Le sofferenze di un profeta fedele

Articolo tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 11-2008

Geremia cap. 26 

Ph. Laugt 

Geremia, messaggero dell’Eterno (26:1- 5) 

Fin dall’inizio del suo servizio, Geremia aveva ricevuto quest’incoraggiamento da parte dell’Eterno: “Non li temere, perché io sono con te per liberarti” (1:8). Ma Dio aveva aggiunto anche un serio avvertimento: “Non lasciarti sgomentare da loro, affinché io non ti renda sgomento in loro presenza” (1:17). 

Chiamato da Dio, sicuro della presenza di chi l’aveva mandato, il profeta rendeva testimonianza con fedeltà. Ma incontrava una crescente ostilità da parte di un popolo disubbidiente e contestatore (Romani 10:21). Pascur, figlio di Immer, sentendolo profetizzare, aveva osato picchiarlo. In seguito Geremia era stato, come un criminale, immobilizzato in uno strumento di tortura ed esposto alla porta della casa dell’Eterno, oggetto di derisione da parte del pubblico. Avrebbe ancora osato parlare nel nome del suo Dio? (20:2, 9) 

Nel cap. 26, come nel cap. 27 siamo all’inizio del regno di Ioiachim, il più iniquo dei re di Giuda, senza timore di Dio e corrotto nelle sue azioni (22:17). Un giorno, mentre gli leggevano il rotolo con le parole di Geremia, non esitò a tagliare col temperino ogni parte letta e a gettarla nel braciere finché tutto il rotolo non fu bruciato (36:23). Ma “chi disprezza la Parola si costituisce, di fronte ad essa, debitore” (Proverbi 13:13). 

Eppure l’Eterno aspettava ancora che il popolo di Giuda si pentisse e raccomandò al suo servitore di riferire accuratamente il messaggio che gli aveva affidato. “Non omettere nessuna parola” (v.2), gli aveva detto. Anche se Dio conosceva in anticipo l’accoglienza che avrebbero riservato ai suoi richiami, nel v. 3 c’è tutto il suo amore e la sua pazienza: “Forse daranno ascolto – dice – e si convertiranno ciascuno dalla sua via malvagia; e io mi pentirò del male che penso di far loro”.  

Nel suo amore immutabile, Dio ha compassione del suo popolo e della sua santa dimora. Così moltiplica i richiami. Nello stesso modo il Signore agisce verso di noi: “Chi ha orecchi per udire oda!” (Matteo 11:15); “Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese” (Apocalisse 2:3).  

Non è sempre facile per un servitore di Dio dire tutta la verità (vedere Atti 20:27; 2 Timoteo 4:1-4). Questa non piace al cuore naturale e Geremia dovette dire con amarezza: “Ogni volta che io parlo, grido, grido: violenza e saccheggio. Sì, la parola del Signore è per me un obbrobrio, uno scherno di ogni giorno” (Geremia 20:8). 

Ma l’Eterno continuava ad avvertire il popolo per mezzo di Geremia. Stando nel cortile della casa di Dio, al centro stesso dell’attività religiosa di quel popolo, il profeta doveva annunciare da parte dell’Eterno “Se non date ascolto alle parole dei miei servitori, i profeti, che io vi mando… io tratterò questa casa come Silo e farò in modo che questa città serva di maledizione presso tutte le nazioni della terra” (26:6). 

Le persone alle quali doveva riferire quelle parole venivano da tutte le città per adorare nella casa di Dio, un segno di riverenza che potrebbe far pensare che fossero ben disposte ad accettare il Suo messaggio e a pentirsi. Purtroppo, però, non era così. Più tardi il Signore definirà ipocriti i farisei e gli scribi, e ripeterà loro le parole del profeta Isaia: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me. Invano mi rendono il loro culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini” (Matteo 15:7, 8). 

Facciamo attenzione. Se la coscienza diventa insensibile, può rimanere una certa professione esteriore di religiosità e di fede, anche se nel cuore non c’è amore per Cristo. Ed è proprio questo il terreno favorevole per l’opera del nemico. 

Geremia minacciato di morte (v. 8-11) 

Il richiamo alla distruzione di Silo (vedere Salmo 78:58-60) e la profezia riguardo a Gerusalemme che, senza un vero pentimento, avrebbe subito la stessa sorte, irritarono gli uomini di Giuda. Essi riponevano la loro fiducia in parole false e ripetevano con orgoglio: “Questo è il tempio dell’Eterno, il tempio dell’Eterno, il tempio dell’Eterno!” (Geremia 7:4).  

Silo era stato per 300 anni circa il luogo dove si trovava l’arca dell’Eterno (“Dove una volta avevo messo il mio Nome”, Geremia 7:12), ma durante la crescente idolatria, al tempo del sacerdote Eli, Dio aveva dovuto intervenire; l’arca fu presa dai Filistei, e non tornò mai più a Silo.  

I falsi profeti udivano le parole di Geremia, e non potevano sopportare la verità. D’accordo coi sacerdoti che dominavano per mezzo loro (5:31), sollevarono il popolo contro il profeta, lo afferrarono esclamando: “Tu devi morire! Perché hai profetizzato nel nome del Signore, dicendo: Questa casa sarà come Silo e questa città sarà devastata? … Quest’uomo merita la morte” (26:8-11). 

Noi credenti abbiamo dei privilegi ben più grandi di quelli del popolo di Giuda. Tutte le Scritture sono nelle nostre mani e abbiamo ricevuto lo Spirito Santo per comprenderle. Qual è il nostro atteggiamento quando Dio ci riprende? La ribellione o l’umile sottomissione? Solo in quest’ultimo caso la disciplina potrà produrre “un frutto di pace e di giustizia” (Ebrei 12:11). 

I capi di Giuda, informati di ciò che sta accadendo, lasciano il palazzo reale e vanno a sedersi all’ingresso della porta nuova del tempio (26:10); e Geremia è nuovamente accusato davanti a loro. Quante accuse violente e ingiuste sono state proferite contro i veri testimoni del Signore durante la storia della Chiesa! 

I suoi accusatori non avevano abbandonato il tempio e ritenevano di essere fedeli a Dio perché compivano i loro doveri religiosi. Avevano “l’apparenza della pietà” ma ne avevano rinnegato la potenza (2 Timoteo 3:5). 

Geremia presenta la sua difesa (v. 12-15) 

Le sue parole sono brevi, dignitose. Era stato l’Eterno a mandarlo a profetizzare contro il tempio e contro Gerusalemme; non c’era in gioco nessuna inimicizia personale. Geremia li invita ancora una volta a cambiare le loro vie e le loro azioni, e ad ascoltare la voce dell’Eterno, il loro Dio (26:13; 7:5). E aggiunge: “Quanto a me, eccomi nelle vostre mani; fate di me quello che vi parrà buono e giusto”.  

Il suo coraggio derivava dalla fede. Egli sapeva di essere nelle mani di Dio, molto più forti del potere degli uomini. Qui e altrove, Geremia è una figura del perfetto Servitore, che, portato alla croce, non oppose alcuna resistenza (vedere 11:19; Giacomo 5:6). 

Poi il profeta aggiunge: “Soltanto sappiate per certo che, se mi uccidete, mettete del sangue innocente addosso a voi…, perché il Signore mi ha veramente mandato da voi” (26:15).  

La prospettiva terribile di dover rispondere dell’uccisione di un innocente non impedì ai Giudei di chiedere la crocifissione di Cristo. Anche di fronte alla dichiarazione di Pilato: “Non ho trovato in lui nessuna delle colpe di cui l’accusate”, tutto il popolo esclamò: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli” (Matteo 27:25). 

Sono ricordati fatti trascorsi, il profeta è liberato (16-24) 

Il coraggio di Geremia impressiona molto sia i principi sia il popolo che si dimostra volubile come al tempo del Signore Gesù (vedere Matteo 21:8; 27:20-23). Di fronte ai sacerdoti e ai falsi profeti, i principi e il popolo difendono il profeta: “Quest’uomo non merita la morte, perché ci ha parlato nel nome del Signore, del nostro Dio” (26:16). 

Allora, alcuni anziani osano, a loro volta, parlare in favore di Geremia. Nel loro cuore c’era ancora un po’ di quel timore di Dio che spinge a distogliersi dal male (Proverbi 16:6). Essi ricordano (v. 17) che il profeta Michea, contemporaneo di Isaia, aveva pronunciato parole analoghe a quelle di Geremia, al tempo del re Ezechia (Michea 3:12). Si trattava di un messaggio severo, ma quel re pio aveva temuto l’Eterno, implorato la sua grazia, e aveva ricevuto una risposta di misericordia e di pace. 

Gli anziani affermano: “Noi stiamo per compiere un male gravissimo a nostro danno” (Geremia 26:19). Essi temono, con ragione, le conseguenze di simile violenza, ma sono davvero disposti ad ascoltare la parola di Dio?  

E’ anche ricordato il caso di Uria che aveva profetizzato in nome dell’Eterno “in tutto e per tutto come Geremia” (26:20). Questo profeta, intimorito nell’apprendere che Ioachim voleva farlo morire, era fuggito in Egitto. Il re aveva mandato degli uomini alla sua ricerca, perché a quel tempo era alleato dell’Egitto. Uria era stato preso e ricondotto nel paese di Giuda dove “Ioachim lo colpì con la spada e gettò il suo cadavere tra le sepolture dei figli del popolo” (v. 23). 

Molti servitori di Dio, grandi uomini di fede, hanno conosciuto il martirio per aver detto con coraggio la verità (Ebrei 11:37); esssi riceveranno la “corona della vita” (Apocalisse 2:10). Geremia, Paolo ed altri non consideravano preziosa la loro vita; desideravano solo terminare la corsa e il servizio ricevuto da Dio.  

Geremia, per fede, fu uno di quelli che scamparono al taglio della spada (Ebrei 11:34). Per la sua liberazione Dio aveva preparato Aicam, uno dei messaggeri che il re Giosia aveva mandato dalla profetessa Culda (2 Re 22:14). Questi “fu con Geremia, e impedì che fosse dato in mano del popolo per essere messo a morte” (Geremia 26:24). Dio, nella sua grazia, ha tenuto il suo servitore nel palmo della sua mano.  

Rinfranchiamo i nostri cuori e siamo pazienti. “La venuta del Signore è vicina” (Giacomo 5:8). Imitiamo l’esempio di Geremia. Commovente e istruttivo è il suo modo di partecipare all’umiliazione e di identificarsi con il popolo. Il lavoro che Dio fa nei nostri cuori e nelle nostre coscienze porta al pentimento, al giudizio delle nostre vie e a rinnegare i nostri “idoli”, vale a dire tutto ciò che nel cuore prende il posto di Cristo. Dio aveva detto al suo servitore Geremia: “Se tu separi ciò che è prezioso da ciò che è vile, tu sarai come la mia bocca” (Geremia 15:19).  

La testimonianza di questo profeta fu accolta, purtroppo, solo in minima parte. Egli avrebbe potuto dire come il Servitore perfetto: “Invano ho faticato… certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa è presso il mio Dio” (Isaia 49:4). Ma in mezzo alle sofferenze sapeva che l’Eterno era con lui “come un potente eroe” (Geremia 20:11). 

Forse anche noi avremo da incontrare incomprensione e disprezzo; non scoraggiamoci. Esclamiamo come il profeta: “Eterno, mia forza, mia fortezza e mio rifugio nel giorno dell’avversità!” (Geremia 16:19). “Benedetto l’uomo che confida nell’Eterno…; nell’anno della siccità non è in affanno e non cessa di portare frutto” (17:7, 9).