Caratteristiche di un pastore

di Marco Vaccari

Articolo apparso sul mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 10-2005

Da molte parti si sente dire “Non ci sono pastori che curino veramente il gregge!” D’altro canto siamo in grado di riconoscere ed apprezzare coloro che Dio ha dotato per questo lavoro?

Certamente un fratello che si occupi del gregge vegliando su di loro “come chi deve renderne conto” (Ebr 13:17) è estremamente utile e necessario e il Signore lo ha previsto. Ma quali sono le principali caratteristiche che accompagnano il dono di pastorato? Come riconoscerlo e soprattutto come svolgerlo in mezzo alle nostre assemblee?

Penso che a tutti venga in mente la parabola del Signore di Luca 15, dove il Signore stesso indica una delle caratteristiche del pastore: quella di cercare la pecora perduta con determinazione finché non l’abbia ritrovata. Eppure ricondurre tutto il lavoro del pastore a questo sembra molto riduttivo. Il Signore stesso dice “se ne perde una”, appare un evento straordinario che accade solo eccezionalmente. Qual è dunque il vero lavoro di un pastore?

Nel salmo 23 abbiamo un’accurata descrizione di quello che un pastore fa per la sua pecora: il lavoro è descritto dal punto di vista della pecora e questo è molto istruttivo. Infatti non è il Signore che descrive le sue cure per noi, fatto di per se consolante, ma è la pecora stessa che le descrive perché le ha provate su se stessa. Per questo il salmo 23 ha consolato generazioni e generazioni di credenti perché con sorprendente chiarezza ci dimostra tutto il lavoro che il Signore ha fatto per noi quotidianamente. Eppure credo che questo salmo, con molta prudenza, possa anche indicare quello che un credente, che desidera imitare il suo maestro, può fare per il gregge che il Signore gli ha affidato.

La prima caratteristica che la pecora descrive è l’attività del pastore per darle il riposo. (v.2)

Dunque questo sembra essere l’attività principale del pastore: provvedere al riposo della pecora. Perché questo avvenga occorre che il gregge sia protetto e che abbia di che nutrirsi. Dunque occorre che il pastore vegli perché vi sia del nutrimento e che ogni pericolo sia allontanato. Capiamo allora che nelle nostre assemblee bisogna che ci sia il nutrimento adatto per ogni pecora, per i suoi bisogni per un sano sviluppo degli agnelli. Chi medita nella Parola di Dio deve cercare in preghiera quali siano i reali bisogni delle pecore per non cadere in ripetizioni trite e ritrite o in esortazioni già fatte e rifatte.

La seconda caratteristica è la guida lungo le acque calme.

Il pastore è dunque un servitore capace di guidare le pecore. Certamente solo il Signore può farlo degnamente, ma anche noi, se vogliamo imitare il modello occorre che facciamo la stessa cosa con il suo aiuto. L’idea di acque calme ci porta a pensare che il pastore cercherà di evitare ogni luogo sdrucciolevole, angusto o pericoloso per l’incolumità delle pecore. L’acqua è la figura della Parola, dunque ogni scrittura è data per dissetare le pecore, ma credo che le acque calme ci parlino di meditazioni che la pecora capisce, che veramente colmano il cuore e la fanno giubilare, piuttosto che meditazioni di versetti usati per sostenere le nostre idee.

La terza caratteristica sembrerebbe essere una ripetizione della prima: ”Egli mi ristora l’anima”

Nutrirsi e dissetarsi rappresentano bisogni primari, perché è aggiunto questa frase? Il pastore è un fratello che è capace di cogliere i profondi bisogni di ogni singola anima, anche quelli intimi che non sempre si riescono a manifestare. Solo il Signore può fare al meglio questo lavoro perché conosce a fondo i cuori, ma è altrettanto vero che possiamo imitare il modello e in qualche modo cercare di sollevare ogni anima sofferente. Come? Sicuramente in preghiera, poi parlando al fratello o alla sorella, con tanta pazienza e umiltà, additando il Signore Gesù l’unico vero Amico che comprende, fascia e guarisce le ferite dell’anima. Ruth poteva dire a Boaz, dopo un colloquio di poche parole, “tu hai parlato al mio cuore”. Che cosa gli aveva detto? Poche cose: “Ascolta”, “Rimani qui”, poi ha provveduto alla sua sicurezza e, conscio del caldo, ha provveduto a dissetarla. Infine ha raccomandato al Signore quest’anima chiedendo che la ricompensa da parte Sua fosse grande in funzione del fatto che si era venuta a rifugiare sotto le ali del Dio vivente. …E come tutta risposta è entrata a far parte della genealogia del Signore Gesù!

La quarta caratteristica sembra essere simile alla seconda, ma scopre la vera base del servizio di pastorato: “mi conduce per sentieri di giustizia, per amore del suo nome”.

Il divino Pastore ci ha condotto per sentieri di giustizia, anzi ci ha giustificato e, se cadiamo è là quale avvocato per intercedere presso al Padre per noi. Perché lo fa? Per amore! Perché è un Dio fedele pieno di misericordia e di grazia. Solo Lui può dunque fare questo? Sicuramente, ma anche in questo caso possiamo cogliere una sfida per chiunque voglia servire veramente il Signore: amare il nostro prossimo come il Signore lo ha amato. E con amore additare Cristo nostra giustizia, nostro avvocato, e nostro amico sincero. Il pastore è uno che ama! Il Signore ha messo in bocca al profeta Natan la parabola che avrebbe toccato il cuore di Davide, ma, da parte sua, il profeta stesso non ha esitato un istante a pronunciarle davanti al Re in modo che fosse guidato nel sentiero di giustizia che aveva abbandonato.

Al v. 4 abbiamo poi una quinta caratteristica. “Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei alcun male, perché tu sei con me

Quanta grazia in queste parole così dolci. Quanta sicurezza da parte di una pecora che conosce veramente il suo Pastore! Queste parole ci incoraggiano e sottolineano la preziosa verità che il Signore è sempre con noi. Ma mi pare di cogliere una delle caratteristiche principali di un fratello con le caratteristiche del pastore: è qualcuno che sta vicino ai credenti nella prova. Il versetto non specifica che cosa faccia il Signore per noi quando attraversiamo la valle dell’ombra della morte, precisa solo che è con noi. Se ne deduce che solo il Signore potrà indicarci le parole da dire o il servizio da svolgere per qualcuno che soffre. Solo l’amore per il nostro prossimo ci deve guidare e, in preghiera, con il suo aiuto, potremo stare vicini a chi soffre senza fare come i consolatori “molesti” di Giobbe.

Nello stesso versetto troviamo una sesta caratteristica: “il tuo bastone e la tua verga mi danno sicurezza” Il pastore è allora qualcuno che lotta per le pecore, lotta in preghiera, lotta con i lupi che vogliono disperdere il gregge, lotta con i falsi dottori che vorrebbero introdurre “cose perverse per trascinarsi dietro i discepoli.” (At 20:30)

Certamente solo il Signore è in grado di farlo e dare la vera sicurezza, ma dal canto nostro possiamo imitare il nostro modello e, dapprima in preghiera e poi in parole ed opere confutare le diverse false dottrine che minano “il puro latte” della Parola di Dio. Possiamo creare le condizioni perché l’assemblea possa essere un luogo in cui si veglia e si confronta “ogni giorno le Scritture per vedere se le cose stavano così” (At 17:11). E’ in questa occasione che il Signore definisce questo sentimento un sentimento “nobile”.

Troviamo poi la settima caratteristica al v. 5: “Per me tu imbandisci la tavola, sotto gli occhi dei miei nemici”

Il pastore è qualcuno che mostra comunione con le pecore, anche nelle difficoltà, che nutre in abbondanza specificatamente a fronte dei nemici dell’anima nostra. Quanto è prezioso questo lavoro da parte del Signore l’unico che può avviare una vera e profonda comunione con noi. Ma come le altre volte, questo costituisce una sfida e un ammonimento per noi. Quanti nemici il mondo porta davanti ai nostri occhi, spettacoli o letture immorali, blasfeme per non parlare delle occasioni di peccato che Satana è capace di porre sotto i nostri sguardi. A fronte allora occorre che la tavola sia “imbandita” dei cibi squisiti derivati dallo Spirito in modo da annullare le attrattive mondane.

Infine l’ottava caratteristica, l’ultima: “Tu cospargi di olio il mio capo”. Solo il Signore ci può ungere per il servizio conferendoci doni spirituali per l’edificazione dell’assemblea, eppure nell’antico testamento, spesse volte il Signore rivolgeva l’invito al sacerdote o al profeta di ungere una determinata persona per un servizio particolare: Davide faceva evidentemente riferimento all’unzione che Samuele gli aveva impartito per ordine dell’Eterno. Era l’unzione sacra che era appartata a coloro che stavano per essere fatti re o sacerdoti. Consisteva essenzialmente in quattro profumi aggiunti all’olio d’oliva. Ogni profumo ci parla di una particolare caratteristica del Signore Gesù. Saremmo capaci di presentare le diverse caratteristiche del nostro Signore perché ognuno si senta spinto ad imitarle? Saremmo capaci di individuare in preghiera nelle nostre assemblee persone assennate, ferrate nella Parola per affidar loro servizi ed incarichi come sovente faceva l’apostolo Paolo con Timoteo, Tito ed altri?

Notiamo che questa è l’ultima caratteristica che corona tutte le altre. Non si può discernere persone da appartare per il servizio senza che prima non vi siano state applicate tutte le altre. In altri termini, l’assemblea deve essere un luogo in cui vi sia nutrimento, sicurezza, comunione e amore. Solo allora il Signore potrà appartare persone per un proficuo servizio per Lui. E noi potremmo, in comunione e dipendenza da Lui discernerle ed incoraggiarle. Troviamo una conferma di ciò quando in Antiochia (Atti 13:2) durante il culto,lo Spirito dice “«Mettetemi da parte Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati»”. Possiamo sottolineare che è lo Spirito che chiama individualmente, ma nello stesso tempo chiede ai fratelli presenti di metterli “da parte”. Ed essi, senza esitazione, digiunano, pregano e, dopo aver imposto loro le mani in segno di associazione al loro servizio, li lasciano partire.

Che il Signore ci dia pastori secondo il suo cuore, che veramente in pubblico e in privato possano pascere il gregge con “conoscenza e intelligenza” (Gr 3:15). Il risultato? Le pecore stesse saranno portate a dire: “la mia coppa trabocca”!

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