Conoscere Dio come Padre

(S. Fayard et J.-A. Monard) (tradotto da: Le Messager Evangélique 2003)

Introduzione

L’argomento che stiamo per affrontare è di una ricchezza estrema. È legato a dei soggetti fondamentali come: la Persona di Cristo, la salvezza in Lui, le dispensazioni, la posizione cristiana, la vita pratica … Avremo modo di toccare questi diversi soggetti più volte.

La venuta del Figlio di Dio sulla terra è il fondamento della rivelazione di Dio come Padre. Tutte le benedizioni spirituali che possediamo come cristiani scaturiscono da ciò che Cristo è e dall’opera che ha compiuto per noi.

Questo soggetto che presentiamo è suddiviso così:

  • Il primo capitolo presenta la persona del Figlio, l’inviato del Padre, che ce l’ha rivelato e ci ha aperto l’accesso fino a Lui. “L’unigenito Dio, che è nel seno del Padre, è quello che l’ha fatto conoscere” (Giovanni 1:18).
  • Il secondo capitolo ci mostra come, per la fede in Cristo, possiamo entrare già da ora nella felice relazione di figli di Dio. La nuova nascita e l’adozione sono due aspetti complementari di questa benedizione. “A tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio” (Giovanni 1:12).
  • Il terzo capitolo mette in evidenza il carattere progressivo della rivelazione che il Signore Gesù ha fatto del Padre. Quello che il Signore ha rivelato quando si è presentato a Israele come Re doveva essere completato più tardi da quello che scaturisce dalla Sua opera di redenzione. “Io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere” (Giovanni 17:26).
  • Il capitolo quarto è dedicato alle cure dell’amore del Padre per i Suoi figli in vista di rispondere a tutti i loro bisogni e formarli. “Dio vi tratta come figli” (Ebrei 12:7).
  • Il capitolo cinque si sofferma sulle relazioni tra i figli di Dio ed il loro Padre, in particolare in relazione alla preghiera, alla lode e all’adorazione. “Per mezzo di lui abbiamo gli uni e gli altri accesso al Padre in un medesimo Spirito” (Efesini 2:18).
  • Infine, il capitolo sei pone l’accento sulla nostra responsabilità a camminare in maniera degna del nostro Padre. La nostra vita pratica deve manifestare i frutti della natura che abbiamo ricevuto da Lui. “Siate dunque imitatori di Dio, come figli amati” (Efesini 5:1).

Gesù, il Figlio di Dio

  • La nascita di Gesù

L’Antico Testamento rivela il Dio unico in contrasto con la molteplicità  dei falsi dei pagani. Era un punto essenziale della testimonianza che Israele doveva rendere davanti alle nazioni. Tuttavia, qualche passo dell’Antico Testamento lasciava presagire una misteriosa pluralità in questa unità. Per esempio, fin dall’inizio del primo libro Dio dice: “Facciamo l’uomo a nostra immagine” (Genesi 1:26). Nel libro dei Proverbi, in rapporto al Creatore, è detto: “Qual è il suo nome e il nome di suo figlio? Lo sai tu?” (30:4). In modo ancora più chiaro leggiamo nel libro dei Salmi: “Il SIGNORE mi ha detto: Tu sei mio figlio, oggi io t’ho generato” (Salmo 2:7). Il Messia annunciato è un Uomo, perché doveva essere  della discendenza di Davide, ma essere anche Dio, perché è chiamato “Signore” di Davide (cfr: Salmo 110:1; Marco 12:35-37).

Tuttavia, è solo con la venuta di Gesù Cristo sulla terra che Dio si è rivelato secondo la pienezza del Suo essere: Padre, Figlio, Spirito Santo. Fin dall’inizio dei Vangeli è resa in maniera chiara la testimonianza alla divinità di Gesù. Un bambino è concepito miracolosamente per la potenza dello Spirito Santo nel seno di una vergine e, in ragione di questo, è chiamato: “Figlio dell’Altissimo” (Luca 1:35).

  • L’eternità del Figlio

Tuttavia, la Parola prende molta cura nel dirci che la nascita in questo mondo non è l’inizio della Sua esistenza. Il primo versetto del vangelo di Giovanni ce Lo presenta come “la Parola” che “nel principio”, cioè prima della creazione, era “con Dio”, “era Dio” poi ha creato “ogni cosa” e, al momento opportuno, “è diventata carne” (Giovanni 1:1-3; 14).

Gesù non è solamente Figlio di Dio perché è stato “generato” da Dio nel momento in cui è venuto sulla terra, ma Lo era anche prima. È il Figlio eterno. Molti passi ce lo indicano con chiarezza. Gesù era già Figlio nel momento in cui Dio Lo ha mandato sulla terra: “Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo affinché, per mezzo di lui, vivessimo” (1 Giovanni 4:9; cfr. 10, 14); “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio …” (Giovanni 3:16);  Dio “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi tutti” (Romani 8:32). Gesù è, al di là e al di fuori del tempo, il Figlio unico “che è nel seno del Padre” (Giovanni 1:18).

  • Colui che il Padre ha mandato

Nella Sua infanzia, Gesù aveva consapevolezza di essere il Figlio di Dio: “Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?” (Luca 2:49).

Lungo tutto il Suo ministero, rende testimonianza alla Sua origine celeste. Parlando di Dio dice costantemente: “il Padre mio” e dal cielo, il Padre rende testimonianza alla gloria di quest’Uomo assolutamente unico indicandoLo come Suo Figlio: “Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto” (Matteo 3:17); “Questo è il mio diletto Figlio; ascoltatelo” (Marco 9:7).

Uno degli scopi principali del vangelo di Giovanni quello di presentare Gesù come Figlio di Dio. L’evangelista ci riporta numerose parole del Salvatore che rendono testimonianza alla Sua gloria di Figlio, cosa che, peraltro, attira su di Lui un odio mortale da parte dei Giudei increduli. Più di cento volte Gesù parla di Dio come essendo Suo Padre, ed una quarantina di volte si presenta come Colui che Dio ha mandato nel mondo.

È stato mandato, non per essere il giudice di un mondo colpevole, questo Lo farà più tardi, ma per portare la salvezza a dei peccatori perduti: “Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Giovanni 3:17). La salvezza è offerta gratuitamente a tutti coloro che ricevono Gesù per la fede: “In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Giovanni 5:24).

Gesù è “venuto nel nome del Padre” Suo (Giovanni 5:43). Colui che Lo vede, vede Colui che l’ha mandato (Giovanni 12:45), colui che Lo riceve, riceve Colui che Lo ha mandato (Giovanni 13:20) e colui che crede in Lui, crede in Colui che l’ha mandato. Nella preghiera al capitolo 17 il Signore dice: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo” (Giovanni 17:3).

  • Unità e dipendenza

Il Signore si presenta come essendo assolutamente uno con il Padre ed allo stesso tempo dipendente da Lui. Meravigliosa combinazione di gloria ed umiltà.

Io e il Padre siamo uno” (10:30). Si tratta di una unità di natura, ma anche di una unità di azione nella rivelazione: “Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo” (2 Corinzi 5:19). Gesù dice a Filippo: “Chi ha visto me, ha visto il Padre … Non credi tu che io sono nel Padre e che il Padre è in me?” (14:9-10). Più di una volta, il Signore afferma che tutte le   che Egli pronuncia sono quelle del Padre e che tutte le opere che compie provengono dal Padre: “Colui che Dio ha mandato dice le parole di Dio” e “il Padre mio opera fino ad ora, e anch’io opero” (3:34; 5:17);  “In verità, in verità vi dico che il Figlio non può da se stesso fare cosa alcuna, se non ciò che vede fare dal Padre; perché le cose che il Padre fa, anche il Figlio le fa ugualmente” (5:19-20); “La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato” (7:16); “Il Padre, che mi ha mandato, mi ha comandato lui quello che devo dire e di cui devo parlare” (12:49); “Le parole che io vi dico, non le dico di mio; ma il Padre che dimora in me, fa le opere sue” (14:10); “Vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio” (15:15).

Nella Sua totale sottomissione a Dio il Signore ha messo da parte la Sua volontà, seppure fosse perfetta, per compiere quella di Dio: “Cerco non la mia propria volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato” (5:30); “Perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato” (6:38). Tutto questo non era penoso per Lui, anzi, il contrario! Il Signore dice: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato, e compiere l’opera sua” (4:34).

A motivo della posizione d’abbassamento che ha preso, il Signore può dire: “Il Padre è maggiore di me” (14:28). Anche Paolo scriverà: “Il capo di Cristo è Dio” (1 Corinzi 11:3), ma guardiamoci dal concludere che una qualunque cosa possa sminuire il Figlio di Dio: “perché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità” (Colossesi 2:9).

  • Il Figlio rivela il Padre

Dio si era rivelato in passato ai patriarchi, poi si era fatto conoscere al popolo d’Israele per mezzo di Mosè e poi attraverso i profeti, ma queste rivelazioni non erano che parziali. Poi, “in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio (o meglio: nel Figlio)” (Ebrei 1:2). Il Figlio di Dio è venuto quaggiù per rivelarci Dio nella Sua pienezza. Tutta la vita di Gesù, le Sue parole come le Sue opere, hanno fatto conoscere Dio e la Sua morte alla croce è stata la rivelazione suprema. L’amore e la santità di Dio hanno brillato in una maniera incomparabile.

Ma lo scopo di Dio non era soltanto di rivelarsi agli uomini, Egli voleva farsi conoscere come Padre e non solo come il Padre del nostro Signore Gesù Cristo, ma come Padre di tutti quelli ch’Egli voleva, nella Sua grazia, fare entrare nella Sua casa. Il Suo proposito era di introdurci in una relazione di figli con Lui per la gloria del Suo Figliolo. Solo il Figlio di Dio poteva compiere una tale missione.

Nessuno conosce il Padre, se non il Figlio, e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo” (Matteo 11:27). Il Signore Gesù ha reso testimonianza di quello che conosceva alla perfezione. “Nessuno ha mai visto Dio; l’unigenito Dio, che è nel seno del Padre, è quello che l’ha fatto conoscere” (Giovanni 1:18 – cfr. 3:11). Per questo è la sola via che conduce a Dio e ad un Dio conosciuto come Padre: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Giovanni 14:6).

Benché il Signore avesse vissuto tre anni con i Suoi discepoli essi non avevano recepito molto di questa rivelazione. Alla domanda di uno di loro: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”, il Signore risponde: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Giovanni 14:8-9). Bisognerà che il Suo ministero verso Israele termini e, soprattutto, che l’opera della redenzione sia compiuta e lo Spirito Santo sia mandato, perché entrino pienamente nella rivelazione che era stata loro fatta. Il Signore ha detto, nella Sua preghiera al Padre: “Io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere”.

Quanto alla testimonianza resa davanti al mondo, la rivelazione era sufficiente per stabilire l’intera colpevolezza di tutti coloro che Lo hanno rifiutato: “Se non avessi fatto tra di loro le opere che nessun altro ha mai fatte, non avrebbero colpa; ma ora le hanno viste, e hanno odiato me e il Padre mio” (Giovanni 15:24).

I credenti, figli di Dio

  • Gli accenni al Padre, nell’Antico Testamento

Dio non si è mai rivelato come Padre prima che il Figlio venisse sulla terra per farLo conoscere. Nei rari passi dell’Antico Testamento in cui Dio è chiamato “Padre”, questo termine significa semplicemente che è all’origine dell’esistenza e non implica una vera relazione filiale. Come Creatore è all’origine di tutti gli uomini ed in questo senso può essere definito come loro Padre: “Tuttavia, SIGNORE, tu sei nostro padre; noi siamo l’argilla e tu colui che ci formi; noi siamo tutti opera delle tue mani” (Isaia 64:8); “Non abbiamo forse tutti un solo padre? Non ci ha creati uno stesso Dio?” (Malachia 2:10) [[1]]. Come Colui che aveva chiamato il popolo d’Israele a l’esistenza e l’aveva riscattato dalla schiavitù in Egitto, Dio è chiamato qualche volta “Padre”: “Non è lui il padre che ti ha acquistato? Non è lui che ti ha fatto e stabilito?” (Deuteronomio 32:6); “Tu, SIGNORE, sei nostro padre, il tuo nome, in ogni tempo, è Redentore nostro” (Isaia 63:16).

In qualche passo, le cure di Dio verso i Suoi o verso il popolo sono paragonate alle cure di un padre per i suoi figli: “Il SIGNORE, il tuo Dio, ti ha portato come un uomo porta suo figlio, per tutto il cammino che avete fatto” (Deuteronomio 1:31); “Come un padre è pietoso verso i suoi figli, così è pietoso il SIGNORE verso quelli che lo temono” (Salmo 103:13). Questi passi sono molto preziosi perché sono veri anche per noi, ma non esprimono la relazione caratteristica del cristianesimo. Gli Israeliti non erano dei “figli di Dio” nel pieno senso del temine perché non potevano conoscere questa relazione filiale.

  • La relazione di figli

Il Figlio di Dio si è presentato a Israele, il popolo terrestre di Dio, e non è stato ricevuto: “È venuto in casa sua e i suoi non l’hanno ricevuto; ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome” (Giovanni 1:11-12). Questa dichiarazione, proprio all’inizio del quarto vangelo, stabilisce nella maniera più forte possibile il contrasto tra i credenti e gli increduli, tra coloro che ricevono Gesù e coloro che Lo rifiutano. I primi ricevono la vita eterna e diventano “figli di Dio”, gli altri restano senza relazione con Lui e l’ira di Dio rimane su di loro: “Chi crede nel Figlio ha vita eterna, chi invece rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui” (Giovanni 3:36).

La relazione di figli nella quale i credenti sono introdotti scaturisce da un’opera di Dio nel cuore che produce la nuova vita. C’è dunque una nuova nascita, d’ordine spirituale, di cui Dio è l’autore: coloro che hanno creduto in Gesù sono “nati da Dio”. Questa nascita non è proprio secondo il modello della natura umana. Quelli che passano per essa “non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d’uomo, ma sono nati da Dio” (Giovanni 1:13).

Il punto di partenza della vita divina in un’anima, della “vita eterna” ha, dunque, due aspetti: c’è il lato dell’uomo ed il lato di Dio. Per mezzo della fede l’uomo riceve la Parola di Dio ed il Salvatore che essa rivela. Parallelamente, Dio compie un’opera di vivificazione: per mezzo della Sua Parola, genera una nuova vita; così i credenti diventano  “partecipi della natura divina” (1 Pietro 1:4).

  • La nuova nascita

Se dunque siamo “figli di Dio”, è perché siamo “nati da Dio”, è perché siamo stati “generati” da Dio. Queste espressioni sono caratteristiche degli scritti di Giovanni [[2]]. La stessa verità si trova nell’epistola di Giacomo: “Egli ha voluto generarci secondo la sua volontà mediante la parola di verità, affinché in qualche modo siamo le primizie delle sue creature” (1:18) ed anche Pietro scrive: “siete stati rigenerati non da seme corruttibile, ma incorruttibile, cioè mediante la parola vivente e permanente di Dio” (1 Pietro 1:23).

Tutto questo è chiaramente rivelato nel colloquio tra il Signore e Nicodemo in Giovanni 3. Il Signore mette questo dottore della legge davanti alla necessità: “Bisogna che nasciate di nuovo” (3:7). Senza la nuova nascita è impossibile “entrare nel regno di Dio” e nemmeno si “può vedere” (3:3, 5).

Così come un bambino riceve dai suoi genitori una natura simile alla loro, il credente riceva da Dio, alla nuova nascita, una nuova natura che porta i caratteri di Colui che lo ha generato: “Quello che è nato dalla carne, è carne; e quello che è nato dallo Spirito, è spirito” (3:6). Questa opera divina è misteriosa come quella del “vento” che “soffia dove vuole” del quale “tu ne odi il rumore” ma “non sai né da dove viene né dove va” dice il Signore, ed aggiunge:“così è di chiunque è nato dallo Spirito” (3:8).

Sottolineiamo tre differenti espressioni impiegate dal Signore in questa conversazione:

  • essere nati di nuovo (3:7);
  • essere nati d’acqua [[3]] e di Spirito (3:5);
  • essere nati dallo Spirito (3:6, 8).

Parlando di questo essere nuovo, risultato della meravigliosa opera di Dio in un uomo, l’apostolo Giovanni dirà: “Il seme divino rimane in lui” (1 Giovanni 3:9).

Tutti i credenti dell’Antico Testamento sono stati, senza dubbio, vivificati allo stesso modo, ma non conoscevano la rivelazione di queste grandi cose. La relazione di figli di Dio non era ancora conosciuta; non poteva esserlo prima della venuta del Figlio di Dio.

  • L’adozione

Prima della formazione del mondo”, Dio ci ha “predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo” (Efesini 1:4-5). Il termine adottare (o: adozione) esprime il pensiero che delle persone che non sono figli sono introdotti nella posizione di figli, con tutti i privilegi che ne derivano. Un tale privilegio, accordato da Dio a dei peccatori che ne erano assolutamente indegni, è “a lode della gloria della sua grazia” (Efesini 1:6). Ora, la nostra miseria morale e la nostra indegnità appartengono al passato: nella Sua grazia “Egli ci ha resi graditi a sé, in colui che è l’amato” (Efesini 1:6 – Versione Vecchia Diodati).

L’Epistola ai Galati indirizzata a dei credenti in pericolo di mettersi sotto la legge, ricorda come Dio ha liberati dalla posizione di schiavitù sia i Giudei, sotto la legge, sia gli uomini delle nazioni senza la legge, per farne dei figli: “Ma quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l’adozione” (Galati 4:4-5). Per quello che riguarda il Figlio di Dio, non è questione di adozione. Lui è Figlio da ogni eternità, ma è venuto nella condizione in cui erano coloro che doveva riscattare (“nato da donna, nato sotto la legge”) e li ha introdotti nella posizione di figli che era la Sua. Che autore di salvezza ci è presentato qui!

L’apostolo Paolo continua: “E, perché siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, che grida: «Abbà, Padre». Così tu non sei più servo, ma figlio; e se sei figlio, sei anche erede per grazia di Dio” (Galati 4:6-7). Rimarchiamo il ruolo dello Spirito Santo: in coloro che sono stati santificati dall’opera di Cristo e che sono così divenuti figli, Dio fa abitare lo Spirito Santo. La presenza di questa Persona divina dà loro coscienza della relazione filiale nella quale sono stati messi in modo che il loro cuore possa spandersi in tutta libertà verso Dio chiamandolo: Padre.

Tutto questo è confermato in un passaggio analogo dell’epistola ai Romani: “E voi non avete ricevuto uno spirito di servitù per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito di adozione, mediante il quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio. Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo” (Romani 8:15:17). Consideriamo la doppia testimonianza ricordata al versetto 16, testimonianza resa dallo spirito del credente e dallo Spirito di Dio che dimora in lui. Per la fede, il credente riceve le dichiarazioni della Parola e si appoggia su di esse, e lo Spirito di Dio dona una potenza divina a queste dichiarazioni affinché il credente ne abbia piena certezza.

Nelle relazioni umane, essere adottati ed essere generati si escludono reciprocamente. Colui che è stato generato da un uomo non ha alcun bisogno di essere adottato da lui, ed il figlio adottivo non è stato generato dal padre adottivo ma gode, ovviamente, dell’eredità del padre. Al contrario, nella salvezza che Dio ci dona, l’adozione ed il fatto di essere stati generati vanno di pari passo e sono complementari:

  • Quando siamo considerati rimossi da una condizione di allontanamento da Dio e portati a Lui come figli, è detto che siamo stati adottati. Questo è l’insegnamento di Paolo.
  • Quando l’accento è messo sulla nuova vita che abbiamo ricevuto da Dio e sull’origine divina della nuova natura che abbiamo ricevuto è detto che siamo nati da Dio, che siamo stati generati da Lui. Questo è l’insegnamento di Giovanni.

Oltre ai tre passi sui quali ci siamo soffermati (Romani 8:15; Galati 4:5; Efesini 1:5) le Scritture menzionano altre due volte l’adozione: “Gemiamo dentro di noi, aspettando l’adozione, la redenzione del nostro corpo” (Romani 8:23); la nostra piena salvezza, il risultato completo della nostra adozione sarà raggiunto quando saremo rivestiti di un corpo glorioso, alla venuta del Signore.

In Romani 9:4, enumerando i privilegi degli Israeliti, Paolo ricorda che avevano l’adozione. Questo pensiero si collega a quello che abbiamo detto all’inizio di questo capitolo. Se, in un certo senso, Dio poteva essere chiamato Padre d’Israele, è perché aveva adottato questo popolo. Mosè è incaricato di dire al faraone: “Così dice il SIGNORE: Israele è mio figlio, il mio primogenito, e io ti dico: Lascia andare mio figlio, perché mi serva” (Esodo 4:22-23) e, nel momento in cui mette gli Israeliti davanti alla loro responsabilità di camminare in modo diverso dalle nazioni pagane, Mosè deve dire loro: “Voi siete figli per il SIGNORE vostro Dio” (Deuteronomio 4:1). Ma, come abbiamo visto in precedenza, questa relazione, che ha un carattere collettivo, è inadeguata rispetto a quella nella quale il Figlio di Dio ha introdotto i suoi riscattati.

  • Il Primogenito ed i Suoi fratelli

Il Salmo 22 mette, profeticamente, davanti a noi le sofferenze di Cristo alla croce, particolarmente quelle dell’abbandono. Dopo il grido di angoscia indirizzato a Dio: “Salvami dalla gola del leone” udiamo il canto di liberazione:“Tu mi risponderai liberandomi dalle corna dei bufali” (Salmo 22:21). Poi, troviamo la menzione di quelli che trovano la loro liberazione nella Sua: “Io annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea” (22:22). L’epistola agli Ebrei cita questo passo aggiungendo un particolare commovente: “Egli non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo: “Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli; in mezzo all’assemblea canterò la tua lode” (Ebrei 2:11-12).

È così che, il giorno della Sua risurrezione, il Signore dice a Maria di Magdala: “Va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro” (Giovanni 20:17).

In un passo rilevante dell’epistola ai Romani, Paolo svela il proposito eterno di Dio: “Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli; e quelli che ha predestinati, li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati, li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati, li ha pure glorificati” (Romani 8:29-30). I disegni di Dio riguardo ai Suoi riscattati sono intimamente legati ai suoi disegni riguardo al Suo Figliolo. Dio vuole avere una famiglia nella quale i Suoi riscattati sono introdotti per grazia e nella quale Suo Figlio è “il primogenito”. In questa famiglia è necessario che tutti i figli siano in uno stato di perfezione e, di conseguenza, bisogna che degli uomini una volta lontani, perduti, colpevoli e contaminati siano “chiamati”, “giustificati” e “glorificati”. Dio vuole che siano resi “conformi all’immagine del Figlio suo”. Tale è il risultato perfetto dell’opera di Cristo.

Questo risultato sarà completamente raggiunto quando i nostri corpi mortali saranno trasformati e resi conformi a quello di Cristo (Filippesi 3:21). “Quando egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com’egli è” (1 Giovanni 3:2). Ma per essere simili a Lui dobbiamo aspettare quel giorno? No! Dio si aspetta dai Suoi figli che riproducano, già da ora, i tratti della nuova natura che hanno ricevuto e che si vedano in loro i caratteri morali che hanno brillato in Cristo, l’uomo perfetto (cfr. 1 Giovanni 2:6; 2 Corinzi 3:18).

Tappe della rivelazione del Padre per mezzo del Figlio

Fin dall’inizio del Suo ministero il Signore Gesù ha rivelato il Padre; non solo si è presentato Lui stesso come il Figlio di Dio mandato per farLo conoscere, ma ha messo in relazione con Dio coloro che Lo ricevettero come se fosse il loro Padre. Tuttavia, l’introduzione di questi credenti nella relazione filiale è fondata sull’opera della redenzione e questa è stata compiuta alla fine del ministero del Signore, alla Sua morte e alla risurrezione. Da questo risulta che la rivelazione del Padre da parte del Figlio ha avuto un carattere progressivo.

  • All’inizio del ministero del Signore Gesù

Il vangelo di Matteo ci presenta in modo dettagliato  il messaggio che il Signore ha indirizzato ai Giudei quando si è presentato loro come Messia: “Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando il vangelo del regno, guarendo ogni malattia e ogni infermità tra il popolo” (Matteo 4:23). Poi, questo vangelo ci dà, nei capitoli 5, 6 e 7 la sostanza del Suo insegnamento, che noi conosciamo come: “il sermone sul monte”. In questi discorsi, Dio, prima di tutto, è presentato come “il Padre” di quelli che sono i discepoli di Gesù.

Quello che è toccante sono le espressioni che sono usate frequentemente sia lì che nei capitoli seguenti: “Il Padre vostro che è nei cieli”, “il Padre vostro celeste” (5:16, 45, 48; 6:1, 9, 14, 26, 32; 7:11 …), e che non sono mai usate nel Libro degli Atti o nelle epistole. Esse richiamano una certa distanza e non rispondono del tutto alla posizione cristiana, così come sarà sviluppata in seguito [[4]].

Occorre, tuttavia, rimarcare che fino a quel momento Gesù diceva anche, parlando di Dio: il “Padre mio che è nei cieli”, “il Padre mio celeste” (7:21; 10:32-33; 12:50; 15:13; 16:17 …) . E così, i discepoli erano già, in qualche misura, introdotti nella posizione che era la Sua come Uomo sulla terra.

  • Alla fine del Suo ministero

Nei discorsi fatti con i Suoi poco prima della Sua morte, così come ci sono riportati nel vangelo di Giovanni nei capitoli da 13 a 17, il Signore avverte i discepoli della Sua morte imminente e della nuova situazione che per loro risulterà  dalla Sua assenza in questo mondo e della presenza nel cielo. In particolare, annuncia la venuta del Consolatore, lo Spirito di verità, per essere con loro eternamente (14:16) e le incomparabili benedizioni che ne scaturiranno.

Nel capitolo 16, il Signore parla di quello che avrà luogo dopo la risurrezione: “In quel giorno non mi rivolgerete alcuna domanda. In verità, in verità vi dico che qualsiasi cosa domanderete al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Fino ad ora non avete chiesto nulla nel mio nome; chiedete e riceverete, affinché la vostra gioia sia completa” (16:23-24). Queste parole ci fanno comprendere che il Signore fino ad allora era l’intermediario tra i discepoli ed il Padre, ma, d’ora in poi, essi sono in diretto contatto con Lui. Non dovranno più presentare le loro domande al Signore affinché le trasmetta al Padre, ma si indirizzeranno direttamente al Padre in completa libertà. Per quale ragione? “Poiché il Padre stesso vi ama” (16:27). Qui il Signore insegna ai discepoli un nuovo modo di pregare, sconosciuto fino a quel momento: pregare il Padre nel Nome del Signore Gesù. Forse, noi abbiamo troppo l’abitudine di pronunciare queste parole alla fine delle nostre preghiere senza realizzarne la vera portata. Quando presentiamo una richiesta a Dio nel nome del Signore Gesù, noi Lo associamo alla nostra richiesta. Facciamo le nostre domande coscienti che esse sono secondo il pensiero del Signore e chiediamo a Dio di riceverle come se esse fossero espresse per mezzo del Figlio.

Il Signore fa questa rivelazione ai Suoi prima della Sua morte, ma essa riguarda il tempo che seguirà la Sua risurrezione.

Avendo finito quello che aveva da dire ai discepoli, il Signore si rivolge al Padre e si indirizza a Lui in loro presenza. Hanno, così, il privilegio di assistere a questo discorso, unico nel suo genere, che il capitolo 17 ci riporta.

Il Signore si esprime considerando la Sua opera compiuta (17:4) e considera i risultati. Lui lascia questo mondo lasciandovi i discepoli e con una grazia perfetta ricorda che Lo hanno ricevuto come l’inviato del Padre e che hanno ricevuto e creduto la parola che ha loro trasmesso da parte Sua (17:8). Sono stati, così, messi in relazione con il Padre.

Ora che il Signore Gesù lascia questo mondo ostile nel quale aveva conservato i discepoli con fedeltà, li affida al Padre perché li conservi (17:11). Chiede al Padre: “Santificali nella verità: la tua parola è verità” (17:17) ed aggiunge: “Per loro io santifico me stesso” (17:19). Santificarsi, vuol dire mettersi a parte per Dio. Il Signore fa qui allusione alla Sua dipartita da questo mondo, la posizione che va a prendere nel cielo, fuori dalla terra, va a legare loro stessi al cielo e ne determina il loro carattere celeste. Della loro unione vitale con Cristo per mezzo dello Spirito Santo e per la posizione celeste del loro Salvatore e Signore essi saranno moralmente ritirati da questo mondo per essere delle persone del cielo ed il Signore li manda “in questo mondo”, di cui non sono più, per essere dei testimoni, come Lui stesso era stato mandato dal Padre (17:18). Ma presto noi saremo con Lui nella gloria.

Il Signore termina dicendo al Padre: “Io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l’amore del quale tu mi hai amato sia in loro, e io in loro” (17:26). Aveva rivelato loro il Padre e, nella misura in cui questo era possibile in quel momento, essi avevano ricevuto le Sue parole ma, d’ora in poi, sul fondamento della Sua opera compiuta e per mezzo dell’azione dello Spirito Santo che avrebbero ben presto ricevuto, Egli avrebbe continuato a far loro conoscere il nome del Padre. Quanto dell’amore del Padre, soggetto sul quale aveva fatto la meravigliosa dichiarazione: “Li hai amati come hai amato me” (17:23), essi ne avrebbero gioito in maniera più profonda.

  • Dopo la Sua risurrezione

In maniera generale, quando il Signore parla di Dio Lo definisce: “Il Padre suo” o “il Padre”; questo è naturale poiché Gesù è il Figlio di Dio. È con questo appellativo di “Padre” che si indirizza a Lui in tutte le preghiere che ci sono riportate nei vangeli con una eccezione [[5]]. Questa eccezione è il grido che ha fatto udire nelle tre ore di tenebre della croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato’” (Matteo 27:46). Là, si trova davanti a Dio come nostro sostituto, l’Uomo perfetto che si è caricato dei nostri peccati per espiarli e per i quali ha incontrato l’ira di Dio.

Prima della venuta di Gesù sulla terra, i credenti hanno potuto rivolgersi a “Dio” sotto diversi caratteri (l’Eterno, l’Onnipotente, l’Altissimo, il Potente, …), ma mai come il loro Padre. Come stiamo vedendo, dopo la venuta del Signore, questo Dio è stato rivelato come Padre ed hanno potuto chiamarLo: “Padre nostro che sei nei cieli” (Matteo 6:9) o, semplicemente: “Padre” (Luca 11:2).

Dopo la risurrezione del Signore, la relazione con il loro Dio e Padre si arricchisce ancora di più. Nel mattino di quel giorno di vittoria, il Signore fa trasmettere ai Suoi questo messaggio da Maria Maddalena: “Va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro” (Giovanni 20:17). In sostanza dice che Colui che è Suo Padre è anche il loro Padre e che Colui che è il Suo Dio è anche il loro Dio. I discepoli e tutti i riscattati con loro, sono introdotti nella relazione in cui Gesù si trova davanti al Suo Dio e Padre. Questo è il glorioso risultato dell’opera della redenzione. I credenti sono assolutamente purificati dai loro peccati, resi “perfetti per sempre” (Ebrei 10:14). Essendo uniti a Cristo, cioè fatti uno con Lui, essi sono resi “graditi a sé, in colui che è l’amato” (Efesini 1:6 [Versione Vecchia Diodati]). Dio li vede nel Suo Figlio e così essi sono nella piena grazia di Dio (Romani 5:2).

Noi siamo legati a Cristo in una maniera così reale e così profonda che Dio è per noi quello che è per Cristo stesso. È questo quello che suggerisce l’espressione che noi troviamo qualche volta nelle epistole: “Il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo” (2 Corinzi 1:3; Efesini 1:3; 1 Pietro 1:3).

Va’ dai miei fratelli …”, dice il Signore a Maria. “Egli non si vergogna di chiamarli fratelli” (Ebrei 2:11). Che testimonianza all’efficacia dell’opera di salvezza che ha compiuto per loro e per noi!

Rimarchiamo che il Signore non ha detto a Maria “Di’ ai miei fratelli: Io salgo al padre nostro, al Dio nostro”. Lui ha un posto a parte. Se c’è una gloria ch’Egli dà ai Suoi (Giovanni 17:22), c’è anche una gloria personale che appartiene solo a Lui e che i Suoi contempleranno (17:24). La Scrittura mantiene gelosamente la Sua preminenza; anche se Dio ci ha “predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo” quello che rimane vero è:“affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli” (Romani 8:29).

Abbiamo, dunque, riscontrato progressivamente, nei capitoli precedenti e, poi, in questo, tre ragioni fondamentali della relazione dei credenti con Dio come Padre:

  • sono stati generati da Lui;
  • sono stati adottati da Lui;
  • sono stati uniti a Cristo, il Figlio di Dio.

Le cure del Padre verso i Suoi figli

  • L’amore del Padre

L’amore di Dio è gloriosamente manifestato nel piano di salvezza che ha concepito per l’uomo, per riscattarlo dalla sua miseria e attrarlo a Sé. Dio ci ha amato quando eravamo ancora peccatori e “odiosi” (Romani 5:8; Efesini 2:4-5; Tito 3:3-4), ci ha donato il suo unigenito Figlio: “In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi, e ha mandato suo Figlio per essere il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati” (1 Giovanni 4:10; cfr. Giovanni 3:16).

Ma il piano di Dio non era di offrire solo la Sua grazia a dei peccatori e giustificarli, Egli voleva una famiglia, dei figli da amare. Così, ha dato la posizione di figli ai peccatori a cui ha fatto grazia: “Vedete quale amore ci ha manifestato il Padre, dandoci di essere chiamati figli di Dio!” (1 Giovanni 3:1). Quelli che ha riscattati, li ha uniti a Cristo, il Suo Unigenito Figlio diletto, l’Uomo risuscitato, ed ora li vede in Cristo nella Sua perfezione.

Parlando di loro, il Signore Gesù può fare al Padre questa straordinaria dichiarazione: “Li hai amati come hai amato me” (Giovanni 17:23). Il Signore è il “diletto Figlio” e noi siamo i “figli amati (o: diletti)” (Matteo 3:17: Efesini 5:1). Niente e mai, potrà “separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 8:39), “perché l’amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato” (Romani 5:5); lo Spirito ci dona la certezza e la gioia di questo amore.

Il nostro Signore gioiva in modo costante dell’amore del Padre, Egli dimorava nel Suo amore, che era per Lui una sorgente di gioia inalterabile; affinché noi seguiamo le Sue tracce, ci rivela il Suo segreto: “Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore; come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore. Vi ho detto queste cose, affinché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia completa” (Giovanni 15:10-11).

Noi possiamo gioire veramente dell’amore del Signore Gesù osservando i Suoi comandamenti, altrimenti la nostra coscienza non è più a suo agio davanti a Lui: una barriera si alza tra noi e Lui, e la gioia e la comunione scompaiono. È la stessa cosa nella nostra relazione col Padre: essa è una sorgente di profonda gioia solo se non c’è niente di irregolare tra noi e Lui. “Carissimi, se il nostro cuore non ci condanna, abbiamo fiducia davanti a Dio” (1 Giovanni 3:31).

Il Signore parla anche di un amore speciale del Padre e di Lui, per quelli che osservano i Suoi comandamenti o la Sua parola: “Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò e mi manifesterò a lui”, ed ancora: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio l’amerà, e noi verremo da lui e dimoreremo presso di lui” (Giovanni 14:21, 23) questi versetti ci insegnano prima che il vero modo d’amare il Signore è osservare le Sue parole ed in seguito che c’è, per chi ama così il Signore, non soltanto un amore speciale ma anche una manifestazione speciale del Figlio e del Padre che faranno dimora in lui; il Figlio ha dato a beneficio di tutti una rivelazione perfetta e completa del Padre, ma la maniera in cui noi vi entriamo personalmente e gioiamo dipende dal nostro stato pratico.

  • Le cure del Padre

Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi tutti, non ci donerà forse anche tutte le cose con lui?” (Romani 8:32). Dio ci ha fatto il dono supremo del Suo amato Figlio; non ci donerà anche tutto quello che ci occorre? Il Padre conosce tutti i nostri bisogni e vi risponderà con amore, potenza e saggezza.

Queste cure del Padre sono già descritte dal Signore nei Vangeli: “Non siate in ansia …”, “Non siate in ansia …”, ripete il Signore ai discepoli in rapporto al nutrimento, al vestirsi, o non importa in quale altro bisogno (Matteo 6:25, 31, 34). Il nostro Padre celeste nutre gli uccelli del cielo e riveste i fiori dei campi di uno splendido ornamento, quanto più ci nutrirà e ci vestirà (26-30)!

Niente è troppo per Dio: “Due passeri non si vendono per un soldo? Eppure, non ne cade uno solo in terra senza il volere del Padre vostro. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete dunque; voi valete più di molti passeri” (Matteo 10:29-31).

Il Signore non ci esorta all’inattività o all’indifferenza ma, piuttosto, ad una vita di fede. Si tratta di dare fiducia ad un Padre che sa quello che fa ai Suoi figli e che si prende cura di loro con amore. Noi dobbiamo lavorare per non essere di peso a nessuno (1 Tessalonicesi 4:11-12), ma gli sforzi della nostra vita non devono essere orientati come prima cosa verso la ricerca del guadagno. Parlando delle cose della terra, il Signore dice: “Sono i pagani che ricercano tutte queste cose” ed aggiunge: “Il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più” (Matteo 6:32-33). Liberi da queste preoccupazioni riguardanti le cose terrene perché abbiamo fiducia in Dio (e non perché abbiamo delle buone riserve e delle buone assicurazioni), possiamo consacrare le nostre forze agli interessi di Dio.

Anche gli apostoli fanno eco alle parole del Signore dette ai discepoli: “Non angustiatevi di nulla …  Dio provvederà a ogni vostro bisogno, secondo la sua gloriosa ricchezza” (Filippesi 4:6, 19); “Ogni cosa buona e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre degli astri luminosi presso il quale non c’è variazione né ombra di mutamento” (Giacomo 1:17); “Gettando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi” (1 Pietro 5:7).

  • La disciplina del Padre

Un padre che ama i suoi figli non lascia che si ubriachino, ma insegna ed educa; li riprende e li punisce quando questo è necessario: “Chi risparmia la verga odia suo figlio, ma chi lo ama, lo corregge per tempo” (Proverbi 13:24). È così che Dio agisce verso coloro che Gli appartengono: “Perché il SIGNORE riprende colui che egli ama, come un padre il figlio che gradisce” (Proverbi 3:12). Al tempo in cui il libro dei Proverbi è stato scritto, Dio non si era ancora rivelato come Padre anche se qui ci viene detto che agisce come un Padre che ama i propri figli. Questo versetto è citato nell’epistola agli Ebrei e là la relazione di Figli è pienamente riconosciuta: “Il Signore corregge quelli che egli ama, e punisce tutti coloro che riconosce come figli”. Sopportate queste cose per la vostra correzione. Dio vi tratta come figli; infatti, qual è il figlio che il padre non corregga? Ma se siete esclusi da quella correzione di cui tutti hanno avuto la loro parte, allora siete bastardi e non figli” (Ebrei 12:6-8).

Anche se, per il presente, la disciplina del Padre non è un soggetto di gioia, ma di tristezza, dobbiamo saper riconoscere la Sua mano amorosa in tutto quello che ci capita. Egli agisce “per il nostro bene, affinché siamo partecipi della sua santità”. “In seguito” questa disciplina produrrà “un frutto di pace e di giustizia in coloro che sono stati addestrati per mezzo di essa” (12:10, 11). Così, non disprezziamo la disciplina e non perdiamoci di coraggio, quando vi siamo sottoposti (12:5). Non dobbiamo essere né stoici, come se la sofferenza fosse una fatalità, né scoraggiati, come se la sofferenza non fosse accuratamente misurata da Dio. Ricordiamoci che “tutte le cose cooperano al bene di coloro che amano Dio” (Romani 8:28).

La disciplina del Padre verso i Suoi figli può rivestire diverse forme. Può essere correttiva ed avere il profilo di una punizione; può essere anche preventiva e formativa. La Parola abbonda di esempi che ci mostrano i risultati morali di una prova. È particolarmente a questa disciplina preventiva e formativa che si riferiscono le parole del Signore all’inizio di Giovanni 15 quando parla del lavoro del vignaiolo sui tralci: “Io sono la vite, voi siete i tralci”. “Il Padre mio è il vignaiuolo”. “Ogni tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne dia di più”. “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto” (Giovanni 15:1-8). E che cos’è il frutto se non l’espressione della vita di Gesù nei credenti? È questo, molto più che le buone opere, che glorifica il Padre. Lasciamo, dunque, che svolga il suo lavoro in noi.

Le relazioni dei figli con il Padre

  • Fiducia e libertà, timore e santità, obbedienza

La nostra debolezza, le nostre infermità ed anche le nostre mancanze non ci devono impedire di avvicinarci al Padre, ma, al contrario, sono le ragioni per andare a Lui.

Poiché noi abbiamo un “sommo sacerdote”, “Gesù, il Figlio di Dio”, che simpatizza nelle nostre infermità e che, instancabilmente, “intercede per noi” (Ebrei 4:15; Romani 8:34), “Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovare grazia ed essere soccorsi al momento opportuno” (Ebrei 4:6). Per mezzo di Cristo “abbiamo accesso al Padre in un medesimo Spirito” (Efesini 2:18) e “nel quale abbiamo la libertà di accostarci a Dio, con piena fiducia, mediante la fede in lui” (Efesini 3:12).

Inoltre, lo Spirito Santo che abita in noi, “lo Spirito d’adozione” che ci dà la certezza della nostra relazione di figli, sviluppa nei nostri cuori la libertà e la fiducia per andare a Dio. Per lo Spirito noi “gridiamo: Abbà! Padre!” (Romani 8:15), espressione di intimità che il Signore stesso utilizza in Getsemani (Marco 14:36). Il nome Padre, che noi pronunciamo con fiducia, è realmente il grido dello Spirito in noi: “Perché siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, che grida: “Abbà, Padre” (Galati 4:6).

La relazione stabilita tra il Padre e noi non deve essere un pretesto per mancarGli di rispetto e di timore. Egli rimane Dio in tutta la Sua maestà e santità: “Se invocate come Padre colui che giudica senza favoritismi, secondo l’opera di ciascuno, comportatevi con timore durante il tempo del vostro soggiorno terreno” (1 Pietro 1:17).

Questo timore necessario è messo bene in evidenza in un passo della seconda epistola ai Corinzi. Paolo mette i credenti in guardia contro un giogo male assortito con gli increduli, contro l’associarsi con le persone del mondo. I credenti sono nel mondo ma non sono del mondo; essi devono esserne moralmente separati. “Perciò uscite di  mezzo a loro e separatevene, dice il Signore, e non toccate nulla d’impuro; e io vi accoglierò. E sarò per voi come un padre e voi sarete come figli e figlie”, dice il Signore onnipotente. Poiché abbiamo queste promesse, carissimi, purifichiamoci da ogni contaminazione di carne e di spirito, compiendo la nostra santificazione nel timore di Dio” (2 Corinzi 6:17-18, 7:1). La nostra vita pratica deve essere in accordo con quello che Dio ha fatto di noi. Noi siamo stati resi santi per mezzo dell’opera di Cristo e Dio si aspetta che siamo santi in tutta la nostra condotta. È vero che siamo figli di Dio per mezzo di ciò che ha operato in noi, ma bisogna che noi camminiamo nella santità pratica perché Egli possa riconoscerci come figli, e noi possiamo gioire della relazione nella quale ci ha messi.

Quello che ci si aspetta da un figlio, è che sia obbediente ai suoi genitori (Efesini 6:1). L’obbedienza al nostro Dio e Padre deve essere uno dei nostri tratti distintivi, in modo da essere veramente “figliuoli d’obbedienza” (1 Pietro 1:14 [Versione Vecchia Diodati]). La fede e l’obbedienza sono due nozioni molto simili. Si tratta di una sottomissione totale del cuore e dello spirito a quello che Dio ha detto (cfr. Romani 1:5; 6:17; 16:26). Nel loro stato naturale, gli uomini sono “figliuoli della disobbedienza” (Efesini 2:2; 5:6 [Versione Vecchia Diodati]) e chi non crede in Cristo “disobbedisce al Figlio” (Giovanni 3:36 – traduzione lett. dalla Versione francese JND).

  • La preghiera

All’inizio del suo ministero, il Signore ha messo i discepoli in relazione con “il Padre vostro che è nei cieli” (Matteo 5:16). ha insegnato loro ad avvicinarsi a Lui nella solitudine della camera  rivolgendosi “al Padre tuo che è nel segreto”, senza usare inutili ripetizioni, “poiché il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiediate” (Matteo 6:6-8).

La preghiera che il Signore insegna ai discepoli (Matteo 6:9-13; Luca 11:2-4), che qualcuno chiama “Padre nostro”, è caratteristica dell’epoca in cui vivevano. Il Signore Gesù si presenta al Suo popolo per stabilire il regno promesso e non era ancora stato rigettato. Si poteva ben chiedere la venuta di questo regno e, in vista di quello, desiderare che la volontà di Dio fosse fatta sulla terra come in cielo. La morte del Signore e l’opera della redenzione non erano ancora conosciute, e neanche la venuta dello Spirito Santo per abitare nei credenti. Tuttavia, questa preghiera ci fornisce dei principi morali che sono validi in tutti i tempi, specialmente in quello che consiste nel mettere gli interessi di Dio davanti ai nostri bisogni.

A più riprese, nel corso del Suo ministero, il Signore ha parlato ai discepoli della preghiera e si è mostrato Egli stesso come esempio pregando costantemente. Li ha incoraggiati a pregare il Padre con coraggio, brevità e precisione (Luca 11:5-10), con perseveranza (Luca 18:1-8) e con fede (Matteo 21:22). È evidente che il Padre si aspetta dai Suoi figli tutto meno che la recita meccanica di una preghiera imparata a memoria.

La preghiera ci mette in luce davanti al Padre. Quando siamo veramente in questa luce, la nostra coscienza ci rivela ciò che in noi deve essere giudicato. A questo proposito il Signore insegna che: “Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate; affinché il Padre vostro, che è nei cieli, vi perdoni le vostre colpe. Ma se voi non perdonate, neppure il Padre vostro che è nei cieli perdonerà le vostre colpe” (Marco 11:25-26). Se, presentandoci davanti a Dio, ci ricordiamo di una controversia con un fratello, perdoniamolo, altrimenti saremo esposti ad un castigo di Dio nel Suo governo [[6]]. Se noi coltiviamo dei sentimenti malvagi nei confronti di un nostro fratello, non siamo in condizione di pregare liberamente il Padre. Questo è vero in particolare nella vita di coppia: il disaccordo impedisce le preghiere (1 Pietro 3:7).

Nei Suoi ultimi intrattenimenti coi discepoli, il Signore li ha messi in relazione più diretta e più profonda con il Padre, insegnando loro a pregare nel Suo Nome (Giovanni 16:23, 26) e noi ci siamo già soffermati su questo soggetto.

Quando eravamo bambini, abbiamo probabilmente imparato ad indirizzare le preghiere al Signore Gesù, questo è comprensibile, ma, se siamo dei figli di Dio, usiamo la libertà che abbiamo per indirizzarci al Padre? Il Signore Gesù stesso ci incoraggia a farlo. Si odono, talvolta, dei credenti formulare le loro preghiere utilizzando esclusivamente l’appellativo “Signore” senza che forse sappiano a chi la indirizzano. Queste preghiere sono certamente ascoltate, ma il Nuovo Testamento, che ci rivela il Padre ed il Figlio, ci dà un altro esempio. Negli Atti e nelle epistole i credenti che si rivolgono sia al Signore Gesù sia a Dio Padre [[7]]. Noi abbiamo la libertà di indirizzarci all’Uno o all’Altro. Non abbiamo delle regole quanto alla Persona a cui conviene indirizzarci, l’essenziale è che noi abbiamo una piena libertà riguardo al Padre esattamente come col Figlio e che ci lasciamo condurre dallo Spirito.

A questo riguardo, ricordiamo il ruolo iniziale dello Spirito Santo nella preghiera. Noi dobbiamo pregare per lo Spirito (Efesini 6:18; Giuda 20), cioè lasciamoci guidare da Lui. È possibile che noi “non sappiamo pregare come si conviene” ma “lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza” e se anche sono dei “sospiri ineffabili” che salgono dai nostri cuori, il Padre nostro li ode e li comprende perché “colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito” (Romani 8:26-27).

  • La lode e l’adorazione

Indirizziamo senza riserve le nostre richieste a Dio, ma non dimentichiamo ch’Egli si aspetta dai Suoi figli riconoscenza e lode, “preghiere e suppliche, accompagnate da ringraziamenti” (Filippesi 4:6). “Non cessate mai di pregare; in ogni cosa rendete grazie” (1 Tessalonicesi 5:17). Possiamo cantare e salmeggiare  di cuore al Signore “ringraziando continuamente per ogni cosa Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo” (Efesini 5:20). Seguiamo l’esempio del salmista d’Israele: “Benedici, anima mia, il SIGNORE e non dimenticare nessuno dei suoi benefici” (Salmo 103:2).

Ma non è solo per le Sue cure giornaliere  che noi dobbiamo benedire il Padre. È prima di tutto per il Salvatore che ci ha donato e per la salvezza che ci ha accordata in Lui. Noi possiamo ringraziare “con gioia il Padre che vi ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. Dio ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio” (Colossesi 1:12-13). Con i nostri fratelli e sorelle in fede avendo tra noi “un solo animo e d’una stessa bocca” glorifichiamo “il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo” (Romani 15:5-6). Allora, noi uniamo le nostre voci a quella del Signore. Egli è presente in mezzo ai Suoi e li conduce, per la potenza dello Spirito Santo, a lodare il Padre in comunione con Lui: “per questo egli non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo: “Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli; in mezzo all’assemblea canterò la tua lode” (Ebrei 2:11-12).

Coì facendo, anticipiamo la lode eterna. Pensiamo all’onore di cui Dio è degno di ricevere dalle Sue creature privilegiate, ed a quello che il Padre vuole ricevere dai Suoi figli. Il Signore Gesù lo ha rivelato alla Samaritana al pozzo di Sicar: “Ma l’ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori” ed aggiunge: “Dio è Spirito; e quelli che l’adorano, bisogna che l’adorino in spirito e verità” (Giovanni 4:23-24). Noi adoriamo il Padre e adoriamo Dio. le due cose sono inseparabili.

Camminare come figli diletti

  • Siate dunque imitatori di Dio

Dai Suoi figli sulla terra, Dio si aspetta che riproducano i Suoi caratteri morali in tutta la loro condotta; così, l’apostolo Paolo, scrive agli Efesini: “Siate invece benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo. Siate dunque imitatori di Dio, come figli amati” (Efesi 4:32; 5:1).

Molti passi ci presentano Cristo come modello da imitare (Efesini 5:2; 1 Corinzi 11:1; Filippesi 2:5; 1 Pietro 2:21; 1 Giovanni 2:6). Ogni Sua azione, ogni parola o pensiero erano rivolti alla piena soddisfazione del Suo Dio e Padre. Essendo Uomo ha potuto mostrarci come i caratteri divini potevano manifestarsi nella nostra vita sulla terra e, nella misura in cui noi seguiremo le Sue orme, che le nostre vite saranno gradite a Dio.

Ma, nel passo citato, la nostra attenzione è attratta dall’esempio dato da Dio stesso a quelli che hanno l’immenso privilegio di essere Suoi figli.

  • Come il vostro Padre celeste

Dal momento in cui Dio è stato rivelato come Padre, ci viene presentata la responsabilità di seguire il Suo esempio. Effettivamente, fin dall’inizio del Suo ministero, il Signore insiste su questa necessità: “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro” (Luca 6:36); “Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste” (Matteo 5:48).

Lo scopo di una tale condotta non è per essere ammirati, ma che Dio sia glorificato: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Matteo 5:16).

Nella parabola del servo spietato, il Signore ricorda prima di tutto, l’immensità del perdono che Dio ci ha concesso (Matteo 18:23-35), poi mette in evidenza il dovere che abbiamo di perdonare coloro che ci hanno offeso. Infine, dopo aver indicato il castigo inflitto dal padrone al servo incapace di ricordarsi della grazia che gli era stata fatta, il Signore conclude: “Così vi farà anche il Padre mio celeste, se ognuno di voi non perdona di cuore al proprio fratello” (Matteo 18:35).

Dalla preghiera che il Signore Gesù insegna ai discepoli potremmo essere sorpresi dalla richiesta: “Rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori” (Matteo 6:12). In effetti, il modello di perdono lo ha dato Dio e noi dobbiamo imitarLo. Non abbiamo bisogno che ci perdoni oltre la piccola misura che possiamo realizzare noi stessi? Invitando i discepoli ad esprimersi in questa maniera, il Signore li porta a mettersi davanti al loro Padre celeste con una coscienza pura e con rettitudine, e non chiedendo a Dio una grazia ch’essi rifiutano ad altri.

Nel sermone sul monte, il Signore dice anche: “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Matteo 5:44-45). L’espressione: “affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli” non significa: “affinché diveniate figli!”. Rimane sempre vero che il diritto di essere figli di Dio è dato a coloro che hanno ricevuto il Signore per fede e che sono nati da Dio (cfr. Giovanni 1:12-13). Dalle parole di Signore, si tratta di essere figli in modo pratico, di avere un comportamento che manifesti i caratteri del Padre [[8]].

  • I tratti caratteristici dei figli di Dio

Questo soggetto è presentato in modo particolarmente incisivo nella prima epistola di Giovanni: colui che crede è più volte indicato come qualcuno che è “nato da Dio” o “nati da Lui” (1 Giovanni 2:29; 3:9; 4:7; 5:1, 4, 18); è passato per la nuova nascita, così come il Signore lo ha insegnato a Nicodemo. Essendo nato da Dio è stato reso partecipe della natura divina, che si manifesta in frutti che possono essere visti e riconosciuti. I due frutti essenziali sono: l’amore e la giustizia pratica.

  1. L’amore – Il punto di partenza è l’amore di Dio: “Vedete quale amore ci ha manifestato il Padre, dandoci di essere chiamati figli di Dio! ” (3:1) e per due volte viene dichiarato: “Dio è amore” (4:8, 16). È la Sua natura. Quanto a noi, se conosciamo l’amore è perché ne siamo stati l’oggetto da parte del Padre e del Figlio: “In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi, e ha mandato suo Figlio per essere il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati” (4:10); “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi” (3:16).

Ora, noi siamo stati fatti partecipi di questa natura divina, che è amore [[9]]. L’amore messo in pratica nella nostra vita di ogni giorno è, dunque, il frutto spontaneo della nuova natura che possediamo. Gli ultimi due versetti citati continuano così: “Carissimi, se Dio ci ha tanto amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri” (4:11) e: “Anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli” (3:16). Così, quelli che sono “nati da Dioamano. È da questo che si possono riconoscere: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio” (4:7); “Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio; e chiunque ama colui che ha generato, ama anche chi è stato da lui generato” (5:1). In questa epistola si tratta di amare “i nostri fratelli” per la sola ragione ch’essi sono, come noi, figli di Dio partecipi della natura divina. È una dimensione diversa da quella che ci chiede: “amate i vostri nemici” (Matteo 5:44).

Troviamo per due volte scritto, dalla penna dell’apostolo Giovanni la dichiarazione: “Nessuno ha mai visto Dio …”. La prima volta, nel vangelo, l’apostolo aggiunge: “… l’unigenito Dio, che è nel seno del Padre, è quello che l’ha fatto conoscere” (Giovanni 1:18). Nella Sua Persona Gesù ha reso visibile il Dio invisibile. La seconda volta, nella sua prima epistola, l’apostolo aggiunge: “… se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e il suo amore diventa perfetto in noi” (1 Giovanni 4:12). Dio è, in qualche misura, reso visibile nei Suoi figli, se si amano l’un l’altro. È da questo che si può vedere che dimora in loro.

  • La giustizia pratica – Dio non è solo amore ma è luce (1 Giovanni 1:5), Egli è giusto e santo, ha orrore del male. Quelli da Lui generati hanno una natura che ama la giustizia, che desidera e persegue il bene ed odia e fugge il male. Perciò la vita pratica del credente deve essere nella giustizia e nella santità e si può riconoscerlo da questo: “Se sapete che egli è giusto, sappiate che anche tutti quelli che praticano la giustizia sono nati da lui” (1 Giovanni 2:29); “Chiunque è nato da Dio non persiste nel commettere peccato, perché il seme divino rimane in lui, e non può persistere nel peccare perché è nato da Dio” (1 Giovanni 3:9 – cfr. 5:18). Un cammino nel peccato è una incoerenza per il credente.

Solo in Cristo la natura divina si è manifestata senza difetto e nella sua pienezza; in noi ci saranno sempre dei difetti. L’apostolo Giovanni lo dice espressamente e ci indica quali sono le nostre risorse a questo riguardo (cfr. 1 Giovanni  da 1:9 a 2:1) quindi, il solenne insegnamento di questa epistola deve esercitare profondamente i nostri cuori.

L’apostolo Giovanni indirizza ai “giovani” un’esortazione particolare: “Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui” (1 Giovanni 2:15). La coscienza di essere stati e di essere gli oggetti dell’amore del Padre dovrebbe risvegliare una risposta d’amore nei nostri cuori, ma questo non può aver luogo se questi sono ripieni del mondo e delle cose del mondo. Noi abbiamo tutto quello che occorre per far fronte alle difficolta che incontreremo: “Poiché tutto quello che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede” (1 Giovanni 5:4). La natura che Dio ci ha donato non è interessata al mondo e la nostra fede fissa gli sguardi sulle cose invisibili.

Un cammino nella giustizia ed in santità è sicuramente un cammino nell’obbedienza ai comandamenti di Dio: “Da questo sappiamo che l’abbiamo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: “Io l’ho conosciuto”, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui” (1 Giovanni 2:2-3).

Noi possiamo venirci a trovare in situazioni in cui sembra che amare i nostri fratelli ed osservare i comandamenti di Dio siano delle cose incompatibili, ma non è così. Un vero amore che ha in vista il bene spirituale dei nostri fratelli è, necessariamente, in accordo con l’obbedienza ai comandamenti divini: “Da questo sappiamo che amiamo i figli di Dio: quando amiamo Dio e mettiamo in pratica i suoi comandamenti” (1 Giovanni 5:2).

Conclusione

Percorrendo l’insegnamento del Nuovo Testamento su questo meraviglioso soggetto, abbiamo potuto constatare che Colui che conosciamo come nostro Padre rimane sempre Dio, con tutti i Suoi attributi e tutti i Suoi caratteri divini; perciò, tutto quello che è vero del nostro Dio è vero del nostro Padre e bisogna evitare di separare quello che ci è insegnato nei passi in cui è chiamato Padre da quello che ci è insegnato nei passi in cui è chiamato Dio. Per esempio: noi adoriamo il Padre, ma allo stesso tempo adoriamo Dio (1 Giovanni 4:23-24); siamo chiamati ad imitare il Padre (Matteo 5:48; Luca 6:36) ma anche ad imitare Dio (Efesini 5:1); i nostri cuori sono riscaldati dall’amore del Padre (1 Giovanni 3:1), che è anche l’amore di Dio (1 Giovanni 2:5; 3:17; …).

Tutto quello che è stata la parte dei credenti dell’Antico Testamento, nella loro relazione con Dio, è anche la parte dei cristiani. Noi non parliamo di quello che era caratteristico della dispensazione della legge, ma della bontà di Dio, delle Sue cure, della Sua disciplina, delle Sue promesse, in una parola: di tutto quello a cui la fede si attaccava. Tutto questo è ancora vero per noi e ad un grado più elevato ancora, perché Dio è nostro Padre e il “Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo” al quale siamo legati indissolubilmente.

I credenti dell’Antico Testamento, come Giobbe o Geremia, avevano imparato a ricevere tutto da parte dell’Altissimo, il male come il bene (Giobbe 2:10; Lamentazioni 3:38). Noi abbiamo ancora più ragioni di farlo perché Colui che ci dispensa tutto quello che ritiene necessario è, allo stesso tempo, un Padre pieno di compassione verso i Suoi figli. Che privilegio sapere che il “Dio eterno”, “l’Onnipotente”, “unico in saggezza”, il Dio che conosce la fine di ogni cosa prima che sia avvenuta (Isaia 46:10) … è nostro Padre!

DiamoGli fiducia, stringiamoci a Lui, abbiamo a cuore di onorarLo, nell’attesa di essere introdotti per sempre in casa Sua: la casa del Padre, là dove Gesù ci ha preparato un luogo (Giovanni 14:2-3).

Non perdiamo di vista che lo scopo di Dio è di renderci “conformi all’immagine del Figlio suo” (Romani 8:29). Per questo opera in noi per mezzo dello Spirito e, spesso, per mezzo delle prove. Ben presto il risultato sarà visto nella gloria: la bellezza del Figlio unigenito brillerà in ciascuno dei Suoi riscattati, in quelli che ha chiamato Suoi fratelli, i figli del Padre Suo.


[1] – Lo stesso senso del termine “Padre” si trova anche nel Nuovo Testamento: “Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, fra tutti e in tutti” (Efesini 4:6)

[2] – Vedi: 1 Giovanni 2:29; 3:9; 4:7; 5:1, 4, 18

[3] – L’acqua è una figura della Parola; questa Parola è “il seme” (cfr. 1 Pietro 1:23).

[4] – Gli anni durante i quali il Signore ha esercitato il Suo ministero sulla terra costituiscono un periodo di transizione tra la dispensazione della Legge e quella della Chiesa. La piena rivelazione del cristianesimo si fonda sulla morte e sulla risurrezione di Cristo, sulla Sua elevazione in gloria e sulla presenza dello Spirito Santo sulla terra. Il Signore stesso aveva già avvertito i Suoi discepoli che aveva ancora molte cose da dire loro ma che sul momento non erano alla loro portata (cfr. Giovanni 16:12).

[5] – Confronta: Matteo 11:25, 26; 26:26, 39, 42; Luca 23:34, 46; Giovanni 11:41; 12:27-28; 17:11, 21, 24, 25.

[6] La relazione di figli non è messa in causa per una mancanza o una disobbedienza. Quando il Signore dice: “Neppure il Padre vostro … perdonerà le vostre colpe”, non parla della salvezza eterna, ma della disciplina del Padre nei confronti dei Suoi figli.

[7]Vedi in particolare: Atti 4:24; 7:59-60; 12:5; Romani 10:1; 15:30; 2 Corinzi 12:8; Efesini 1:16-17; 3:14; Filippesi 4:6; Colossesi 4:2-3; 1 Tessalonicesi 1:2; Giacomo 1:5; 1 Giovanni 3:21-22. Le citazioni delle preghiere indirizzate al Signore Gesù sono meno frequenti delle altre.

[8] – Questo utilizzo del termine figlio si ritrova nelle espressioni “figli d’Abraamo” (Galati 3:7), “figli del diavolo” (Atti 13:10) o in espressioni equivalenti (Giovanni 8:39, 44; 1 Giovanni 3:19). Queste espressioni non indicato una vera filiazione, benché la si possa supporre.

[9] – Sottolineiamo che non è detto che il credente “è amore”, benché sia partecipe di questa natura divina.