Samuel Prod’hom
I sottotitoli sono stati aggiunti da Bibbiaweb.
1. La Cena del Signore: il ricordo e la responsabilità personale
2. La Tavola del Signore: la comunione e la responsabilità colletiva
1. La Cena del Signore: il ricordo e la responsabilità personale
A. — Vengo da voi, caro fratello, per dirvi che da qualche tempo desidero prendere la Cena.
B. — Ne sono ben felice. Siete dunque, ora un credente?
A. — Fin dalla mia fanciullezza ho creduto a tutto ciò che la Parola di Dio dice; ma questo non mi ha dato nessuna certezza riguardo alla mia salvezza, fino al giorno in cui la mia attenzione fu attratta dal versetto 13 del capitolo 5 della 1a epistola di Giovanni: Vi ho scritto queste cose perché sappiate che avete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio». Capii allora che, poiché io credevo, avevo la vita eterna, e da quel momento fui felice. Perciò desidero far parte dell’ Assemblea.
B. — Comprendo il vostro desiderio, ma vi farò notare che voi fate parte dell’Assemblea da quando siete diventato un figlio di Dio; voi siete un membro del Corpo di Cristo unito a Lui per mezzo dello Spirito Santo come ogni credente. Dovete semplicemente prendere il vostro posto alla Tavola del Signore, rompendo il pane come membro del Corpo di Cristo. Ma riprenderemo fra poco il soggetto della Tavola del Signore, poiché vi è un altro lato importante da considerare e che deve agire sul cuore del credente per fargli desiderare di prendere la Cena. Suppongo che vi abbiate già pensato.
A. — È per obbedire al Signore il quale ha detto: «Fate questo in memoria di me».
B. — Infatti, è il desiderio espresso dal Signore che deve attirare il cuore del riscattato verso questo prezioso memoriale della Sua morte. Ma vi farò notare che non è propriamente un atto d’obbedienza. È più ancora. È l’amore per il Signore, che ha dato la sua vita, che ha sofferto sulla croce per salvarci, che produce questo bisogno nel cuore del suo riscattato; è il Suo amore che fa vibrare il cuore del credente, per mezzo del desiderio che Egli ha espresso la notte in cui fu tradito: Poi prese del pane, rese grazie e lo ruppe, e lo diede loro dicendo: Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me. Allo stesso modo, dopo aver cenato, diede loro il calice dicendo: Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è versato per voi. Del resto, ecco, la mano di colui che mi tradisce è con me sulla tavola». (Luca 22:19-21). In quel momento unico negli annali dell’eternità, il Figliuolo di Dio, disceso in questo mondo per manifestare l’amore di Dio in mezzo agli uomini dopo aver sofferto da parte loro tutto ciò che proveniva dal loro cuore pieno di odio contro Dio, aveva davanti a Sé la morte e il giudizio di Dio, ed aveva con sé il discepolo di cui il diavolo si serviva per tradirlo e abbandonarlo fra le mani degli uomini. È in un tale momento che il Signore, invece di muovere a pietà di Sé i suoi, pensa a loro, pensa a noi, a ciascuno dei suoi riscattati, essendo tutti compresi in quel voi, «per voi», ed esprime il desiderio che ci ricordiamo di Lui, morto per salvarci. Quel caro Salvatore, sapendo quanto approfitteremmo da egoisti dei risultati della Sua morte, senza pensare a Lui, ha voluto che avessimo dinanzi agli occhi e per i nostri cuori un ricordo visibile di Sé morente per noi. Il pane rappresenta il suo corpo, il vino il suo sangue; corpo e sangue separati l’uno da l’altro, sono la morte. Partecipando a questo memoriale, i nostri cuori rievocano la scena del Golgota, ove vediamo il nostro Signore elevato dalla terra sopra una croce, fra due briganti, dopo essere stato l’oggetto degli scherni dei capi religiosi e della crudeltà dei soldati romani; tutte le classi della società son passate davanti a Lui insultandolo (Matteo 27:39-44; Marco 15:29-32). E, quando gli uomini ebbero esaurito il loro odio contro Colui che era in mezzo a loro come un agnello condotto al macello e come una pecora muta davanti a quelli che la tosano (Isaia 53:7), la luce del sole si ritrasse, e Gesù, solo fra terra e cielo, fu durante tre ore separato dagli uomini a causa delle tenebre, e dal suo Dio a causa dei nostri peccati, abbandonato da Colui di cui aveva fatto le delizie eterne; allora espiava le nostre iniquità sotto il peso dell’ira divina. Non ci è data nessuna parola per esprimere le sofferenze espiatorie del Signore eccetto il grido: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», quando quelle ore di tenebre furono passate. È una tale scena che è posta davanti a noi per mezzo del pane e del vino della Cena, e che fa risaltare l’amore del Signore per noi, nel momento in cui lo udiamo dire: «Prendete, questo è il mio corpo», e «Questo è il mio sangue, il sangue del [nuovo] patto che è sparso per molti» (Marco 14:22,24).
Nessun credente per poco abbia capito a qual prezzo la sua salvezza è stata ottenuta da un Salvatore che è diventato il suo Signore, e che si rappresenti, per quanto sia possibile farlo, tutte le sofferenze che ha sopportate per acquistargli una salvezza gratuita, non esiterà un istante a rispondere al desiderio del cuore di Gesù, espresso la notte ch’Egli fu tradito. Comprenderà pure che parlandone come di obbedienza ad un comandamento è diminuire il ricordo della morte del Signore. Supponiamo che una madre morente, la quale per tutta la vita si sia dedicata alla felicità di una figlia, le dia il proprio ritratto dicendole: «Guardalo sovente, ti ricorderà ciò che tua madre è stata per te». Direbbe ella, parlando del ricordo che la madre le ha lasciato: «Bisogna che obbedisca a mia madre guardando la sua fotografia?». Non si penserebbe forse di quella figlia che non ha cuore per una tale madre?
A. — Comprendo ora che ciò che deve farmi desiderare di prendere la Cena è tutt’altra cosa che di far parte dell’Assemblea. È l’amore del Signore per me che m’attira con tutti i riscattati verso questo memoriale così grande, così ricco in ricordi atti a commuovere il cuore e a sviluppare le affezioni per il Signore. Ma se ho parlato di far parte dell’Assemblea, è perché odo sempre dire parlando di certi cristiani che essi non fanno parte dell’Assemblea..
B. — Parleremo di questo più tardi, poiché è molto importante d’essere al chiaro su questo soggetto. Ma vi è ancora un’altra cosa da considerare per prendere parte alla Cena; è il nostro cammino che dev’essere degno del Signore, e motivato dall’amore che l’ha condotto a subire tutte le sofferenze che i nostri innumerevoli peccati hanno attirato su Lui.
La morte del Signore ha posto il credente non solo al di là del giudizio che Egli ha subito in vece sua, ma l’ha posto anche fuori del mondo. Pur essendo nel mondo, egli deve vivere d’una vita nuova, essendo stato risuscitato con Cristo. Sta scritto nell’epistola ai Colossesi 3:1-3: «Se dunque siete stati risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù dove Cristo è seduto alla destra di Dio. Aspirate alle cose di lassù, non a quelle che sono sulla terra; poiché voi moriste e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio». Bisogna rinunciare a tutto ciò che non può essere fatto per il Signore ed essere diretti in ogni cosa dalla Parola di Dio onde camminare sulle tracce che Egli ci ha lasciate, poiché se Egli è la nostra vita, essendo stato quaggiù l’espressione di questa vita, ne è il modello e lo scopo. È una responsabilità che potrebbe spaventarci; ma ciò che ci rende capaci di imitare questo perfetto modello, è di essere occupati di Lui e di pensare a tutte le sofferenze ch’Egli ha sopportate per salvarci. Questo ci condurrà a far conoscenza con la Sua Parola per conformarvi la nostra vita intera. Bisogna sempre pensare al suo amore per noi.
Il ricordo della morte del Signore, ogni primo giorno della settimana, è uno dei mezzi più santificanti per il cristiano, poiché in presenza di quel che è costata a Lui la nostra salvezza, potremmo non tener conto di ciò che Gli è gradito? Satana sapeva quel che faceva quando, condusse la cristianità a mettere grandi intervalli fra le celebrazioni della Cena. Egli cerca di rendere negligente il credente riguardo alla Cena del Signore. Poiché meno un credente pensa alle sofferenze che la sua salvezza è costata al Signore, più si allontana da un atto che gli ricorda la serietà, che conviene ad un riscattato; la vecchia natura ne approfitta per manifestarsi, e se, in tale stato, egli prende la Cena, lo fa per pura forma, senza che la sua coscienza sia esercitata al riguardo d’un cammino fedele dovuto a suo Signore.
A. — È appunto questa responsabilità nel cammino che mi spaventa un poco.
B. — Lo comprendo, ho avuto gli stessi timori. Bisogna sempre pensare che Dio non ci chiede nulla senza darci ciò che occorre per compierlo. Mi si è citato il caso di un uomo che si teneva lontano dalla Tavola del Signore, temendo di non poter camminare abbastanza fedelmente. Quando udì un giorno meditare sulla parabola del figliuol prodigo, la sua attenzione fu attratta sul fatto che il padre gli aveva dato non soltanto la più bella veste e l’anello al dito ma anche dei sandali ai piedi, necessari per camminare. Da quel momento capì che Colui che gli dava la salvezza gli dava anche ciò che occorreva per il cammino. Lo dà per mezzo della Sua Parola che ci insegna in che modo dobbiamo camminare, e nello stesso tempo fornisce la forza per compiere quel che essa ci insegna.
Vi è pure un’altra verità in relazione con la Cena e che è importante di notare. Nella 1a epistola ai Corinti 11:24, 25, l’apostolo Paolo dice che ha ricevuto dal Signore, e non dagli altri apostoli, in che modo Egli, ha istituito la Cena; poiché questo atto così importante fa parte di ciò che riguarda, il mistero dell’Assemblea che il Signore gli ha rivelato dal cielo. Dopo aver rievocato quest’istituzione, Paolo aggiunge: «Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga» (vers. 26), Prendere la Cena come il Signore l’ha istituita è una testimonianza resa alla Sua Signoria dinanzi al mondo che l’ha rigettato e a Satana che ha condotto il mondo a compiere un tale atto. Significa proclamare che Colui il quale noi riconosciamo come il Signore, è morto quand’è venuto quaggiù ove il mondo non l’ha conosciuto e ove i suoi non l’hanno ricevuto (Giovanni l). Noi riconosciamo tutte le glorie e la signoria di Colui che, rigettato dagli uomini ed elevato sulla croce fra due briganti, è ora nella gloria. Prendendo la Cena, ricordiamo dunque al mondo e al suo principe che essi hanno crocifisso i1 Signore di gloria e che, per un tempo il cielo L’ha ricevuto. Egli ritornerà, non solo a prendere i suoi con Sé, ma per far valere i suoi diritti di Signore che gli uomini hanno disconosciuti e disconoscono tuttora, esercitando i suoi giudici sul mondo onde stabilire il suo regno, essendogli stata data ogni autorità nei cieli e sulla terra.
A. — Quante cose meravigliose si riferiscono alla celebrazione della Cena!
B. — Infatti, e ciò che più commuove i nostri cuori, è il pensiero che Colui che noi riconosciamo come Signore e che sta per apparire come tale per il mondo, ha voluto essere la vittima per il peccato, accettando di subire in vece nostra il giudicio che noi avevamo meritato.
A. — Vi sono in questo capitolo 11 della 1a ai Corinti delle parole che mettono un certo timore ad avvicinarsi alla Tavo1a del Signore. Che cosa vuol dire mangiare il pane e bere al calice del Signore indegnamente, cosa che rende colpevole a riguardo del corpo e del sangue del Signore?
B. — Sappiamo da questo capitolo che i Corinti prendevano la Cena facendo un pasto, probabilmente una specie d’agape all’inizio, ma che, a causa del loro basso stato spirituale, era degenerata in pasto ove si mangiava oltre misura e ove alcuni persino si ubriacavano (vers. 20-22). Essi avevano del tutto perso di vista il ricordo della morte del Signore. Perciò l’apostolo ricorda loro l’istituzione della Cena come il Signore gliel’aveva data. Essi mangiavano dunque il pane e bevevano del calice indegnamente, e si rendevano colpevoli del corpo e del sangue del Signore. Come può essere altrimenti, quando si perde di vista tutta la serietà ed il valore d’un tale memoriale, e lo si confonde con un pasto del tutto carnale? Mangiando e bevendo in quel modo, non distinguevano il corpo del Signore dagli alimenti che soddisfacevano il loro appetito carnale; mangiavano e bevevano un giudizio contro se stessi. Poiché nel suo governo il Signore non può passare sopra una simile profanazione del memoriale che ricorda qualcosa di così glorioso e solenne come la Sua morte. Perciò è detto al versetto 30 che «molti fra voi sono infermi e malati, e parecchi muoiono». Vale a dire che, come castigo, parecchi erano colpiti nella loro salute e alcuni persino erano morti. Essi avevano commesso il peccato che mena alla morte, che non è un peccato speciale, ma un peccato compiuto in circostanze tali che ne aumentano la gravità. Anania e Zaffira in Atti 5, avevano commesso questo peccato mentendo in circostanze in cui lo Spirito Santo spiegava la sua grande potenza fra i santi. L’amore del denaro, offuscando la loro spiritualità, li aveva impediti di comprendere la gravità della loro menzogna in tali circostanze.
Considerando quanto sia cosa seria di prendere la Cena, e le conseguenze che si incontrano, facendolo indegnamente, può sorgere nella mente il pensiero che meglio varrebbe di astenersene. L’apostolo prevede questo pensiero e dice al versetto 28: «Ora ciascuno esamini sé stesso, e così mangi del pane e beva dal calice».
Bisogna esaminarci e vedere davanti a Dio ciò che in noi non è secondo il Suo pensiero, giudicarlo, e, invece di astenersi di prendere la Cena, rispondere al desiderio del Signorè. È detto al verso 31: «Ora, se esaminassimo (o giudicassimo) noi stessi, non saremmo giudicati». Giudicar se stesso, vuol dire giudicare il male che è in noi, per separarsene; ma questo va ancor più lontano, giudicarsi, vuol dire anche portare su se stesso il giudizio che Dio porta sull’uomo in Adamo e che è stato portato alla croce. Se ci giudicassimo sempre in questo modo, non compiremmo degli atti che attirano su noi il castigo che Dio esercita sui suoi fìgli. Poiché è detto al versetto 32 : «ma quando siamo giudicati, siamo corretti dal Signore, per non essere condannati con il mondo». Poiché il Signore ha subito la condanna al posto del credente, questi non può essere condannato, ma è sotto la disciplina che il Signore esercita sui suoi riscattati.
A. — Vi ringrazio di quel che mi avete spiegato, poiché sono rassicurato vedendo che si tratta delle circostanze in cui si trovavano i Corinti.
B. — Certamente; ma poiché il Signore ci ha dato questa narrazione ispirata, è perché siamo esposti agli stessi pericoli, pur non essendo nelle stesse circostanze dei Corinti, se non discerniamo il corpo del Signore prendendo la Cena. Possiamo partecipare a questo memoriale con dei cuori distratti, facendolo semplicemente per abitudine, senza avere davanti a noi le sofferenze del Signore, e tutto ciò che la sua morte implica. Possiamo venire con del peccato non giudicato, con dei pensieri malevoli verso dei fratelli o delle sorelle in comunione, delle difficoltà non regolate con tale o tal altro che non salutiamo nemmeno, senza parlare di tante abitudini mondane con cui ci si è famigliarizzati. Tutto ciò può avvenire perché il cuore non pensa alle sofferenze del Signore che erano necessarie per togliere i nostri peccati e condurci a Dio in uno stato di santità tale onde Egli possa ammetterci nella sua presenza per il tempo e per l’eternità. Non si può comprendere quanto il peccato, portato là alla presenza del Signore e del memoriale della Sua morte, sia in contraddizione col ricordo di questa morte. Come è possibile di ricordarsi del mezzo per cui il peccato è stato tolto, portando alla Sua Tavola del peccato non giudicato?
Quale incoerenza e quale incoscienza di ciò che è la morte del Signore! Tutto questo fa comprendere la grande debolezza che caratterizza l’Assemblea, in seguito alle nostre incoerenze così colpevoli e così frequenti. Se avessimo fra noi un apostolo Paolo, potrebbe ben dirci, come ai Corinti: «Per questo motivo molti fra voi sono infermi e malati, e parecchi muoiono». Noi non siamo abbastanza spirituali per interpretare gli atti del governo di Dio in mezzo a noi; ma sappiamo che esso esiste e si esercita, poiché l’Assemblea è l’Assemblea di Dio.
A. — Quanto ero lontano dal pensare a tutta la serietà che si richiede per avvicinarsi alla Tavola del Signore! Ma con la debolezza che mi caratterizza, sono felice di sapere che bisogna giudicarsi, provar se stesso davanti a Dio, per partecipare alla Cena e ricordarsi del Signore invece di astenersene.
B. — Infatti, altrimenti chi potrebbe partecipare a questo memoriale? Bisogna occuparsi di sé soltanto per giudicarsi. E se siamo indegni di prendere la Cena, si deve pensare che il Signore è sempre degno che noi ci ricordiamo di Lui nel nostro cammino che deve glorificarlo e non deve essere in contraddizione con i risultati della Sua morte per noi.
2. La Tavola del Signore: la comunione e la responsabilità colletiva
Ora parliamo della Tavola del Signore e delle verità che ad essa si riferiscono. Non so se avete compreso la differenza che c’è fra la Cena del Signore e la Tavola del Signore.
A. — No, pensavo che queste due espressioni designassero una sola e stessa cosa.
B. — La parola Cena significa pasto; è un pasto che ha luogo in ricordo del Signore morto sulla croce; perciò è la Cena del Signore a cui i riscattati partecipano in ricordo del loro Signore. La Tavola del Signore presenta un altro pensiero, quello della comunione. La tavola nella Parola di Dio, è il luogo ove la comunione si realizza. Per essere a tavola in una casa bisogna essere della famiglia, ovvero esservi invitato. Occorre una certa intimità per invitare qualcuno alla propria tavola. Vedete 2 Samuel 9:7, 10, 13; 1 Re 2:7; Salmo 23:5; Ezechiele 44:16; 1 Corinti 10:21.
Nel Vangelo di Matteo 22:1-11, ciò che dava diritto d’essere alla tavola del re, era l’abito di nozze. Chi non l’aveva ne fu escluso; non aveva nessuna comunione con i pensieri del Re e degli altri invitati. Così nella Cena del Signore si ha il ricordo della Sua morte, e alla Sua tavola si ha la realizzazione della comunione, come l’insegna l’apostolo Paolo in 1 Corinti 10:16: «Il calice della benedizione, che noi benediciamo, non è forse la comunione con il sangue di Cristo? Il pane che noi rompiamo, non è forse la comunione con il corpo di Cristo?». L’apostolo non dice che è il ricordo, ma la comunione; vale a dire una parte comune al sangue e al corpo di Cristo, per conseguenza con il Signore, e anche, come lo vediamo al versetto 17, gli uni con gli altri. «Siccome vi è un unico pane, noi, che siamo molti, siamo un corpo unico, perché partecipiamo tutti a quell’unico pane». La parola «molti» designa l’Assemblea intera, poiché l’Assemblea o Chiesa è una espressione che significa un radunamento che è designato con la parola «molti». Questo versetto ci insegna che il pane sulla Tavola del Signore non rappresenta soltanto il corpo morto del Signore, ma anche il suo corpo spirituale composto di tutti i credenti. Noi che siamo molti, cioè tutti i membri del corpo di Cristo, tutta la Chiesa o Assemblea, siamo un solo pane, un solo corpo, poiché partecipiamo tutti ad un solo e medesimo pane. Di modo che è alla Tavola del Signore che si esprime l’unità del Corpo di Cristo.
Noi vi rompiamo il pane come membra del corpo di Cristo, e non come membra d’una chiesa o d’una congregazione qualsiasi. Essere membro di una chiesa è un’espressione sconosciuta nella Parola; chi rompe il pane professa che è membro del corpo di Cristo. Tutti i cristiani d’una stessa località dovrebbero trovarsi là attorno a quella Tavola, essi realizzerebbero ciò che sono: un solo pane, un solo corpo. È il solo mezzo scritturale di manifestare che il corpo di Cristo è uno. Se tutti i cristiani d’una stessa località si riunissero insieme per leggere la Parola ed edificarsi, questo non esprimerebbe che sono un solo corpo. Sarebbe la realizzazione d’un’intesa fra loro, risultante dal desiderio d’essere radunati in un tale scopo. Si parla sovente d’unione fra i cristiani. Le unioni sono da farsi; ma l’unità del corpo esiste. Non c’è che da realizzarla, e ciò ha luogo soltanto attorno alla Tavola del Signore, secondo gl’insegnamenti della Parola.
Se non tutti comprendono che devono trovarsi attorno alla Tavola del Signore per realizzarvi l’unità del corpo di Cristo, bisogna che quelli che lo comprendono si riuniscano attorno a questa Tavola secondo l’insegnamento della Parola e rompano il pane come membra del corpo di Cristo. Se si parla di essere membro d’una chiesa o d’una qualsiasi comunità, si è settari. Nella 1a epistola ai Corinti 12:12 sta scritto: «Poiché, come il corpo è uno e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, benché siano molte, formano un solo corpo, così è anche di Cristo». Ciò significa che il Cristo è un tutto, un corpo di cui Egli stesso è la Testa glorificata nel cielo, ed ogni credente un membro del Suo corpo, unito a Lui per mezzo dello Spirito Santo.
A. — Non è dunque giusto, parlando d’un cristiano che non è in comunione alla Tavola del Signore, di dire che non fa parte dell’Assemblea.
B. — Sarebbe giusto se si volesse dire con ciò che non è in comunione con i cristiani che realizzano l’unità del corpo di Cristo alla Sua Tavola. Ma quel cristiano è un membro del corpo di Cristo, dovrebbe averne coscienza e conformarsi agli insegnamenti della Parola per manifestare che è un membro di questo corpo rompendo il pane come membro del Corpo di Cristo. Tutti i credenti che abitano una stessa località costituiscono l’Assemblea, o Chiesa di quella località, e dovrebbero agire in conseguenza.
A. — Ma ho sentito dire sovente che non si può dar la Cena a certi cristiani perché rompono il pane con dei cristiani delle varie denominazioni cristiane. Se sono membra del corpo di Cristo, perché non si ricevono?
B. — Perché la comunione si realizza alla Tavola del Signore, e non si può essere in comunione con tavole diverse, le une essendo state stabilite da cristiani che sostengono tali o tali altri errori ovvero, se non hanno errori, dimorano in comunione con quelli che li hanno; le altre perché appartengono a delle organizzazioni umane che comprendono un gran numero di persone che non hanno la vita di Dio. Non si può essere in comunione con delle membra che non sono convertite; nel corpo di Cristo non ce ne sono. Un’assemblea riunita secondo gl’insegnamenti della Parola ha la responsabilità di esercitare la disciplina, la quale ha per scopo di mantenere la santità che conviene all’Assemblea di Dio. Questa disciplina si realizza avendo cura gli uni degli altri nell’amore e nella verità, incoraggiandoci a camminare secondo la Parola, riprendendo il male, praticando il lavaggio dei piedi, cioè applicando la Parola per giudicare il male ed esserne purificati, e quando questa disciplina non può più esercitarsi, essendo il male troppo grave, si tratti di moralità o di false dottrine, bisogna escludere la persona colpevole. Vi è un gran numero di cristiani, probabilmente il più gran numero, che, pur facendo parte dell’assemblea della località ove abitano, non si riuniscono alla Tavola del Signore per realizzare ciò che sono, membra del Corpo di Cristo, di quell’Assemblea universale formata da tutti quelli che sono nati di nuovo. Molti non conoscono la verità riguardo all’Assemblea, altri pensano realizzarla non conformandosi interamente agl’insegnamenti delle Scritture, molti altri infine sono indifferenti al modo scritturale di radunarsi e si accontentano di far parte d’una qualsiasi chiesa, ovvero pensano semplicemente che essendo salvati andranno un giorno in cielo, e non si preoccupano della testimonianza collettiva che tutti i riscattati devono rendere.
A. — Ci sono fra quei credenti alcuni che hanno una condotta veramente esemplare. Perché non si dovrebbero ricevere se essi desiderano partecipare alla Tavola del Signore?
B. — Sarebbero ricevuti con tutto il cuore, se cessassero di rompere il pane ad una tavola ove il male è tollerato sotto qualsiasi forma; altrimenti essi metterebbero la Tavola del S1gnore in comunione col male che è tollerato in quell’assemblea à cui si riallacciano. È ciò che l’apostolo Paolo insegna nella 1a epistola ai Corinti 10:20, 21. I Corinti non potevano partecipare alla Tavola del Signore e a quella degl’idoli che erano tavole di demoni. Nei nostri paesi non abbiamo da fare con delle tavole di demoni, ma in questi brani della Scrittura è stabilito il principio: non si può essere in comunione con due tavole, qualunque sia la tavola che non è la Tavola del Signore.
A. — In questo caso, i cristiani che realizzano il radunamento attorno al Signore, rompendo il pane semplicemente come membra del Corpo di Cristo, sono forse la più piccola parte delle membra di questo corpo. Si può forse dire che essi sono l’Assemblea di Dio della località ove si riuniscono?
B. — No, ne sono soltanto una parte, ma rappresentano l’assemblea di quella località che è composta di tutti quelli che sono nati di nuovo, uniti a Cristo, al Capo del Corpo, nella potenza dello Spirito Santo, e devono portare i caratteri della Assemblea di Dio. Ma vi è un pensiero consolante per quelli che circondano la Tavola del Signore, è che, vedendo sulla Tavola quel pane che è l’espressione del solo corpo, essi abbracciano nel loro pensiero e portano sul loro cuore tutte le membra di questo corpo, sia dell’assemblea locale, sia dell’Assemblea universale. Nello stesso modo che il Signore, il nostro gran Sommo Sacerdote, porta tutti i suoi sulle spalle, e sul cuore, e li rappresenta nella gloria ove il suo Dio li vede tutti in Lui, così noi abbracciamo nelle nostre affezioni e portiamo sul nostro cuore tutti quei cari membri del Corpo di Cristo, oggetti del suo amore, soffrendo di vedere il loro posto vuoto attorno alla Tavola del Signore, loro Signore e nostro. Così noi possiamo realizzare l’unità del Corpo di Cristo, e siamo preservati dal pensiero settario che noi siamo l’Assemhlea di Dio della località.
Quando siamo radunati per rendere culto, attorno alla Tavola del Signore, vi è anche un pensiero incoraggiante, cioè, rappresentando tutta intera l’Assemblea di Dio, è il culto dell’Assemblea che sale a Dio, nella debolezza, è vero, ma accettato da Lui, presentato dal nostro Gran Sommo Sacerdote che purifica le nostre sante offerte come un tempo Aaronne con la lamina d’oro sulla fronte; in modo che giunge a Dio soltanto ciò ch’Egli può accettare come offerta di buon odore, vale a dire la presentazione delle perfezioni del suo Figliuolo diletto.
Vi farò ancora notare che, se non si può dire che prendere la Cena sia un atto d’obbedienza al Signore, prender posto alla Sua Tavola secondo gli insegnamenti della Parola è un atto d’obbedienza. È la Sua Parola che deve fare autorità e non i nostri propri pensieri, per insegnarci come in mezzo alla rovina della Chiesa dobbiamo riunirci per manifestare i caratteri dell’Assemblea di Dio ad ogni riguardo. Poiché agire in modo non conforme alla Sua volontà, chiaramente espressa nella Parola, è della disobbedienza, benché in molti casi questa disobbedienza sia dovuta ad ignoranza.
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