Il pane per vivere

di  Alfredo Apicella

Edizioni Il Messaggero Cristiano

Non di pane soltanto vivrà l’uomo”. E’ la prima parte di una frase pronunciata dal Signore Gesù che da allora entrata fra i comuni modi di dire. “L’uomo non vive solo di pane” è ormai un detto popolare. Purtroppo, però, a questa frase ognuno aggiunge un seguito che non rispecchia affatto il pensiero del Signore. Oltre al pane che è necessario, dice la gente, ci vogliono anche gli svaghi, il lavoro, la famiglia, lo sport e molte altre cose…

Quando il Signore ha avuto fame, dopo quaranta giorni e quaranta notti di digiuno, nel deserto, Satana si è fatto avanti e ha cercato di farlo cadere. Ha iniziato di lì, da una situazione che lui riteneva di debolezza, di maggiore vulnerabilità. Illudendosi forse di avere lo stesso successo ottenuto con Eva e Adamo nel giardino di Eden, ha osato tendergli dei tranelli. Satana sapeva che Gesù era il Figlio di Dio (Marco 3:11), ma si trovava in terra come un uomo e in quel momento aveva fame. Non poteva fare il miracolo di trasformare le pietre in pane? Se lo avesse fatto avrebbe dimostrato, suggerisce il tentatore, di essere Figlio di Dio! E’ a questo punto che il Signore, citando Deuteronomio 8:3, gli risponde con quella ben nota frase, aggiungendo, come diceva il testo citato, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio”. Questo era importante. Importante per ognuno di noi, ma anche per il Signore il cui “cibo” era fare la volontà di Colui che lo aveva mandato a compiere l’opera Sua (Giovanni 4:34). E’ la Parola di Dio che fa vivere, sono le Sue rivelazioni, i Suoi ordini, la Sua volontà.

Il Signore era dipendente dal Padre e a Lui solo ubbidiva. Non ha mai operato un miracolo dal quale potesse trarre un vantaggio personale, non uno che non facesse parte di quelle opere che il Padre gli aveva dato da compiere (Giovanni 5:36). Non trasformò le pietre in pane. Non appena Satana l’ebbe lasciato, “degli angeli si avvicinarono a lui e lo servivano” (v. 11).

Il pane, quello fatto di farina, simbolo dell’alimento base, indispensabile per la vita del corpo, è menzionato più volte nella Bibbia, fin dalle prime pagine. Ma ha anche molti significati allegorici di grande istruzione per noi.

Adamo, disubbidiente e colpevole, ne avrebbe mangiato, dice Dio, col sudore del suo volto perché il suolo, maledetto per causa sua, avrebbe prodotto da quel momento “spine e rovi” (Genesi 3:19); era la conseguenza della disubbidienza. Ma per Israele c’era una promessa: se avesse fatto tutto quello che Dio comandava e avesse ubbidito fedelmente alla Sua voce, Dio avrebbe benedetto “il suo pane e la sua acqua” (Esodo 23:25). Gli elementi essenziali per la vita non sarebbero mai mancati.

“Cibami del pane che mi è necessario” chiedeva in una preghiera il saggio Agur (Proverbi 30:8); e il Signore, quando insegnerà ai discepoli la preghiera da rivolgere al Padre, dirà di chiedere “il pane quotidiano” e di farlo con fiducia (Matteo 6:11). Ma altri soggetti, ancora più importanti, erano da presentare a Dio in quella preghiera, primi fra tutti quelli che riguardavano la santità del Suo nome, il Suo regno, la Sua volontà.

Sulle rive del mare, nei campi, nelle città, nei villaggi, il Signore Gesù ammaestrava il popolo. Le Sue parole erano “di vita eterna” (Giovanni 6:68) perché il Padre, che lo aveva mandato, non prova piacere quando l’empio muore, ma “quando si converte dalle sue vie e vive” (Ezechiele 18:23). La manna era stata il “pane” che Dio aveva fatto “piovere dal cielo” (Esodo 16:4) e i padri l’avevano mangiata; ma erano poi morti. Ed ecco che il Signore, strumento di Dio per la salvezza del peccatore, si presenta come il “vero pane”. “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne, che darò per la vita del mondo”. Lui era il “pane della vita”, il “pane vivente che è disceso dal cielo” (Giovanni 6:35-51). Credere in Lui, assimilare per fede il significato e il valore del Suo sacrificio, accoglierlo nel cuore come personale Salvatore, libera l’anima dalla condanna del peccato e proietta in una vita che non finirà mai, in un’eternità di gioia e di pace.

Ma il Signore si interessava anche dei bisogni materiali di quelli che lo seguivano. Per ben due volte, al termine del giorno e in un luogo deserto, le migliaia di persone che avevano goduto delle Sue parole e della guarigione dei loro malati, avevano necessità di mangiare. In un caso (Matteo 14:14-21 e 15:32-38) erano con Lui da tre giorni e il Signore non voleva rimandarli digiuni; e ha detto: “Io ho pietà di questa folla”. Quanta grazia in quelle parole, quanta misericordia, quanta comprensione per i bisogni delle Sue creature! Così moltiplicò i pani, e ben cinquemila uomini e poi altri quattromila, senza contare le donne e i bambini, furono saziati.

Il pane, fatto di bianco fior di farina, è in molti casi una bella immagine dell’umanità del nostro Signore. Nel culto mosaico faceva parte delle offerte presentate a Dio. Si trattava di pani e focacce rigorosamente senza lievito perché il lievito è un simbolo del male e il Signore era in modo assoluto senza peccato, “puro di ogni colpa” (Ebrei 9:14). Erano intrise di olio nel quale possiamo vedere una figura dello Spirito Santo. Durante la cena della Pasqua e per i sette giorni che seguivano, gli Ebrei dovevano mangiare pani senza lievito: “Mangerete pani azzimi… Per sette giorni non si trovi lievito nelle vostre case… Chiunque mangerà qualcosa di lievitato sarà eliminato dalla comunità d’Israele” (Esodo 12:18-19). Ma prima ancora della Legge e dell’istituzione del culto, quel personaggio misterioso di nome Melchisedec, re di giustizia e di pace, figura egli stesso del Signore Gesù, aveva fatto portare ad Abraamo del pane e del vino, e lo aveva benedetto nel nome del “Dio Altissimo, padrone dei cieli e della terra” (Genesi 14:18-19).

Nel tabernacolo, nel luogo santo, di fronte al candeliere d’oro, c’era una tavola fatta di legno di acacia rivestita d’oro. Su quella tavola si trovavano in permanenza dodici pani che raffiguravano le dodici tribù d’Israele. Erano davanti al Signore, protetti da eventuali cadute da “una cornice larga quattro dita” perché i credenti sono al sicuro nelle mani del loro Salvatore!

Nel Libro dell’Ecclesiaste troviamo questa curiosa esortazione: “Getta il tuo pane sulle acque”, e in questo pane possiamo vedere il messaggio del Vangelo che dev’essere sparso nel mondo. Non sarà mai un servizio inutile né una perdita perché è aggiunto: “dopo molto tempo lo ritroverai”. Che bell’incoraggiamento per la nostra testimonianza che a volte ci pare così debole e con così scarsi risultati!

C’è molta povertà nel mondo e anche ai credenti può mancare il pane. Dio certamente non li abbandona, ma richiama la nostra coscienza e ci ordina di manifestare quella solidarietà che non deve mancare nella famiglia della fede. Se siamo generosi, “colui che fornisce al seminatore la semenza e il pane da mangiare”, fornirà e moltiplicherà la semenza nostra e accrescerà i frutti della nostra giustizia (2 Corinzi 9:10). Nella chiesa di Corinto c’erano alcuni che non “avevano nulla” e si sentivano umiliati quando, nelle agapi fraterne, altri credenti ostentavano il loro stato di benestanti. Così Paolo richiama tutti a un maggiore senso di responsabilità. Altrove, alcuni mancavano “del cibo quotidiano”, e a che serviva dire loro “Andate in pace e saziatevi” senza provvedere il necessario? “La fede, se non ha le opere, è per se stessa morta” (Giacomo 2:15-18)!

E’ domenica, il primo giorno della settimana, quello in cui il nostro Signore è risuscitato. Come facevano i primi cristiani di Troas (Atti 20:7), abbiamo il privilegio di ritrovarci insieme per “spezzare il pane” e offrire a Dio e al Signore Gesù un culto di lode e di adorazione. Quando partecipiamo alla Cena del Signore ci pare che sia Lui stesso a porgerci il pane e a dirci, come un giorno ai discepoli, “prendete, mangiatene tutti, questo è il mio corpo che è dato per voi” (Luca 22:19); quel corpo che ha preso per venire in questo mondo nel più grande abbassamento, nella rinuncia totale di Se stesso, nell’umiliazione più profonda, nell’ubbidienza fino alla morte. Sul Suo corpo “ha portato i nostri peccati, sul legno della croce” (1 Pietro 2:24). Mediante l’offerta del Suo corpo “fatta una volta per sempre” noi siamo stati santificati. Attraverso la cortina, “vale a dire la Sua carne”, ci ha aperto una via “vivente” per accedere alla presenza di Dio (Ebrei 10:10, 19-20). “Ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finch’Egli venga”. Che privilegio!

C’è il pane per il nutrimento del corpo e c’è il “pane della vita”, che è il Signore stesso per la salvezza dell’anima. Ma finché siamo in questo mondo, finché attraversiamo il “deserto”, anche il nostro spirito necessita di nutrimento; e la manna, il “pane” che veniva dal cielo per il sostentamento del popolo d’Israele nella traversata del deserto, è anche una figura della Parola di Dio. Un nutrimento che dobbiamo raccogliere giorno per giorno e assimilare per fede, per ricevere le energie spirituali necessarie al combattimento, alla santificazione, alla testimonianza; per essere istruiti, corretti, educati alla giustizia, e diventare completi e ben preparati per ogni opera buona (2 Timoteo 3:16-17).