di F.B. Hole
Articolo tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 2016
Il primo versetto dice: “Poiché abbiamo queste promesse, carissimi, purifichiamoci da ogni contaminazione di carne e di spirito, compiendo la nostra santificazione nel timore di Dio”. Queste parole si ricollegano alle promesse citate negli ultimi due versetti del capitolo 6, tratte da Isaia 43:5-6 e pronunciate da Dio stesso.
Se per la nostra separazione dal mondo dovessimo subire qualche perdita, faremo l’esperienza che Dio agisce verso di noi come un Padre, e gusteremo il valore e la dolcezza della relazione nella quale siamo stati posti. Avendo simili promesse, siamo esortati a purificare noi stessi e di conseguenza a compiere “la nostra santificazione nel timore di Dio”.
Notiamo che è scritto: “purifichiamoci da ogni contaminazione di carne e di spirito”. L’espressione è forte. Non esclude nulla. La nostra attenzione viene attirata sulla necessità di una purificazione da qualsiasi comunione col mondo nelle cose evidenti, e che Dio disapprova; ma che non dobbiamo accontentarci di praticare la nostra santificazione soltanto nell’ambito delle cose esteriori perché non è solo questo ciò che Dio ci chiede. La santificazione che Dio si aspetta va fino al fondo di tutto il nostro essere. Ogni corruzione della carne dev’essere evitata, e così anche qualsiasi contaminazione dello spirito.
E’ ad entrambi gli aspetti della santificazione che siamo chiamati, quella interiore e quella esteriore. La “purificazione” esteriore senza quella interiore sarebbe ipocrisia, e la “purificazione” interiore senza quella esteriore sarebbe di ben poco valore. Lot, a Sodoma, era esteriormente separato dal male in quanto non era sceso al livello così degradato degli abitanti di quella città; ma il suo livello spirituale era molto basso. Abraamo, invece, si trovava in una posizione coerente con la volontà di Dio: era separato dal male sia quanto al luogo in cui si trovava (non nella pianura, ma nei pascoli in alto) sia riguardo al suo stato interiore.
Noi tutti siamo esposti alla contaminazione del mondo, a quella della carne e a quella dello spirito. Ma quest’ultima è la più pericolosa, in quanto è la forma di peccato più “subdola”. Chiediamo a Dio l’aiuto per essere prudenti. Una santità veramente “completa” comprende tutti gli ambiti di cui abbiamo parlato, ed è nostro dovere tendere a questo.
L’apostolo Paolo aveva aperto il suo cuore ai Corinzi. Era consapevole che la frattura che avrebbe potuto aprirsi tra lui e loro era stata evitata per grazia di Dio. Gli estranei che avevano portato del turbamento e cercato di rovinare la sua reputazione avevano perso credito. Sotto l’influenza di quegli uomini, i Corinzi erano stati spinti a sottovalutare Paolo, a non amarlo più come all’inizio, ma ora le cose erano cambiate e Paolo può dir loro: “Fateci posto nei vostri cuori!” (v. 2). Essi ora riconoscevano l’integrità del suo cuore, e il suo amore verso di loro.
Paolo si identificava con loro nelle sofferenze, “per la morte o per la vita”, per vivere insieme a loro e per morire insieme a loro, e confidando sul loro affetto per lui era incoraggiato e felice. Poteva così condividere con loro l’immensa gioia che aveva provato quando aveva ricevuto notizia dell’effetto che la sua prima lettera aveva avuto su di loro.
Il v. 5 riprende il filo degli avvenimenti riportati al cap. 2 v. 13. Si potrebbe passare da un versetto all’altro come se nulla fosse scritto tra i due. Paolo aveva lasciato Troas nonostante la “porta” per il Vangelo che il Signore gli aveva aperto in quella contrada. Preoccupato per i Corinzi, era partito per la Macedonia, ma lì furono “tribolati in ogni maniera; combattimenti di fuori, timori di dentro” (7:5). Possiamo immaginare i suoi sentimenti e la sua tristezza, ma l’arrivo di Tito, che gli portava buone notizie dei Corinzi fu per lui di grande consolazione. Ora era sicuro che Dio, nella sua grande compassione, era intervenuto fra quei credenti.
La prima Lettera aveva avuto due effetti sui Corinzi: in primo luogo un pentimento sincero riguardo alle diverse forme di male che Paolo aveva denunciato, e poi anche un rinnovarsi del loro affetto per lui. Senza dubbio, c’era una stretta relazione tra i due risultati. Rendendosi conto dei loro errori comprendevano anche che i rimproveri di Paolo erano motivati e dettati dal suo amore per loro. Ecco allora che il loro amore per lui veniva rinnovato. A un certo momento, Paolo aveva quasi rimpianto di aver scritto quella lettera ma, avendo constatato i suoi effetti positivi, non poteva che rallegrarsene.
Questo passo ci mostra chiaramente cos’è un vero pentimento. Non si tratta solo di una tristezza a causa del peccato commesso, ma di una tristezza “secondo Dio”. Questa espressione “secondo Dio” compare qui tre volte (v. 9, 10, 11). Il v. 11 ci mostra ciò che il pentimento ha implicato per loro, e con quale zelo e timore si siano purificati. Un vero pentimento è “un ravvedimento che porta alla salvezza”, cioè implica la liberazione dalle cose di cui ci si pente. Una semplice tristezza dovuta al peccato commesso o provata a causa delle sue conseguenze, è ciò di cui anche il mondo è capace; questo, però, porta la morte, non la salvezza. Giuda Iscariota ne è un triste esempio.
Il risultato lo troviamo nei v. 3 e 7: “voi siete nei nostri cuori” e “la vostra premura per me”. Già non era poca cosa rimettere a posto le cose tra chi aveva fatto torto e chi l’aveva subito, ma ancor più grande è stato manifestare quell’affetto che è il frutto della natura divina della quale i credenti sono diventati partecipi (2 Pietro 1:4).
Le compassioni di Dio erano intervenute per confortare il Suo apostolo abbattuto, così come erano intervenute per produrre un pentimento secondo Dio nei cuori dei Corinzi. Dio aveva agito; ecco su cosa si fondava la consolazione e la gioia di Paolo. Ora, il modo con cui avevano accolto Tito, lo soddisfaceva al di là delle sue attese. Egli si era “un po’ vantato” di loro con Tito (v. 14), parlandone con affetto caloroso, certo dei loro sentimenti. Ed ecco che tutto era come egli aveva detto. Così, l’angoscia di Paolo si è trasformata in gioia e in profonda riconoscenza.
In tutto questo vediamo come Dio prenda piacere nel risollevare e incoraggiare i Suoi servitori provati. Colui che agiva in questo modo verso Paolo è lo stesso ancora oggi. Perché non riusciamo ad avere una piena fiducia in lui?
I Corinzi avevano ricevuto Tito “con timore e tremore” (v. 15). Avevano manifestato “ubbidienza”. La lettera di Paolo era giunta loro con l’autorità divina. In essa, egli li invitava a riconoscere che le cose che scriveva erano “comandamenti del Signore” (1 Corinzi 14:37). Essendo parola ispirata da Dio, quella lettera si era imposta alle loro coscienze e aveva richiesto la loro obbedienza. Ai giorni nostri, alcuni pretendono che non abbiamo alcun diritto di accettare un testo della Bibbia come “Parola di Dio” a meno che questo non venga autenticato da un’autorità ecclesiastica. Niente di più lontano dalla verità! Non era così all’inizio e non lo dev’essere oggi. La parola di Dio si autentica da sola nei cuori e nelle coscienze di coloro che sono nati da Lui.
L’ubbidienza dei Corinzi alla parola del Signore faceva sì che Paolo potesse avere fiducia in loro; ecco perché poteva dire con gioia: “Mi rallegro perché in ogni cosa posso avere fiducia in voi” (v. 16). Stava forse esagerando? No! Era l’espressione di un giudizio equilibrato. I credenti possono incorrere in serie cadute ed essere rimproverati per diversi motivi ma, se riconoscono la voce di Dio nella Sua Parola e si sottomettono alle Sue istruzioni, non c’è nulla da temere. Non è che i Corinzi tremassero di fronte a Tito, o che il timore di Paolo pesasse su di loro a causa delle sue lettere “severe e forti”. La realtà è che tremavano davanti alla Parola di Dio.
Che possiamo dire di noi? Ai nostri giorni molti mancano di rispetto per la Parola di Dio. Troppo spesso la Bibbia viene considerata come un documento che dev’essere sottoposto a critica. In molti ambienti cristiani certi racconti della Bibbia sono ritenuti dei “miti” e molti insegnamenti come non più rispondenti ai bisogni dei credenti di oggi. Facciamo attenzione a non farci prendere da questo modo di pensare! Potrebbe, Paolo, avere di noi la stessa fiducia che riponeva nei Corinzi? Siamo sottomessi e ubbidienti alla Parola di Dio?
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