“Compiere” ciò che è già compiuto

 di Ferruccio Cucchi

“Miei cari… adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore; infatti è Dio che produce in voi il volere e l’agire” (Filippesi 2:12).

Purifichiamoci da ogni contaminazione di carne e di spirito, compiendo la nostra santificazione nel timore di Dio (2 Corinzi 7:1). 

“È compiuto!” (Giovanni 19:30)

I primi due versetti sopraindicati, se letti isolatamente e senza tener conto dell’insegnamento biblico globale sull’argomento, potrebbero portarci fuori strada. Ma sappiamo che non è in questo modo che dobbiamo citare ed esaminare la Scrittura; questo metodo errato è all’origine di parecchie false dottrine, anche molto gravi, come quelle che in qualche misura sminuiscono l’opera di Cristo o ne alterano il significato, quando addirittura non ledono la Sua Persona.

Per comprendere il senso e la portata di queste esortazioni dell’apostolo Paolo dobbiamo partire da un presupposto imprescindibile, fondato su tutto il messaggio neotestamentario: Cristo ha compiuto perfettamente e in modo assolutamente completo la nostra salvezza e la nostra santificazione. La brevissima frase “È compiuto!”, pronunciata dal Signore sulla croce al termine delle tre ore di “tenebre” (Matteo 27:45), oltre a proclamare l’adempimento di ciò che le Scritture avevano preannunciato, è come un sigillo che Egli stesso ha posto sull’opera che Dio gli aveva affidato e che Egli aveva compiuto perfettamente: la salvezza e la santificazione di tutti gli uomini e le donne che avrebbero creduto in Lui, il Figlio di Dio. Salvezza dalla condanna di Dio e dal Suo castigo eterno che i nostri peccati (e “il peccato” che abita in noi – Romani 7:17) necessariamente comportano; santificazione, cioè separazione dal male e dal mondo: “con un’unica offerta egli – Cristo – ha reso perfetti per sempre quelli che sono santificati” (Ebrei 10:14). Ai credenti di Corinto, nonostante tutti i loro peccati passati e talvolta ancora persistenti, Paolo poteva scrivere: “Ai santificati, chiamati santi…” (1 Corinzi 1:2) e affermava con forza: “Siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo” (6:11).

Nulla da parte dell’uomo può essere aggiunto a quest’opera perfetta e completa, che ha risposto pienamente alle esigenze della santità e della giustizia di Dio, e che nel contempo è stata la manifestazione più alta del Suo amore per l’uomo. E anche noi, che abbiamo creduto nel sacrificio di Cristo e nel suo valore davanti a Dio, non vi abbiamo contribuito in alcuna misura, e neppure potremmo aggiungervi nulla per portarla a compimento: “È compiuto!”

Ma a questo punto dobbiamo domandarci seriamente che cosa ha voluto insegnare Paolo scrivendo ai credenti di Filippi e di Corinto, e quindi anche a noi, oggi.

“Compiere” la nostra salvezza

Il verbo nel testo originale greco di Filippesi 2:12, tradotto con “adoperatevi al compimento”, ha un significato che potrebbe anche essere reso dicendo “conducete a buon fine lavorando”, espressione che può aiutarci a comprenderne meglio il significato: implicitamente ci viene detto di essere attivi.

Per ciascuno di noi salvati “per grazia, mediante la fede”, Dio ha stabilito un programma: “le opere buone che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo” (Efesini 2:10), che devono sostituire le “opere malvagie” (Colossesi 1;21), le “opere delle tenebre” (Romani 13:12) e le “opere morte” dalle quali ci siamo ravveduti (Ebrei 6:1). Notiamo ancora che, come abbiamo letto, “è Dio che produce in voi il volere e l’agire”; “il sangue di Cristo… purificherà la nostra coscienza dalle opere morte” (Ebrei 9:14). Nulla viene da noi ma tutto è da Dio.

Tuttavia, è proprio a noi che abbiamo creduto nell’opera salvifica del Signore Gesù che viene raccomandato: “Camminate secondo lo Spirito e non adempirete affatto i desideri della carne” (v. 16), e ancora: “Gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno” (Romani 13:12-13). Ed è sempre a noi che è detto: “Crescete nella grazia e nella conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo” (2 Pietro 3:18), “fino a che tutti giungiamo… allo stato di uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo” (Efesini 4:13). “Così dunque, finché ne abbiamo l’opportunità, facciamo del bene a tutti; ma specialmente ai fratelli in fede” (Galati 6:10).

Dunque, la nuova vita di chi è salvato non è statica. Non avverrà tutto automaticamente, dovremo metterci a disposizione del Signore per realizzare questa “dinamica” spirituale: “Mettendoci da parte vostra ogni impegno, aggiungete alla vostra fede la virtù; alla virtù la conoscenza; alla conoscenza l’autocontrollo; all’autocontrollo la pazienza; alla pazienza la pietà; alla pietà l’affetto fraterno; e all’affetto fraterno l’amore” (2 Pietro 1:5-7).

L’opera di Cristo Salvatore ha un effetto immediato per l’anima del credente (“chi crede in Lui non è giudicato”, “non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita”– Giovanni 3:18; 5:24) ma implica anche un effetto futuro, che riguarda il suo corpo mortale: “il Salvatore, Gesù Cristo, il Signore, trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria” (Filippesi 3:20-21). Sono i due aspetti della salvezza. È proprio durante il tempo che trascorre fra quando abbiamo creduto, e quando il Signore stesso ci darà un nuovo corpo, mentre siamo ancora su questa terra (in questi passi Paolo non pensa alla morte del nostro corpo, ma soltanto alla sua trasformazione), che noi credenti, salvati, siamo esortati a “camminare, comportarci, crescere…”, “aspettando la redenzione del nostro corpo” (Romani 8:24).

 “Compiere” la nostra santificazione

Abbiamo già visto che anche per la nostra santificazione, tutto viene da Dio per mezzo di Cristo: “Gesù Cristo… ha dato se stesso per i nostri peccati, per sottrarci al presente secolo malvagio, secondo la volontà del nostro Dio e Padre” (Galati 1:3-4). È il sacrificio di Cristo per noi che ci ha staccati dal male e ci ha sottratti al mondo malvagio che lo ha respinto. E tutti noi che abbiamo creduto in Lui siamo chiamati quindi a tradurre in pratica nella nostra vita la santità che il Signore ci ha procurato (che potremmo definire “di posizione”) e che noi abbiamo afferrato per fede.

Nel testo originale di 2 Corinzi 7:1 il verbo tradotto con “compiendo”, riferito ai credenti, è diverso da quello impiegato in Filippesi 2:12, pur avendo un significato simile. Anche qui si tratta di “portare a termine” ma l’accento è posto non tanto sulle attività da compiere ma sul dovere di astenersi dal praticare ciò che è male agli occhi di Dio e di separarci dal “secolo malvagio” (il mondo nel quale viviamo ma al quale non apparteniamo) per vivere nella relazione e nella comunione con Dio, il Padre, che ci ha adottati come figli e figlie. Anche Pietro ci esorta: “Come figli ubbidienti, non conformatevi alle passioni del tempo passato, quando eravate nell’ignoranza; ma come colui che vi ha chiamati è santo, anche voi siate santi in tutta la vostra condotta, poiché sta scritto: «Siate santi, perché io sono santo»” (1 Pietro 1:14-16).

Ma anche per vivere una vita di santità occorre da parte nostra un atteggiamento morale che ci coinvolga seriamente: “Impegnatevi a cercare… la santificazione, senza la quale nessuno vedrà il Signore” (Ebrei 12:14). Siamo in attesa dell’incontro col Signore e Salvatore. E allora, facciamo nostro il vivo desiderio che Paolo provava riguardo ai credenti di Tessalonica: “L’intero essere vostro, lo spirito, l’anima e il corpo, sia conservato irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo” (1 Tessalonicesi 5:23)

Nella seconda lettera ai Corinzi Paolo, a conclusione del suo ampio discorso sull’argomento, ricorda ancora ai credenti il mezzo per compiere la loro santificazione: “Purifichiamoci da ogni contaminazione di carne e di spirito”. Qui il termine “carne” fa riferimento al nostro corpo, col quale agiamo, camminiamo, parliamo, e il termine “spirito” allude ai nostri pensieri, al nostro cuore. Ci sono purtroppo delle circostanze e delle relazioni che potrebbero metterci nelle condizioni di contaminarci. Il modo migliore per non contrarre queste contaminazioni è prevenirle ed evitarle, ma non sempre ci riusciamo. E allora occorre una purificazione che possiamo realizzare ponendoci umilmente davanti al Signore: “Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità” (1 Giovanni 1:9).

Non dimentichiamo che la santificazione non è fine a se stessa, non è per la nostra glorificazione; anzi, “il sangue di Cristo… purificherà la nostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente” (Ebrei 9:14). Che nella nostra vita possa esserci non soltanto l’assenza del male ma la presenza del bene, compiuto per la gloria di Dio e per il bene degli altri.

Infine, “compiamo” la nostra salvezza e la nostra santificazione tenendo sempre presente la nostra debolezza e la grandezza della Sua Persona: come abbiamo letto, facciamolo “…con timore e tremore… nel timore di Dio”.

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