di Ph. Laugt
Articolo tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 07-2019
Questa domanda è stata fatta da Dio stesso a Ezechiele quando il profeta aveva davanti agli occhi l’impressionante visione di ossa secche che riempivano una valle. Prima di considerare i capitoli a cui questa visione si riferisce, daremo qualche breve indicazione riguardo al profeta Ezechiele e al contesto storico del suo Libro.
Una lunga profezia durante la cattività di Israele in Babilonia
Ezechiele, come Geremia, era un sacerdote (Ezechiele 1:3), ma trovandosi deportato nel paese dei Caldei non poteva esercitare il suo servizio. Il nome di “figlio d’uomo” con il quale Dio si indirizza a lui per tutto il Libro, mette in evidenza la sua fragilità; Ezechiele si sente quindi tanto più responsabile di essere obbediente alle direttive che riceve da Dio.
Le tribù di Giuda e di Beniamino non sono state deportate in un’unica volta; ed è al momento della seconda deportazione, sotto il re Ioiachin (2 Cronache 36:10), che Ezechiele fu deportato. Al suo arrivo nel Paese dei Caldei, si siede, pieno di amarezza e stupefatto, in mezzo agli altri deportati (3:14-15), e inizia lì il suo ministero. Ezechiele profetizzerà in terra straniera per circa ventitré anni. Anche Daniele si è trovato fra i deportati, e ha reso la sua testimonianza davanti ai vari re che si sono succeduti in quell’impero sia con una fedele condotta sia con i messaggi che Dio l’ha incaricato di portare,
Al capitolo 11, Ezechiele porta agli esuli, da parte di Dio una parola che, attraverso le età, è stata di consolazione a molti credenti isolati loro malgrado. “Sebbene io li abbia allontanati fra le nazioni… io sarò per loro, per qualche tempo, un santuario nei paesi dove sono andati” (v. 16). Quante circostanze possono obbligarci a rimanere in disparte, a passare, forse, molte domeniche solitarie, senza la possibilità di radunarsi coi fratelli intorno al Signore! Può trattarsi di una malattia, oppure di persecuzioni o imprigionamenti a causa della fede, o anche semplicemente di un lungo viaggio. L’apostolo Giovanni, esiliato nell’isola di Patmos, è stato “in spirito nel giorno del Signore” (Apocalisse 1:9-10) e i suoi pensieri si sono concentrati sulla persona del Signore e sulle cose spirituali. La sua anima ha potuto così rallegrarsi nel suo Dio, e poiché era occupato di Lui, il Signore gli ha parlato.
L’inizio del libro di Ezechiele è stato scritto prima della caduta di Gerusalemme (1:24). I primi tre capitoli ci parlano della prima visione del profeta e della sua chiamata. In seguito, viene annunciata la distruzione della città di Gerusalemme, la gloria dell’Eterno che se ne va dal tempio (8:11) e l’inizio dell’assedio. Allora Ezechiele è chiamato a profetizzare contro sette nazioni (25:32).
Al cap. 33:21 Gerusalemme è presa. In seguito, il Libro tratta della restaurazione spirituale d’Israele (34:36) e di quella come nazione (cap. 37), due aspetti di cui diremo qualche parola più avanti. Il versetto citato in testa (37:1-3) si riferisce al secondo aspetto.
Ezechiele parla poi di Gog (38:39) e d’Israele tornato nella sua terra, durante il futuro regno del Signore, il millennio (40:48). Allora si contemplerà questo spettacolo maestoso, tanto atteso: la gloria del Dio d’Israele che viene “dal lato orientale” e la terra che risplende “della sua gloria”. Ezechiele cadrà sulla sua faccia vedendo la gloria di Dio riempire nuovamente il tempio (43:2-6).
La promessa di un avvenire e di una speranza
Un nuovo pastore
Per mezzo dei profeti, Dio ha voluto rivelare al Suo popolo i Suoi disegni di grazia per dar loro “un avvenire e una speranza” (Geremia 29:11). Inizia col parlare delle cure pastorali e del Pastore che gli manderà (Ezechiele 34:11-16; 23-24); Dio susciterà un servitore fedele, che è qui chiamato Davide (v. 23) ma è Cristo, il Suo diletto, in contrasto con i “pastori infedeli” che hanno fatto delle pecore loro prede (34:7-10). Dio stesso va a cercare le Sue pecore disperse e se ne prende cura: le raduna, le nutre e le fa riposare in buoni pascoli.
Il Signore Gesù si è presentato come il “Buon Pastore” con una missione e dei caratteri che il profeta Ezechiele non poteva ancora conoscere (Giovanni 10:11-18); il più considerevole fra questi è che Egli ha dato la Sua vita per amore delle Sue pecore. Dopo una così grande opera in loro favore, la comunione si è stabilita fra Lui e le Sue pecore; e questo è per loro una sorgente di gioia. Il Signore porta al credente la certezza di una salvezza eterna.
Un nuovo cuore
Tuttavia, la benefica attività di un Pastore in favore del Suo popolo terreno non può bastare. Dio compirà anche, per mezzo del Suo Spirito, un lavoro nel loro interiore, indispensabile perché sia possibile una reale benedizione. Occorre un cuore nuovo. “Io vi radunerò… vi purificherò… vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno Spirito nuovo” (Ezechiele 36:24-26). Questi sono i punti messi in evidenza nel lavoro d’amore che Dio farà; vi troviamo la purificazione per mezzo dell’acqua pura (v. 25) – una figura dell’efficacia della Parola di Dio – e l’azione dello Spirito Santo nei cuori (v. 27).
Colpisce anche il parallelismo fra questo passo e l’insegnamento di Giovanni 3 riguardo al soggetto della nuova nascita. Nel Suo colloquio con Nicodemo, il Signore dice che bisogna nascere “d’acqua e di Spirito” (v. 5) e dichiara a due riprese che bisogna “nascere di nuovo” (v. 3, 7). In diversi passi, l’acqua è una figura della Parola (Efesi 5:26), quella che opera la rigenerazione: “Siete stati rigenerati… mediante la Parola vivente e permanente di Dio” (1 Pietro 1:23). “Egli ha voluto generarci secondo la Sua volontà mediante la parola di verità” (Giacomo 1:18). Occorre anche che l’azione potente dello Spirito applichi questa Parola alla coscienza e al cuore: “Dio, nostro Salvatore… ci ha salvati… per la sua misericordia, mediante il lavacro della rigenerazione e del rinnovamento dello Spirito Santo” (Tito 3:4-5).
Nicodemo, avrebbe dovuto conoscere queste cose (Giovanni 3:10). Geremia ed Ezechiele (Geremia 24:7; Ezechiele 11:19) non le avevano forse preannunciate? La benedizione del popolo “terreno” di Dio non sarebbe stata possibile senza una nuova nascita. A maggior ragione è così quanto alle realtà “celesti” (Giovanni 3:12). Questa nuova nascita è diventata possibile perché il Signore Gesù è sceso dal cielo per compiere l’opera della nostra salvezza. È in Lui che bisogna credere per avere la vita eterna.
Conseguenze della nuova nascita
Torniamo alle espressioni impiegate da Ezechiele in questo capitolo 36; in che modo possono essere applicate a noi?
Nel versetto 24, Dio annuncia che Israele rientrerà da tutte le nazioni nelle quali è stato disperso. Oggi, Dio agisce nello stesso modo: trae da questo mondo gente di “ogni tribù, lingua, popolo e nazione”, li riscatta, li fa Suoi (Apocalisse 5:9), li purifica da ogni impurità e da tutti gli idoli che ingombrano i loro cuori (v. 25) – e ciò corrisponde alla santificazione. Per questo scopo si serve della Parola, e in seguito mette in noi il Suo Spirito (v. 27; Efesi 1:13; Romani 8:9).
Poi insegna ai Suoi a camminare (v. 27): non più rispettando statuti e ordinamenti, come prima, ma in novità di vita, nella fede e nell’amore – come Gesù ha camminato.
Dà loro anche il nutrimento (v. 29-30) e prepara per loro una dimora (v. 28); per il riscattato di oggi non si tratta di un paese sulla terra, ma di una casa spirituale, di cui Cristo è il fondamento inamovibile.
La conclusione potrebbe sembrare strana: “Avrete disgusto di voi stessi” (v. 31). Non dovevano riconoscere i propri peccati prima di essere purificati? Sovente occorre camminare a lungo con il Signore per imparare a conoscere se stessi. È allora che comprendiamo meglio quelli che siamo per natura, e da dove siamo stati tratti fuori. Questo lavoro di coscienza e di cuore è indispensabile per afferrare l’immensità della grazia di Dio.
“Allora vi ricorderete delle vostre vie malvagie e delle vostre azioni, che non erano buone, e avrete disgusto di voi stessi a motivo delle vostre iniquità e delle vostre abominazioni” (v. 31, cfr.6:9; 20:43). È un lavoro che Dio opera in ogni anima rigenerata. Alla fine della sua prova, Giobbe dice: “Perciò mi ravvedo, mi pento sulla polvere e sulla cenere” (Giobbe 42:6). Talvolta, Dio produce questo in una famiglia o in un’assemblea. Lasciamo fare a Dio questo lavoro necessario; come Davide, chiediamo a Lui di esaminarci a fondo (Salmo 139:23-24). “Vergognatevi e siate confusi a motivo delle vostre vie” (Ezechiele 36:32). È così che impariamo ad apprezzare meglio l’amore di Dio.
Quando Israele è stato distrutto, le nazioni hanno osato beffarsi di Dio e del Suo popolo (36:2-3). Al momento della restaurazione, “le nazioni che saranno rimaste attorno a voi conosceranno che io, il SIGNORE, ho ricostruito i luoghi distrutti e ripiantato il luogo deserto. Io, il SIGNORE, parlo e mando la cosa ad effetto” (v. 36). E la casa d’Israele cercherà nuovamente Dio con il desiderio che gli faccia del bene. I passanti diranno: Questa terra che era desolata è diventata come il giardino di Eden” (v. 35). Questa benedizione abbondante del popolo d’Israele sarà una potente testimonianza resa alla gloria di Dio.
Ancora oggi, ogni vita umana trasformata dalla fede in Gesù e dalla nuova nascita è una testimonianza resa alla grazia e all’amore di Dio. L’opera di Dio dovrebbe essere visibile in noi per mezzo dei suoi frutti. È proprio così nella nostra vita?
Il ristabilimento d’Israele (o la riabilitazione o reintegrazione)
La visione delle ossa secche (37:1-14)
La mano di Dio porta Ezechiele, in spirito, in un’ampia valle piena di ossa secche. Tutti quei morti non erano stati neppure seppelliti. Invitato a profetizzare a quelle vecchie ossa, Ezechiele obbedisce. All’improvviso ode un rumore, vede le ossa avvicinarsi le une alle altre, poi coprirsi di muscoli, di carne e di pelle, ma senza che la vita torni in quei corpi. Il profeta riceve allora una seconda istruzione: “Profetizza allo Spirito… e di’: «Così parla il Signore, DIO: Vieni dai quattro venti, o Spirito, soffia su questi uccisi, e fa’ che rivivano!»” (v. 9). Solo allora “lo Spirito entrò in essi: tornarono alla vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, grandissimo” (v. 10).
È Dio stesso a dare l’interpretazione di questa visione: “Figlio d’uomo, queste ossa sono tutta la casa d’Israele” (v. 11). Dio li farà uscire dai loro “sepolcri” – vale a dire da tutte le nazioni fra le quali essi sono attualmente dispersi – e li ricondurrà nella loro terra. Questo ritorno, che si svolgerà in varie tappe, inizia da un raggruppamento senza che vi sia la vita; è solo un insieme politico in vista di preparare una riorganizzazione nazionale. Si sono visti i primi segni del sionismo alla fine del 19° secolo, e nel 1948 c’è stata la formazione dello Stato d’Israele.
La profezia di Isaia 18 sembra doversi svolgere parallelamente a quella di Ezechiele 37. Sotto l’egida di una grande nazione marittima situata al di fuori della terra profetica (la Palestina), vediamo “una nazione potente che calpesta tutto” (Isaia 18:2) – senza dubbio è Israele – chiamato a tornare nel suo paese fra lo stupore generale. La tromba dell’adunata suona (v. 3), ma questo ritorno ancora parziale avviene ancora senza l’intervento di Dio. Infatti Dio aveva dichiarato: “Io me ne starò tranquillo e guarderò dal mio posto” (v. 4).
Questo periodo sarà seguito da un periodo di grande tribolazione (v. 5-6); gli uomini saranno dati “agli uccelli rapaci dei monti” e alle “bestie della terra”. Per un istante avevano creduto di poter avere, senza Dio, un periodo di prosperità, ma ciò era impossibile.
Dopo queste tribolazioni, il popolo si volgerà verso Dio e il Suo santuario (Zaccaria 12); è soltanto allora che si compirà la seconda parte della profezia di Ezechiele.
Secondo la profezia di Ezechiele, il “soffio” – stessa parola di vento, spirito (v. 5, 6, 8, 9, 10) – di Dio verrà su questo “grande esercito” e gli ridarà la vita; Dio metterà il Suo Spirito in loro ed essi torneranno in vita (v. 14). È sempre Colui “che fa rivivere i morti e chiama all’esistenza le cose che non sono” (Romani 4:17) che produce la nuova nascita per mezzo del Suo Spirito e della Sua Parola.
In contrasto con altri profeti, Ezechiele tratta soltanto per sommi capi i fatti che portano alla restaurazione d’Israele come nazione nel suo paese; parla poco delle prove che l’accompagneranno. Presenta semplicemente un sunto delle tappe che portano a questa restaurazione nazionale, dal momento raffigurato da queste ossa che si avvicinano le une alle altre fino al giorno in cui Israele sarà di nuovo in relazione con il suo Dio, e potrà abitare tranquillo nella sua terra.
Molti altri avvenimenti e tribolazioni avverranno prima che la profezia si compia interamente; in particolare, il Signore Gesù dovrà venire a prendere la Sua Chiesa prima che “l’ora della prova” colpisca “il mondo intero” (Apocalisse 3:10). La “grande tribolazione” cadrà anche su Israele – “un tempo di angoscia per Giacobbe” (Geremia 30:7) – come ce lo mostrano le rivelazioni, molto più complete, affidate a Giovanni, che troviamo nell’Apocalisse.
Un punto da chiarire: l’unione delle dodici tribù.
Dopo la morte di Salomone, il regno di Israele si è diviso in due regni: da una parte le tribù di Giuda e Beniamino, rimaste fedeli alla casa di Davide, e dall’altra le rimanenti dieci, che hanno servito re di origini diverse. “Questo è avvenuto per mia volontà” aveva detto il SIGNORE (1 Re 12:24).
Ma la restaurazione nazionale preannunciata da Ezechiele riguarda solo le due tribù rimaste fedeli ai discendenti di Davide oppure è tutto Israele? La seconda metà del capitolo 37 risponde chiaramente a questa importante domanda. Sotto gli occhi di coloro che lo circondavano, il profeta deve scrivere su due legni il nome dei due regni e avvicinarli l’uno all’altro “per farne un solo pezzo di legno” (v. 15-17). E deve dire loro: “Così parla il Signore, DIO: «Ecco, io prenderò i figli d’Israele dalle nazioni dove sono andati, li radunerò da tutte le parti, e li ricondurrò nel loro paese. Farò di loro una stessa nazione, nel paese, sui monti d’Israele; un solo re sarà re di tutti loro, non saranno più due nazioni e non saranno più divisi in due regni… Il mio servo Davide sarà re sopra di loro ed essi avranno tutti un medesimo pastore; cammineranno secondo le mie prescrizioni, osserveranno le mie leggi e le metteranno in pratica… Io farò con loro un patto di pace: sarà un patto perenne con loro… La mia dimora sarà presso di loro” (v. 21-27). La dimora qui annunciata è il tempio futuro descritto a partire dal capitolo 40.
Ezechiele non parla della venuta in gloria del Signore Gesù, ma con l’appellativo “il mio servo Davide” il profeta mette in evidenza semplicemente che Egli è il loro re e il loro pastore.
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