Sulla parabola del buon samaritano

di Mattia Chianura

Vangelo secondo Luca 10:25-37 – La circostanza e la parabola del buon samaritano
 
Ci sono molte cose che si possono imparare da questo passo, di vario genere, tutte molto importanti per la vita del credente.
 
Indice:
 

Le Sacre Scritture

La domanda che il dottore della legge porge è delle più nobili: “Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?”. Il suo sentimento però non lo è. Il Signore non risponde in maniera diretta come invece fa con il giovane ricco, indicando alla fine che, per avere la vita eterna, bisogna seguirlo (Luca 18:22). Egli risponde con un’altra domanda, altrettanto importante. Il Signore Gesù rimanda subito alle Sacre Scritture, che per noi oggi sono l’intera Parola di Dio. Notiamo come il Signore presuppone che i suoi interlocutori le conoscano. Talvolta il Signore potrebbe dirci: “Mi poni delle domande, ma le risposte te le ho già date nella mia Parola”. Com’è importante anche per noi conoscerla, per poi viverla, per farci da essa guidare in tutta la nostra vita. parabolaChe il Signore non debba mai dirci, come ha detto ai Sadducei: “Voi errate perché non conoscete le scritture” (Matteo 22:29)! Bensì ci sia nei nostri cuori questo sentimento: “Oh, quanto amo la tua legge! È la mia meditazione di tutto il giorno. […] La tua Parola è una lampada al mio piede, una luce sul mio sentiero” (Salmi 119:97,105). Il divino Maestro ha anche detto: “Il cielo e la Terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” e “è più facile che passino cielo e terra, anziché cada un solo apice della legge” (Marco 13:31; Luca 16:17). Abbiamo nelle nostre mani qualcosa di una preziosità enorme, stimiamola nella giusta abbondante misura.

“I gran comandamenti”

La risposta del dottore della legge comprende delle parole provenienti dalla Legge di Mosè. Nella Bibbia non compaiono solo nel Pentateuco, ma anche nei vangeli di Matteo, Marco e Luca e in alcune epistole (Romani 13:9; Galati 5:14; Giacomo 2:8). Tutta la Parola di Dio afferma che chi vuole essere timorato di Dio, un suo servo fedele, deve amare Dio con tutto se stesso e il prossimo come se stesso. Chi porta il nome di Cristo non può prescindere da questo. E se l’amore per Dio a volte è difficilmente visibile, quello per il prossimo, che d’altronde riflette l’amore per Dio, può esserlo (1 Giovanni 4:12,20). Noi, che ora siamo figli di Dio, dobbiamo manifestare questo amore. L’amore per il prossimo è caratterizzante per un credente. Il Signore Gesù stesso lo insegna con forza tramite le Sue parole e il Suo esempio. L’amore non è solo un’emozione, come il mondo vorrebbe insegnare. Assolutamente non vuoto di sentimenti, esso è una volontà che spinge ad agire per il bene della persona amata. L’amore è un’azione. La Bibbia lo descrive certamente meglio delle nostre parole: “L’amore è paziente, è benevolo; l’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male, non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa” (1 Corinzi 13:4-6). “…chi ama ha adempiuto la legge… L’amore non fa nessun male al prossimo; l’amore quindi è l’adempimento della legge” (Romani 13:8,10).
Con la lampada al nostro piede possiamo scoprire anche cosa non dobbiamo amare, come ad esempio il mondo (1 Giovanni 2:15) e il denaro (1 Timoteo 6:10). Nel passo in esame invece ci sono poste davanti le giuste direzioni dell’amore: Dio e il prossimo.

Il punto della parabola

Alla sua domanda giustificatoria (nessuno lo aveva accusato, se non forse la sua stessa coscienza) il dottore della legge ricevette in risposta la parabola (una storia ideata a scopo istruttivo) del buon samaritano, una storia che il Signore concepì per insegnargli qualcosa. Egli aveva chiesto chi fosse il suo prossimo, cioè chi avrebbe dovuto amare. Il Signore Gesù rispondendo dice e ci lascia nella Bibbia molto di più. Non abbiamo qui solo chi dobbiamo amare, ma anche come dobbiamo farlo, ed altri preziosi insegnamenti. Ma prima, in breve, esponiamo il significato della parabola e l’uso che il Signore ne ha fatto in quel contesto.
 
Approcciando questa parabola, come sempre, è fondamentale guardare il contesto di essa, scritturale e storico, e interrogarsi, prima di tutto, sul messaggio che il Signore voleva comunicare. Cosa voleva Egli dire al dottore della legge e a chi udiva?
Dunque, qual è la ragione della parabola? E a quale scopo il Signore la concepì? Il Signore ben conosceva il cuore del fariseo. Egli sapeva che lo aveva interrogato solo “per metterlo alla prova” e che la domanda “e chi è il mio prossimo?” era evasiva. In altre parole, con questa seconda domanda il dottore della legge (un teologo preparatissimo diremmo oggi, che infatti era riuscito nell’impresa di riassumere la Legge similmente a come il Signore stesso fece in Matteo 22:36-39), mostrò indifferenza verso il peso di quei comandamenti, o forse, ancor di più, una qualche pretesa di giustizia. Ben lungi dal tenere a mente le parole del profeta Isaia “Tutti quanti siamo diventati come l’uomo impuro, tutta la nostra giustizia come un abito sporco” (Isaia 64:6), è come se avesse voluto dire: “certo, io vivo e amo in questa maniera, a meno che tu non voglia ridefinire chi sia il mio prossimo! Allora in quel caso forse no!”.
Ad ogni modo, non serviva necessariamente leggere nel cuore del dottore della legge. Con le sue parole egli mostrava che di Gesù pensava solo che fosse un Maestro (da confrontare, ad esempio, cosa invece pensarono Giovanni il Battista, Andrea fratello di Pietro e Natanaele in Giovanni 1:29,41,49) e della vita eterna qualcosa che si può ottenere facendo qualcosa. Il dottore della legge aveva proprio bisogno del vangelo. Aveva bisogno di essere evangelizzato! Così il Signore, con compassione e pazienza intraprende quest’opera di evangelizzazione personale che ci è preziosamente riportata. Con le Sue parole senza tempo, non solo Egli evidenziò chi sarebbe il prossimo del dottore della legge, ma descrisse anche come manifestare l’amore per il prossimo che la perfezione di Dio richiede.
 
Ad una prima e decontestualizzata lettura potrebbe sembrare che il Signore stesse insegnando che la salvezza si ottiene tramite l’ubbidienza alla Legge. Il punto è esattamente l’opposto ed è proprio quello che il Signore vuole cercare di far comprendere. Dio non ha mai pensato che la salvezza fosse ottenibile tramite la Legge che fu data, fra l’altro, a Israele, un popolo disubbidiente e “di collo duro”. La Legge non fu istituita per salvare dal peccato e dalla sua condanna, bensì per far acquistare la consapevolezza dell’esistenza del peccato e quindi guardare al Salvatore. Lo scopo della Legge è mostrare all’uomo la sua colpevolezza e la sua condizione corrotta di peccatore, come la Scrittura insegna nei seguenti due passaggi.
Romani 3:20: “perché mediante le opere della legge nessuno sarà giustificato davanti a lui; infatti la legge dà la conoscenza del peccato”. Galati 2:16; 3:24: “sappiamo che l’uomo non è giustificato per le opere della legge, ma soltanto per mezzo della fede in Cristo Gesù […] Così la legge è stata come un precettore [tutore] per condurci a Cristo, affinché noi fossimo giustificati per fede.
Così, ritornando al nostro passo, un’illustrazione del vero amore che quel comandamento richiede, avrebbe dovuto convincere di peccato il dottore della legge. Vediamolo.
 
Il samaritano (Luca 10:30-35) non ha guardato a chi fosse l’uomo nel bisogno, ma ha agito in grazia, senza pregiudizi e senza aspettarsi nulla dall’altra parte. Il sacerdote e il Levita che passavano di lì per caso, avrebbero avuto il tempo di aiutare la vittima dei briganti, ma non lo hanno fatto. Il samaritano invece era in viaggio, ma avendone avuto pietà, non si è risparmiato dall’usare del proprio tempo, dal ritardare di un giorno il suo viaggio pur di essere d’aiuto. Un’importante lezione per dei figli di Dio che vivono in un mondo sempre più all’insegna dell’egoismo, della frenesia e della mancanza di tempo! Egli ha utilizzato anche il proprio olio e il proprio vino, che certamente a quel tempo erano beni più preziosi di adesso, per curare le sue ferite. Quale carità, quale accortezza. E tutto questo con la potenziale minaccia di altri rischi su quella strada notoriamente pericolosa a quel tempo. Ma non finisce qui. Ponendo il poveretto sulla cavalcatura al suo posto ha anche dovuto faticare fisicamente per lui, dovendo egli stesso procedere a piedi. Giunto in un luogo con altra gente non ha abbandonato la vittima al caso. Il samaritano ha investito anche dei suoi averi personali e del suo denaro per aiutare il prossimo. Affidandolo all’oste fino al suo ritorno si è dato anche pensiero per lui. Avrebbe pensato a lui nei giorni che lo separavano dal suo ritorno. E se n’è occupato fino al punto di dire all’oste: “Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno“. Chi direbbe ad un albergatore: “Spendi tutto il necessario per lui, al mio ritorno ti pagherò”? Questo è un amore generoso e davvero altruista. È proprio questo il punto. Una generosità incredibile per un perfetto sconosciuto, per giunta nemico e che probabilmente, avendolo incontrato in normali circostanze avrebbe mostrato disprezzo e inimicizia per il suo soccorritore. Questo è amare il prossimo. Questo è quello che uno farebbe per sé, non è vero?  Così ora la domanda diventa: “fai questo sempre?” A questo punto il dottore della legge come il lettore avrebbe dovuto pensare: “ma io amo così sempre? Ma io ho fatto così almeno qualche volta per qualcuno altro? Forse nemmeno una volta io ho amato così!”
 
Questa storia mostra la completa inadeguatezza dell’uomo che l’ha interrogato e di tutti noi davanti al comandamento (e in generale alla Legge), perché nessuno ama cosi. È evangelismo al primo stadio: la brutta notizia. Quando il Vangelo è proclamato l’uomo è subito posto di fronte al suo stato di perdizione, al quale segue la buona notizia del Salvatore: chi è perduto, se crede, può essere salvato grazie all’opera di Cristo alla croce. Questo è l’amore che bisogna adempiere e che noi non adempiamo. La Legge ha dunque mostrato che siamo colpevoli e che dobbiamo ricorrere a Dio. Questo avrebbe dovuto fare il dottore della legge e avrebbe ottenuto misericordia e perdono.
 
Ecco perché le affermazioni di Gesù “Fa’ questo, e vivrai” al v.28 e “Va’, e fa’ anche tu la stessa cosa” al v. 37 avevano carattere ipotetico e sicuramente stimolatore. Notare come il Signore con grazia e pazienza ha istruito il fariseo prima di rimetterlo nuovamente davanti all’impossibile invito. Se questo uso della Legge avesse ottenuto l’effetto desiderato, il dottore della legge avrebbe dovuto esclamare: “Se questo è ciò che la santità di Dio giustamente esige, allora sono perduto, non ho speranza! Non ho mai amato nessuno in questo modo, neanche le persone a me vicine.  Amo solo me stesso in questo modo. Maestro, abbi pietà di me e dimmi come ne posso uscire”. Avrebbe avuto la stessa reazione del pubblicano di Luca 18:13 che “non osava neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: ‘O Dio, abbi pietà di me, peccatore!’”. Sicuramente il Signore gli avrebbe mostrato che Lui era molto più che un Maestro e ciò che Lui avrebbe fatto per salvarlo da quella misera condizione.
 
Non sappiamo la reazione alle ultime parole del Signore, ma non sembra che sia andata così, perché il Signore non lo congeda, come fa in altri casi, con parole nelle quali sono menzionate la fede e la salvezza del suo interlocutore. Il testo riprende con un nuovo episodio, quasi a mostrare che, se il cuore non è convinto di peccato ricevendo la prima brutta notizia a proposito del proprio miserabile stato di peccato e colpevolezza davanti a Dio, non ha senso parlare della successiva buona novella, ovvero il Vangelo, la salvezza da quella terribile condizione. E tu caro lettore? A che punto sei nell’accettazione della prima notizia? Vedi la tua indegnità davanti a Dio? La sua Legge perfetta, che rispecchia la sua santità, ti ha convinto e condotto al Salvatore Gesù Cristo? Se no, oggi è il giorno della salvezza. Ricevila ammirando nelle righe che seguono il Suo amore per te! Se invece stai pensando che queste cose le conosci da tanto tempo, rifletti. Con quale freschezza vivi la grazia di quello che confessi essere il tuo Salvatore? Dov’è l’entusiasmo del perdono e dell’accettazione alla presenza di Dio Padre? Dove sono le manifestazioni del primo amore?  Qual è il progresso che hai fatto nel conoscere sempre più intimamente questa grazia? La tua vita è un “sacrificio vivente, santo, gradito a Dio” (Romani 12:1)? Le tue labbra offrono continuamente “un sacrificio di lode confessando il suo nome (Ebrei 13:16)? Stai crescendo “nella grazia e nella conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo” (2 Pietro 3:18)?
Forse riguardare la storia che il Signore ha raccontato, notando che ci ha voluto lasciare anche altre perle preziose, ti desterà. Forse scorgere la Sua figura nel Buon Samaritano e il suo amore per noi ti riscalderà il cuore.

L’amore di Cristo

Ad un occhio attento, questa parabola offre facilmente un altro piano di lettura, quello dell’amore di Cristo per noi. È come se in questa storia, oltre al messaggio che voleva trasmettere al dottore della legge, il Signore ci abbia voluto lasciare l’esempio di colui che ha amato perfettamente. Lui stesso, il Buon Samaritano. Infatti, se vi è qualcuno che può alzare la mano e dire di avere amato così è proprio e soltanto il Signore Gesù Cristo. Si riscaldi il nostro cuore davanti alla Sua perfezione! Solo nell’eccelso esempio di Gesù Cristo possiamo vedere l’adempimento perfetto della Legge e di questi grandi comandamenti. Nessuno ha amato così tranne che Cristo. Mentre contempliamo questo amore, che la nostra posizione sia quella di adoratori; adoratori che lo vogliono seguire e imitare.
Nell’uomo che scende da Gerusalemme a Gerico possiamo vedere l’uomo naturale nel proprio stato di peccato. Egli scende in un inesorabile allontanamento da Dio. E si trova ad essere mezzo morto. Benché appaia vivo, svolgendo la propria vita quotidiana è destinato alla morte e alla perdizione. Gli passano di fianco un sacerdote e un Levita, nei quali scorgiamo l’inadeguatezza della Legge in forma di precetti, che seppure comandava di amare il prossimo, non forniva la capacità di farlo. Essa richiede la giusta condotta da chi non ha le giuste motivazioni e facoltà. Scorgiamo ancora il vuoto e l’incapacità della religione, in qualsiasi forma essa si ponga. Essa vorrebbe proporre qualcosa che l’uomo potrebbe fare per Dio. Ciò però è semplice formalismo, azioni che non provengono da un cuore nuovo e quindi inadeguate. Ci lasciano quali siamo: mezzi morti! Il sacerdote e il Levita passano di lì per caso, non hanno alcuna utilità. Come già anticipato, nel Buon Samaritano vediamo chiaramente il Signore Gesù, umile straniero disceso dal cielo e disprezzato dagli uomini (Isaia 53:1-3), che ci ha visto, ha avuto pietà di noi, e ci è venuto incontro, perché ci ama. Nell’amare dei nemici il Signore mostra che la definizione di chi è il mio prossimo non ha limiti: il Suo prossimo siamo tutti noi! Egli si è avvicinato, ci è venuto a cercare, ci ha salvato dai nostri peccati pagando il prezzo di questi. “Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti” (Isaia 53:5). “Poi lo mise sulla propria cavalcatura”: Egli si è abbassato fino a noi, ha dato la Sua vita, perché noi potessimo essere “elevati” e condividere la Sua gloria: eredi di Dio, coeredi di Cristo. Era ricco e noi eravamo poveri. È divenuto povero perché noi potessimo diventare ricchi (2 Corinzi 8:9). La grazia e l’amore del Signore abbondino sempre più nei nostri cuori! La Sua tenerezza e le Sue cure, che le Sue pecore ben conoscono, brillano ancora oggi nella premura che il Buon Samaritano usa per lenire le ferite del malcapitato e per trovargli una sistemazione.
 
Il Signore è con noi, e noi abbiamo la caparra dello Spirito Santo, mentre aspettiamo il Suo ritorno, per essere sempre con Lui. Quali verità su cui riposare! Così Gesù Cristo ci ha amati, dando se stesso per noi: “Sono stato crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me! La vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato se stesso per me”. (Galati 2:20). Quale supremi esempi d’amore! Lettore, vorrei dirti “va e fa’ anche tu la stessa cosa”, ma mi rendo conto che devo dire “andiamo, e facciamo la stessa” ora che, per mezzo della sua opera, siamo morti al peccato e risorti con Lui. “Camminate nell’amore come anche Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave” (Efesini 5:2).