“Abraamo si alzò la mattina di buon’ora…”

(Genesi 22:2)

di C. H. Mackintosh

Articolo tratto dal mensile IL MESSAGGERO CRISTIANO del 04-2012

«Dio disse: “Prendi ora tuo figlio, il tuo unico, colui che tu ami, Isacco, e va’ nel paese di Moria, e offrilo là in olocausto…” Abraamo si alzò la mattina di buon’ora…»

Abraamo non tarda a rispondere a questa chiamata di Dio. Ubbidisce subito; come il salmista, anche lui potrebbe dire: «Senza indugiare, mi sono affrettato ad osservare i tuoi comandamenti» (Salmo 119:60).

La fede non si sofferma mai a considerare le circostanze o a ponderare gli eventuali risultati; non guarda che a Dio e dice, con l’apostolo Paolo: «Ma Dio che m’aveva prescelto fin dal seno di mia madre e mi ha chiamato mediante la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il suo Figlio perché io lo annunziassi fra gli stranieri. Allora io non mi consigliai con nessun uomo» (Galati 1:15-16). Dal momento che prendiamo consiglio dall’uomo (o dalla carne e dal sangue come dice il testo originale), pregiudichiamo la nostra testimonianza e il nostro servizio, poiché la nostra natura umana non può ubbidire. Per essere felici e perché Dio sia glorificato dobbiamo, come Abraamo, levarci la mattina di buon’ora e compiere il comandamento di Dio. Se la Parola di Dio è la sorgente della nostra attività, Egli ci darà forza e fermezza per agire; se invece agiamo solo per impulso umano, cessato questo cesserà anche la nostra azione.

Due cose sono necessarie per una vita attiva, coerente e ferma: lo Spirito Santo come potenza e la Sacra Scrittura come guida. Abraamo possedeva queste due cose; aveva ricevuto da Dio la potenza per agire e anche da Dio l’ordine di agire.

La sua ubbidienza aveva un carattere molto esplicito, e questo è importantissimo. Ogni tanto si incontra della dedizione, ma spesso è solo l’attività incostante d’una volontà non sottomessa alla potente azione della Parola di Dio. Tale dedizione può avere una bella apparenza, ma l’impulso che ne è il movente si dilegua rapidamente. Si può stabilire come principio che ogni qualvolta la dedizione oltrepassa certi limiti stabiliti da Dio è sospetta; se si ferma prima di questi limiti, è imperfetta; se va oltre, è errata. Vi sono senza dubbio degli interventi e delle vie straordinarie tipiche dello Spirito di Dio, nelle quali Egli proclama la propria sovranità e si eleva al disopra dei limiti ordinari; ma, in tali casi, l’evidenza dell’azione divina è abbastanza potente per convincere ogni uomo spirituale. Questi casi straordinari non contraddicono, comunque, in nessun modo la verità che la fedeltà e la vera devozione sono sempre fondate sopra un principio divino e governate da un principio divino. Si potrebbe pensare che sacrificare un figlio sia uno straordinario atto di devozione, ma non è così. Ciò che dà valore all’atto di Abraamo è semplicemente il fatto che è fondato su un preciso comandamento di Dio.

Vi è ancora un’altra cosa che è unita alla vera dedizione: è lo spirito di adorazione. «Io e il ragazzo, andremo fin là e adoreremo, poi torneremo da voi» (v. 5). Un servo veramente devoto fissa gli occhi non sul proprio servizio, per quanto importante possa essere, ma sul suo Signore; e questo produce lo spirito di adorazione. Se io amo il mio padrone, poco mi importerà di essere chiamato a pulire le sue scarpe o a guidare la sua automobile; ma se penso a me stesso più che a lui, preferirò senza dubbio essere autista piuttosto che lustrascarpe. È lo stesso nel servizio del nostro Signore: se penso solo a Lui, non ci sarà differenza tra fondare delle chiese o fabbricare delle tende. Il carattere del servo e quello dell’adoratore dovrebbero sempre essere uniti, e l’opera delle nostre mani dovrebbe sempre esalare il buon profumo del nostro amore per il Signore. In altri termini, dovremmo lavorare avendo nel cuore queste parole: «Io e il ragazzo andremo fin là e adoreremo». Eviteremmo di compiere un servizio puramente meccanico, e di lavorare soltanto per amore del lavoro o di noi stessi, essendo più occupati della nostra opera che del nostro Maestro; ed eviteremmo anche di essere di quelli che lodano e ringraziano Dio, ma non fanno nulla per servirlo. Bisogna che tutto derivi da una semplice fede in Dio e dall’ubbidienza alla sua Parola.

«Per fede Abraamo, quando fu messo alla prova, offrì Isacco; egli, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito» (Ebrei 11:17). Il poter incominciare, proseguire e terminare le nostre opere secondo Dio dipende da quanto camminiamo per la fede.

Abraamo non solo s’incamminò per offrire il suo figlio, ma proseguì imperturbabile il suo cammino fino al punto indicato da Dio (Genesi 22).

«Abraamo prese la legna per l’olocausto e le mise addosso a Isacco suo figlio, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutti e due insieme»; e più avanti leggiamo: «Abraamo costruì l’altare e vi accomodò la legna… Abraamo stese la mano e prese il coltello per scannare suo figlio» (v. 6-10).

V’erano in questo «l’opera della fede», «la fatica dell’amore» e «la costanza della speranza» (1 Tessalonicesi 1:3) nel senso più elevato; non era una semplice apparenza. Abraamo non s’avvicinava a Dio con le labbra soltanto, ma con il cuore lontano da Lui. Non diceva, come il figlio della parabola (Matteo 21:28-29), «vado, Signore», e non è andato. Tutto era profonda realtà, di quella realtà che la fede trova piacere a produrre e che Dio si compiace di accettare. Spogliate Abraamo della sua fede, ed egli appare sul monte Moria come un micidiale e un pazzo. Tenete conto della sua fede, ed egli appare come un adoratore fedele e devoto, un uomo che teme Dio ed è giustificato.

È facile far mostra di devozione, quando non si è in obbligo di manifestarla; è facile dire: «Quand’anche tu fossi per tutti un’occasione di caduta, non lo sarai mai per me… Quand’anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò» (Matteo 26:33-35); quello che conta è rimanere fermi e sormontare la tentazione. Quando Pietro fu messo alla prova, cadde. La fede non parla mai di quello che vuole fare; ma fa quello che può per mezzo della forza del Signore. Nulla è più miserabile dell’orgoglio e delle pretese; sono tanto vili quanto la base sulla quale riposano.

Dio è glorificato da questa santa attività della fede; è Lui che ne è l’obiettivo come pure la sorgente. Di tutti gli atti della fede di Abraamo non ve n’è alcuno nel quale Dio sia stato più glorificato che nella scena del monte Moria. Qui Abraamo poté rendere testimonianza che «tutte le fonti» della sua «gioia» erano in Dio (Salmo 87:7) e ch’egli le aveva trovate non solo prima della nascita di Isacco, ma anche dopo. Riposarsi sulle benedizioni di Dio è ben diverso dal riposarsi su Dio stesso; confidare in Dio quando si hanno sotto gli occhi le Sue benedizioni, è tutt’altra cosa che confidare in Lui quando queste mancano!

Abraamo manifesta l’eccellenza della sua fede sapendo contare sulla promessa d’una innumerevole progenie, non soltanto quando Isacco era davanti a lui pieno di salute e di forza, ma anche quando lo vedeva vittima sull’altare. Che gloriosa fiducia! Fiducia senza compromessi, non fondata in parte sul Creatore e in parte sulla creatura, ma stabilita su un fondamento solido, su Dio stesso. Egli stimò che Dio “poteva”, e non pensò mai che Isacco “avrebbe potuto”. Per lui, Isacco senza Dio era nulla, ma Dio, anche senza Isacco, era tutto.

Vi è, in questo, un principio della massima importanza e una pietra di paragone per provare il cuore a fondo. La mia fiducia viene forse meno quando vedo prosciugarsi i canali apparenti delle mie benedizioni? Oppure, rimango io abbastanza vicino alla sorgente, là dove l’acqua sgorga, perché mi sia possibile vedere, in uno spirito di adorazione, tutti i ruscelli umani prosciugarsi? Credo io, con abbastanza semplicità, che Dio è sufficiente a tutto, per poter in qualche modo stendere la mano e afferrare il coltello? Abraamo ne fu reso capace perché guardava al Dio della risurrezione. «Abraamo era persuaso che Dio è potente da risuscitare anche i morti; e riebbe Isacco come per una specie di risurrezione» (Ebrei 11:17-19).

Egli realizzava di avere a che fare con Dio, e questo gli bastava. Dio non permise che andasse fino all’estremo limite: la Sua grazia non poteva permettere che andasse fin là. Egli risparmiò al cuore di Abraamo l’angoscia che non risparmiò a Se stesso, quando si trattò di colpire il proprio Figlio per i nostri peccati. Egli, benedetto sia il Suo Nome, andò fino al limite estremo. «Il SIGNORE ha voluto stroncarlo con i patimenti» (Isaia 53:10). Nessuna voce si fece udire dal cielo, quando, sul Calvario, il Padre permise che il Suo unigenito Figlio morisse. Il sacrificio fu perfettamente compiuto e, nel suo adempimento, fu suggellata la nostra eterna pace!

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