John Nelson Darby – Il Dispensatore, 1888
Estratto di una lettera
Cara Signora,
Ho ricevuto la Sua lettera, e non dubito per niente dell’attività, sia del nemico, sia del Suo cattivo cuore. Ciò che Le abbisogna è una piena liberazione di Lei stessa, cioè della carne.
Lei mi parla di pensieri malvagi, involontari e che odia, i quali nascono nel Suo cuore quando cessa di occuparsi del Signore, ed anche mentre in realtà pensa a Lui. Allora si ferma per confessarli, e la preoccupazione stessa della confessione non fa che provocare un nuovo cattivo pensiero, e ciò, come Lei dice, diventa una lotta senza fine.
Mi pare che non abbia ancor goduto d’una completa liberazione di Lei stessa e della carne, e che, quantunque credente, Lei sia ancora ciò che la Scrittura chiama «nella carne». Credo che se la Sua anima fosse affrancata, farebbe l’esperienza di questa semplice, ma profonda verità: «Fate conto di essere morti al peccato…» (Romani 6:11); e questa verità agirebbe in modo che l’idea di fermarsi per confessare i malvagi pensieri involontari della Sua anima, sarebbe giudicata come essendo, in vero, un trionfo accordato alla carne, poiché La conduce ad occuparsi di essa.
Quando la Sua volontà non c’entra per nulla, deve lasciare tali pensieri, sdegnarli e trattarli come il «non sono più io». Certamente che se la Sua anima non è affrancata, Lei non può agire in tal modo; ma se Lei godesse d’una piena libertà, simili cose non La farebbero soffrire. Tutto ciò che posso dirLe è questo: allorché dei malvagi pensieri, involontari, e da Lei odiati, si presentano all’anima Sua, non si lasci distogliere dall’occuparsi del Signore, per confessarli. Se la Sua volontà c’entra per qualche cosa, bisogna confessarli; ma se non è il caso, li schivi come farebbe per evitare una persona che sa essere incorreggibile, il più leggero contatto con la quale non può produrre che miseria e contaminazione. «Schivateli e non immischiatevi con essi», ma li lasci dove sono senza darvi alcun pensiero. Il riconoscerli, anche nella più piccola misura, equivale dare alla carne il posto che cerca — equivale a riconoscerla d’un modo o d’un altro, e quand’anche non sia che per odiarne gli effetti, per essa è una soddisfazione.
Oh! Che Le sia accordata la grazia di lasciare «la carne» non riconosciuta e sconfessata, e di proseguire il Suo cammino sapendo ch’essa è sempre là e che sarà in Lei sino alla fine. Quale benedizione per noi di potere, per la grazia, sconfessare, rifiutare di ascoltare le suggestioni della carne, quand’essa opera, sapendo per grazia ch’essa non è più «io»! Il Suo caso, quanto ai pensieri malvagi, involontari ed odiati, è stato ed è ancor quello della maggior parte dei figli di Dio, se non di tutti. Vada avanti senza occuparsi minimamente di tali pensieri; poiché, lo ripeto, occupandosene, Lei da alla carne il posto che cerca. Cammini come se Lei non sentisse le sue suggestioni, come se fosse sorda; li confessi a Dio quando la Sua volontà è in azione, ma lo faccia senza voler analizzare il male. Riguardi piuttosto a Dio, con il cuore ripieno del sentimento della Sua debolezza e della Sua incapacità; ed in un’attitudine di sottomissione, continui il Suo cammino guardando a Colui dal quale procede la forza, ogniqualvolta l’anima è conscia della sua debolezza.
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