Le preghiere di Mosé – (prima parte)

di André Ferrier

Percorrendo i libri dell’Esodo e dei Numeri troviamo spesso Mosè in preghiera. Altri versetti dell’Antico Testamento confermano il suo carattere di dedizione alla preghiera e all’intercessione (Salmo 99:6; Geremia 15:1). La lettura di questi libri e di questi passi è particolarmente utile per istruirci ed incoraggiarci alla preghiera.


Mosè che parla con Dio

Mentre sta guidando i figli d’Israele nel deserto, Mosè sente tutta la sua responsabilità. Assillato dagli incessanti mormorii del popolo sa dove trovare rifugio: “Entrava nella tenda di convegno per parlare con il SIGNORE, udiva la voce che gli parlava dall’alto del propiziatorio che è sull’arca della testimonianza fra i due cherubini; e il SIGNORE gli parlava” (Numeri 7:89).

Mosè godeva di una relazione particolare con Dio e parlava direttamente con Lui. “Or il SIGNORE parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla col proprio amico” (Esodo 33:11). La seconda volta che è sceso dalla montagna del Sinai “Mosè non sapeva che la pelle del suo viso era diventata tutta raggiante mentre egli parlava con il SIGNORE” (Esodo 34:29). L’Eterno stesso rende testimonianza di questa relazione che Mosè aveva con Lui: “Con lui io parlo a tu per tu, con chiarezza, … egli vede la sembianza del SIGNORE” (Numeri 12:8).

Il servizio fedele di questo “uomo di Dio” (cfr. Salmo 90), segnato da dipendenza, umiltà e autorità morale, proviene dalla sua prossimità con il suo Dio.


Mosè che prega per gli Egiziani

Condotto dall’Eterno, Mosè chiede più volte al faraone di lasciare uscire il suo popolo dall’Egitto. I vari rifiuti del re portano l’Eterno ad inviare delle “piaghe” che devastano il paese. Malgrado questi ripetuti castighi di cui soffre l’Egitto, il cuore del faraone s’indurisce ed egli persiste nel rifiuto di lasciare andare Israele. In seguito alle prime cinque piaghe, dopo un lungo tempo della pazienza divina, è l’Eterno stesso che indurisce il cuore del Faraone (Esodo 9:12; 10:20, 27).

In occasione di quattro piaghe, cioè delle rane (8:8), delle mosche velenose (8:28), della grandine (9:28) e delle cavallette (10:17), il Faraone chiede a Mosè di pregare l’Eterno perché ritiri il flagello ed ogni volta Mosè, con un atteggiamento di grazia ammirevole, implora l’Eterno (8:12), lo prega (8:30; 10:18), alza le mani verso di Lui (9:33), affinché Egli ritiri la piaga caduta sugli Egiziani. Ogni volta la sua richiesta è esaudita.


Mosè che prega per suo fratello e sua sorella

Dopo aver rotto le tavole ricevute sulla montagna una volta arrivato ai piedi del Sinai e bruciato il vitello d’oro, Mosè rimprovera suo fratello Aaronne d’aver “attirato addosso un così grande peccato” e “lasciato (il popolo) sfrenarsi” (Esodo 32:21, 25). Anni più tardi, ricordando questa circostanza, Mosè dirà: “Il SIGNORE si adirò fortemente anche contro Aaronne, al punto di volerlo far perire; io pregai in quell’occasione anche per Aaronne” (Deuteronomio 9:20). Israele ed Aaronne sono stati risparmiati dal giudizio grazie all’intercessione di Mosè anche se l’Eterno ha dovuto colpire il popolo (Esodo 32:35).

Qualche tempo dopo, Maria ed Aaronne, i più vicini a Mosè, insorgono contro il loro fratello e “parlarono contro Mosè a causa della moglie cusita che aveva presa” (Numeri 12:1). L’invidia e la gelosia li hanno portati a commettere una mancanza che attira la collera dell’Eterno contro di loro. Dio dice loro: “Il mio servo Mosè, che è fedele in tutta la mia casa. Con lui io parlo a tu per tu, con chiarezza… egli vede la sembianza del SIGNORE. Perché dunque non avete temuto di parlare contro il mio servo, contro Mosè?” (7-8). Segue il giudizio divino: Maria diventa lebbrosa (v. 10). È grave, agli occhi di Dio, parlare contro uno dei Suoi servitori.

Adesso, però, Mosè grida all’Eterno: “Guariscila, o Dio, te ne prego!” (v. 13) e l’Eterno lo esaudisce.

Mosè che prega sulla montagna

Quasi all’inizio della traversata del deserto, dopo aver bevuto alla roccia a Refidim, Israele deve combattere contro Amalec (Esodo 17:8-13). La vittoria sarà riportata perché Mosè prega sulla montagna sostenuto da Aaronne e Cur mentre Giosuè, nella pianura, guida la battaglia. L’attitudine di Mosè che alza le mani mostra l’importanza della preghiera nel combattimento spirituale. Il popolo di Dio aveva la meglio finché le mani di Mosè erano alzate, ma quando le abbassava il nemico vinceva. Il nostro avversario e la nostra vecchia natura sono sempre pronti ad agire. Impariamo a non rilassarci nel combattimento ed a pregare incessantemente (1 Tessalonicesi 5:17).

Mosè è una figura di Cristo che “intercede per noi” (Romani 8:34); “Perciò egli può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio, dal momento che vive sempre per intercedere per loro” (Ebrei 7:25).

Mosè che ricerca il pensiero di Dio

La legge divina data a Israele contiene un gran numero di ordinanze ma non prende in esame ogni caso. Nelle due circostanze che considereremo, Mosè, essendo nell’incertezza, si indirizza all’Eterno per chiederGli che cosa bisogna fare. Questo è un bell’esempio per noi. La Parola di Dio contiene molte istruzioni per il nostro cammino, ma noi ci troviamo spesso in situazioni in cui bisogna chiedere a Dio di dirigerci.

Un anno dopo l’uscita dall’Egitto, il primo mese, Israele celebra la Pasqua secondo l’ordine che Dio aveva dato, ma c’erano persone che erano impure e che non avrebbero potuto celebrarla (Numeri 9:6). Questi si rivolgono a Mosè che risponde: “Aspettate, e sentirò quello che il SIGNORE ordinerà a vostro riguardo” (Numeri 9:8). Mosè non mette in evidenza la sua saggezza, ma fa ricorso a Dio.

In risposta alla domanda del Suo servitore, Dio indica le risorse della grazia di cui questi Israeliti potevano approfittare: “La celebreranno il quattordicesimo giorno del secondo mese, … La celebreranno secondo tutte le leggi della Pasqua” (v. 11-12).

Verso la fine della traversata del deserto, le cinque figlie di Selofead si avvicinano a Mosè, al sacerdote Eleazar e ai principi e all’assemblea (Numeri 27:1-11). Esse non hanno fratelli, loro padre era morto e, temendo che la famiglia del loro padre non avrebbe posseduto nessuna eredità in Canaan, chiedono espressamente: “Dacci una proprietà in mezzo ai fratelli di nostro padre” (v. 4) mostrando in questo il loro interesse per il paese promesso da Dio.

Con umiltà, Mosè porta la loro causa davanti all’Eterno (v. 5) e Dio approva subito la richiesta che è stata fatta. Numeri 36 preciserà che questo trasferimento dell’eredità di un uomo alle sue figlie se non ha figli maschi, è vincolato da una condizione: avrebbero dovuto sposarsi nella tribù del loro padre (Numeri 36:5-7).

Teniamo a mente l’insegnamento di questi due episodi e imitiamo Mosè: in presenza di questioni delicate, guardiamoci dal rispondere in modo affrettato senza prima ricercare, per mezzo della preghiera, il pensiero del Signore (Proverbi 15:28; 18:13): “Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data” (Giacomo 1:5).

Mosè che intercede per il popolo di Dio

Adesso consideriamo, in ordine più o meno cronologico, differenti circostanze in cui Mosè intercede per Israele e vedremo che in ognuna di esse l’Eterno si lascia persuadere.

  • A Mara (Esodo 15:22-25)

Gli Israeliti hanno appena attraversato il Mar Rosso e si trovano nel deserto. Camminano per tre giorni e non trovano acqua, ma stanno per imparare a conoscere la paziente grazia di Dio. Il Nuovo Testamento ci ricorda “e per circa quarant’anni sopportò la loro condotta nel deserto” o letteralmente “li nutrì nel deserto”.

Arrivando a Mara, trovano delle acque amare e mormorano contro i loro conduttori.  Allora  Mosè “gridò al SIGNORE” (v. 25) e Dio indica al Suo servitore “un legno” da gettare nelle acque perché diventassero dolci.

Anche per noi, le acque “amare” possono diventare “dolci”: le prove più dure sono sovente una sorgente di benedizione.

  • A Refidim (Esodo 17:1-7)

Dopo essere stati meravigliosamente nutriti con la manna nel deserto di Sin (Esodo 16), i figli d’Israele si accampano a Refidim ma manca l’acqua e mormorano nuovamente contro Mosè: “Perché ci hai fatto uscire dall’Egitto per far morire di sete…?” (v. 3). Per prima cosa Mosè grida all’Eterno dicendo: “Che cosa devo fare per questo popolo? Ancora un po’, e mi lapideranno” (v. 4). Tuttavia, egli realizza una volta di più che la presenza divina è sufficiente a rispondere a tutti i bisogni del popolo. Dio gli dice: “Ecco io starò là davanti a te, sulla roccia che è in Oreb; tu colpirai la roccia: ne scaturirà dell’acqua e il popolo berrà” (v. 6). La roccia doveva essere colpita come il Signore Gesù lo è stato sulla croce perché le acque scaturissero in abbondanza. Nel Nuovo Testamento è scritto: “Questa roccia era Cristo” (1 Corinzi 10:4).

Il Signore Gesù insegna ai Suoi discepoli che coloro che credono in Lui ricevono lo Spirito Santo che sarà in loro come “fiumi d’acqua viva” (Giovanni 7:38-39).

  • Alla montagna del Sinai (Esodo 32:7-14, 30-35; Deuteronomio 9:8-21, 25-29)

Quando Mosè apprende dalla bocca di Dio che il popolo si è fatto un vitello d’oro e si prostra davanti a lui, cade sulle ginocchia e “supplicò il SIGNORE” (v. 11). È preoccupato della gloria dell’Eterno e del bene del suo popolo. Appoggiandosi sulle promesse di Dio dice: “Ricordati di Abraamo, d’Isacco e d’Israele, tuoi servi, ai quali giurasti per te stesso, dicendo loro: “Io moltiplicherò la vostra discendenza come le stelle del cielo; darò alla vostra discendenza tutto questo paese” (v. 13).

Dio si piega e risparmia il Suo popolo. “Egli parlò di sterminarli; tuttavia Mosè, suo eletto, stette sulla breccia davanti a lui per impedire all’ira sua di distruggerli” (Salmo 106:23). Ricordando questo episodio del viaggio verso Canaan, Mosè dichiara: “Il SIGNORE mi esaudì anche quella volta” (Deuteronomio 9:19).

L’indomani Mosè risale verso l’Eterno e dice: “Ahimè, questo popolo ha commesso un grande peccato … nondimeno, perdona ora il loro peccato! Se no, ti prego, cancellami dal tuo libro che hai scritto!” (Esodo 32:31-32). Mosè riconosce interamente il peccato estremamente grave del popolo e la sua richiesta manifesta la grandezza del suo amore per i colpevoli; intercede per loro contro i suoi propri interessi offrendosi come capro espiatorio! Questo, ovviamente, era impossibile perché “nessun uomo può riscattare il fratello, né pagare a Dio il prezzo del suo riscatto” (Salmo 49:7).

Mosè si prostra davanti all’Eterno per quaranta giorni e quaranta notti (Deuteronomio 9:25). Lo supplica: “Signore, DIO, non distruggere il tuo popolo, la tua eredità, che hai redento nella tua grandezza, che hai fatto uscire dall’Egitto con mano potente. Ricordati dei tuoi servi, Abraamo, Isacco e Giacobbe; non guardare alla caparbietà di questo popolo, alla sua malvagità e al suo peccato” (v. 26-27). Tremila uomini periranno sotto il giudizio di Dio (Esodo 32:28). Poi Mosè rizza una tenda fuori dal campo, ad una certa distanza e là si radunava chiunque cercava l’Eterno (33:7).

L’energia di Mosè nella sua intercessione è ammirevole. Egli dice all’Eterno: “Se la tua presenza non viene con me, non farci partire di qui” (33:15). Dio risponde: “Farò anche questo che tu chiedi, perché tu hai trovato grazia agli occhi miei, e ti conosco personalmente” (33:17).

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Tratto da Le Messager Evangélique (Edition Bibles et Littérature Chrétienne)