I sacrifici per il peccato di Levitico 5

di W. J. Lowe

Articolo tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 04-2013

Nei sacrifici per il peccato c’erano due parti essenziali: il sangue della vittima che doveva essere sparso e il grasso che andava bruciato sull’altare (Levitico 4:7-10, ecc..). Ecco brevemente cosa avveniva: il colpevole confessava il suo peccato, conduceva davanti all’Eterno il suo “sacrificio” e posava la mano sulla testa della vittima che poi veniva sgozzata. Era allora compito del sacerdote mettere una parte del sangue sui corni dell’altare degli olocausti e spargere il rimanente ai piedi di quell’altare, mentre il grasso veniva fatto bruciare.

Queste due diverse parti del sacrificio servono a evidenziare due verità distinte per ciò che riguarda la propiziazione e la riconciliazione del peccatore con Dio. Prima è necessario che il colpevole, identificandosi con la vittima, riconosca in presenza di Dio che dovrebbe pagare con la sua stessa vita per le colpe commesse, ma che la vittima ha pagato al posto suo e lui può contare sul perdono divino.

La giustizia di Dio viene infatti soddisfatta dal sangue sparso, dalla vita data (vedi Romani 3:24-26 e Giovanni 10:10-11). Il grasso, la parte migliore della vittima, è consumata dal fuoco sull’altare. Il sangue dimostra che c’è stata una vittima, cioè che il giudizio è stato eseguito; il grasso ci parla in figura della parte migliore  – in Numeri 18:12 il termine ebraico tradotto “il meglio” è “il grasso” – cioè l’eccellenza intrinseca della persona del Signore Gesù che si è offerto a Dio in sacrificio.

Il primo esempio di sacrificio di cui ci parla la Scrittura è quello offerto da Abele “dei primogeniti del suo gregge e del loro grasso” (Genesi 4:4) consumato sull’altare; poi anche da Noè: “Il SIGNORE sentì un odore soave, e il SIGNORE disse in cuor suo: Io non maledirò più la terra a motivo dell’uomo” 8:21). Abele offrì il sacrificio perché aveva fede; la sua offerta era un’opera della fede. La morte della vittima gli consentiva di mantenere una relazione con Dio.

Il sacrificio di Davide nell’aia di Ornan il Gebuseo (1 Cronache 21:18-28) è pure un esempio considerevole della stessa verità, tanto più che in quel caso il fuoco stesso scese dal cielo a consumare il sacrificio del re. Quando questo avvenne, l’Eterno ordinò all’angelo distruttore, che teneva in mano la spada sguainata contro Gerusalemme, di rimettere la spada nel fodero. Dio ci mostra così quanto Egli sia giusto quando agisce in grazia.

Da quando l’uomo è responsabile di fronte a Dio è evidente che il peccatore non può sperare nel perdono: “Non chiamare in giudizio il tuo servo, perché nessun vivente sarà trovato giusto davanti a te” (Salmo 143:2). Ecco ciò che sente un’anima responsabile che sa di aver a che fare con un Dio giusto. Anche Davide non sarebbe potuto “andare davanti a quell’altare (l’altare degli olocausti che si trovava all’alto luogo di Gabaon) a cercare Dio per lo spavento che gli aveva causato la spada dell’angelo del SIGNORE” (1 Cronache 21:30); ma quando vide che l’esecuzione del giudizio, tramite il fuoco sceso sull’olocausto, era il mezzo per liberare il popolo secondo la giustizia di Dio, disse: “Qui sarà la casa di Dio, del SIGNORE, e qui sarà l’altare degli olocausti per Israele” (1 Cronache 22:1).

Dio aveva mostrato che l’opera di salvezza era soltanto Sua, e il cuore di Davide trovò riposo in questa preziosa rivelazione. La presenza di Dio e della Sua casa non gli fecero paura come invece era avvenuto a Giacobbe (Genesi 28:17); al contrario, sono stati per Davide un luogo di gioia perché sapeva che Dio era per lui (Salmo 27).

Nel passo di Levitico 5:1-13, troviamo tre diversi sacrifici per il peccato a seconda dei “mezzi” di cui il colpevole poteva disporre. I peccati, segnalati in dettaglio all’inizio del capitolo, sono gli stessi nei tre casi, ma può far difetto la comprensione dei pensieri di Dio riguardanti l’espiazione. Così, c’è il sacrificio che doveva essere portato al tempio da uno del popolo, una femmina del gregge; i “mezzi insufficienti” delle persone più povere (5:7) di cui Dio teneva conto, tanto da consentire di offrire anche solo due tortore o due giovani piccioni, possono dar l’idea di una diversa maturità spirituale di chi offre il sacrificio e forse anche di una debole consapevolezza della gravità del peccato. Perché il cuore naturale tende a credere che Dio non farà difficoltà a riceverci in grazia, e che non considererà il peccato più grave di quanto lo consideriamo noi. Speriamo che Dio non vi dia troppo peso, pensiamo! Ma il peccatore non viene ricevuto in grazia perché ha poco peccato o perché ha trovato un pretesto per discolparsi, no. Dio non può riceverlo se non grazie ad un’espiazione fatta secondo la Sua volontà, nella quale Lui è stato glorificato e che ha quindi potuto accettare. Che grazia sapere che Dio guarda al  sacrificio perfetto di Cristo e non alla nostra debolezza o alla nostra scarsa valutazione della gravità del peccato!

Dio vede il peccatore come condannato a morte e solo la parte del sacrificio che sale verso Dio come un profumo gradito può concedere al condannato la libertà di accostarsi a Dio. Non si tratta solo di peccati commessi; è il nostro essere umano che è macchiato e bisogna che ciò venga riconosciuto alla presenza di Dio per essere ricevuti in grazia; e Dio non può riceverci che attraverso la morte di Colui che ci sostituisce sotto il Suo castigo. Tutti questi sacrifici infatti parlano di Cristo e della Sua opera. “Cristo, entrando nel mondo, disse: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta ma mi hai preparato un corpo; non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, vengo (nel rotolo del libro è scritto di me) per fare, o Dio, la tua volontà” (Ebrei 10:5-7).

I diversi sacrifici offerti secondo la legge avevano la loro utilità per far conoscere dei principi morali che hanno un’applicazione eterna, ma non potevano compiere ciò che Dio aveva in progetto di fare attraverso il Suo Figlio. Il sangue di capri e tori non poteva cancellare i peccati  (Ebrei 10:4). Per quanto preziosa potesse essere la testimonianza resa al peccatore nel vedere una vittima morire al suo posto, nessun sacrificio sarebbe stato così eccellente da rimuovere i peccati davanti a Dio. Il Figlio di Dio si è donato: in Lui solo Dio può riceverci con favore (Atti 4:12).

C’era poi anche un’offerta nella quale non vi era sangue e questo potrebbe sembrare in contraddizione col principio di Ebrei 9:22 “senza spargimento di sangue, non c’è perdono”. Possiamo leggere Levitico 5:11-13: “Ma se non ha mezzi per procurarsi due tortore o due giovani piccioni, porterà, come sua offerta per il peccato che ha commesso, la decima parte di un efa di fior di farina, come sacrificio espiatorio, senza mettervi sopra né olio né incenso, perché è un sacrificio espiatorio. Porterà la farina al sacerdote; il sacerdote ne prenderà una manciata piena come ricordo e la farà fumare sull’altare sopra i sacrifici consumati dal fuoco per il Signore. È un sacrificio espiatorio. Così il sacerdote farà per quel tale l’espiazione del peccato che quello ha commesso… e gli sarà perdonato. Il resto della farina sarà per il sacerdote, come si fa nell’oblazione”.

Ecco qui un’offerta di un valore ancora minore. Non c’era sangue sparso, ma l’offerta passava attraverso il fuoco ed era consumata sull’altare, come ogni sacrificio propiziatorio. Lo Spirito di Dio vuole attirare l’attenzione su ciò che è essenziale: non il peccatore, ma il Sacrificio perfetto, la verità profonda che il giudizio sul peccato è eseguito su chi ci ha sostituito. “Egli ha portato i nostri peccati nel suo corpo, sul legno”; e mentre li portava venne lasciato solo da Dio.

Una semplice focaccia, dunque. Prima che l’Evangelo fosse chiaramente predicato tutti erano deboli nella fede, non potendo conoscere ancora come Dio li avrebbe salvati. Gli stessi apostoli  credevano nel Signore, erano attaccati a Lui, l’amavano e ammiravano la Sua vita perfetta, ma come potevano sapere che sarebbe morto per la loro salvezza eterna? Eppure erano salvati e i loro nomi erano scritti nei cieli!

C’è inoltre una verità infinitamente preziosa in questo “fior di farina”. La farina raffinata serviva inizialmente per offrire un’oblazione (una focaccia) e  vi si versava sopra dell’olio e dell’incenso. La farina raffinata rappresenta l’umanità incorruttibile di Gesù Cristo, ed è ciò che lo Spirito vuole evidenziare. Egli solo, diventato uomo (Ebrei 2.9), era perfetto e poteva essere il sacrificio secondo il cuore di Dio.

Non potrebbe esserci un tale apprezzamento spirituale da parte di qualcuno troppo “povero” per riconoscere in presenza di Dio la propria miseria morale. Ma niente potrebbe dimostrare meglio la perfetta santità del Signore Gesù se non il fatto che Egli ha potuto essere fatto peccato per noi. Anche la Parola insiste spesso sulla natura del sacrificio per il peccato dicendo: “È cosa santissima” (Levitico 6:18, 22; 7:1).

È molto dolce il fatto che Dio accondiscenda ad incontrarci nella nostra debolezza e sposti i nostri pensieri da noi al Suo Figlio, l’Agnello senza difetto né macchia. Che le anime, che avvertono la loro debolezza, la loro poca capacità di afferrare i pensieri di Dio, e che, come l’Israelita povero, non riescono a procurarsi nemmeno le due tortore, provino una grande gioia nel ricevere la testimonianza che Dio rende a Suo Figlio, Uomo perfetto.

“Colui che non ha conosciuto peccato, Dio l’ha fatto diventare peccato per noi, affinché diventassimo giustizia di Dio in Lui” (2 Corinzi 5:21).

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