“Noi che abbiamo creduto, entriamo…”

di Giampiero Bulleri

Articolo tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 12-2014

 “Quelli che sono stati una volta illuminati e hanno gustato il dono celeste e sono stati fatti partecipi dello Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di Dio e le potenze del mondo futuro, e poi sono caduti, è impossibile ricondurli di nuovo al ravvedimento perché crocifiggono di nuovo per conto loro il Figlio di Dio e lo espongono a infamia” (Ebrei 6:4-6)

La Lettera agli Ebrei è stata scritta a persone che avevano creduto che il Signore Gesù era il Messia promesso da Dio. Erano pertanto dei rami “non troncati” (Romani 11:17) e continuavano nella posizione di rappresentanti di Dio fra gli uomini. Ora, però, sono chiamati a dimostrare che la loro fede in Cristo era vera e non un’adesione mentale ad una dottrina.

Così è loro detto che sono la “casa di Dio”, cioè il casato di Dio, quelli che portano il Suo Nome e che Lui riconosce, ma a condizione che ritengano ferma sino alla fine la loro franchezza e il vanto della loro speranza (Ebrei 3:6).

Viene loro ricordato che anche i loro padri erano partiti bene, ma il deserto dimostrò che “non avevano fede” o, solo per intenderci meglio, non avevano la fede che persevera, la vera fede.La Parola loro rivolta non era stata “assimilata per fede” (4:2). Non avevano “fede” per salvare l’anima; e non entrarono in Canaan a motivo della loro incredulità.

Molti Ebrei destinatari della Lettera avevano avuto grandi privilegi (probabilmente avevano assistito a dei miracoli) e vivevano in mezzo a veri credenti in Cristo fra i quali avevano avvertito la potenza dello Spirito Santo; ma se la Parola non lavora in profondità, nella coscienza, si ha solo una fede momentanea che non regge alla prova.

La parabola del Seminatore di Matteo 13 ci ricorda che si può ricevere la Parola con gioia, “però non ha radice in sé ed è di corta durata” (v. 21). Di altri è detto che “credono per un certo tempo ma, quando viene la prova, si tirano indietro” (Luca 8:13).

Io trovo nella lettera agli Ebrei non motivi di dubitare, ma di piena certezza: chi crede entra! Che dichiarazione! Nella terra promessa non entrarono quelli che erano increduli, ma quelli che credettero entrarono.

E’ bello che sia detto: “Noi non siamo di quelli che si tirano indietro a loro perdizione, ma di quelli che hanno fede per ottenere la vita (o per salvare l’anima)” (Ebrei 10:39).

Quando asseriamo che “chi crede” è salvato per l’eternità e che la nuova natura, la vita di Dio, non si può perdere (è Dio stesso che la conserva per noi) diciamo una cosa verissima; ma ci vogliono le evidenze della fede, le opere, la perseveranza, e non solo le parole, per capire se qualcuno è o no un vero credente.

Ci sono cristiani che difendono il principio della salvezza “solo per fede”, ma non manifestano nella loro vita le opere della fede, che nella Parola ne sono la logica conseguenza. Ve ne sono anche altri, purtroppo, che dicono di aver “confessato” il Signore e poi tornano indietro, come i cani che tornano al loro vomito, o come la troia lavata che torna a rotolarsi nel fango (2 Pietro 2:22). Evidentemente, purtroppo, il cane era rimasto cane e la troia era rimasta troia, anche se per un tempo si poteva pensare ad un vero cambiamento; quelle persone non erano mai veramente diventate pecore del gregge del Signore. Solo delle Sue pecore il Signore dice: “Non periranno mai e nessuno le rapirà dalla mia mano” (Giovanni 10:28).

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