Articolo tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 06-2020
di L. Bourgeois
“Tu dunque, figlio mio, fortificati nella grazia che è in Cristo Gesù, e le cose che hai udite da me in presenza di molti testimoni, affidale a uomini fedeli, che siano capaci di insegnarle anche ad altri. Sopporta anche tu le sofferenze, come un buon soldato di Cristo Gesù. Uno che va alla guerra non s’immischia in faccende della vita civile, se vuol piacere a colui che lo ha arruolato. Allo stesso modo quando uno lotta come atleta non riceve la corona, se non ha lottato secondo le regole. Il lavoratore che fatica dev’essere il primo ad avere la sua parte dei frutti” (2 Timoteo 2:1-6).
La seconda Lettera di Paolo a Timoteo è piena di incoraggiamenti dati a quel giovane fratello in vista del suo impegno nel servizio per il Signore e delle difficoltà che avrebbe potuto incontrare. Al secondo capitolo troviamo un’immagine di quello che è il servizio cristiano.
Il primo paragrafo di questo capitolo ci mostra una progressione. Per prima cosa ci viene indicata la risorsa suprema per ogni servizio: la forza che proviene dal Signore. “Tu dunque, figlio mio, fortificati nella grazia che è in Cristo Gesù” (2 Timoteo 2:1).
Subito dopo viene la responsabilità: la verità (la parola di Dio) dev’essere conosciuta e trasmessa con precisione. “Le cose che hai udite da me in presenza di molti testimoni, affidale a uomini fedeli, che siano capaci d’insegnarle anche ad altri” (2 Timoteo 2:1-2). Sebbene qui si tratti di una missione affidata a Timoteo, questo passo sottolinea anche il nostro dovere di trasmettere fedelmente i principi che abbiamo ricevuto e dei quali abbiamo acquisito la certezza.
Paolo, infine, usa tre immagini: il soldato, l’atleta e il contadino, per parlarci dei caratteri di chi s’impegna nel servizio per il Signore; le loro motivazioni servono per incoraggiarci ad essere fedeli.
Il soldato
“Sopporta anche tu le sofferenze, come un buon soldato di Cristo Gesù” (2 Timoteo 2:3).
La sofferenza non è mai uno scopo che Dio ci pone davanti, ma piuttosto una conseguenza. Soffriamo perché l’ambiente che ci circonda è difficile, e lo diventa sempre di più. La nostra sofferenza non è provocata solo dal mondo ma, a volte, anche dai credenti stessi. La sofferenza potrebbe farci indietreggiare e spingerci a nascondere il nostro talento sottoterra come il servo di Matteo 2518, dicendo: “A che scopo impegnarmi in un servizio che mi farà soffrire tanto?”
“Uno che va alla guerra non s’immischia in faccende della vita civile, se vuol piacere a colui che lo ha arruolato” (2 Timoteo 2:4). Il soldato è arruolato e questo implica fedeltà e anche rinunce.
Se faccio il soldato, arruolato nell’esercito nel corso di una guerra, devo rinunciare ad essere padrone della mia vita. Non posso avanzare pretese. Il dovere di chi va alla guerra è di piacere a chi l’ha arruolato senza essere distratto dalle cose della vita.
A chi vogliamo piacere noi? Al Signore che ci ha arruolati o a noi stessi? “Non si possono servire due padroni”, ci ricorda il Signore (Matteo 6:24). Dovremo forse patire qualche svantaggio materiale, ma non rimpiangeremo mai di aver servito un Padrone tanto buono e dolce.
La ricompensa del soldato
La ricompensa del soldato dipende dal suo rapporto con “colui che l’ha arruolato”. A quel tempo, i mercenari combattevano solo per averne un guadagno, ma il credente “combatte”perché è legato ad una Persona: questo è l’aspetto più elevato. È già una ricompensa molto particolare piacere al Signore e lavorare per Lui, una soddisfazione personale (Apocalisse 2:17).
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L’atleta
“Allo stesso modo quando uno lotta come atleta non riceve la corona, se non ha lottato secondo le regole” (2 Timoteo 2:5).
Anche l’atleta deve ubbidire a delle regole; e così è anche per servire il Signore: occorre un’obbedienza attenta alla Sua volontà e agli insegnamenti della Parola.
C’è dunque un regolamento da rispettare se si vuole raggiungere lo scopo. Per un atleta, ad esempio, fare uso di sostanze dopanti non è assolutamente permesso. Se pensiamo che non importa il mezzo che usiamo, pur di raggiungere lo scopo e portare a termine il servizio che ci è affidato, questo versetto ci ricorda che il mezzo è importante agli occhi di Dio. Non basta fare qualche cosa “per” il Signore, bisogna farlo “con” il Signore, che non si aspetta da noi dei colpi maestri, ma un’umile e gioiosa sottomissione.
La domanda “Signore, che devo fare?” che Saulo ha fatto al Signore al momento della sua conversione (Atti 22:10) è molto importante, ma altrettanto importante è “come devo farlo”. Il Signore è per noi un esempio perfetto: “Non quello che io voglio, ma quello che tu vuoi” (Marco 14:36), e anche: “Non come voglio io, ma come vuoi tu” (Matteo 26:39).
La ricompensa dell’atleta
Riguardo all’atleta, il suo scopo è vincere il premio; lo motiva l’onore di “riceve la corona”. La corona d’alloro distingueva e onorava i vincitori quando la corsa era terminata. La nostra ricompensa ci sarà data dal Signore ed è di gran lunga preferibile alle ricompense terrene (Matteo 6:2).
L’agricoltore
“Il lavoratore che fatica dev’essere il primo ad avere la sua parte dei frutti” (2 Timoteo 2:6).
L’agricoltore è caratterizzato dalla pazienza e dalla perseveranza. Per raggiungere lo scopo del suo lavoro deve faticare molto, ma lo motiva la prospettiva della raccolta dei frutti.
Anche per noi, un lavoro faticoso che ci pare che non porti subito alcun risultato potrebbe scoraggiarci. Ma non dev’essere così; per prima cosa perché i frutti appartengono al Signore ed è Lui che li deve raccogliere, poi perché c’è la promessa che anche l’agricoltore avrà la sua parte, la la sua ricompensa. Colui che ha arato, poi seminato, parteciperà alla raccolta e prenderà parte alla gioia della mietitura, “affinché il seminatore ed il mietitore si rallegrino insieme” (Giovanni 4:36).
Conclusione
Per realizzare questi tre caratteri, quello del soldato, dell’atleta e dell’agricoltore, abbiamo bisogno della grazia di Dio: “Tu dunque, figlio mio, fortificati nella grazia che è in Cristo Gesù” (2 Timoteo 2:1). Fortificarsi per riuscire a soffrire come i soldati in guerra, per gareggiare secondo le regole come dei veri atleti, per avere la pazienza degli agricoltori. E’ questo il principio della grazia: ricevere dal Signore, per grazia, quello che non abbiamo in noi.
Stefano, mentre lo lapidavano, ha visto il Signore e, nella sofferenza, questo gli ha dato la forza (Atti 7:55). Così ha sopportato le sofferenze con uno spirito di grazia senza pronunciare una sola parola contro i suoi nemici.
Paolo ha rispettato le regole e non ha preso scorciatoie; ha affrontato i problemi, sia nel mondo che nella Chiesa, senza schivare le difficoltà. Nello svolgere la sua opera per il Signore, aveva in vista il giorno delle ricompense, “la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice” gli avrebbe assegnato in quel giorno” (2 Timoteo 4:8). Egli confidava in Lui quanto ai risultati e diceva: “So in chi ho creduto, e sono convinto che egli ha il potere di custodire il mio deposito fino a quel giorno“ (2 Timoteo 1:12).
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