Il Nazireato, ossia la storia di Sansone

(Giudici 13-16)

John Nelson Darby – Il Dispensatore, 1886

I sottotitoli sono stati aggiunti da BibbiaWeb.

[Estratto dei “Studi sulla Parola”, “Etudes sur la Parole”, “Synopsis of the Bible”]

1. Capitolo 13 — Che cos’è il Nazireato? — Una separazione per Dio

1.1 Il Nazireato di Sansone, sorgente della sua forza contro i nemici

Sansone, considerato come tipo, ci presenta il principio del Nazireato (*), l’intera separazione per Dio, la sorgente della forza per sostenere il conflitto con i nostri nemici, i quali cercano di prendere il sopravvento sul popolo di Dio, nel suo stesso territorio e nel suo proprio cuore.

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(*) o Nazareato.

I Filistei non erano un castigo mandato dal di fuori, poiché dimoravano nel territorio d’Israele, nella terra della promessa (Giudici 3:1-5). Senza dubbio, prima di ciò, altre nazioni che l’incredulità del popolo aveva lasciate in Canaan, erano state un laccio per esso, conducendolo ad imparentarsi con gli idolatri, e ad adorare i falsi dei, in modo che l’Eterno fu costretto darlo nelle mani dei suoi nemici; ma, ora quelli che erano stati tollerati nella terra conquistata avevano assunto il dominio su Israele.

Quindi, ciò che può dar vittoria e pace agli eredi della promessa è la forza che deriva dalla separazione da tutto quello che appartiene all’uomo naturale, e da un’intera consacrazione a Dio, in quanto che è realizzata. Questo Nazareato è una potenza spirituale, o piuttosto ciò che la caratterizza, quando il nemico si trova nel paese; poiché Sansone giudicò Israele durante la dominazione dei Filistei (Giudici 15:20). Dopo, Samuele, Saul e principalmente Davide, cambiarono interamente lo stato delle cose.

1.2 Cristo separato dai peccatori

Quando il Cananeo, ovvero la potenza del nemico, regna nella terra promessa, il Nazireato solo può dar forza ad uno che è fedele; e questo è un segreto sconosciuto agli uomini del mondo. Cristo ce ne porge un esempio in tutta la sua perfezione: — Il male regnava tra il popolo, ed il Suo cammino fu sempre a parte, separato dal male. Egli era bensì uno del popolo, ma come Levi (Deut. 33:9), non fu uno di loro. Egli fu un Nazireo. Però, c’è da fare una distinzione.

Moralmente parlando, Cristo fu tanto separato dai peccatori mentre era su questa terra, come lo è ora che Egli è nel cielo. Ma apparentemente, Egli era in mezzo a loro; come pure era spiritualmente in mezzo a loro quale espressione e testimonianza di grazia. Dalla Sua risurrezione in poi Egli è completamente separato dai peccatori; il mondo non Lo vede, e non Lo vedrà più fino al giorno del giudizio.

1.3 La posizione di separazione della Chiesa e dei cristiani

è in quest’ultima posizione, e come avendo rivestito questo carattere d’intera separazione dal mondo, che la Chiesa, che i cristiani sono in connessione con Lui. Infatti a noi era necessario un Sommo Sacerdote come quello (Ebrei 7:26). La Chiesa conserva la sua forza ed i singoli cristiani conservano individualmente la loro soltanto a misura ch’essi dimorano in questo stato di separazione, che il mondo non conosce e a cui non può partecipare. La gioia umana e la socievolezza non ne hanno parte; la gioia divina e la potenza dello Spirito Santo sono in essa. La vita del nostro adorabile Salvatore fu una vita di gravità, sempre grave e generalmente allo stretto (non in Se stesso, poiché il Suo cuore era una sorgente d’amore, ma a cagione del male che Lo premeva da ogni lato). Intendo parlare della Sua vita e del Suo proprio cuore. Quanto agli altri, la Sua morte ha sprigionato la corrente d’amore, affinché scorresse ad innaffiare i poveri peccatori.

Nondimeno, qualunque possa essere stato l’abituale separazione del Signore, Egli ha potuto dire, parlando ai Suoi discepoli : «Dico queste cose nel mondo, affinché abbiano compiuta in sé stessi la mia gioia». (Giov. 17:13) Il migliore dei Suoi desideri in quanto ai Suoi discepoli era la gioia divina invece della gioia umana. Verrà il giorno quand’esse saranno entrambi unite, quando Egli berrà il nuovo vino con il Suo popolo nel regno del Padre Suo (Matteo 26:19); ma ora, ciò è impossibile, poiché il male regna nel mondo. Esso regnava in Israele, dove ci avrebbe dovuto essere la giustizia; ed ora regna nella cristianità, dove la santità e la grazia dovrebbero essere manifestate in tutta la loro bellezza.

La separazione per Dio, di cui abbiamo parlato è in simili circostanze il solo mezzo per godere della forza divina. Questo è la posizione essenziale della Chiesa: se essa ha mancato in ciò, ha cessato di manifestare il vero carattere del suo Capo in connessione con Lui, «separato dai peccatori, ed elevato al di sopra dei cieli» (Ebrei 7:26). Essa non è che una falsa testimonianza, una prova tra i Filistei che Dagon è più forte di Dio; è un prigioniero accecato (Giudici 16:21,23).

Però è rimarchevole che ogni volta che il mondo trascina con le sue attrattive ciò che Dio ha separato per Sé, attira su di esso il Suo giudizio e se ne va alla rovina. Vedete Sara nella casa di Faraone (Genesi 12:17), e nel nostro caso Sansone cieco e prigioniero nelle mani dei Filistei (Giudici 16:30); vedete inoltre Sara nella casa di Abimelec, quantunque a causa dell’integrità del suo cuore Dio non l’abbia castigato (Genesi 20:3,6).

1.4 Il Nazireo, figura di Cristo, della Chiesa e del cristiano

Quindi, il Nazireo rappresenta Cristo come fu quaggiù in fatto e per necessità, ed anche com’è ora perfettamente e di pieno diritto seduto alla destra di Dio nel cielo, nascosto in Dio, dove la nostra vita è nascosta con Lui (Col. 3:3). Il Nazireo rappresenta la Chiesa ed il cristiano individuale in quanto che e l’una e l’altro sono separati dal mondo e devoti a Dio, conservando il segreto di questa separazione.

Questo è la posizione dell’assemblea, la sola che sia riconosciuta da Dio. La Chiesa, essendo unita a Cristo, che è separato dai peccatori ed elevato al di sopra dei cieli (Ebrei 7:26), non può appartenergli in nessun altro modo. Può essere infedele, ma questo è il solo suo stato in Cristo, e non può essere riconosciuta in altro modo.

1.5 Sansone, figura della negligenza di questa posizione di separazione

Sansone ci mostra anche la tendenza della Chiesa e del cristiano di scadere da questa posizione, una tendenza che non produce sempre gli stessi cattivi frutti, ma che genera l’intera negligenza del Nazireato, e causa presto la perdita d’ogni forza, di modo che la Chiesa si abbandona al mondo. Dio può però servirsi ugualmente di essa, può glorificare Sé stesso in mezzo alle devastazioni prodotte nella terra nemica (che dovrebbe essere sua); può anche preservarla dal peccato nel quale l’avrebbero condotta i Suoi passi precipitosi; ma lo stato d’animo che la conduce lì, tende sempre verso la decadenza.

2. Capitoli 14 e 15 — Sansone giudice d’Israele

2.1 Dio si serve di Sansone, anche se il suo cammino non era fedele

Dio si serve del matrimonio di Sansone con una filistea per punire quel popolo. Ancora nella freschezza della sua forza, con il cuore rivolto all’Eterno, e mosso dallo Spirito Santo, Sansone agisce con la potenza della sua forza fra i nemici che aveva sollevati contro di lui; e nel fatto, egli non sposò mai questa donna filistea.

Ho detto che Dio si serve di questo circostanze (14:4); ed è sempre così ch’Egli usa la forza spirituale della Chiesa, in quanto che, con il cuore essa è attaccata a Lui, quantunque il Suo cammino non sia fedele, e non meriti la Sua approvazione. Poiché è evidente che il matrimonio di Sansone con una figlia di Timna era un peccato positivo, una flagrante infrazione alle ordinanze dell’Eterno, la quale non è in nessun modo giustificata dalla benedizione che il Signore sparge sopra di lui mentre i Filistei gli fanno torto. Non è nel suo matrimonio ch’egli trova la benedizione, anzi, tutto al contrario.

Conseguentemente Sansone non ha Israele con lui nei conflitti causati dal suo matrimonio; lo Spirito di Dio non agisce sul popolo come ha fatto nel caso di Gedeone (Giudici 6:35), di Iefte (Giudici 11:29) o di Barac (Giudici 4:10).

Inoltre, quando si tratta di Nazireato, si deve piuttosto aspettare opposizione dal popolo di Dio. Il Nazireo sorge in mezzo al popolo perché il popolo non è più nazireo, perché non è più separato per Dio; e se non è più separato per Dio, è senza forza e permette al mondo di dominarlo, purché gli sia lasciata la pace esteriore. Così non vuole più minimamente che si agisca sul principio della fede, poiché ciò dispiace al mondo e lo ecciterebbe contro di lui. «Non sai tu» dicono gli uomini di Giuda, «che i Filistei sono nostri dominatori?» (15:11) — Benché riconoscevano Sansone come uno di loro, gli Israeliti desideravano di darlo nelle mani dei Filistei per mantenere la loro tranquillità.

Ma in questa prima parte della storia di Sansone, ci sono dei particolari che richiedono maggior attenzione.

Il suo matrimonio era un peccato; ma la separazione del popolo di Dio non era più praticata secondo la misura dei pensieri di Dio. Il fatto in sé stesso era inescusabile, poiché aveva la sua origine nella volontà di Sansone, il quale certamente non aveva preso consiglio da Dio. Però, cedendo all’influenza delle circostanze, egli non era conscio a questo momento del male che stava per fare, e Dio gli permise di cercare a vivere in pace ed in buona relazione con i Cananei (cioè con il mondo che si trova nel territorio del popolo di Dio) invece di far loro la guerra; in conseguenza di ciò, in quanto ai Filistei, Sansone aveva ragione dal canto suo nelle lotte che seguirono.

Prima del suo matrimonio, Sansone aveva sbranato un leone e vi aveva trovato del miele nella sua carcassa; egli aveva forza da Dio mentre camminava nella sua integrità; e questo è il grande «enigma», il segreto del popolo di Dio. Il leone non ha potenza contro uno che appartiene a Cristo. Egli ha distrutto la forza di colui che aveva il potere della morte (Ebrei 2:14). Per la potenza dello Spirito di Cristo il nostro combattimento conduce alla vittoria, dalla quale sgorga il miele; ma ciò succede nel segreto della comunione col Signore. Davide ha mantenuto meglio questo posto nella semplicità del dovere (1 Sam. 34-36).

Sansone non si è guardato da quelli rapporti con il mondo, al quale le condizioni del popolo facilmente lo conducevano. Questo è il pericolo permanente del cristiano; ma qualunque sia la loro ignoranza, se i figli di Dio si associano col mondo, seguendo in tal modo una linea di condotta opposta al loro vero carattere, certamente troveranno delle gravi difficoltà. Essi non si tengono separati per Dio, il loro segreto non è in Lui, un segreto che è solo conosciuto nella Sua comunione; quindi smarriscono la loro saggezza, il mondo li inganna, la loro relazione con esso diventa peggiore di prima, e questo li disprezza (15:2) continuando il suo cammino senza riguardare alla loro indignazione per il modo che si è comportato verso di essi.

Che doveva far là Sansone (capitolo 15)? La propria volontà agisce servendosi di quella forza che Dio gli aveva data, come fece Mosè quando uccise l’Egiziano (Esodo 2:12). Se noi, figli di Dio, ci mescoliamo con il mondo, trascineremo sempre con noi qualcosa di esso; ma Dio si serve di ciò, per separarcene a viva forza ed interamente e per rendere impossibile la nostra unione, mettendoci in diretto conflitto con il mondo, anche in quelle cose che avevano formato la nostra associazione con esso. Riconosciamo poi dopo che avremmo fatto meglio di starcene separati. Ma è necessario che Dio agisca così verso noi, quando quest’unione con il mondo diventa una cosa abituale e tollerata nella Chiesa (*). Le circostanze più oltraggiose passano inosservate. — Pensate ad un Nazireo sposato con una Filistea! Dio deve rompere una tale unione, facendo sorgere inimicizie e ostilità, giacché non c’è l’intelligenza della Sua morale vicinanza. Questa separa dal mondo e dà la pacatezza di spirito, che trovando la forza in Lui, può vincere e scacciare il nemico, quando Egli conduce alla battaglia con la piena rivelazione della Sua volontà.

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(*) Quando quest’unione esiste tra il mondo ed il vero cristiano, od almeno coloro che professano la verità, è sempre il mondo che comanda; quando, invece, è con la gerarchia che il mondo è collegato, allora è una gerarchia superstiziosa che comanda, poiché ciò è necessario per frenare la volontà dell’uomo con dei legami religiosi adatti alla carne.

Però se siamo legati con il mondo, esso dominerà continuamente sopra di noi; e noi non abbiamo ragione di resistere alle pretese delle relazioni che noi stessi abbiamo formate. Noi possiamo avvicinarci al mondo, poiché abbiamo in noi la carne; mentre il mondo non può realmente approssimarsi ai figli di Dio, poiché esso possiede soltanto una natura decaduta e piena di peccato. L’avvicinamento è da un solo lato, ed è sempre in male, qualunque possa essere l’apparenza. — Recare la testimonianza in mezzo al mondo è tutt’altra cosa.

Noi non possiamo quindi presentare a nessuno il segreto del Signore, l’intima relazione del popolo di Dio con Sé stesso, ed i sentimenti ch’essi producono; poiché il segreto e la forza del Signore, sono esclusivamente il diritto e la forza del Suo popolo redento. Come si avrebbe potuto dir ciò alla sua moglie filistea? — Quale influenza avrebbero avuto i privilegi esclusivi del popolo di Dio su qualcuno che non ne faceva parte? — Come possiamo noi parlare di questi privilegi, quando li rinneghiamo in pratica? — Li rinneghiamo comunicando questo segreto; poiché allora noi cessiamo d’essere separati e consacrati a Dio, e di confidare in Lui più che in qualunque altro. Quest’esperienza doveva preservare Sansone, in avvenire, da un simile passo. Ma sotto vari aspetti l’esperienza nelle cose di Dio è necessaria, poiché in quel dato momento ci vuole fede, perché è di Dio stesso che noi abbiamo bisogno.

Nondimeno lì Sansone conserva ancora la sua forza. La sovrana volontà di Dio è compiuta in ciò, malgrado le serie mancanze che risultavano dallo stato generale delle cose alle quali Sansone partecipava. Una volta sul campo di battaglia, egli mostra la forza dell’Eterno ch’era con lui; ed in risposta al suo grido, il Signore gli diede acqua per estinguere la sua sete (15:17-19).

è quivi che termina la storia generale di Sansone. Abbiamo veduto che il popolo di Dio, i suoi fratelli, erano contro di lui, che è la regola generale in simili casi. è la storia della potenza dello Spirito di Cristo esercitata nel Nazireato in separazione dal mondo per Dio, ma in una condizione interamente opposta ad una tal separazione; e colui che è sostenuto in essa dalla potenza di questo Spirito come se fosse nella sua sfera abituale, è sempre in pericolo d’essere infedele. A ciò lo espone ancora maggiormente la coscienza della forza, a meno che viva proprio vicino a Dio nel riposo dell’obbedienza.

2.2 Cristo, il perfetto nazireato

In simili circostanze Cristo mostrò la perfeziono di un cammino celeste. Vediamo negli Evangeli che nessuno capì la sorgente della Sua potenza e della Sua autorità (Luca 4:32,36). Egli dovette abbandonare ogni speranza di soddisfare gli uomini riguardo ai principi che Lo guidavano (Matteo 21:27). Per comprenderlo essi avrebbero dovuto essere simili a Lui, ed allora non avrebbero avuto bisogno di esseri convinti. Camminare alla presenza di Dio, e lasciare a Lui di giustificarlo era tutto quello che poteva fare. Egli ridusse al silenzio i Suoi nemici con i conosciuti principi di Dio e con ogni buona coscienza; ma non poté rivelare il segreto tra Lui ed il Padre, l’elemento della Sua vita, ed il movente di tutte le Sue azioni. Se la verità fu manifestata (Giov. 8:42,49,55) quando Satana spinse le cose all’eccesso, i Suoi nemici Lo trattarono come un bestemmiatore. Ed egli gli svelò apertamente quali figli di Satana (Giov. 8:44). Troviamo questo specialmente nel Vangelo di Giovanni (vedi capitolo 8). Ma da quel momento Gesù non ebbe più a lungo la stessa relazione con il popolo. Fin dal principio di questo Evangelo, essi sono considerati come rigettati, e viene presentata la Persona del Figlio di Dio.

Fin dal principio del Suo ministero, Egli si mantenne nella posizione di un servo ubbidiente, e non entrò nel pubblico servizio finché non fu chiamato da Dio, dopo aver preso l’ultimo posto nel battesimo di Giovanni (Marco 1:9-11). Questo è ciò che gli diede la vittoria quando fu tentato nel deserto (Marco 1:12-13). Il tentatore si sforzava di condurlo fuori dal Suo posto d’uomo ubbidiente, perché Egli era il Figlio di Dio (Matteo 4:3). Ma qua fu legato l’uomo forte (Matteo 12:29); e l’unico mezzo per vincere l’avversario è di stare nell’ubbidienza. Cristo camminò sempre in una perfetta separazione dell’uomo interno, in comunione con il Padre Suo, ed in un’intera dipendenza da Lui ubbidendo senza agire un sol momento secondo la propria volontà. Quindi Egli fu il più grazioso ed accessibile fra tutti gli uomini; nelle Sue vie si vede una tenerezza ed una gentilezza non mai riscontrata in altri, però si percepisce che Egli è sempre uno straniero. Non ch’Egli fosse uno straniero nelle Sue relazioni con gli uomini; ma ciò che dimorava nel più profondo del Suo cuore, ciò che costituiva la Sua propria natura e che Lo guidava di conseguenza nel Suo cammino per il potere della Sua comunione con il Padre — fu interamente straniero a tutto quello che influenza l’uomo.

Egli visse solo in tutta la forza della parola, assolutamente isolato; e fa meraviglia il pensare che non una volta i Suoi discepoli capirono ciò ch’Egli disse (Luca 18:34). La sola traccia d’un cuore che gli fosse affezionato l’abbiamo in Maria di Betania, la cui prova d’amore doveva essere annunziata a tutto il mondo (Matteo 26:13). In Lui ci fu sempre una profonda simpatia per ogni sorta di dolori; ma per le Sue sofferenze, Egli non incontrò nessuna simpatia.

Meditando sulla vita di Gesù, si vede dovunque questo spirito di rinnegamento di sé stesso, questa totale rinuncia della propria volontà, questa ubbidienza e dipendenza perfetta dal Padre Suo. Dopo il battesimo di Giovanni, Egli pregava quando ricevette lo Spirito Santo (Luca 3:21-22); prima della chiamata degli Apostoli passò l’intera notte in preghiere (Luca 6:12-13); e dopo il miracolo dei cinque pani salì sul monte per pregare ancora (Matteo 14:23). Se gli si chiede di sedere alla Sua destra ed alla Sua sinistra nel Suo regno, risponde che non sta a Lui concederlo, ma che sarà dato a quelli per cui è stato preparato dal Padre Suo (Matteo 20:23). Nella Sua agonia del Getsemane, tra l’aspettazione ed il terror della morte si confida interamente nel Padre Suo (Luca 22:42-44), e non berrà Egli il calice che questi gli ha dato (Giov. 18:11) ? Quindi, come è tutto calmo dinanzi agli uomini! Egli è il Nazireo, separato dal mondo per l’intima comunione con il Padre Suo, e per l’ubbidienza che s’addice ad un Figlio che non ha altra volontà se non quella di compiere il beneplacito del Padre. Il Suo cibo era di fare la volontà di Colui che l’aveva mandato e di compiere l’opera Sua (Giov. 4:34).

Ma si fu quando l’uomo non volle riceverlo, e che non c’era più nessuna relazione tra l’uomo e Dio, che Gesù assunse pienamente il carattere di Nazireo, «separato dai peccatori ed elevato al di sopra dei cieli» (Ebrei 7:26). Il vero Nazireo è Cristo nel cielo, il quale avendo ricevuto dal Padre la promessa dello Spirito Santo, l’ha mandato sopra i Suoi discepoli (Atti 2:33), affinché per la Sua potenza essi potessero mantenere la stessa posizione sulla terra, mediante la comunione con Lui e con il Padre Suo; camminando nella santità di questa comunione, sono capaci perciò di usare questa potenza con una intelligenza divina che illumina e sostiene l’ubbidienza per la quale essi sono stati messi a parte alla gloria di Cristo e per il Suo servizio. «Se dimorate in me» disse ai Suoi discepoli, «e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto» (Giov. 15:7). Essi non erano del mondo, siccome Egli non era del mondo (Giov. 17:14). L’assemblea che fu formata dai Suoi discepoli, dovrebbe camminare separata dal mondo e messa a parte per Lui in una vita celeste.

Cristo è dunque raffigurato dalla storia di Sansone in quanto al principio ch’essa racchiude. Ma i particolari provano che questo principio di forza è stato confidato a persone che non furono, ahimè! che capaci di mancare alla comunione e all’ubbidienza, e così di perdere il godimento di questa forza.

3. Capitolo 16 — La fine della vita di Sansone

3.1 Il segreto tradito

Sansone peccò di nuovo per una relazione con la «figlia d’un dio straniero» (vedere Malachia 2:11); poi egli s’unì nuovamente con una donna dei Filistei, fra i quali si trovava la casa di suo padre e la tribù di Dan; ma conservò la sua forza finché l’influenza di quest’unione divenne così potente da costringerlo a rivelare il segreto della sua forza in Dio. Il suo cuore, lontano da Dio, fa ad una filistea quella confidenza che avrebbe soltanto dovuto esistere fra l’anima sua e Dio.

Il possedere e guardare un segreto è prova di intimità fra amici; ma il segreto di Dio, il possesso della Sua confidenza, è il più alto dei privilegi. Tradire un tale segreto, confidandolo ad uno straniero, chiunque egli sia, equivale a sprezzare la preziosa posizione nella quale la Sua grazia ci ha posti; equivale a perderlo. Cosa avevano a fare i nemici di Dio con il Suo segreto? Così Sansone si diede nelle mani dei suoi avversari. Finché mantenne il suo Nazireato, ogni tentativo per domarlo e vincerlo andarono falliti; ma appena mancò a questa separazione, quantunque apparentemente fosse forte e gagliardo come prima, pure l’Eterno non era più con lui. «Io ne uscirò come le altre volte e mi libererò», diceva a sé stesso, «ma non sapeva che il Signore si era ritirato da lui» (Giudici 16:20).

Possiamo appena immaginarci la gran follia commessa nel confidare il suo segreto a Delila, dopo essere stato tante volte sorpreso dai Filistei quand’essa lo risvegliava. Così avviene alla Chiesa quand’essa si abbandona al mondo, perde tutta la sua saggezza, anche quella comune all’uomo. Povero Sansone! — più tardi ha ricuperato la sua forza, ma ha perduto la sua vista per sempre.

Ma «chi ha tenuto fronte a Dio e se n’è trovato bene?» (Giobbe 9:4)

3.2 Il giudizio finale dei nemici

I Filistei ascrivono il loro successo al loro falso dio; ma Dio non dimentica la Sua propria gloria, ed il Suo povero servo umiliato sotto il castigo del suo peccato. I Filistei si radunano per festeggiare la vittoria ottenuta, e per glorificare i loro falsi dei; ma l’Eterno vede tutto ciò. Dal canto suo Sansone trovandosi nell’umiliazione rivolge il suo cuore al Signore ed il suo Nazireato va riacquistando forza. Egli supplica caldamente Dio, e la sua fervente preghiera è ascoltata. Chi avrebbe temuto un prigioniero cieco ed afflitto? — ma chi di questo mondo conosce il segreto dell’Eterno? La condizione d’un povero schiavo, privo per sempre della vista, gli offre un’opportunità che la sua forza non avrebbe potuto ottenere, prima che la sua infedeltà ne lo privasse. Ma egli è cieco e schiavo, e deve perire anche lui nel giudizio che esercita sull’empietà dei suoi nemici. Egli s’era identificato con il mondo, prestando orecchio ai suoi suggerimenti, ed ora deve dividere il giudizio che cade su di esso (*).

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(*) Vi fu qualcosa di simile, quantunque sotto una differente forma, in Gionatan. La sua fede non fu compiuta, perché egli seguì contemporaneamente il mondo e Davide, sebbene vi potesse essere la scusa d’un legame naturale.

Se l’infedeltà della Chiesa fu causa della potenza del mondo sopra di essa, il mondo dal canto suo ha attaccatto i diritti di Dio corrompendo la Chiesa, e quindi attira il giudizio sopra di sè nel momento del suo più gran trionfo; un giudizio che, se mette fine tanto all’esistenza come alla miseria del nostro Nazireato, distrugge in pari tempo coinvolgendo nella stessa rovina tutta la gloria di questo mondo.

Nei dettagli della profezia ciò si applica alla storia finale del popolo giudeo (*). Soltanto che là il residuo è preservato, per essere stabilito su una nuova base per il compimento del consiglio di Dio.

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(*) In quanto alla Chiesa professante c’è qualche differenza, poiché i santi sono rapiti nella gloria, ed il resto, essendo apostata, viene giudicato; ma il fatto del giudizio sul mondo è identico.

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