Sacerdote secondo l’ordine di Melchisedec

di J. A. Monard

Edizioni Il Messaggero Cristiano

Numerosi Salmi ci presentano il Messia come il re che deve stabilire l’autorità di Dio sulla terra. Lo vediamo già nel Salmo 2: “Ho stabilito il mio re sopra Sion… Chiedimi, ti darò in eredità le nazioni e in possesso le estremità della terra” (v. 6, 8). Il Salmo 110, invece, è l’unico che ci annuncia il Cristo nella funzione di sacerdote. “Il SIGNORE ha giurato e non si pentirà: Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec” (v. 4). E’ anche in questo modo che il profeta Zaccaria presenta il Messia: “Ecco un uomo che si chiama il Germoglio…; egli costruirà il tempio del SIGNORE, riceverà gloria, si siederà e dominerà sul suo trono, sarà sacerdote sul suo trono” (6:12, 13).

Il sacerdozio fu istituito in Israele quando venne data la Legge. Le due cose erano intimamente legate. Aronne, per primo, è stato unto come sacerdote, poi i suoi discendenti che hanno ereditato il privilegio della sua alta funzione, soprattutto quella di offrire sacrifici a Dio, prima per se stessi, poi per il popolo. Il sommo sacerdote era il capo spirituale d’Israele; rappresentava il popolo davanti all’Eterno e l’Eterno davanti al popolo. Aronne stesso è chiamato “il sommo sacerdote” (Esdra 7:5).

Il Salmo 110 annuncia profeticamente l’introduzione di un altro ordine di sacerdozio il cui carattere si trova in Genesi, molto prima dell’istituzione del sacerdozio levitico. Ed è con un  giuramento (“Il SIGNORE ha giurato e non si pentirà…”) che Dio conferisce al Re secondo il suo cuore questa dignità supplementare.

Melchisedec, che vediamo comparire per un breve momento nella storia di Abraamo, in Genesi 14:18-21, riuniva le funzioni di re e di sacerdote. Il suo nome significa “re di giustizia”, ed egli era “re di Salem” (o di Gerusalemme) il che significa “re di pace”. Era inoltre “sacerdote del Dio Altissimo”. Sappiamo molto poco di quest’uomo eminente, la cui ascendenza e discendenza sono volutamente taciute. La Scrittura “rende testimonianza che vive”, che si trova lì al momento opportuno per compiere verso Abraamo il suo servizio di benedizione.

La Lettera agli Ebrei, che ha come scopo principale quello di staccare i cristiani giudei dal sistema della Legge, mette in evidenza i contrasti tra le benedizioni della fede in Cristo e gli elementi del giudaismo. Questi non erano altro che figure delle cose di gran lunga migliori che Cristo avrebbe introdotto. L’autore della Lettera, che avrebbe avuto molto da dire riguardo a Melchisedec (5:11), dedica tutto il capitolo 7 a questo argomento. Egli parla della storia di Abraamo “mentre ritornava dopo aver sconfitto dei re” (v. 1), e questo orienta subito  i nostri pensieri sul tempo futuro in cui Cristo assumerà il Suo grande potere ed entrerà nel Suo regno. Melchisedec è una figura così sorprendente di Cristo tanto che è detto di lui che è “simile… al Figlio di Dio” (v. 3). Era chiaramente più grande di Abraamo, poiché Abraamo gli ha dato la decima (v. 4); inoltre, è lui che ha benedetto il patriarca e, “senza contraddizione, è l’inferiore che è benedetto dal superiore” (v. 7). L’assenza di una qualsiasi genealogia, che preceda o segua Melchisedec, ci fornisce il quadro di “un sacerdozio che non si trasmette” (v. 24). Chi  riveste quest’incarico “rimane sacerdote in eterno” (v. 3), come dice il Salmo: “Tu sei Sacerdote in eterno”. Contrariamente ad Aronne, Cristo “diventa tale non per disposizione di una legge dalle prescrizioni carnali, ma in virtù della potenza di una vita indistruttibile” (v. 16).

E’ chiaro che la realizzazione completa di questa figura è riservata a un tempo futuro, al tempo in cui i nemici di Cristo saranno posti sotto i Suoi piedi e quando il “Germoglio… dominerà sul suo trono” (Zaccaria 6:13). Ma la Lettera agli Ebrei ha cura di dirci che possediamo già ora un “sommo sacerdote come quello, santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori ed elevato al di sopra dei cieli” (v. 26). La gloria della Sua persona e il valore della Sua funzione di sacerdote sono già ora ciò di cui Melchisedec è la figura. Perciò “egli può salvare perfettamente”, ossia fino al compimento, “quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio, dal momento che vive sempre per intercedere per loro” (v. 25).

Nonostante tutte le infermità che ci caratterizzano e i tanti passi falsi, grazie a Lui raggiungeremo certamente lo scopo verso il quale camminiamo. Ci ha aperto l’accesso a Dio, per mezzo Suo ci avviciniamo a Dio con una piena libertà (Ebrei 10:19), e Lui, quale sommo sacerdote misericordioso e fedele, simpatizza con noi e soccorre quelli che sono tentati (2:17, 18; 4:14, 15).

Il sacerdozio secondo l’ordine di Aronne conteneva già alcuni elementi raffiguranti il servizio del nostro ”grande sommo sacerdote”, ma la Lettera agli Ebrei mette soprattutto in evidenza i contrasti tra i due ordini di sacerdozio.

Melchisedec e Abraamo

Soffermiamoci ancora un momento sull’intervento di Melchisedec presso Abraamo, in Genesi 14:18-21.

Il patriarca, con i suoi trecentodiciotto uomini, è reduce da una vittoria contro una coalizione di re, ed è in cammino per riportare al re di Sodoma i prigionieri e il bottino ricuperato. Non sa che ad attenderlo c’è una tentazione particolare: il re di Sodoma, in segno di riconoscenza per il servizio reso, gli dirà: “Dammi le persone; i beni prendili per te” (Genesi 14:21). Abraamo si lascerà arricchire dal re di Sodoma, re di una città corrotta su cui presto cadranno dal cielo fuoco e zolfo?

Proprio prima di quel pericoloso incontro interviene Melchisedec che compie il suo servizio. Innanzi tutto, fa portare pane e vino alla truppa affaticata. In seguito, benedice Abraamo da parte del Dio Altissimo, padrone dei cieli e della terra e benedice Dio per la vittoria concessa ad Abraamo. Il patriarca gli dà la decima di ogni cosa, poi Melchisedec scompare dalla storia e dalle Scritture, fino al Salmo che stiamo considerando.

Per mezzo di Melchisedec, Abraamo ha appena ricevuto una nuova rivelazione da Dio. Quel Dio che egli conosce già da molto tempo, e la cui benedizione gli è stata più volte assicurata, è il Dio Altissimo, padrone di tutto. Sarà quel Dio ad arricchirlo, e nessun altro! E quando, un momento dopo, gli verrà fatta l’offerta generosa del re di Sodoma, Abraamo saprà rispondere risolutamente: “Ho alzato la mia mano al SIGNORE, il Dio Altissimo, padrone dei cieli e della terra, giurando che non avrei preso neppure un filo, né un laccio di sandalo, di tutto ciò che ti appartiene; perché tu non abbia a dire: Io ho arricchito Abraamo” (v. 22, 23).

Che esempio per noi! Ma piuttosto, che esempio del servizio del nostro Sommo Sacerdote, che, sapendo a quali tentazioni siamo esposti, ci fortifica perché ne risultiamo vittoriosi!

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