo stato eterno. La nuova Gerusalemme

22.2 Il nuovo cielo e la nuova terra. L’abitazione di Dio con gli uomini (21:1-8)

«Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c’era più» (vers. 1).

Già nell’antico patto Dio aveva promesso al suo popolo Israele: «Poiché, ecco, io creo nuovi cieli e una nuova terra; non ci si ricorderà più delle cose di prima». Queste parole però avranno la loro realizzazione completa solamente nel nuovo patto, poiché per Israele esse significano un cambiamento radicale del loro governo e dei loro rapporti, durante il millennio, sulla «vecchia» terra. Ciò si vede chiaramente nei versetti che seguono: «Poiché, ecco, io creo Gerusalemme per il gaudio, e il suo popolo per la gioia» (Isaia 65:17-18).

Qui nell’Apocalisse, invece, Giovanni vede un mondo completamente nuovo. La vecchia terra sparì in fiamme dalla presenza del Giudice del mondo, e non fu più trovato posto per essa (20:11; 2 Pietro 3:7-10). Alla creazione, per mezzo della Parola di Dio si era formata «una terra tratta dall’acqua e sussistente in mezzo all’acqua» (2 Pietro 3:5) e il mare copriva la maggior parte della superficie della terra. Il nuovo mondo, invece, il nuovo cielo e la nuova terra, si formano per la Parola di Dio dalla luce; escono quasi dalla vampa di fuoco del giudizio che ha consumato il mondo peccatore. Come nuovo ed eterno mondo di luce, esso è ben saldo sul terreno della salvezza. Giovanni fa rilevare questo dettaglio: «Il mare non c’era più».

Il mare ci parla di separazione e di tristezza ed è la figura dell’irrequietezza e dell’instabilità. In contrasto con la terra ferma, il mare ci parla di cose disordinate ed imperfette.

Sulla nuova terra, l’atmosfera è pura, e tutto è impregnato di santa perfezione. Il profeta Geremia dice: «è un’agitazione come quella del mare che non può calmarsi» (Ger. 49:23). Ma sulla nuova terra, il mare non c’è più. Là non v’è più agitazione, ma riposo eterno di Dio per il suo popolo.

Al posto del mare, Giovanni vede qualcosa di più glorioso: «E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii una gran voce dal trono, che diceva: “Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro, essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio”» (vers. 2-3).

In questa gloriosa descrizione, l’Agnello non viene neppure menzionato; è parlato solamente di Dio, poiché ci troviamo nello stato eterno delle cose. L’apostolo Paolo scrive a questo riguardo: «Quando ogni cosa gli sarà stata sottoposta, allora anche il Figlio stesso sarà sottoposto a colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti» (1 Cor. 15:28). Il Regno di mille anni, durante il quale la terra era sottoposta a Cristo come il Figlio dell’Uomo, è ormai finito; ogni signoria e potestà, e anche la morte, l’ultimo nemico, hanno finito di essere; e Cristo ha consegnato il Regno nelle mani del Padre. Ora Dio, non solo il Padre, ma Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, è «tutto in tutti».

Nella nuova Gerusalemme, la cui gloria durante il millennio ci verrà descritta ancora in seguito, ritroviamo Cristo come «l’Agnello». Là troviamo: «Il Signore Dio onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio», in essa sarà «il trono di Dio e dell’Agnello», «la gloria di Dio la illumina, e l’Agnello è la sua lampada» (Apoc. 21:22-23; 22:3). Qui, nella descrizione della nuova Gerusalemme nello stato eterno, è un’altra cosa: Dio è tutto in tutti.

Ma anche nell’eternità la Chiesa, «la santa città, la nuova Gerusalemme» sarà l’abitazione o il tempio di Dio e la Sposa dell’Agnello, come è stata durante il millennio. Benché «l’Agnello» non sia più nominato, sta però scritto che essa è «pronta come una sposa adorna per il suo sposo» ed ancora: «Ecco il tabernacolo (o l’abitazione) di Dio con gli uomini».

Se l’apostolo Giovanni ha visto scendere la nuova Gerusalemme dal cielo sulla terra, ciò non significa però che la Chiesa del Signore rimarrà per tutta l’eternità sulla nuova terra. è la Sposa celeste del suo Salvatore e Signore. Possiede un appello, una posizione e delle benedizioni celesti. Quando il Signore lasciò i suoi per salire in cielo nella casa del Padre, disse: «Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi» (Giov. 14:3).

Come la scala che Giacobbe vide nella visione, così la nuova Gerusalemme forma un legame tra il cielo e la terra già nel millennio e, in misura più gloriosa e perfetta, tra il nuovo cielo e la nuova terra durante l’eternità. Il cielo e la terra saranno un luogo d’abitazione. E ovunque si trovi lo Sposo,  vi sarà pure la sposa, «il tabernacolo di Dio».

Questo «tabernacolo di Dio» è dunque «la santa città, la nuova Gerusalemme», la Chiesa. Essa mantiene il suo carattere e la sua posizione speciale eternamente. Già adesso è la «dimora di Dio per mezzo dello Spirito» (Ef. 2:22). Nel millennio «il trono di Dio e dell’Agnello» sarà in essa (Apoc. 22:3). Nell’eternità, Dio che sarà «tutto in tutti» farà di lei il suo «tabernacolo». Quanto è meravigliosa la posizione della Chiesa e quant’è grande il suo privilegio! Quant’è adorabile il «mistero che è stato fin dalle più remote età nascosto in Dio, il Creatore di tutte le cose, affinché i principati e le potenze nei luoghi celesti conoscano oggi, per mezzo della chiesa, la infinitamente varia sapienza di Dio» (Ef. 3:9-10).

Le nazioni non esisteranno più sulla nuova terra. Non vi saranno più popoli, neppure un popolo di Dio terreno in mezzo agli altri popoli; vi saranno solamente uomini salvati di tutte le epoche e di tutti i popoli della terra attuale. è per questa ragione che la voce dal cielo annuncia: «Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini».

Più avanti leggiamo:

«Egli abiterà con loro, essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà loro il Dio.  Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate. E colui che siede sul trono disse: Ecco, io faccio nuove tutte le cose. Poi mi disse: “Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veritiere”» (21:3-5).

L’immagine del «tabernacolo di Dio» ci ricorda il tabernacolo che Dio fece costruire da Israele nel deserto secondo un modello celeste. Dio dimostrava con ciò che Israele era il suo popolo e Lui il suo Dio. Ma allora la dimora di Dio era in mezzo al popolo e non il popolo stesso. Inoltre il tabernacolo si trovava nel deserto dove era il pianto, il dolore, il peccato e la morte. Ma tutte queste cose non sono più nel nuovo cielo e nella nuova terra. Qui troviamo la gloria eterna di Dio e il riposo eterno per il suo popolo.

«Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi». Non che qui si versino ancora lacrime, ma Egli consola il suo popolo delle sofferenze terrene e gli svela gli ultimi enigmi delle sue vie meravigliose quaggiù.

Giovanni non menziona le cose gloriose che sono là; non avrebbe nemmeno potuto farlo, come l’apostolo Paolo non aveva parole per descrivere ciò che aveva udito (2 Cor. 12:4), ma si limita ad indicarci le cose che non vi sono: «non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore». Tutti i figli di Dio hanno incontrato queste cose quaggiù, nella «valle di lacrime», «la valle dell’ombra della morte». Tutto ciò non sarà più, com’è scritto: «Perché le cose di prima sono passate. E Colui che siede sul trono disse: Ecco, io faccio nuove tutte le cose».

Che miracolo meraviglioso abbiamo in queste poche parole! Quando Dio creò il mondo e l’uomo, vide che tutto quello che aveva fatto «era molto buono». Ma Satana ingannò l’uomo, e quanto tragiche ne sono state le conseguenze! A causa del peccato degli uomini, tutto il creato è stato sottoposto alla vanità, alla morte e al giudizio. Ma il Figlio di Dio è venuto nel mondo, mandato dal Padre, «per cercare e salvare ciò che era perduto». Egli ha acquistato per Dio e per sé un popolo per lodare la sua grazia e la sua gloria eternamente. La nuova creazione, gloriosa ed eterna, è fondata sulla sua morte. Tutte queste cose sono troppo elevate per le nostre menti limitate; ma Dio si abbassa fino a noi per confermarci la veracità di ciò che costituisce la nostra eredità incorruttibile: «Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veritiere».

In seguito udiamo: «E aggiunse: Ogni cosa è compiuta» (v. 6). Questa voce gioiosa, all’inizio dello stato eterno, ci appare come un grido di vittoria. Questo ci fa pensare alle parole che il Signore pronunciò sulla croce: «è compiuto». Il nuovo cielo e la nuova terra esistono dunque nel loro splendore eterno a causa della sua opera perfetta di riscatto; ed anche Dio abiterà per sempre in mezzo al suo popolo.

Dio prosegue: «Io son l’alfa e l’omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell’acqua della vita» (v. 6). Alcuni commentatori riferiscono questo appello di Dio al contesto nel quale è inserito, cioè lo stato eterno. Perciò fanno notare che il tempo durante il quale si poteva venire a Dio è passato; per questo Dio non dice: A chi ha sete darò l’acqua della vita, ma: «A chi ha sete darò gratuitamente della fonte dell’acqua della vita». Questa fonte scaturisce qui nella sua presenza; Egli stesso è la Fonte. Altri invece, considerando il fatto che nello stato eterno non ci sarà più nessuno che avrà sete, considerano queste parole come un appello di Dio ai lettori del libro, perché si rivolgano a Lui per essere salvati.

Quando il popolo di Dio era sulla terra, Egli stesso creava nelle loro anime la sete e il desiderio di perdono e di pace; e rispondeva ai loro bisogni. Per mezzo dello Spirito Santo creò pure in loro il bisogno di crescere nella nuova vita e di mantenere con Lui una comunione completa. Finché essi erano sulla terra, però, non era stato risposto pienamente all’agognare dell’anima verso Dio. Quaggiù il pellegrino esclama: «L’anima mia è assetata di Dio» (Salmo 42). In un altro passo troviamo: «Contemplerò il tuo volto; mi sazierò, al mio risveglio, della tua presenza» (Salmo 17:15). Altrove, il credente in viaggio verso la gloria può dire: «Non ritengo di aver già afferrato il premio… ma protendendomi verso le cose che stanno davanti, corro verso la meta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù» (Fil. 3:13).

Ogni desiderio di giungere alla meta, al premio, alla fonte della vita, ogni brama rivolta verso Dio stesso sarà allora una realtà: l’anima è a casa, è per sempre presso Dio.

Il fedele ha ricevuto tutto questo, questa parte gloriosa, «gratuitamente», come abbiamo visto. Nello stesso tempo, però, c’è stato ricordato che questa parte eterna sarà la parte soltanto di «chi vince»: «Chi vince erediterà queste cose, io gli sarò Dio ed egli mi sarà figlio» (21:7).

Il cammino dei riscattati verso Dio in questo mondo è pieno di pericoli e di tentazioni; il pellegrino prova pure la malefica azione di Satana e del peccato. Egli trova la forza per vincere e continuare la marcia soltanto guardando Gesù, il «capo e perfetto esempio di fede» che ha detto ai suoi: «Nel mondo avrete tribolazione; ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo». Il Signore stesso calcò questo cammino della fede davanti e prima di loro; non si scoraggiò, e vinse; anzi, fu più che vincitore.

“Il Signore… si disseta al torrente lungo il cammino, e perciò terrà alta la testa” (Salmo 110:7). Il torrente della comunione, della forza e dell’amore, dal quale Gesù, il Figlio di Dio, divenuto volontariamente uomo dipendente, bevve e dal quale bevvero e bevono tutti coloro che in ogni età fecero parte del popolo di Dio, ha la sua origine e sorgente nel cuore stesso di Dio. I riscattati sulla terra bevono da questo torrente per mezzo della Parola di Dio e della preghiera. Così facendo «trasformano in luogo di fonti» la valle delle lacrime, «e la pioggia d’autunno la ricopre di benedizioni. Lungo il cammino aumenta la loro forza, e compaiono infine davanti a Dio in Sion» (Salmo 84).

Ormai li vediamo qui giunti davanti a Dio nella gloria eterna. Essi sono il suo popolo, Egli è il loro Dio; hanno ora raggiunto la meta, l’eredità eterna. Vi è però l’altro lato di questa scena che ci presenta la parte gloriosa ed eterna dei riscattati nei nuovi cieli e sulla nuova terra; infatti leggiamo:

«Ma per i codardi, gl’increduli, gli abominevoli, gli omicidi, i fornicatori, gli stregoni, gli idolatri e tutti i bugiardi, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, che è la morte seconda» (21:8).

Che tremendo contrasto! Nell’eternità senza fine vi sono due categorie di persone: quelli che furono riconciliati con Dio, che afferrarono la sua Parola, la sua salvezza, la sua mano di Salvatore e che ora, in un’ineffabile gloria, contemplano e adorano Dio; e quelli che disprezzarono Dio e la sua opera, che calpestarono ripetutamente il suo amore e vollero vivere e morire nei loro peccati, e che si trovano ora nel giudizio eterno.

Così Dio permette all’osservatore di gettare uno sguardo negl’immensi spazi dell’eternità senza fine.

Dal cap. 21:9 al cap.  22:5 è descritta la nuova Gerusalemme durante il millennio.

22.3 La nuova Gerusalemme

L’osservatore Giovanni, dopo averci comunicato la rivelazione riguardo all’eternità futura, ritorna per così dire indietro per darci la descrizione della nuova Gerusalemme nel millennio. Udiamo prima l’invito fatto a Giovanni:

«Poi venne uno dei sette angeli che avevano le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli, e mi parlò, dicendo: “Vieni e ti mostrerò la sposa, la moglie dell’Agnello“» (vers. 9).

Quest’invito deve farci pensare, per contrapposizione, ad un altro invito fatto anche da uno dei sette angeli che avevano le sette coppe. Quest’altro invito, che abbiamo visto nel cap. 17:1, diceva: «Vieni, ti farò vedere il giudizio che spetta alla grande prostituta».

Allora si trattava del giudizio e dell’abolizione della falsa sposa, qui invece si tratta della gloria e dell’apparizione della vera Sposa. Prima che quest’ultima scendesse sulla terra nella sua purezza celeste per regnare con Cristo, era necessario che la sua rivale, la prostituta, fosse giudicata e tolta dalla faccia della terra. è per questo che le nozze dell’Agnello hanno luogo solamente dopo la caduta della prostituta. Dopo le nozze, la Moglie dell’Agnello appare scendendo dal cielo sulla terra a fianco dello Sposo.

Il cambio improvviso d’azione e l’introduzione di uno dei sette angeli, che avevano le sette coppe, ci fa capire che non abbiamo qui la continuazione della visione precedente. Quella ci descrive lo stato eterno nei nuovi cieli e sulla nuova terra; adesso, invece, per mezzo di uno degli angeli che hanno partecipato alla purificazione della terra per l’introduzione del millennio, viene mostrata la gloria della Sposa in ogni particolare, come sarà all’inizio e durante questo Regno di mille anni. La sua apparizione sulla nuova terra l’abbiamo già considerata nel cap. 21:2, benché cronologicamente la nuova terra sia creata dopo il millennio. Come già abbiamo potuto constatare, l’Apocalisse descrive spesso gli avvenimenti per ordine significativo e non cronologico.

L’osservatore ci ha descritto, dopo il giudizio di Satana alla fine del millennio (20:7-10), la fine del mondo, il giudizio dei morti davanti al gran trono bianco e la parte eterna degli empi (20:11-15). In seguito ci ha mostrato lo stato eterno dei riscattati sulla nuova terra e nei nuovi cieli dove Dio sarà «tutto in tutti» (1 Cor. 15:28; Apoc. 21:1-8). Dopo questo ci viene descritta con più particolari la gloria della Sposa quando scenderà con Gesù Cristo dal cielo all’inizio del millennio, quando cioè Cristo «verrà per essere in quel giorno glorificato nei suoi santi e ammirato in tutti quelli che hanno creduto» (2 Tess. 1:10; Apoc. 19:6 e seg.).

Che nel nostro passo si tratti veramente del Regno di mille anni è dimostrato dal fatto che è sovente parlato dell’Agnello e troviamo ancora «le nazioni» che cammineranno alla luce della città celeste e che dovranno ancora essere guarite (Apoc. 21:24; Michea 4:2 e seg.; Apoc. 22:2).

Ma chi è «la sposa, la moglie dell’Agnello»? è forse Israele, come molti credono? Noi crediamo che sia la Chiesa.

Però già nell’Antico Testamento viene adoperata questa figura delle nozze e del matrimonio nei riguardi d’Israele. Israele è chiamato la sposa dell’Eterno (Is. 54:1; Ger. 31:32). Ma ella è stata infedele e ha commesso adulterio cosicché dovrà più tardi essere nuovamente fidanzata (Osea 2). Nel Salmo 45 vediamo che il Messia, il Re, è il suo fidanzato; il Cantico dei Cantici ci parla in figura dell’amore di lei per Lui. Anche la Palestina, la terra promessa, sarà chiamata «Maritata» (Is. 62:4).

I rapporti tra il Signore Gesù e la sua Chiesa sono però molto più intimi di quanto non lo siano con il popolo Israele. La Chiesa è celeste sia nella sua vocazione che nella sua posizione, mentre Israele è il popolo terreno di Dio.

Dell’unione di Cristo con la Chiesa troviamo una figura in Adamo ed Eva (Eva, tratta dal fianco di Adamo mentre dormiva profondamente, formava con lui una «sola carne»); ciò non si potrebbe dire di Cristo con Israele benché durante il millennio i loro rapporti siano particolarmente benedetti. Lo Spirito Santo c’insegna che la Chiesa forma con Cristo, il Capo, una sola ed unica cosa, ed è la sua sposa: «Questo mistero è grande; dico questo, riguardo a Cristo ed alla Chiesa» (Efesini 5:22-32).

Una prova di più che la Sposa, nel nostro passo, è la Chiesa e non Israele ci è data dal fatto che il Signore la presenta in contrasto con la «prostituta» (parag. cap. 17:1 con cap. 21:9). La «prostituta» o «Babilonia» è senza alcun dubbio la chiesa apostata, poiché sta scritto: «Le sette teste sono sette monti sui quali la donna siede» (17:9). La città dai sette colli, che ha sparso molto sangue di veri credenti, è Roma; in essa «Babilonia», la falsa chiesa, ha la sua sede.

Mentre la «prostituta» si pavoneggia, vestita di porpora e di scarlatto, «la sposa, la moglie dell’Agnello» ha un abito solo di «lino fino», figura della sua purezza e della sua giustizia (19:8).

Anche l’apostolo Paolo scrive della Chiesa: «Vi ho fidanzati a un unico sposo, per presentarvi come una casta vergine a Cristo» (2 Cor. 11:2).

Da quanto precede ci pare di poter dedurre che «la sposa, la moglie dell’Agnello» non è Israele ma la Chiesa.

«Egli (l’angelo) mi trasportò in spirito su una grande e alta montagna, e mi mostrò la santa città, Gerusalemme, che scendeva dal cielo da presso Dio, con la gloria di Dio» (vers. 10).

Per assistere al giudizio della «prostituta», l’apostolo fu trasportato nello Spirito «in un deserto». Sappiamo che da una montagna Mosè vide la terra promessa e Balaam vide il popolo d’Israele nella sua bellezza davanti a Dio. La trasfigurazione avvenne pure su una montagna, quando Mosè ed Elia vennero a Lui e i suoi discepoli poterono contemplare anticipatamente la sua venuta ed il suo Regno (Luca 9:27-36).

La visione che Giovanni ha avuto nell’isola di Patmos corrisponde a quella di Ezechiele: «In una visione divina (l’Eterno) mi trasportò là e mi posò sopra un monte altissimo sul quale stava, dal lato di mezzogiorno, come la costruzione d’una città» (Ezechiele 40:2). C’è però una grande differenza tra le due visioni: Ezechiele si trova nel «paese d’Israele» e la città è sulla terra; Giovanni invece non vede la città in rapporto con Israele; essa non è sulla terra, ma «scendeva dal cielo da presso Dio». Dio dà anche a questa città celeste il nome di Gerusalemme che significa «abitazione della pace», e questa soltanto è il vero abitacolo della pace. Essa sarà molto più gloriosa di quanto è stata e sarà la Gerusalemme terrena, poiché possiede, come abbiamo letto, «la gloria di Dio». La Gerusalemme celeste viene misurata con una «canna d’oro», mentre quella terrena, in Ezechiele, con una «corda di lino». Inoltre, la città in Ezechiele è un quadrato; le sue quattro mura hanno la stessa lunghezza e in ognuna sono tre porte (Ez. 48:30-35). Già la Gerusalemme terrena possiede in questo senso una certa perfezione, ma la celeste ha una perfezione molto più grande: essa è un perfetto cubo! «La sua lunghezza, la sua larghezza e la sua altezza erano uguali» (21:16). La celeste ha pure alle porte dodici angeli; ciò ci dimostra che appartiene ad un mondo più elevato (vers. 12).

La «lampada» della Gerusalemme celeste è meravigliosa: «il suo splendore era simile a quello di una pietra preziosissima, come una pietra di diaspro cristallino» (vers. 11).[72]

Il Signore stesso sul suo trono nella gloria è già stato paragonato a una «pietra di diaspro» (4:3). Dunque, la Chiesa del Signore brilla della bellezza del Signore stesso; allora anche il mondo conoscerà che il Padre ha amato la Sposa del suo Figlio come il Figlio stesso (Giov. 17:23). Essa scende dal cielo con «la gloria di Dio». Dio Padre l’ha preparata perché possa «partecipare alla sorte dei santi nella luce» e nello stesso tempo il Figlio presenterà «davanti a sé questa Chiesa, gloriosa, senza macchia, senza ruga o altri simili difetti» (Col.1:12 e seg.; Ef. 5:25-27).

Prima di inoltrarci nella descrizione della città potremmo rispondere a una domanda: Perché qui, all’inizio del millennio, la Sposa dell’Agnello ci viene presentata come una città? Non vi è differenza tra la figura di una Sposa e quella di una città?

Se consideriamo le relazioni tra la Chiesa e il Signore stesso, essa è la sua «Sposa». Già sulla terra fu fidanzata «come una casta vergine a Cristo». Egli l’ha amata, curata e presa poi con sé, dove anche ci furono le nozze. Adesso la prende nuovamente con sé quaggiù (1 Tess.4:14; 2 Tess. 1:10; Col. 3:4). Essa scende al suo fianco e nella sua gloria poiché Egli viene per entrare nel suo Regno. Quando si tratta dunque dei rapporti della Chiesa col mondo e del suo governo con Cristo quaggiù, allora essa viene rivelata all’osservatore come una «città», perfetta e santa.

Considerando queste due figure della Sposa e della città, ci sembra che non si tratti unicamente di due aspetti diversi di una stessa cosa, ma che esista tra di esse una più grande differenza. La «città» che scende dal cielo all’inizio del millennio non comprende solamente la Sposa celeste di Cristo, ma anche i credenti antichi del popolo d’Israele, anzi tutti i credenti dai giorni di Adamo in poi. Sembra che tutti siano compresi nella «città» «poiché tutti hanno parte alla gloria del Regno e tutti regneranno con Lui mille anni». In Apoc. 21:27 ci è detto, di coloro che entrano e abitano nella città, che i loro nomi sono scritti «nel libro della vita dell’Agnello». Qui sono certamente compresi i credenti di ogni tempo che hanno fatto parte della prima risurrezione. Inoltre sta scritto che «fuori», vale a dire al di là delle mura della città, vi sono «i cani, gli stregoni, i fornicatori, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna» (22:15). Dove dovrebbero dunque essere i riscattati dell’antico patto se non fossero nella «nuova Gerusalemme»? Abramo, Isacco e Giacobbe sono di coloro che «staranno a tavola nel Regno di Dio» (Luca 13:28-29)!

In Ebrei 11:10 leggiamo che Abramo «aspettava la città che ha le vera fondamenta e il cui architetto e costruttore è Dio»; è evidente che si tratta della «nuova Gerusalemme, la santa città» che scende dal cielo. Leggiamo, quanto ai credenti d’Israele, che Dio «ha preparato loro una città» (Ebrei 11:16). è per questo che sulle porte della città vi sono i nomi «delle dodici tribù dei figli d’Israele» (21:12).

Consideriamo ora le bellezze nelle quali ci viene presentata la Città Sposa. Veramente, ci è mostrata di più la bellezza della «città» che non della «Sposa». Abbiamo già visto che essa scende «da presso a Dio»; la sua origine è dunque divina; che scende «dal cielo», la sua natura è dunque celeste; che porta in sé la «gloria di Dio» (vers. 10-11); come leggiamo più avanti, «la illumina la gloria di Dio» (vers. 23). è già stato detto che brilla dello splendore del diamante poiché «il suo splendore era simile a quello di una pietra preziosissima, come una pietra di diaspro cristallino». Il suo splendore e la sua gloria sono lo splendore e la gloria eterna del Signore Gesù stesso (confronta vers. 11 con 4:3).

L’osservatore ci dichiara in seguito che questa città celeste è completamente chiusa da un muro, «muro grande e alto» (vers. 12). Ciò dimostra che essa è completamente separata da quanto sta «fuori», che non è secondo la volontà di Dio; all’interno del muro vi è una sicurezza totale. Nulla di malvagio e d’immondo può entrarvi e nessun nemico può avvicinarsi ai beati abitanti.

«Aveva dodici porte… Tre porte erano a oriente, tre a settentrione, tre a mezzogiorno, e tre a occidente» (vers. 12-13). Nelle quattro direzioni del cielo scaturiscono dalla città raggi di luce, di vita, di giustizia e di pace. Il suo nome è «Gerusalemme», abitazione della pace, e nello stesso tempo Dio ha in essa la sua abitazione e il suo trono. Nell’antichità, la porta era il luogo dove si giudicava il popolo; così pure dalla Gerusalemme celeste si stendono sulla terra intera, in tutte le direzioni, pace, ordine divino e giustizia. «Alle porte dodici angeli» (vers. 12). Essi significano protezione del suo carattere celeste e santo, e difesa per gli abitanti. «E sulle porte erano scritti dei nomi, che sono quelli delle dodici tribù dei figli di Israele» (vers. 12). Anche i credenti d’Israele abiteranno, come già detto, nella città. La Sposa celeste non ci viene presentata qui come la presenta Paolo nelle sue epistole, nei suoi intimi rapporti con Cristo, ma piuttosto come fondata a Gerusalemme sotto la direzione dei dodici Apostoli.

«Le mura della città avevano dodici fondamenti, e su quelli stavano i dodici nomi di dodici apostoli dell’Agnello» (v. 14). Questi fondamenti sono certamente quelli che doveva avere la città che Abramo aspettava, «il cui architetto e costruttore è Dio» (Ebrei 11:10). E Dio ha scritto su questi «i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello». I nomi degli apostoli, che soffrirono nella Gerusalemme terrena, sono ora scritti sui fondamenti della Gerusalemme celeste (Luca 22:29-30). Gli apostoli sono «il fondamento», ma è «Gesù Cristo stesso la pietra angolare» (Ef. 2:20). Egli è Colui che compì l’opera della salvezza; perciò gli apostoli sono chiamati «apostoli dell’Agnello».

«E colui che mi parlava aveva come misura una canna d’oro, per misurare la città, le sue porte e le sue mura. E la città era quadrata, e la sua lunghezza era uguale alla larghezza» (vers. 15 e 16). E ancora: «La lunghezza, la larghezza e l’altezza erano uguali». Abbiamo già accennato che la città ha la forma di un cubo perfetto, dunque è perfetta secondo la misura divina e sotto qualsiasi punto di vista.

Anche il luogo santissimo del tempio aveva la forma di un cubo: «Il santuario aveva venti cubiti di lunghezza, venti cubiti di larghezza, e venti cubiti d’altezza» (1 Re 6:20). Il santuario significava, per il popolo d’Israele, ciò che la nuova Gerusalemme significherà per le nazioni di tutta la terra durante il Regno di Cristo.

La dimensione della «città» è eccezionale. «Egli misurò la città con la canna, ed era dodicimila stadi» (vers. 16). Uno stadio è stimato circa 185 metri (o da 2 a 3 minuti di cammino). Possiamo considerare i dodicimila stadi come il perimetro della città o come la lunghezza di ogni lato, il che è senz’altro più esatto; comunque sia, la città è circa dodici volte più vasta di tutto il paese di Canaan.

Il numero «dodici», che ritroviamo nella misura del muro (144 cubiti = 12×12) al vers. 17, è il numero della perfezione dell’amministrazione e del governo di Dio sulla terra. Così Israele era formata da dodici tribù, il Signore si è scelto dodici apostoli, e dalla gran tribolazione saranno salvati, per il Regno, da Giuda e da Israele, 144 mila anime (12×12.000), vale a dire un numero completo e perfetto di credenti.

La «città» ha dodici porte e dodici fondamenti, e misura 12.000 stadi. Il Signore Gesù, per mezzo di queste cifre, vuol farci capire non soltanto la superiorità assoluta della «città» rispetto alle città terrene, ma anche la perfezione che Dio ha dato a questa città. Essa è la sede della sua forza e del suo governo. Qui è il suo trono; essa è la capitale celeste del suo governo milleniale; è in contatto con la terra, come ci indicano le porte aperte giorno e notte, e non è sulla terra, ma al di sopra della terra. Nello stesso tempo, esiste quaggiù la Gerusalemme terrena, più bella e più potente che nei giorni di Salomone, per portare in sé e per salvaguardare il carattere terreno della potestà regale.

La misura del muro è 144 (12×12) cubiti (un cubito misurava 48 cm. circa). Che questa misura si riferisca allo spessore è molto probabile; essa vuol semplicemente mostrarci quale riparo sicuro possiedono gli abitanti della città celeste. Anche della città terrena nel millennio è detto: «Noi abbiamo una città forte; l’Eterno vi pone la salvezza per mura e per bastioni» (Isaia 26:1).

Quando è parlato della misura con la quale sono state misurate le mura, ci è detto: «A misura d’uomo, cioè d’angelo». Forse ciò vuol mostrarci che l’uomo, come immagine di Dio, è la misura che Dio adopera pure nel suo Regno. Nell’aggiunta «cioè d’angelo» vediamo forse, pensando alle parole del Signore in Luca 20:36, che il corpo, nella risurrezione, è simile a quello degli angeli.

Vediamo ancora ciò ch’è scritto delle bellezze della città: «Le mura erano costruite con diaspro e la città era d’oro puro, simile a terso cristallo. I fondamenti delle mura della città erano adorni d’ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento era di diaspro» (vers. 18-19).

Come già abbiamo detto, il diaspro, che molto probabilmente è il diamante, ci parla della gloria di Cristo e di Dio. L’oro è invece una figura della giustizia di Dio. Dunque, nella nuova Gerusalemme la giustizia di Dio è circondata dalla sua propria gloria, poiché il muro attorno alla città «d’oro puro» è «di diaspro». Che figura gloriosa abbiamo qui dell’abitazione celeste di Dio durante il suo Regno! Non solo è di diaspro il luminare che illumina la città (cioè la gloria personale di Dio, vers. 11) e il muro tutt’attorno (vers. 18), ma anche il primo fondamento (vers. 19). Per la terza volta ci è dichiarato in figura che la gloria di Dio riempie la nuova Gerusalemme, la circonda e la sostiene. Il fondamento di tutta la città è la gloria di Dio; essa è fondata su Gesù Cristo, «il Signore di gloria», «il Figlio del Dio vivente».

Giovanni continua dicendo: «Il secondo (fondamento) di zaffiro; il terzo di calcedonio; il quarto di smeraldo; il quinto di sardonico; il sesto di sardio; il settimo di crisolito; l’ottavo di berillo; il nono di topazio; il decimo di crisopazio; l’undicesimo di giacinto; il dodicesimo di ametista. Le dodici porte erano dodici perle e ciascuna era fatta da una perla sola. La piazza della città era d’oro puro, simile a cristallo trasparente» (vers. 19-21).

Ci è impossibile esaminare qui dettagliatamente questi fondamenti, il cui numero è perfetto; inoltre non conosciamo bene quali pensieri e quali glorie lo Spirito del Signore ha attribuito ad ogni pietra (molte di queste pietre portano oggi un altro nome). è certo però che tutti gli attributi di Dio e le diverse glorie della sua redenzione e della nuova creazione sono rappresentati nello splendore delle pietre preziose con i loro svariati e armoniosi colori.[73] Per quanto riguarda il secondo fondamento della città celeste, l’azzurro zaffiro, è scritto che già gli antichi di Israele che contemplavano allora la gloria di Dio vedevano che «sotto i suoi piedi vi era come un pavimento lavorato in trasparente zaffiro, e simile, per limpidezza, al cielo stesso» (Esodo 24:10).

è stupendo pensare che ognuna delle porte «era fatta da una perla sola»! Il loro splendore e il loro valore ci fanno pensare al valore della «città» e della «sposa» che vi abita. Sappiamo che il nostro Signore, il quale nel suo amore ha dato se stesso per possederci, ha chiamato la sua Chiesa una «perla di gran prezzo» (Matt. 13:46), per la quale ha lasciato la propria vita (Gal. 2:20; Ef. 5:22).[74]

Le vie della città sono, come la città stessa, «d’oro puro, simile a terso cristallo» (vers. 18 e 21). Qui sulla terra il credente è continuamente in pericolo di peccare benché sia stato giustificato, benché possegga la giustizia di Dio poiché Dio lo vede «in Cristo» (Rom. 5:1; 8:1; 2 Cor. 5:17-21). La vecchia natura peccatrice è ancora in lui e il mondo che attraversa è immondo e corrotto; perciò egli deve camminare con timore, giudicare se stesso e lasciarsi giornalmente “lavare i piedi”. Spesso accade che la preziosa comunione del credente con Dio Padre e col suo Figlio venga interrotta; il credente non conosce dolore più grande. Le strade d’oro puro, simile a vetro puro, indicano che il credente, assieme a tutti i riscattati, in una comunione continua e indisturbata, godrà della presenza di Dio, camminerà davanti a Lui e all’Agnello, e lo seguirà ovunque. Per adesso non possiamo comprendere come e in quale misura questa perfetta comunione con Dio, che è luce e amore, riempirà il nostro cuore di gioia.

Nel cortile del tempio, sulla terra, vi era una vasca di rame piena d’acqua pura dove i sacerdoti che servivano nel luogo santo si lavavano giornalmente le mani e i piedi. Nel cielo, invece, questa operazione non è più necessaria. La comunione del credente con Dio non è più disturbata. Il peccato è allontanato per sempre e una contaminazione è impossibile. è per questo che lassù vi è soltanto un «mare di vetro, simile al cristallo», ricordo continuo del pellegrinaggio di quaggiù e immagine dell’eterna purezza dei riscattati (4:6).

Le vie della città, simili a terso cristallo, corrispondono quindi al «mare di vetro». I credenti vi entrano nella giustizia divina e in perfetta santità. L’oro delle vie dimostra la loro giustizia divina; il cristallo terso rispecchia la loro santità senza macchia alcuna. I riscattati ricevettero sulla terra, nel giorno della salvezza, la nuova vita; essi poterono «rivestire l’uomo nuovo che è creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità» (Efesini 4:24). Nel cielo nella nuova Gerusalemme, la giustizia e la santità sono l’essenza di tutta la città, d’eternità in eternità.

Giovanni prosegue:

«Nella città non vidi alcun tempio, perché il Signore, Dio onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno di sole, né di luna che la illumini, perché la gloria di Dio la illumina, e l’Agnello è la sua lampada» (vers. 22).

Vi sembrerà strano di non trovare tempio nella nuova Gerusalemme, poiché nel cielo vi era un tempio, come abbiamo già visto a più riprese.[75] La difficoltà però svanisce se pensiamo che la «città-sposa» è un tempio, poiché è l’abitazione di Dio in spirito. I riscattati sono il santuario di Dio, il luogo santissimo; Dio stesso vi abita. La Sposa dell’Agnello era ed è il «tempio» di Dio; perciò non vi è tempio; Dio stesso che abita in lei senza cortina, senza velo, è il suo tempio.

«Il Signore, Dio onnipotente», che è il tempio della città, ha in essa anche il suo «trono». Per questo la città non ha bisogno né del sole né della luna che la rischiarino: Dio stesso, la luce eterna, è qui «il Sole», il Sovrano, e l’Agnello la «lampada».

«Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra vi porteranno la loro gloria. Di giorno le sue porte non saranno mai chiuse (la notte non vi sarà più); e in lei si porterà la gloria e l’onore delle nazioni. E nulla di impuro né chi commetta abominazioni o falsità, vi entrerà; ma soltanto quelli che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello» (vers. 24-27).

Tutta la luce creata e le autorità stabilite, che erano necessarie sulla terra, sono diventate ora assolutamente superflue poiché qui brilla la luce perfetta nella gloria di Dio, nella Persona di Cristo, «l’Agnello». Non solo, ma come abbiamo letto, la città-sposa spande la luce, che riceve da Dio e dall’Agnello, sopra la terra; cosicché le nazioni cammineranno alla sua luce. Esse ricevono da lei la luce necessaria per il loro cammino e il loro agire. La luce perfetta della gloria della città santa fa conoscere alle nazioni sulla terra quanto Dio è giusto, santo e perfetto, Lui che è luce e amore. La nuova Gerusalemme e i suoi abitanti celesti si rallegrano lassù nella luce che è in mezzo a loro. Le nazioni sulla terra, cioè quelle che non sono state decimate dai giudizi terribili caduti su di loro, si rallegrano della luce che splende su loro dal cielo.

Oggi che la Chiesa di Dio, la Sposa dell’Agnello, si trova ancora sulla terra, è chiamata ad essere la luce del mondo, e ogni riscattato deve brillare come un luminare nel mondo (Fil. 2:15), come una luce nel Signore (Ef. 5:8). Sovente però questa luce è debolissima e spesso quasi spenta a causa delle divisioni nel popolo di Dio e dell’infedeltà di ogni credente.

La testimonianza di Dio che dovrebbe oggi essere visibile per tutti, come «una città posta sopra un monte» (Matteo 5:14), ma che così spesso rimane nascosta, brillerà allora durante il millennio e sarà visibile a tutta la terra nella sua bellezza perfetta. I re della terra la onoreranno volentieri e le porteranno «la gloria e l’onore delle nazioni». Essi riconosceranno in lei che il Cielo è la sorgente di ogni luce, di ogni sapienza, di ogni vita e benedizione, la fonte di ogni gloria. Ed è per questo che durante quel periodo di tempo la terra godrà la giustizia, la pace ed il benessere.

Nello stesso tempo, la Gerusalemme terrena sarà la sede dell’autorità regale, e le nazioni che non vorranno servirla saranno giudicate da Dio e distrutte (Zac. 14:16-19). A questo proposito, è scritto, nel profeta Michea (4:1-3): «Verranno molte nazioni e diranno: “Venite, saliamo al monte dell’Eterno, alla casa del Dio di Giacobbe; egli c’insegnerà le sue vie e noi cammineremo nei suoi sentieri!” Poiché da Sion uscirà la legge, da Gerusalemme la parola dell’Eterno. Egli sarà giudice fra molti popoli, arbitro fra nazioni potenti e lontane». La benedizione divina scaturirà dalla nuova Gerusalemme verso tutta la terra attraverso la Gerusalemme terrena. Al di sopra della Gerusalemme terrena e del popolo d’Israele vi è per Dio, in ogni tempo (durante il millennio come nell’eternità), la nuova Gerusalemme, la Sposa di Cristo. Questa è la fonte permanente di ogni benedizione.

Qui la notte non esiste più, e le porte della città non vengono mai chiuse. Nella presenza di Dio non vi è ombra alcuna né variazione di luce. La città non ha neppure bisogno di protezione contro il male; Dio stesso è presente, il suo scudo e protezione; nulla di male può avvicinarla, e «nulla di impuro» può entrare nella città, «nessuno che commetta abominazioni o falsità». Non vi è nessun male in essa e nessun male può penetrare dal di fuori. Quaggiù nella storia della terra, non appena si è manifestata un’opera di Dio o è apparso il bene, il male è subito penetrato e Satana ha introdotto la rovina. Nella «santa città», lassù, il cuore può riposare eternamente in pace; non vi è nessun pericolo. Tutti gli abitanti della città santa vi sono giunti grazie alla perfetta grazia di Dio. Vi sono soltanto coloro che sono stati afferrati dalla mano di Dio e condotti all’Agnello, coloro che sono iscritti «nel libro della vita dell’Agnello». Perciò la pace e la gioia saranno la loro parte in eterno, davanti a Dio e all’Agnello.

23. Capitolo 22

23.1 Il fiume e l’albero della vita. Ultimo messaggio

23.2 Il fiume e l’albero della vita (22:1-5)

Come durante il millennio la luce della Sposa dell’Agnello risplende sulla terra dalla «santa città», così la nuova Gerusalemme è pure la fonte della vita e della benedizione; da essa scaturisce un fiume di benedizioni.

«Poi mi mostrò il fiume dell’acqua della vita, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città e sulle due rive del fiume stava l’albero della vita. Esso dà dodici raccolti all’anno, porta il suo frutto ogni mese e le foglie dell’albero sono per la guarigione delle nazioni» (22:1-2).

Anche nella Gerusalemme terrena, durante il millennio, scaturirà «sotto la soglia della casa» (vedere Ezech. 47:1-12), cioè del tempio terreno, una sorgente per cui le acque del mare (mar Morto) «saranno risanate» (v. 9). «Presso il torrente, sulle sue rive, da un lato e dall’altro, crescerà ogni specie d’alberi fruttiferi, le cui foglie non appassiranno e il cui frutto non verrà mai meno» (v. 12).

Però, nella visione che Giovanni ha avuto a Patmos, e che è descritta qui nell’Apocalisse, si tratta di cose celesti. Nella Gerusalemme sulla terra si trova solamente l’immagine delle cose celesti. Le benedizioni che escono da questa città ristorano anzitutto gli abitanti celesti. Il loro cibo è l’albero della vita con i suoi frutti sempre maturi. Il fiume celeste non porta solamente il risanamento delle acque del mar Morto, come il fiume sulla terra, ma anche benedizione per tutta la terra. L’albero della vita, per mezzo delle sue foglie, reca la «guarigione delle nazioni», della terra intera. Già Malachia, l’ultimo dei profeti dell’Antico Testamento, aveva profetizzato di questa guarigione: «Ma per voi che avete timore del mio nome spunterà il sole della giustizia, la guarigione sarà nelle sue ali» (Mal. 4:2). Questa «guarigione» è ora realizzata: la gloria del Signore splende sulla terra e dalla nuova Gerusalemme, dove vi è il trono di Dio e dell’Agnello; la guarigione viene sparsa non solo sugli Israeliti pii, ma su tutte le nazioni della terra che hanno superato i terribili giudizi divini.

Come le acque del diluvio scomparvero solo a poco a poco, così pure i giudizi che Dio farà cadere sulla terra, prima di stabilire il Regno di Cristo, non scompariranno d’un tratto all’apparizione di Cristo; sotto lo scettro di pace di Cristo tutte le piaghe scompariranno progressivamente e tutti i cuori giubileranno.

«Non ci sarà più nulla di maledetto. Nella città vi sarà il trono di Dio e dell’Agnello; i suoi servi lo serviranno, vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome scritto sulla fronte. Non ci sarà più notte; non avranno bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli» (vers. 3-5).

Qui non vi sarà più maledizione. Nell’antichità, Dio aveva dovuto dire, a causa della disubbidienza e del peccato di Adamo: «Il suolo sarà maledetto per causa tua». Cristo però, venne e morì per noi e volse, portandola sulla croce, la maledizione in benedizione. Egli fu fatto maledizione in vece nostra. Perciò, nell’abitazione di pace, sia nella Gerusalemme nel cielo come sulla terra, non vi è più maledizione.[76] Come vi potrebbe essere della maledizione in un luogo dove abitano Dio e l’Agnello?

La nuova Gerusalemme è sinonimo d’ogni gloria e sorgente d’ogni benedizione per la terra. Un fiume di vita e di benedizione che nasce dal trono di Dio e dell’Agnello attraversa la santa città, limpido come il cristallo. «L’albero della vita»[77] cresce su ambo le rive del fiume e porta il suo frutto ininterrottamente. Luce e vita sgorgano liberamente verso la terra dalle porte di perle sempre aperte.

Ancora una volta Giovanni ci fa notare che «in essa sarà il trono di Dio e dell’Agnello», come abbiamo già visto nel primo versetto del nostro capitolo. Poi continua dicendo: «I suoi servi lo serviranno». Già sulla terra l’hanno servito secondo la misura dei doni e della grazia ricevuti. Benché questo servizio fosse prezioso per loro, non era perfetto. Adesso, invece, le cose sono cambiate: essi hanno il privilegio di stare per sempre nella presenza di Dio e dell’Agnello e di servirlo nella perfezione. Lo faranno senza stancarsi; il servizio nella presenza e nella gloria di Dio è vita e gioia. Sulla loro fronte, visibile a tutti, portano il nome di Dio al quale appartengono e che servono.

Non ci sarà più notte e non ci sarà più bisogno, come abbiamo già visto una volta, né del sole né di una lampada, «perché il Signore Dio li illuminerà». Mai più la luce abbandonerà la città santa e i suoi abitanti. La vita qui è un giorno luminoso senza fine nella beata presenza di Dio e dell’Agnello. «E regneranno nei secoli dei secoli» (vers. 5); dunque, non soltanto durante il millennio ma, per quanto riguarda la terra, per sempre.

Termina così la descrizione della gloria della nuova Gerusalemme. Essa sarà vista, durante tutto il millennio, al di sopra della terra, come fu visto l’arcobaleno, l’arco della pace, dopo il diluvio. Sembra che già il profeta Isaia faccia allusione a questa gloria al di sopra della terra durante il millennio, quando parla del «padiglione» che sarà sopra tutta la gloria del Regno terrestre, e della «tenda» che riparerà gli uomini dal caldo e servirà loro di rifugio (Is. 4:2-6).

Ci sia dato di conoscere maggiormente fin d’ora i pensieri di Dio e i sentimenti profondi di Cristo a suo riguardo, mentre la Chiesa sua è ancora sulla terra, separata dal mondo! Ci sia pure concesso di meditare queste sue glorie con preghiera affinché il nostro cuore trabocchi di adorazione. Il Signore ci dia di considerare di più, già al presente, la Chiesa di Cristo, come il tempio di Dio e Sposa di Cristo, e onorarla come tale!

23.3 Ammonimenti e insegnamenti (22:6-21)

«Poi mi disse: “Queste parole sono fedeli e veritiere; e il Signore, il Dio degli spiriti dei profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi ciò che deve accadere tra poco. Ecco, sto per venire. Beato chi custodisce le parole della profezia di questo libro”» (vers. 6-7).

Con la descrizione della santa città che scende dal cielo d’appresso a Dio, termina la rivelazione vera e propria, cioè il contenuto profetico del libro. Seguono ammonimenti e ammaestramenti che ci mostrano la solennità dell’Apocalisse e l’importanza e la necessità di serbare «le parole della profezia di questo libro».

L’ultima gloria della santa città che ci è presentata è che non ci sarà più notte e che i servitori di Dio regneranno per sempre (vers. 5).

Un giorno senza fine e un impero eterno; questa è l’ultima prospettiva che il Signore ci dà nell’Apocalisse.

Dio ha dato la rivelazione del suo Figlio Gesù Cristo «per mostrare ai suoi servi ciò che deve accadere tra poco» (cap. 1:1) e adesso, alla fine del libro, leggiamo nuovamente che «il Signore, il Dio degli spiriti dei profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servitori le cose che devono accadere tra poco». Dobbiamo convenire che il libro dell’Apocalisse è un libro meraviglioso! Esso ha uno scopo ben determinato e molto pratico; non è scritto per dei sognatori o per nutrire la fantasia, ma per incoraggiare i testimoni di Cristo nella battaglia tra la luce e le tenebre. Sovente sembra che le tenebre abbiano il sopravvento e Satana il potere. Ma non è così! L’Apocalisse, la rivelazione di Gesù Cristo, c’insegna qualcosa di migliore: dopo la breve ma tenace lotta segue un giorno eterno, l’eterna signoria di Cristo e dei suoi servi. Che esito glorioso!

In questo libro, l’ultimo della Bibbia, troviamo la gloria e la grandezza della vittoria di Gesù Cristo; come in nessun altro libro, ci è dichiarato che le sue «parole sono fedeli e veritiere». Troviamo tre volte questa espressione. La prima volta dopo aver considerato la gloria delle nozze dell’Agnello (19:9). La seconda dopo che ci è stata mostrata la gloria del nuovo cielo e della nuova terra (21:5). E poi qui, alla fine, considerando la prospettiva della gloria e della signoria eterna di Cristo (22:6). Ciò mette in evidenza quant’è grande la bontà del Signore verso i suoi servitori. Essi non devono temere né dubitare nelle loro difficoltà e nelle loro lotte; la vittoria e la gloria dell’Agnello stanno per manifestarsi.

Combattiamo anche noi per il Signore di gloria, con i “fianchi cinti” (Ef. 6:14) e con mano fedele, finché ci chiamerà presso di Sé!

Il nome che il Signore prende qui, «Il Dio degli spiriti dei profeti», ci ricorda che Egli comunica continuamente ai suoi i pensieri di Dio per mezzo del suo Spirito. Così era nell’antichità e così è ora che mostra a Giovanni «ciò che deve accadere tra poco». Questo ci riporta all’inizio del libro (1:1), ma il Signore aggiunge: «Ecco, sto per venire» (vers. 7). Così udiamo due volte consecutive (vers. 6 e 7) che tutti gli avvenimenti di questo libro si svolgeranno ben presto. Sono già passati quasi 1900 anni dopo che Dio ci ha dato questa rivelazione; e ancora qualche decina d’anni in più da quando il Signore ha detto ai suoi: «Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi». Lo Spirito e la Chiesa attendono ancora questo avvenimento. Noi sappiamo che «il Signore non ritarda l’adempimento della sua promessa, come pretendono alcuni; ma è paziente verso di voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento» (2 Pietro 3:9). Sappiamo pure che la vocazione e la speranza della Chiesa sono celesti e che essa, come il suo Sposo, non fa parte di questo mondo. La formazione e il rapimento della Chiesa sono una parentesi nel corso degli avvenimenti che debbono aver luogo sulla terra. Quando il Signore ci avrà rapiti in cielo, gli avvenimenti riguardanti Israele e il mondo, già annunciati profeticamente, riprenderanno il loro corso.

Quant’è necessario che coloro che sono partecipi «della tribolazione, del regno e della costanza in Gesù» siano incoraggiati dal Signore a serbare la Parola della sua costanza (3:9), come ha fatto Filadelfia, affinché al suo ritorno, siano trovati con i fianchi cinti e le lampade accese, in vigilante attesa (Luca 12:35-45)! «Ancora un brevissimo tempo, e colui che deve venire verrà e non tarderà» (Ebrei 10:37).

Per i credenti d’Israele e delle nazioni che verranno alla fede dopo il rapimento della Chiesa sarà ancora più difficile serbare «la costanza e la fede dei santi» (vedi cap. 13:10 e 14:12). Ma lo Spirito dice a noi e a loro: «Beato chi custodisce le parole della profezia di questo libro» (22:7). All’inizio del libro lo Spirito dice: «Beato chi legge e beati quelli che ascoltano le parole di questa profezia e fanno tesoro delle cose che vi sono scritte» (1:3). Alla fine, il discorso è rivolto ad una sola persona e l’accento è posto sul verbo custodire.

La cristianità ha custodito, attraverso i secoli, le parole della profezia? Dobbiamo dire di no. La rivelazione di Gesù Cristo è diventata per lei, nella sua mondanità, a poco a poco un libro oscuro, anche se i fedeli di ogni età hanno avuto una certa misura di quella felicità promessa a coloro che serbano le parole della profezia; attraverso la nebbia che offuscava questo libro, avranno certamente visto brillare il sole, Gesù Cristo, a cui Dio darà il Regno e la vittoria, e metterà tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. E ciò sarà stato per loro un aiuto e una benedizione.

Oggi che il Signore è vicino e che ha dato più luce per comprendere questo libro, la gioia del credente è più grande, a condizione però che la conoscenza sia accompagnata da un cuore veramente fedele.

Dopo aver visto la gloria della nuova Gerusalemme, l’apostolo Giovanni vuole nuovamente piegare le sue ginocchia davanti all’angelo, come fece dopo aver contemplato la gloria delle nozze dell’Agnello (22:8-9 – confr. con 19:10). Ma anche qui l’angelo lo riprende, e si dichiara suo «conservo» unendosi così ai suoi fratelli, i profeti, e a coloro che serbano le parole di questo libro; e aggiunge: «Adora Dio!» Nulla deve introdursi tra Dio ed i suoi riscattati, ed Egli solo deve ricevere la venerazione.

In seguito, l’angelo dice all’osservatore:

«Non sigillare le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino» (vers. 10).

Queste parole non devono essere nascoste come quelle del profeta Daniele (Dan. 12:4). Il motivo non è solamente il fatto che Giovanni ricevette questa rivelazione circa sei secoli dopo Daniele, ma soprattutto la differenza tra la posizione della Chiesa e quella d’Israele. Il cristiano attende giornalmente il Signore, non aspetta altro avvenimento che preceda il suo rapimento nella gloria. Israele, invece, deve attraversare dei giudizi e attendere che avvenimenti ben determinati si svolgano prima di giungere alla benedizione e alla gloria.

Quando il tempo della grazia sarà trascorso e i giudizi staranno per cominciare, gli uomini rimarranno per sempre nello stato in cui si troveranno, o per il giudizio eterno o per la benedizione eterna. è per questo che sta scritto:

«Chi è ingiusto continui a praticare l’ingiustizia; chi è impuro continui a essere impuro; e chi è giusto continui a praticare la giustizia, e chi è santo si santifichi ancora» (vers. 11).

Passato il tempo della grazia, sarà troppo tardi, per sempre troppo tardi, per poter passare «dalla morte alla vita», dalle tenebre alla luce, da Satana a Dio. La grande separazione che vi è tra quelli che fanno parte del popolo di Dio e quelli che non ne fanno parte sarà allora manifesta a tutti come una voragine eterna.

Il Signore aggiunge:

«Ecco, sto per venire e con me avrò la ricompensa da dare a ciascuno secondo che le sue opere» (vers. 12).

Già nel vers. 7 il Signore ha pronunciato le parole: «Ecco, sto per venire». Senz’altro come avvertimento per serbare le parole della profezia e come incoraggiamento per coloro che le serbano. Nel vers. 12 invece sembra che il Signore parli della sua venuta in giudizio per rendere ad ognuno secondo che sarà l’opera sua. Egli solo ha l’ultima parola; Egli ha la competenza di distribuire i premi. Dice di se stesso: «Io son l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine» (vers. 13).

Egli è il Signore e Dio, colui che era prima di tutto e che sarà dopo tutto, e che adesso vede e conosce tutto.

Una volta di più ci è fatto notare il contrasto tra la via della vita e quella della morte:

«Beati quelli che lavano le loro vesti per aver diritto all’albero della vita e per entrare per le porte nella città! Fuori i cani, gli stregoni, i fornicatori, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna» (vers. 14 e 15).

Il premio eterno dei beati e la parte eterna degl’iniqui ci sono presentati qui con delle figure, come siamo abituati a vedere in questo libro (21:8). Le vesti di coloro che entrano «per le porte nella città» per ristorarsi all’albero della vita, devono essere lavate e imbiancate nel sangue dell’Agnello. è già quello che vediamo per la gran folla che esce dalla grande tribolazione e che entrerà vivente nel Regno di Gesù Cristo (7:13-17).

Fuori però, per sempre, sono gli impuri e i violenti, quelli che amano la menzogna, che ha la sua origine in Satana, ed onorano gl’idoli; coloro che hanno peccato contro sé stessi, contro il loro prossimo e contro Dio.

Dopo quest’ultimo cenno sull’enorme differenza tra la parte eterna dei beati e quella degl’iniqui, che chiude in modo solenne il contenuto delle profezie precedenti, il Signore si manifesta nella sua propria Persona. Leggiamo:

«Io, Gesù, ho mandato il mio angelo per attestarvi queste cose in seno alle chiese. Io sono la radice e la discendenza di Davide, la lucente stella del mattino» (vers. 16). Quant’è prezioso! Il Signore si dà il semplice nome di Gesù. Così era chiamato prima che nascesse come Figlio di Dio dalla vergine. Questo è il suo nome personale, nel quale quaggiù ha onorato Dio e nel quale abbiamo ricevuto il perdono dei peccati e la vita eterna. È il nome più elevato, davanti al quale si piegheranno le ginocchia di tutti gli esseri celesti, terrestri ed infernali.

Egli ha mandato il suo angelo per dichiarare alle chiese tutti gli ostacoli che devono essere tolti prima che possa stabilire il suo Regno. In queste dichiarazioni Egli riveste due caratteri ben diversi: in primo luogo, rispetto al popolo d’Israele e alle promesse fattegli, è «la radice e la discendenza di Davide»; Egli è l’origine e il punto di partenza d’Israele e delle sue promesse, è «la radice». Nello stesso tempo, siccome secondo la carne è del seme di Davide, è anche «la discendenza di Davide», cioè il rampollo della casa di Davide e perciò l’erede delle promesse fatte ad Israele.

Questo è uno dei caratteri del Signore Gesù; ma Egli possiede una posizione ancora più elevata. Egli è pure «la lucente stella del mattino». La Chiesa, la Sposa celeste, lo conosce sotto questo carattere. è così che lo contempliamo durante la notte della sua assenza, durante la quale il mondo giace in fitte tenebre, prima che Egli appaia come «sole di giustizia» per portare la salvezza ai credenti d’Israele e delle nazioni. Oggi «la notte è avanzata, il giorno è vicino» (Rom. 13:12). Per la Sposa però, siccome non è «della notte né delle tenebre» (1 Tess. 5:5), Egli apparirà come la stella del mattino, prima che quel giorno cominci.

La stella del mattino è già sorta nel cuore della Sposa (2 Pietro 1:19), poiché ella spera in Lui e attende con gioia la sua venuta. La sua speranza non è la parte del mondo che dorme e giace nel male. Soltanto dopo che la Stella del mattino sarà apparsa all’orizzonte e che la Sposa sarà rapita dallo Sposo, dopo anni di terribili giudizi, sorgerà il «giorno» nel quale il Signore Gesù scenderà sulla terra con la sua Sposa, come Re d’Israele e come «Principe dei re sulla terra».

Malgrado la gloria e la bellezza di quel giorno nel quale splenderà «il sole di giustizia», il mondo non conoscerà né potrà gustare e apprezzare il Signore Gesù come la sua Sposa. Il desiderio della Sposa e dello Spirito Santo è diretto verso di Lui: «Lo Spirito e la Sposa dicono: “Vieni”. E chi ode, dica: “Vieni”. Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda in dono dell’acqua della vita» (vers. 17).

Appena il Signore Gesù si annunzia come la «stella del mattino», lo Spirito e la Sposa rispondono a una sola voce: «Vieni». Anche lo Spirito, che ha tratto la Chiesa dal mondo, desidera grandemente partire di quaggiù, dove è così sovente attristato per le divisioni e la mondanità dei figli di Dio. Oltre a ciò, come Eliezer desiderava condurre Rebecca, così lo Spirito brama condurre la Sposa al vero Isacco. Egli parla come Eliezer: «Non mi trattenete, giacché l’Eterno ha dato successo al mio viaggio; lasciatemi partire, perché io me ne torni al mio signore» (Genesi 24:56). E assieme allo Spirito, la Sposa brama lasciare per sempre questo povero mondo per essere con lo Sposo nella casa del Padre.

Nello stesso tempo lo Spirito, e coloro che hanno gli stessi sentimenti, si rivolgono ad altri dicendo: «E chi ode» (vale a dire chi ode la voce dello Spirito nella Chiesa) aggiunga la sua voce al grido: «Vieni».

La speranza del ritorno del Signore è la parte gloriosa di tutti coloro che fanno parte della Sposa. Egli non dimenticherà neppure uno di loro. Quant’è diventato scuro, per i figliuoli di Dio, questo mondo tenebroso! Tutti dovrebbero rallegrarsi sapendo, per mezzo della sua Parola e del suo Spirito, che il loro Salvatore sta per venire come stella del mattino per preservarli dall’ora della “prova” che verrà su tutta la terra (Apoc. 3:10)!

La Sposa, l’insieme dei credenti, nel gridare: «Vieni, Signore Gesù», ha lo sguardo rivolto verso il cielo; e ciò le ricorda la grazia che l’ha riscattata e resa felice; e non può fare a meno di pensare a coloro che attorno a lei se ne vanno senza Dio e senza speranza. Perciò lancia ancora un appello: «Chi ha sete venga; chi vuole, prenda in dono dell’acqua della vita».

Più il mondo progredisce, più si manifesta la nullità delle cose di quaggiù e l’incapacità dell’uomo di saziare il desiderio del proprio cuore. A poco a poco ci si rende sempre più conto della esattezza delle parole del Signore: «Chiunque beve di questa acqua avrà sete di nuovo; ma chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà mai più sete» (Giov. 4:13-14). Per questo la Sposa e lo Spirito invitano tutti coloro che hanno sete a venire al Signore Gesù. Anzi, l’appello si estende fino a coloro che ancora non hanno sete di pace e che senza l’acqua della vita sono perduti; «chi vuole, prenda in dono dell’acqua della vita». E la riceveranno «in dono»! Dio dona per grazia una salvezza eterna e perfetta a chiunque «ha sete» e a chiunque «vuole». Come dà liberamente e gratuitamente all’uomo le cose indispensabili per la sua vita, la luce, l’aria, l’acqua, così offre a tutti, in grazia, il più gran bene: il perdono e la vita eterna. «Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rom. 6:23).

è prezioso notare che nel vers. 17 dell’ultimo capitolo troviamo ancora una volta la posizione ben definita della Chiesa. Prima di tutto vediamo che sta in intimi rapporti con lo Spirito Santo; il grido dello Spirito è pure il suo; questo grido svela l’oggetto della sua fede, della sua speranza e del suo amore. La Sposa dice allo Sposo: «Vieni». L’affetto del suo cuore è rivolto verso di Lui, e di conseguenza verso coloro che Gli appartengono. Oltre a ciò la Chiesa svolge un’attività particolare: «Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio» (2 Cor. 5:20).

Il confronto dei sentimenti della Sposa alla fine del libro con quelli dell’inizio del libro, è molto bello. Nei vers. 5 e 6 del 1° capitolo e nel vers. 17 dell’ultimo capitolo abbiamo l’esplosione dei suoi sentimenti verso Gesù Cristo, il suo Salvatore e Signore. Nel primo passo, appena i riscattati sentono nominare il caro nome di Gesù, giubilano e lodano d’una sola voce il loro Salvatore: «A lui che ci ama, e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno e sacerdoti del Dio e Padre suo, a lui sia la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen». Qui, alla fine del libro, udiamo nuovamente la voce dei riscattati nella loro unità come «Sposa» di Cristo. è ancora il prezioso nome di Gesù che li fa esultare di gioia e gridare desiderosi: «Vieni»!

Tra queste due esclamazioni di gioia dei riscattati, come «re e sacerdoti» e come «sposa», vi è tutto il libro dell’Apocalisse. Nonostante la solennità del suo contenuto, il credente trova consolazione in Gesù, che l’ha lavato nel suo sangue e che sta per apparire come la stella del mattino per condurlo nelle dimore del Padre.

Dopo il grido della Sposa del vers.17, che ha interrotto il filo del discorso (troviamo la stessa interruzione nel cap. 1 vers. 5 e 6), il Signore riprende la parola. Egli minaccia di far perdere la sua parte dell’albero della vita e della santa città a colui che non mantiene intatto il contenuto del libro. Lo udiamo dire:

«Io lo dichiaro a chiunque ode le parole della profezia di questo libro: se qualcuno vi aggiunge qualcosa, Dio aggiungerà ai suoi mali i flagelli descritti in questo libro; se qualcuno toglie qualcosa dalle parole del libro di questa profezia, Dio gli toglierà la sua parte dell’albero della vita e della città santa che sono descritti in questo libro» (vers. 18 e 19).

Come sono solenni queste parole! Niente dev’essere tolto e niente aggiunto. La chiesa professante coi suoi dottori e capi ha sovente peccato contro questa norma. Essa ha talvolta cercato di manipolare la Parola di Dio e non solo nell’ultimo libro a cui fanno allusione le parole del Signore.

Quant’è importante per noi serbare e osservare tutta la Parola di Dio! Parola che non è stata insegnata «dalla sapienza umana», ma insegnata dallo Spirito, poiché «degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo» (1 Cor. 2:13; 2 Pietro 1:21).

Il cristiano accorto, che si sottomette con timore alla Parola di Dio, non si permetterà mai di dire che la Parola di Dio «è contenuta» nella Sacra Scrittura, ma dirà: tutta la Sacra Scrittura è Parola di Dio.

Nel vers. 19 del cap. 22 dell’Apocalisse, ci è parlato per la quinta volta delle «parole del libro di questa profezia».[78] il che mette particolarmente in rilievo il carattere profetico del libro.

è Gesù Cristo stesso che avverte seriamente «ognuno che ode» di serbare le parole di questo libro, poiché è scritto: «Colui che attesta queste cose, dice:” Sì, vengo presto!”». La Sposa, udendo la voce del Signore e la nuova promessa del suo vicino ritorno, risponde gioiosa: «Amen! Vieni, Signore Gesù!» (vers. 20). Sì, questo è il grido di tutti coloro che Gli appartengono e che hanno udito il suo appello, che lo amano, Lui che ci ha amati per primo, finché saranno là dove Egli è, e lo vedranno come Egli è.

L’apostolo Giovanni che ha scritto questo libro guidato dallo  Spirito, si fa avanti, alla fine, con la preghiera dello Spirito Santo: «La grazia del Signore Gesù sia con tutti (i santi)» (vers. 21).

Finché il Signore non verrà a prenderci per condurci nella sua gloria, abbiamo bisogno della sua grazia; Egli dà la grazia e la gloria, come già è scritto nei Salmi: «L’Eterno concederà grazia e gloria» (Sal. 84:11). La grazia conduce alla gloria. Nel deserto sperimentiamo l’abbondanza della sua grazia; nella casa del Padre, nel cielo, contempleremo la pienezza della sua gloria.

Che ci sia, in noi tutti che apparteniamo a Gesù Cristo, che «abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il perdono dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia», il vivo desiderio di camminare, nel poco tempo che ci rimane quaggiù, fedelmente e «a lode della gloria della sua grazia» (Col. 1:6,7)!

Ci sia dato di combattere e soffrire fedelmente quaggiù, finché, chiamati dal nostro adorato e prezioso Signore, entreremo nel riposo eterno del cielo, per essere per sempre con Lui «a lode della sua gloria» (Col. 1:12)!

«Amen! Vieni, Signore Gesù!».

«La grazia del Signor Gesù sia con tutti»!

24. Appendice

24.1 La sequenza degli avvenimenti relativi ai giudizi

Per comprendere bene questa parte della rivelazione bisogna tener presente quanto segue:

I sigilli sono sette. Il settimo contiene le sette trombe.

Le trombe sono sette. La settima contiene le sette coppe.

Le coppe sono sette.

Inoltre vi sono delle parentesi nella successione dello svolgimento di questi giudizi:

– prima parentesi: prima del primo sigillo (cap. 4 e 5)

– seconda parentesi: tra il sesto e il settimo sigillo (il cap. 7)

– terza parentesi: prima della prima tromba (cap. 8:3-5)

– quarta parentesi: tra la sesta e la settima tromba (cap.10 e 11:1-13)

– quinta parentesi: prima della prima coppa (da 11:19 a 15:4)

– sesta parentesi: tra la sesta e la settima coppa (16:13-16)

– settima parentesi: dopo la settima coppa (cap. 17, 18 e 19:6-10).

Ed ecco, molto brevemente, come si svolgeranno gli avvenimenti in quegli anni terribili. All’inizio della prima metà della settimana, cioè nei primi tre anni e mezzo, sull’Europa unita (l’Impero Romano ricostituito di cui parla Daniele 7:20-28 e in parte Apoc. 13 e 17) regnerà da Roma un terribile dittatore, personaggio diabolico, con tutta la potenza di Satana: è la “bestia” che sale dal mare, vale a dire dalle nazioni in totale anarchia (13:1-10). Essa farà alleanza con la chiesa falsa e apostata, la “grande Babilonia” che poi, però, distruggerà (17:7-18). Farà anche alleanza con la parte apostata di Israele e, in particolare verso la metà dei sette anni, con l’Anticristo, chiamato la Bestia che sale dalla terra (vale a dire dalla Palestina, 13:11-18). L’Anticristo sarà un Giudeo, un personaggio più religioso che politico che dominerà su Israele facendosi passare per il vero Cristo, il Messia. In quegli ultimi tre anni e mezzo la persecuzione contro i credenti di quell’epoca, in particolare Giudei, sarà così atroce da giustificare il nome di “grande tribolazione” (Matt. 24:21).

È anche utile sapere che, alla metà di quella settimana, Satana sarà cacciato dal cielo e gettato sulla terra con tutti i suoi angeli (12:7-12). Anche questo fa capire l’atrocità delle persecuzioni e gli orrori che una così imponente potenza spiritica produrrà fra la gente.

Sempre in quel momento, l’Anticristo metterà nel tempio a Gerusalemme un simulacro della prima Bestia (quella del cosiddetto Impero Romano), dirà che essa è Dio, la farà adorare dai suoi adepti, e le darà anche un soffio di vita (14:15) con un miracolo diabolico che la gente senza fede scambierà per un miracolo di Dio!

Per quanto riguarda i castighi che cadranno sulla terra, l’Apocalisse ce li descrive così:

1° sigillo: il cavallo bianco (6:1-2). Vi sarà un capo che dominerà, ma ancora senza guerra. Oppure un capo (o una nazione) che viene da lontano e che riporta una rapida vittoria (Isaia 5:26-28).

2° sigillo: il cavallo rosso (6:3-4). E’ simbolo di sangue, forse per guerre civili (“gli uomini si uccideranno gli uni gli altri”).

3° sigillo: il cavallo nero (6:5-6). Ci sarà lutto, a causa di una gravissima crisi economica (v. 6); ma i ricchi non ne saranno ancora colpiti.

4° sigillo: il cavallo giallastro (6:8). Gravi epidemie semineranno la morte.

5° sigillo: le anime sotto l’altare (6:9-11). Si tratta di coloro che si convertiranno dopo il rapimento della Chiesa e che saranno stati uccisi per la loro testimonianza; essi risusciteranno prima del Regno di mille anni, per farvi parte.

6° sigillo: la grande catastrofe (6:12-17). E’ il momento del caos politico e sociale, della rivoluzione generale; tutte le autorità (sole, luna, stelle) crolleranno. Si prepara il campo per l’avvento del dittatore, la Bestia.

Parentesi: I 144.000 e la folla delle nazioni (cap. 7). E’ una visione anticipata dei martiri della grande tribolazione, che avverrà di lì a poco), che saranno sia Giudei (i 144.000 del v. 4) sia delle altre nazioni (v. 9).

7° sigillo: visione dei sette angeli a cui sono date sette trombe (8:1-2).

Parentesi: Un angelo unisce profumi alle preghiere dei santi, poi mette nel turibolo del fuoco dell’altare d’oro e lo getta sulla terra dove avviene un terremoto, con tuoni, voci e lampi (8:1-5).  E’ la potenza delle preghiere dei santi nella tribolazione.

1ª tromba: grandine e fuoco gettati sulla terra (8:7). Ogni forma di benessere è completamente distrutta.

2ª tromba: la montagna ardente gettata nel mare (8:8-9). Il caos in un grande impero. (il  mare rappresenta le nazioni al di fuori di Israele, la “terra” rappresenta Israele). Un terzo della popolazione perisce.

3ª tromba: la stella ardente, Assenzio = amarezza (Satana cacciato dal cielo e gettato sulla terra?) cade sui fiumi e sulle fonti d’acqua (8:10-11). Una grande seduzione che svia gli uomini.

4ª tromba: la terza parte del sole, della luna e delle stelle è colpita (8:12-13). E’ il crollo di molti governi.

5ª tromba: primo guaio (o “guai!”): la chiave del pozzo dell’abisso data alla stella caduta dal cielo. Cavallette simili a scorpioni (spiriti maligni) appestano la vita dello spirito, tormentano gli uomini e perseguitano i credenti.

6ª tromba: secondo guaio: gli angeli dell’Eufrate slegati (9:13:21). Un esercito numeroso (200.000.000) viene dall’Oriente (Cina?) e distrugge un terzo degli uomini rimasti.

Parentesi: Il libretto e i due testimoni (10 e 11:1-13). Il piccolo libro contiene i castighi su Israele (è come una parte del più grande libro di tutti i castighi). I due testimoni sono due credenti e due gruppi di credenti, fedeli e pieni di potenza, messi a morte sulla piazza di Gerusalemme ma risuscitati da Dio dopo tre giorni e mezzo. E’ detto che questo avverrà alla vista dei “vari popoli e tribù e lingue e nazioni” (lo Spirito sapeva già che con la tecnologia di oggi, la TV via satellite in particolare, questo sarebbe stato possibile!).

7ª tromba: terzo guaio: annuncio del regno di Cristo (11:14-18)

Parentesi: (11:19 a 15:4). La “donna” è l’Israele fedele all’epoca della nascita di Cristo; il figlio messo a morte è Cristo quando fu crocifisso. La profezia salta ora tutto il periodo attuale della Chiesa e ci fa vedere il “dragone” (Satana), precipitato sulla terra, che perseguita i fedeli del futuro residuo di Israele e fa loro guerra tramite la Bestia, il capo del rinato Impero Romano (quella che sarà l’Europa unita); essa è la bestia che sale dal mare. La bestia che sale dalla terra è invece l’Anticristo, detto anche il falso profeta.

La “grande tribolazione” avviene negli ultimi 3 anni e mezzo (7 scene, cap. 14); i fedeli, atrocemente perseguitati, sono i vincitori “sulla bestia, sulla sua immagine e sul numero del suo nome”.

1ª coppa: versata sulla terra (16:2). Mali fisici e morali (ulcere) che mettono in rilievo il marcio della nostra natura umana.

2ª coppa: versata sul mare (16:3). Una grande agitazione fra i popoli.

3ª coppa: versata sui fiumi e sulle sorgenti (16:4-7). Sono inquinate le sorgenti di vita, in senso morale. Ogni scala di valori è distrutta.

4ª coppa: versata sul sole (16:8-9). Ogni alto potere dei vari stati è abbattuto.

5ª coppa: versata sul trono della bestia (16:10-11). E’ intaccato il potere del capo dell’impero romano.

6ª coppa: versata sull’Eufrate (16:12). E’ preparata una via per eserciti provenienti dall’Est.

Parentesi: la grande battaglia di Armagheddon (16:13-16). Tutti gli eserciti schierati contro Israele, ma il Signore interviene di persona e li distrugge. Il seguito del racconto si trova al cap. 19 v. 19.

7ª coppa: versata nell’aria (16:17-21). E’ l’inquinamento morale, la distruzione di ogni civiltà.

Parentesi: distruzione di “Babilonia la grande” e le nozze dell’Agnello con la sua Sposa (i fedeli) (17 a 19:6-10).

Babilonia (la falsa chiesa cristiana-ecumenica), chiamata anche “la grande prostituta”, è “ubriaca del sangue dei santi e dei martiri di Gesù” che ha ucciso e “piena di nomi di bestemmia”. Prima siede sulla Bestia (17:3) perché è lei che domina sul diabolico capo del rinato Impero Romano; poi è da questo distrutta (17:16-18).

Dopo queste cose Gesù Cristo appare glorioso su un cavallo bianco seguito da tutti i suoi riscattati (19:11-21). “Il suo nome è la Parola di Dio”. Viene come “Re dei re e Signore dei signori” per difendere i suoi santi che Satana (tramite la Bestia romana e l’Anticristo) vuole sterminare. Ora, tutti gli eserciti della terra, accampati intorno a Israele, muovono guerra direttamente contro di Lui, ma sono distrutti. Tutti sono uccisi, e la Bestia e il falso profeta sono “gettati vivi nello stagno ardente di fuoco e di zolfo” (v. 20)

24.2 Gli avvenimenti futuri secondo le Scritture

Oggi vediamo, più chiaro che mai, che la fine di ogni cosa è vicina; ma il tempo della grazia dura ancora e i giudizi della fine non sono ancora cominciati. Le grandi afflizioni, che abbiamo attraversato e che attraversiamo ancora, sono come delle ombre che ci annunciano l’avvicinarsi a grandi passi del «giorno del Signore». Nello stesso tempo, sono degli appelli all’umanità perché sfugga all’ira imminente. La Chiesa, la Sposa di Cristo, è ancora sulla terra e lo Spirito Santo è in mezzo a lei. Questo periodo appartiene dunque alla seconda parte dell’Apocalisse e corrisponde alle cose «che sono» (Apocalisse 1:19).

Al lettore farà certamente piacere trovare, alla fine di questo studio, una veduta d’insieme sullo svolgimento degli avvenimenti futuri, come li vediamo nelle profezie della Parola di Dio.

  1. – Abbiamo il privilegio di attendere il ritorno del Signore giorno per giorno. Egli risusciterà allora i santi che si sono addormentati in Lui, rapirà con loro i viventi sulle nuvole per incontrarlo nell’aria: Giov. 14:3; 1 Cor. 15:23,51-52; Fil. 3:20-21; 1 Tess. 4:16-17; e ancora Matt. 25:1-13; Giov. 11:25-26.
  2. – I Giudei rientrati in Palestina, però senza fede, ricostruiranno il tempio e riprenderanno i loro riti religiosi: Dan. 9:27.
  3. – L’Impero Romano si ristabilirà sotto la forma di una unione di dieci stati governati da un capo unico; esso farà alleanza con la nazione giudaica: Dan. 2:40-43; 7:7-8; Apoc. 13:1-4; 17:3, 7-8, 10-13; Dan. 9:27.
  4. – La malvagità della cristianità professante giungerà al colmo dopo che «ciò che lo trattiene» e «chi lo trattiene», cioè la Chiesa di Dio e lo Spirito Santo, saranno tolti (2 Tess. 2:6-7). La falsa chiesa, Babilonia, sarà prima molto stimata dall’Impero Romano, ma in seguito distrutta dallo stesso: Apoc. 3:16; 17:1,6,16.
  5. – Satana sarà precipitato dal cielo; la sua attività si svolgerà solo sulla terra: Apoc. 12:7-12.
  6. – Satana darà una grande potenza alla «bestia» (cioè al capo dell’Impero Romano) e la spingerà ad una rivolta aperta contro Dio. I credenti, sia Giudei che delle nazioni, che si convertiranno dopo il rapimento della Chiesa, dovranno subire grandi persecuzioni. Questo stato di cose durerà tre anni e mezzo, o 42 mesi: Dan. 7:19-25; Apoc. 13:1-10.
  7. – Il falso profeta, che sarà stato accolto dai Giudei come loro Messia, si rivelerà ben presto come «l’uomo del peccato», l’Anticristo, e diventerà il conduttore di coloro, sia Giudei che Gentili, che s’innalzeranno contro Dio: Dan. 11:36-39; Zacc. 11:15-17; Giov. 5:43; 2 Tess. 2:3-4; 1 Giov. 2:18-22; 4:2-3; Apoc. 13:11-18. Il servizio giudaico dei sacrifici a Gerusalemme verrà abolito dall’Anticristo, e Satana, insieme al capo dell’Impero Romano e all’Anticristo saranno adorati come divinità: Dan. 9:27; Matteo 24:15-24; 2 Tess. 2:4; Apoc. 13:4,14-18.
  8. – Durante la grande tribolazione Dio avrà una testimonianza sulla terra resagli da un residuo fedele giudeo. Molti testimoni saranno fatti morire, altri invece rimarranno in vita: Dan. 12:1; Apoc. 11:3-8; 12:13-17; 7:1,4,9,10,13,14; 14:1-5; Matt. 24:9-14; Ger. 30:7-20.
  9. – Il «re del settentrione» o l’Assiro (forse una coalizione di paesi arabi) farà guerra contro l’Anticristo e agirà come flagello di Dio contro l’Israele idolatra: Is. 10:5-6; 28:14-15, 17-18; Dan. 11:40; 8:23-24; 9:27; Apoc. 9:13-21; 16:12; Zacc. 14:1-2; vedere anche Gioele 2:1-11.
  10. – Al grido del residuo fedele d’Israele, il Signore Gesù scenderà dal cielo per il giudizio insieme ai suoi santi che aveva rapito presso di sé già prima. Con questo atto prenderanno fine il falso profeta (l’Anticristo), il capo dell’Impero Romano e tutte le potenze occidentali: Is. 11:1-4; 63:15; 64:1-3; Dan. 2:34-35, 44-45; 7:9,11, 26-27; Matt. 24:27,37,39; 2 Tess. 1:6,10; 2:8; Giuda 14-15; Apoc. 19:11,16,19,21.

L’«Assiro», che combatte contro Gerusalemme per distruggerla, sarà pure giudicato dal Signore, che combatte per il suo popolo terreno: Is. 10:12,16,24,28,34; 14:24,25; 31:4-9; Dan. 8:25; 11:44,45; Michea 5:1-9; Zacc.14:3-5.

Anche Moab e Edom e gli altri popoli orientali verranno giudicati dal Signore nuovamente in relazione con i Giudei, poiché i Giudei si sono ravveduti e sono stati riabilitati: Is. 11:14,15; 34; 53:4-6; Zacc. 10; 12:6,9,10; 13:6; Matt. 25:32-46. Le dieci tribù ritorneranno nel loro paese, così tutto Israele sarà riunito sotto lo scettro di Davide: Ezech. 37:1-24; Rom. 11:26-27; Matt. 24:31; Is. 11:11-13; 27:13; Ezech. 20:34; 36:24. Gog cadrà e sarà giudicato in Palestina: Ezech. 38 e 39.

  1. – Quando Cristo che, come Davide, ha regnato all’inizio in mezzo ai suoi nemici (Sal. 45:3-5; 110:1-2), avrà vinto tutti i nemici, avrà inizio al Regno di pace, presentato in figura dal regno di Salomone: Sal. 45:6-9.

Satana sarà legato e la creazione liberata dalla maledizione. Cristo, a cui sono sottomesse tutte le cose celesti e terrene, regnerà quaggiù per mille anni. La Chiesa e tutti i santi celesti regneranno con Lui avvolti di una gloria celeste, mentre, sulla terra, Israele e le nazioni saranno benedette sotto di Lui in un tempo di benessere, di pace e di giustizia: Rom. 8:21-22; Is. 2:4; 11:6-9; Ab. 2:14; Zacc. 14:9; Apoc. 20:1-6; Sal. 72:8-17; Is. 25:6-8; Ger. 23:5-8; Ef. 1:10,20-22.

  1. – Alla fine del millennio Satana sarà sciolto dalla sua prigione per poco tempo e riuscirà a sedurre le nazioni che si rivolteranno contro il popolo di Dio sulla terra e contro Gerusalemme. Però del fuoco scenderà dal cielo e le distruggerà; e Satana sarà precipitato nello stagno di fuoco: Apoc. 20:7-10.
  2. – Quindi avrà luogo la seconda risurrezione e il giudizio dei morti: Apoc. 20:11-15; Giov. 5:22-29.
  3. – Il Signore Gesù rimette il suo Regno e ogni potere nelle mani del suo Dio e Padre (i nuovi cieli e la nuova terra appaiono), «affinché Dio sia tutto in tutti»: 1 Cor. 15:24-28; 2 Pietro 3:13; Apoc. 21:1-5.

[16] Tali libri, o meglio rotoli di pergamena, si usavano già per i culti in Israele (vedi Ezechiele 2:9-10 e Luca 4:17). In generale, però, questi rotoli erano scritti da una parte sola cioè internamente. Nel nostro passo il libro è scritto di dentro e di fuori, ciò dimostra la ricchezza del contenuto.

[24] Confrontare Gen. 16:9,13; Es. 3:2,4; Isaia 63:9.

[26] L’Impero Romano, come vedremo in seguito, sarà ristabilito e molto probabilmente nella stessa estensione del primo Impero Romano.

[28] Confrontare versetto 20 con Atti 7:41.

[31] Parleremo più tardi delle settanta settimane di anni  di Daniele (70 X 7 =490), cioè dall’inizio di queste nell’anno 457 a.C. ai giorni di Nehemia (Nehemia 2:1-8; Esdra 7:6-27), e della loro interruzione alla morte di Cristo (Daniele 9:26), a anche dell’ultima settimana futura (Daniele 9:27).

[34] «Ciò che lo trattiene» è la Chiesa; e «chi lo trattiene» è lo Spirito Santo (2 Tess. 2:6-7).

[38] Vedi Esodo 19:4; Deut. 32:11; Salmo 36:7.

[39] Troviamo la stessa figura in Isaia 8:7-8; Geremia 47:2 e nei Salmi.

[40] La parola greca significa: belva.

[41] Parecchi commentatori non sono certi che la potenza di Roma salga anche la seconda volta dal mare, cioè dal caos dei popoli. Mentre alcuni pensano che l’Impero sarà ristabilito dopo un sanguinoso capovolgimento dell’ordine delle cose, altri ammettono che solamente la prima volta sia salito dal mare, mentre la seconda volta sarà stabilito con delle manovre politiche e diplomatiche. Comunque sia, anche se la bestia non sale nuovamente «dal mare», sale però «dall’abisso» (Apoc. 17:8), cioè ha un’origine satanica.

[43] Qualcosa di simile è accaduto ai giorni di Napoleone I che fu anche re di Roma, che si fece adibire il Quirinale come palazzo imperiale e che nominò se stesso Imperatore del continente. Molti re gli erano sottomessi sia in guerra che in tempo di pace.

[46] Nel Salmo 115 si disprezzano gl’idoli: «Hanno bocca e non parlano… la loro gola non emette alcun suono». Satana ha però fatto un capolavoro per sedurre le genti; un idolo che ha l’alito e che parla. Per questo tutti coloro che abitano sulla terra gli renderanno omaggio.

[47] Già nell’antichità gli imperatori romani pagani esigevano onori come se fossero dei. Perciò mettevano la loro statua nei templi pagani. Quindi, l’adorazione “dell’immagine della bestia”, il capo supremo dell’Impero Romano, non sarà niente di nuovo e avverrà con l’appoggio di Satana e dell’Anticristo.

[48] «Abominazione» è un’espressione ben conosciuta nella Parola di Dio e significa idolatria.

[49] Come è noto, per esempio, la lettera X in latino indica il numero dieci, la lettera C il numero 100, ecc…

[51] Gesù in greco è scritto: IESOUS. Qui abbiamo I = 10; E = 8; S = 200; O = 70; U = 400; S = 200; totale = 888.

[53] Più tardi apparirà anche «il segno del Figlio dell’uomo», quando Egli stesso apparirà nel cielo (Matt. 24:30).

[54] Confrontare pure Ger. 10:6 e seguenti con il nostro passo di Apoc. 15:3 e seguenti.

[59] Nel cap. 14 dove è parlato di calcare “il tino” come in Isaia 63, vediamo che il Figlio dell’uomo è seduto su una nuvola, ed è un angelo che getta le uve nel tino. La descrizione della battaglia e di Cristo “sul cavallo bianco” è nel cap. 19 rispettivamente diversa.

[60] Come già si è accennato, molti giudizi del Signore cadranno sui popoli attorno a Gerusalemme prima che Egli, personalmente, come Re di gloria liberi definitivamente il suo popolo Israele (Salmo 24). Per questo nella Sacra Scrittura vi sono tre unità di tempo diverse che esprimono la durata del giudizio che precederà l’instaurazione del Regno. Prima di tutto troviamo il periodo di 42 mesi o 1260 giorni = 3 anni e mezzo (Dan. 9:27; 12:7). Gli altri due periodi cominciano invece dal divieto di offrire l’olocausto giornaliero nel tempio, e superano 30 e rispettivamente di 75 giorni i tre anni e mezzo dei giudizi. Infatti leggiamo: “Dal momento in cui sarà abolito il sacrificio quotidiano (nella metà dell’ultima settimana di anni di Daniele 9:27)… passeranno milleduecento novanta giorni” (Dan. 12:11). Qui abbiamo 30 giorni in più fino al tempo che il popolo di Daniele, i Giudei, sia liberato completamente (Dan. 12:1). Ed è pure detto: “Beato chi aspetta e giunge a milletrecentotrentacinque giorni!” (Dan. 12:12). Qui abbiamo 75 giorni in più del primo periodo di persecuzione da parte dell’Anticristo che dura soltanto 1260 giorni. I nemici saranno eliminati a poco a poco e le benedizioni verranno introdotte a poco a poco. Può darsi che in questi 1335 giorni sia pure compreso il tempo per introdurre nella piena benedizione le dieci tribù che saranno liberate dopo Giuda (o meglio Giuda e Beniamino) e, dopo di loro, ritorneranno nella terra promessa.

Questa tradizione è in pieno accordo con la disposizione delle settimane in Israele. Infatti il settimo giorno (il sabato), giorno di riposo, seguiva i sei giorni di lavoro e di fatica. Corrispondentemente, dopo i seimila anni di pena e di travaglio, deve seguire il riposo di mille anni. Anche in Israele ogni settimo anno era un anno sabatico, e ogni 49° anno (7×7=49) un giubileo (Lev. 25). In questo vediamo che, sia che si tratti di giorni o di anni, tutto è basato sulla cifra sette.

[63]

[66] Queste parole (1 Cor. 15:23) racchiudono in sé tutti i credenti dal rapimento della Chiesa fino alla fine della grande tribolazione.

[67] Vedi per esempio Salmo 48:2; Isaia 60:14-15; 65:18-19.

[68] Il “tribunale di Dio” (Rom. 14:10) e il “tribunale di Cristo” (2 Cor. 5:10) sono la stessa cosa. Ma come già accennato, i credenti, i giusti, vi compariranno nel cielo, quando saranno già presso Cristo e glorificati. Gli iniqui, invece, sulla terra, e più di 1000 anni dopo, dovranno comparire davanti al “grande trono bianco” per essere puniti per i loro peccati ed essere giudicati secondo le loro opere.

[71] «Ades» è il mondo invisibile degli spiriti, il soggiorno provvisorio degli spiriti dei morti. Nel testo originale della Bibbia è differenziato dalla «geenna». Solo la «geenna» è il soggiorno eterno dei morti condannati, dopo la loro risurrezione.

[74] Consideriamo come errata la spiegazione delle parabole secondo la quale il compratore della perla e del tesoro nel campo è l’uomo. Le sette parabole in Matteo 13 ci parlano del Regno nel suo stato interno e nel suo stato esterno come il Signore lo vede (vedere nota a pag. 16).

[77] Il giardino di Eden non fu chiuso per sempre quando Adamo ed Eva peccarono. I cherubini ne impedivano soltanto l’accesso per evitare che l’uomo peccatore prendesse il frutto dell’albero della vita e vivesse per sempre peccatore, lontano da Dio. Il Signore Gesù, con la sua opera alla croce, ha riaperto, in figura, per chiunque crede, l’accesso all’albero della vita.

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