di Alessio Pancani
Articolo tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 02-2017
“Se diciamo che abbiamo comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, noi mentiamo e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, com’egli è nella luce, abbiamo comunione l’uno con l’altro, e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato. Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non aver peccato, lo facciamo bugiardo, e la sua parola non è in noi” (1 Giovanni 1:6-10).
La falsità presentata nel v. 6 consiste nel dire che abbiamo comunione con Dio mentre camminiamo nelle tenebre. Se siamo zoppicanti, se non facciamo progressi e se non cresciamo è anche perché, anziché “camminare nella luce”, siamo impegnati a coprire o a nascondere le nostre incoerenze.
Dopo aver mostrato quali conseguenze ha il camminare nelle tenebre, ora Giovanni descrive che cosa avviene se camminiamo nella luce. Noi ci aspetteremo di leggere che se il sangue di Gesù ci purifica possiamo camminare nella luce. Invece no. E’ scritto che se camminiamo nella luce godremo della comunione l’uno con l’altro e il sangue di Gesù ci purifica da ogni peccato.
Il giusto atteggiamento cristiano verso il peccato non è negarlo, ma confessarlo, ammettendo davanti a Dio che non siamo soltanto dei peccatori per natura, ma anche perché pecchiamo. “Chi copre le sue colpe non prospererà, ma chi le confessa e le abbandona otterrà misericordia” (Proverbi 28:13). “Davanti a te ho ammesso il mio peccato, non ho taciuto la mia iniquità. Ho detto: «Confesserò le mie trasgressioni al SIGNORE», e tu hai perdonato l’iniquità del mio peccato” (Salmo 32:5).
Riflettiamo su ciò che la Scrittura ci insegna riguardo al modo con il quale un sacerdote poteva accostarsi a Dio: “Il SIGNORE parlò ancora a Mosè dicendo: «Farai pure una conca di rame, con la sua base di rame, per le abluzioni; la porrai tra la tenda di convegno e l’altare, e la riempirai d’acqua. Aaronne e i suoi figli vi si laveranno le mani e i piedi. Quando entreranno nella tenda di convegno, si laveranno con acqua, perché non muoiano. Anche quando si avvicineranno all’altare per fare il servizio, per far fumare un’offerta fatta al SIGNORE mediante il fuoco, si laveranno le mani e i piedi; così non moriranno” (Esodo 30:17-21).
La conca di rame, di cui non sono riportate le dimensioni, era posta tra l’altare di rame e il tabernacolo. Non serviva per offrire sacrifici, ma per lavarsi, cosa che Aronne e i suoi figli dovevano fare ogni volta che entravano nella tenda di convegno o si accostavano all’altare per offrirvi un sacrificio. L’acqua è una figura della Parola di Dio. “Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei, per santificarla dopo averla purificata lavandola con l’acqua della Parola” (Efesini 5:25-26).
Nel Vangelo di Giovanni, il Signore Gesù ci ha mostrato il significato della conca di rame. “Poi mise dell’acqua in una bacinella, e cominciò a lavare i piedi ai discepoli, e ad asciugarli con l’asciugatoio del quale era cinto. Si avvicinò dunque a Simon Pietro, il quale gli disse: «Tu, Signore, lavare i piedi a me?» Gesù gli rispose: «Tu non sai ora quello che io faccio, ma lo capirai dopo». Pietro gli disse: «Non mi laverai mai i piedi!» Gesù gli rispose: «Se non ti lavo, non hai parte alcuna con me»” E quando Pietro chiede che gli siano lavati anche il capo e le mani, Gesù risponde: “Chi è lavato tutto non ha bisogno che di aver lavati i piedi; è purificato tutto quanto” (Giovanni 13:5-10).
Tutti noi credenti siamo già stati lavati interamente, “nati di nuovo”, purificati dal sangue di Cristo, e non si può ripetere ciò che è già avvenuto una volta e per sempre (Tito 3:9). Ma troppo spesso, a causa della carne che è ancora in noi, ci “contaminiamo” durante il cammino in questo mondo. Non è necessaria, ovviamente, una nuova conversione, ma è necessario che i piedi siano lavati. Quando un credente commette una mancanza, la sua comunione col Signore è interrotta. Non c’è più gioia. Non c’è più testimonianza. La salvezza non è perduta, la vita eterna c’è sempre, ma mancano i risultati, i progressi. Bisogna allora, senza tardare, rivolgersi al Signore e confessare il proprio peccato affinché la comunione sia ristabilita.
E’ importante tenere presente che, come i sacerdoti prima di accostarsi all’altare dovevano passare dalla conca di rame, così anche noi dobbiamo “esaminare” noi stessi prima di compiere qualsiasi servizio per il Signore o di prendere parte alla cena del Signore: “Chiunque mangerà il pane o berrà dal calice del Signore indegnamente, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ora ciascuno esamini se stesso, e così mangi del pane e beva dal calice; poiché chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro se stesso, se non discerne il corpo del Signore. Per questo motivo molti fra voi sono infermi e malati, e parecchi muoiono. Ora, se esaminassimo noi stessi, non saremmo giudicati” (1 Corinzi 11:27-31).
Trascurare il giudizio giornaliero di noi stessi o partecipare in modo indegno alla cena del Signore ci espone al Suo giudizio. L’apostolo Paolo scriveva ai Corinzi: “Per questo motivo molti fra voi sono infermi e malati, e parecchi muoiono”.
Non dimentichiamo un particolare: la conca di rame del tabernacolo era fatta con gli specchi delle donne israelite che andavano a fare il servizio all’ingresso della tenda di convegno (Esodo 38:8). Giacomo 1:24 raffigura la Parola di Dio a uno specchio che mette in evidenza come siamo; se ascoltiamo la Parola, ma non la mettiamo in pratica, è come se dopo esserci “specchiati” subito dimentichiamo l’immagine che la Parola ci dà del nostro vero stato.