di Giampiero Bulleri
Tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 05-2019
“Perciò io vi dico: ogni peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini; ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parli contro il Figlio dell’uomo, sarà perdonato; ma a chiunque parli contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato né in questo mondo né in quello futuro (*)” Matteo 12:31-32.
Siamo in presenza di una dichiarazione del Signore che ci potrebbe lasciare perplessi, perché segnala un peccato che non può essere perdonato, in nessun tempo; diciamo in “nessun tempo” nella convinzione che i termini “questo mondo” e “mondo futuro” si riferiscano l’uno alla nostra epoca, l’altro a tutto il tempo futuro fino alla fine del Millennio.
Se solo pensiamo al fatto che persino la trasgressione di Adamo e Eva, sicuramente gravissima, rientra, se da loro riconosciuta e confessata, in quell’immensa massa di peccati che ottiene, per grazia di Dio, il perdono, non possiamo che chiederci in cosa consista la gravità di quell’unico peccato che non può essere perdonato, che è la bestemmia contro lo Spirito Santo.
Questa colpa riguarda solo coloro che hanno rifiutato la perfetta testimonianza del Signore Gesù, in azioni e parole, durante la Sua vita sulla terra? Crediamo di no perché se il peccato contro lo Spirito Santo riguardasse solo coloro che videro e udirono il Signore, per quale motivo il Signore stesso ne ha parlato come di una colpa incancellabile di cui ci si può macchiare sia in questo tempo sia in un tempo futuro? E perché è chiamato “peccato contro lo Spirito Santo” e non contro il Figlio di Dio?
Proviamo a dare un suggerimento.
Chi è che, usando la Parola di Dio e presentandola mediante la testimonianza di semplici credenti o nelle Sue mille altre vie, convince “il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio” (Giovanni 16:8)? Non è forse lo Spirito Santo? Non è forse scritto che Noè, come tutti i santi uomini di Dio che nel passato, con la loro predicazione (1 Pietro 3:19), offrirono la salvezza, erano “sospinti dallo Spirito Santo”? (2 Pietro 1:21).
Giovanni, al cap. 5 della sua prima Lettera, dove parla della “testimonianza di Dio”, scrive: “Ed è lo Spirito che ne rende testimonianza, perché lo Spirito è verità. Poiché tre sono quelli che rendono testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue, e i tre sono concordi” (v. 6-8).
Anche nel suo Evangelo, nel noto passo del cap. 3 v. 5 e 6, leggiamo: “Se uno non è nato d’acqua e di Spirito…” e “quello che è nato dallo Spirito…”.
Si potrebbero moltiplicare le citazioni, ma queste ci sembrano chiare e definitive per farci concludere che chi convinceva i peccatori nel passato, chi li convince oggi e li convincerà in futuro, è sempre e solo lo Spirito Santo.
E dal momento che è Lui, lo Spirito Santo, che rende efficace la Parola, che offre la grazia e che “convince il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio”, perché non ritenere che quelli che, sebbene illuminati, rifiutano di credere e oppongono il loro consapevole “no”, si rendano colpevoli di un peccato, anzi dell’unico peccato che non può essere perdonato?
Nell’inferno ci saranno solo persone che hanno detto “no” alla luce dell’amore di Dio con la quale lo Spirito Santo li aveva illuminati.
E’ utile leggere anche:
– 2 Tessalonicesi 2:10. “Periscono perché non hanno aperto il cuore all’amore della verità”.
– Ebrei 10:26. “Se pecchiamo volontariamente… rimane… una terribile attesa del giudizio”.
– Ebrei 10:29. “Di quale peggior castigo, a vostro parere, sarà giudicato degno colui che avrà… disprezzato lo Spirito della grazia?”.
Se i difetti e le mancanze del predicatore (**) annullassero la potenza della Parola, che senso avrebbe che Paolo si rallegrasse che l’Evangelo era annunciato, sebbene chi lo annunciava fosse mosso da “spirito di rivalità”, non fosse sincero e volesse procurargli qualche afflizione (Filippesi 1:17 e 18)?
Abbiamo parlato di inferno. Siamo pienamente coscienti dell’immensa distanza che c’è fra il nostro modo di valutare il peccato e quello del Dio santo, e sappiamo che solo Lui ha “gli occhi troppo puri per sopportare la vista del male” (Abacuc 1:13). Ciò nonostante è bene fare alcune considerazioni serie e fondate, ma non, certo, per indicare a Dio quello che è giusto ed equo; è con timore che dobbiamo parlare di queste cose, sapendo che, pur senza volerlo, potremmo rischiare di immaginarci noi sul Trono del Giudizio per amministrare la giustizia secondo il nostro metro!
La condanna eterna è l’inferno! Oggi non si parla quasi più di inferno e la moderna teologia lo ha manipolato a suo piacere, senza alcun rispetto per le esatte parole usate da Dio, facendone solo uno spauracchio, una figura, un simbolo, e negandone la terribile realtà.
Ma nella Scrittura (Matteo 25:41 e 46, 2 Tessalonicesi 1:9, Apocalisse 20:10 e 14, Matteo 8:12), troviamo “fuoco eterno”, “punizione eterna”, “eterna rovina”, “stagno di fuoco e di zolfo”, “tenebre di fuori”; e leggiamo anche: “Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli”. Inoltre, è parlato di “pianto e stridor di denti”, di tormenti “giorno e notte, nei secoli dei secoli”, cioè per sempre.
E’ proprio il Signore Gesù che, venuto a dare la Sua vita per salvarci, parla in Marco 3:29-30 di uomini che si sono resi rei della colpa che “non ha perdono in eterno”, che sono colpevoli “di un peccato eterno”, perché, invece di credere in Lui, “dicevano: Ha uno spirito immondo”.
Noi sappiamo che sia i salvati (quelli che hanno creduto) che saranno nel cielo, sia i perduti (quelli che hanno rifiutato di credere) che saranno nell’inferno, avranno un corpo, perché gli uni e gli altri saranno stati risuscitati. Sarà, ovviamente, un corpo diverso da quello attuale, ma l’essere umano resterà formato da corpo, anima e spirito, ed è probabile – o almeno possibile – che sia proprio in considerazione delle diverse componenti del suo essere che l’inferno viene definito con termini quali stagno di fuoco, tenebre di fuori ecc… e che troviamo altre espressioni che suggeriscono l’idea di rimorso, lontananza, disperazione. E chissà se ogni scena che descrive la dannazione eterna dei perduti non abbia riferimento proprio o col corpo o con l’anima o con lo spirito.
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(*) Non si deve pensare che le parole “in questo mondo” abbiano riferimento al perdono o alla condanna dei tribunali umani (autorizzati da Dio ad applicare le leggi e quindi ad emettere sentenze che giungono fino alla massima pena, e che debbono sempre e solo condannare il colpevole, e mai perdonarlo). Le parole del nostro Signore si trovano in contesti che indicano chiaramente che si riferiscono al Suo giudizio. La vita terrena dell’uomo ha una scadenza che è la morte fisica, quella del corpo, la quale è seguita dal giudizio (Ebrei 9:27); e quel tipo di giudizio, il giudizio eterno, non è mai stato affidato agli uomini. Esso appartiene sì ad un Uomo, ma quell’Uomo è il Signore Gesù (Giovanni 5:22 e 27).
(**) Infatti dobbiamo confessare che, anche se siamo capaci di spiegare bene, a parole, il valore della morte in croce del Salvatore, dobbiamo avere la consapevolezza che coloro che odono le nostre parole tengono conto anche, e forse soprattutto, del nostro comportamento, perché chi ci ascolta vorrebbe vedere proprio in noi gli effetti della nuova vita. La nuova vita che si manifesta nella gioia della salvezza, l’amore di Dio sparso nei nostri cuori, la dedizione nel servizio, l’altruismo, la serenità nelle avversità, e tutte le altre cose che l’Evangelo promette a chi crede. Spesso, purtroppo, queste cose sono ben poco visibili in noi e, come logica conseguenza, si sarebbe tentati di concludere che chi non accetta l’Evangelo da noi annunciato abbia una buona scusa, o almeno una notevole attenuante e considerare il suo rifiuto più motivato dai difetti del messaggero che dal contenuto del messaggio. Ma non è così. Facciamo comunque molta attenzione a non dare poca importanza al nostro comportamento, perché è certamente nostra responsabilità presentare l’Evangelo contando sulla potenza dello Spirito e della Parola, ed anche sforzandoci di accompagnare la nostra predicazione con una vita veramente cristiana. Salvare è solo opera di Dio, ma noi dobbiamo lavorare “come se” dipendesse da noi!
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