Considerazioni sulla santità di Dio
Importanza di questo attributo
La santità occupa un posto di assoluto rilievo nelle perfezioni di Dio, questo fatto è particolarmente enfatizzato dalla Bibbia. Dio, infatti, è identificato con il termine SANTO circa 40 volte, più di ogni altro attributo a Lui riferito. In molti casi il carattere associato al nome di Dio. Troviamo spesso l’espressione “il mio santo nome”, o “il suo santo nome”.
È l’unica perfezione di Dio che viene esaltata e ripetuta tre volte nell’adorazione, nelle visioni celesti di Isaia e Giovanni (Isaia 6:1-7, Apocalisse 4:1-11).
La santità di Dio rappresenta la gloria e la bellezza delle sue perfezioni (Salmo 29:2 e 96:9).
Qualcuno ha evidenziato che la santità è il carattere per cui Dio è Dio.
Le sue promesse che rimarcano la sua fedeltà sono sante (Salmo 105:42). Il Suo trono che ci parla della Sua sovranità e del Suo dominio è santo (Salmo 47:8). E così è di tutti gli altri suoi attributi: la Sua onniscienza, la Sua Sapienza, il Suo amore, la Sua grazia. Tutto opera in armonia con la Sua santità.
Significato del termine
Nella Bibbia il concetto di “separazione”, “messa a parte” è alla base dei due termini utilizzati nell’Antico e nel Nuovo Testamento per la parola “santo”. Quando Dio è identificato con il termine Santo, significa che Dio è Colui che è separato e distinto.
Ma separato da cosa? Ci sono due aspetti:
1) Dio è separato e distinto dalle Sue creature visibili e invisibili
È esaltato, diverso e distinto al di sopra di ogni altra cosa, nella Sua gloria infinita e maestà che va oltre la nostra comprensione. Potremmo dire che è di un altro rango, che non è paragonabile a niente e a nessuno ed è al di fuori di ogni categoria o codificazione umana. Questo aspetto ad esempio è enfatizzato in Isaia 57:15: “Così parla Colui che è l’Alto, l’eccelso, che abita l’eternità e che si chiama il Santo. Io dimoro nel luogo eccelso e santo, ma sto vicino a chi è oppresso e umile di spirito”. La Sua santità è associata alla Sua posizione elevata, che lo pone al di sopra e lo distingue della creazione, come risulta chiaro ad esempio in Esodo 15:11 “Chi è pari a te fra gli dei, o Signore? Chi è pari a te, splendido nella tua santità, tremendo anche a chi ti loda, operatore di prodigi?” e in 1 Samuele 2:2 “Nessuno è santo come il Signore poiché non c’è altro Dio all’infuori di te; e non c’è rocca pari al nostro Dio”.
2) Dio è separato da ogni forma di male
Come conseguenza della Sua santità assoluta è separato dal male.
Si tratta della connotazione morale della santità, cioè la separazione da tutto ciò che è male. Dio non può peccare, non tenta nessuno per indurlo a peccare e non può avere nulla a che fare con qualsiasi forma di male. Non può essere contaminato dalla più piccola traccia di iniquità. Come Eliu ha spiegato a (Giobbe 4:10): “Lungi da Dio il male, lungi dall’Onnipotente l’iniquità.” Il profeta Abacuc ha dichiarato che Dio è così puro che non può neppure guardare il peccato (1:13): “Tu, che hai gli occhi troppo puri per sopportare la vista del male, e che non puoi tollerare lo spettacolo dell’iniquità”. Il salmista Davide (Salmo 5:4) evidenzia che “presso di Te (cioè Dio) il male non trova dimora”. Altri versetti dichiarano che Dio odia il peccato (Proverbi 6:16–19, Ebrei 1:9). Il nostro Dio Santo è totalmente separato dal peccato. Giovanni paragona la santità di Dio alla luce (1 Giovanni 1:5) “Dio è luce ed in lui non ci sono tenebre”; nel mondo non c’è nulla di così puro che possa essere paragonato a Dio, ma Giovanni sceglie la cosa più pura che conosciamo: la luce. In Dio, per così dire, non c’è neppure un accenno di ombra o di oscurità, nessuna traccia di peccato. È moralmente perfetto.
Le reazioni di alcuni uomini di fronte alla santità di Dio:
Possiamo dire che nel giardino di Eden Dio parlava con Adamo ed Eva e non vi erano ostacoli ad una relazione armoniosa con Lui. Con l’introduzione del peccato l’uomo si è nascosto dalla presenza di Dio, perché aveva paura.
Mosè (Esodo 3:1-7)
Quando Mosè nel deserto di Oreb ha la visione della presenza dell’angelo del Signore che appare in una fiamma di fuoco nel pruno ardente, si muove per vedere meglio quella grande visione. Dio lo vede muoversi, lo chiama e gli dice: “Non ti avvicinare qua; togliti i calzari dai piedi perché il luogo sul quale stai è sacro”. Poi aggiunge: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo di Isacco e il Dio di Giacobbe”. Mosè allora si nascose la faccia, perché aveva paura di guardare Dio.
È importante evidenziare che in questa occasione Dio si rivela con il nome di Yaweh, dice IO SONO COLUI CHE SONO cioè Colui che è, che sempre stato e che sempre sarà. Colui che ha vita in sé stesso, che è eterno, immutabile, che non ha limiti, che non dipende da nessuno, in una parola che è SANTO, cioè distinto e diverso da ogni altra cosa.
Isaia (Isaia 6:1-7)
Questo è uno dei passi principali con il quale si presenta la santità di Dio. La scena posta dinnanzi a Isaia è delle più eccelse. Nella visione, i serafini, creature angeliche con sei ali, con due si coprivano la faccia, con due si coprivano i piedi e con due volvano. “L’uno gridava all’altro e diceva “Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti! Tutta la terra è ripiena della sua gloria!”. La visione nei suoi dettagli è stupenda e ricca di significato. Di fronte a questa, Isaia, che pure era un servitore di Dio, si rende conto del suo stato ed esclama: “Guai a me …”. Questa formula ha un senso profondo nella bocca di un profeta. Era infatti la formula con cui essa pronunciava oracoli di maledizione e giudizio (cfr. Amos 1 – Apocalisse 8:13). Il profeta continua dicendo: “…sono perduto!” È importante notare che il SIGNORE non ha né sminuito la reazioni di Isaia, né lo ha schiacciato a causa della sua miseria. Infine, va sottolineato che quando Isaia ha avuto una visione del SIGNORE sul Suo trono ed è entrato in contatto con la Sua gloriosa maestà e santità, ha percepito la grandezza di Dio e ha acquisto consapevolezza dello stato di miseria sua e del suo popolo. In questo brano è importante anche notare il processo che si sviluppa: visione della maestà e della gloria di Dio (1-2), adorazione (3-4), confessione (5), purificazione (6-7).
Pietro (Luca 5:1-11)
Pietro era un esperto pescatore. Potremmo dire che per lui il Mare di Galilea non aveva segreti. La notte precedente si era affaticato, ma non aveva preso nulla. Quello era il suo lavoro è da quello guadagnava. Poi alla parola del Signore Gesù, getta la rete ed è detto che “presero una tal quantità di pesci che le reti si rompevano”. Di fronte a questo miracolo, di fronte alla pesca più redditizia che abbia mai avuto, Pietro non prova una gioia umana nel suo cuore e il primo pensiero che ha non è quello di sfruttare economicamente quella pesca abbondante. Si sente indegno di restare alla presenza del Signore. Egli vuole che “il Santo” si allontani da Lui. Pietro ha dovuto annullare tutta la scala di valori umani, le sue certezze, le abilità nelle quali confidava. Per Pietro, come per Giacomo e Giovanni figli di Zebedeo, la presenza del Santo lo metteva in forte disagio (Luca 5:8-9). La reazione di Pietro è stata in conseguenza alla presenza fisica del Signore Gesù uomo e non di una visione del SIGNORE sul trono in gloria, ma non è stata minore delle due precedentemente descritte. La luce, la purezza e i caratteri così estranei agli uomini che il Santo emanava erano scomodi, ed ancora una volta l’uomo non vorrebbe continuare a udire e presenziare davanti al Santo. Pietro in questa occasione entra in una relazione più intima con Gesù, lo chiama Signore (non più il Maestro) e questo gli mostra con chiarezza il suo stato, egli confessa: “sono un peccatore”.
È degno di nota che il Signore Gesù risponde con un meraviglioso: “Non temere” e il paragrafo si chiude con delle persone che seguono il Signore.
Giovanni (Apocalisse1:9-17)
Giovanni sente una voce potente, come uno squillo di tromba e voltatosi ha una visione di Cristo glorificato. In vesti sacerdotali, la Sua purezza è esaltata dai suoi capelli, e i Suoi occhi, come fiamma di fuoco, mostrano il severo, onnisciente e penetrante giudizio sul peccato. Il suo volto risplende come il sole, quando esso rispende il tutta la sua forza. Abbiamo mai provato a fissare il sole in un giorno d’estate? Dalla Sua bocca esce una spada affilata e a doppio taglio. Egli non è più il neonato nella mangiatoia di Betlemme. Giovanni non lo contempla più come l’umile uomo di dolore, coronato di spine. È ora il giudice e Signore della gloria. Davanti a questa visione Giovanni, “il discepolo che Gesù amava”, che durante l’ultima cena “stava inclinato sul seno di Gesù” cade come morto. Ancora una volta, davanti all’immediata presenza del Dio santo, (cfr. 17-18) l’uomo, sebbene della levatura spirituale di Giovanni, vive un’esperienza particolare.
Anche in questo caso è prezioso considerare che il Signore non lo lascia in uno stato di prostrazione, ma è detto “pose la sua mano destra su di me dicendo: «Non temere…»” (Apocalisse 1:17-18).
Nel considerare tutti questi esempi, certamente percepiamo il bisogno di acquisire, nella nostra mente e nel nostro cuore, una maggiore comprensione di chi è Dio nella Sua essenza. Percepiamo anche che nella cristianità degli ultimi tempi, la natura di Dio e le Sue qualità sono state in alcuni casi banalizzate, e raramente le si predicano nella loro interezza. È importante riscoprire il vero messaggio biblico a questo riguardo.
Nel mondo odierno, la persona è posta sempre di più al centro di tutto. Questa tendenza è assorbita anche dalla cristianità e spesso si rischia di trattare Dio in modo troppo familiare, umano, perdendo il senso della Sua santità e maestà, del timore reverenziale e dell’inavvicinabilità.
Riflettendo sui casi degli uomini di fede esaminati che si sono rapportati a Dio, certamente, avviene in noi una “maggiore consapevolezza di chi è Dio” e un “ridimensionamento di noi stessi”.
Acquisiremo una maggiore consapevolezza di chi Egli è e della smisurata grazia che ci è stata fatta, lo adoreremo sempre più avvicinandoci a Lui intimamente, come piccoli bambini. Apparentemente questa ultima affermazione sembra contraddire quanto espresso in precedenza, ma in realtà non è così. Infatti, avere comunione con Dio è una cosa diversa dall’avere confidenza.
La santità del Signore Gesù.
E’ meraviglioso contemplare nella persona del Signore Gesù la santità secondo i caratteri esaminati in precedenza.
Egli era l’Uomo venuto dal cielo, aveva i caratteri del cielo. Ha preso un corpo simile al nostro al di fuori del peccato. Era Uomo fra gli uomini, ma separato e distinto e questa distinzione era evidente.
All’annunciazione l’angelo dice a Maria: “…colui che nascerà sarà chiamato Santo Figlio di Dio”.
Molte volte negli uomini ha destato reazioni di timore e di stupore.
La frase “Chi è costui” è stata proferita dagli uomini in molte occasioni riguardo al Santo in mezzo a loro, riguardo a qualcuno che era diverso in mezzo a loro (Matteo 21:10; Luca 5:21; 7:49).
In Marco 4:35-41, quando il Signore Gesù calma la tempesta i discepoli “… furono presi da gran timore e si dicevano gli uni gli altri: “Chi è dunque costui, al quale persino il vento e il mare ubbidiscono?”. È istruttivo ricordare che lo stesso Pietro che aveva detto al Signore Gesù: “allontanati da me, perché sono un peccatore”, un po’ di tempo dopo di fronte alla domanda del Signore: “Non volete andarvene anche voi?”, Pietro risponde: “Signore da chi ce ne andremmo noi? Tu hai parole di vita eterna; e noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il SANTO di Dio” (Giovanni 6:67-69).
Che dire della purezza del Signore?
Pietro nella sua prima lettera afferma: “Egli non commise peccato e nella sua bocca non fu trovato inganno” (1 Pietro 2:22).
- Giovanni dice che “in Lui non vi è peccato” (1 Giovanni 3:5).
- Paolo evidenzia che “…non ha conosciuto peccato” (2 Corinzi 5:21).
- L’autore della lettera agli Ebrei dice che “era necessario un sommo sacerdote come quello, santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori, ed elevato al di sopra dei cieli…” (7:26)
La santificazione nel credente
Dalle considerazioni espresse fin qui emerge con chiarezza quale distanza vi sia tra il DIO SANTO e l’uomo peccatore. Una distanza incolmabile per l’uomo. D’altra parte abbiamo contemplato la santità nella persona del Signore Gesù. È soltanto in virtù del sacrificio di Cristo alla croce che l’uomo peccatore può essere santificato di fronte a Dio.
Parliamo in questo caso di santificazione di posizione, cioè dello stato di cui ogni credente può beneficiare, perché fa parte della famiglia di Dio per mezzo della fede nell’opera di Cristo.
“Ed è grazie a lui (Dio), che voi siete in Cristo Gesù, che da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione” (1 Corinzi 1:30).
Parlando del Signore Gesù che in perfetta ubbidienza alla volontà di Dio offre sé stesso “In virtù di questa volontà noi siamo stati santificati, mediante l’offerta del corpo di Gesù Cristo fatta una volta per sempre, infatti con un’unica offerta ha reso perfetti per sempre quelli che sono santificati” Ebrei 10:11-14.
In virtù dell’unione con Cristo, quindi il credente è santificato per sempre di fronte a Dio e possiamo avere libero accesso a Dio.
Una considerazione
Guardando al Vecchio Testamento si avverte in modo netto il senso di inaccessibilità dell’uomo alla presenza di Dio. Ad esempio nel tabernacolo soltanto il sommo sacerdote poteva avere accesso al Luogo Santissimo (che identificava la presenza di Dio) una volta all’anno, vestito dei suoi paramenti e portando con sé dei sacrifici. Grazie al sacrificio di Cristo, come ci ricorda la lettera agli Ebrei (10:19) abbiamo “libertà di entrare nel luogo santissimo per mezzo del sangue di Gesù”, ma nello stesso libro (12:28-29) siamo esortati ad offrire “a Dio un cuore un culto gradito, con riverenza e timore! Perché il nostro Dio è anche un fuoco consumante”. Non scambiamo libertà di accesso con informalità e familiarità e mancanza di serietà.
La santificazione pratica
Nella vita cristiana ad ogni privilegio corrisponde una responsabilità. Se da un lato il credente è santificato nella sua posizione davanti a Dio per mezzo dell’opera di Cristo, d’altro canto è chiamato a manifestare il carattere di santità in modo pratico, nella propria vita.
Siamo stati santificati, messi a parte in modo che possiamo manifestare la santità in modo progressivo vivendo una vita di separazione dal male e di consacrazione per Dio.
Quando Dio ha liberato il Suo popolo Israele dalla schiavitù in Egitto ha detto loro: “Poiché io sono il SIGNORE, il vostro Dio; santificatevi dunque e siate santi, perché io sono santo. Non contaminate le vostre persone per mezzo di uno qualsiasi di questi animali che strisciano sulla terra. Poiché io sono il SIGNORE che vi ho fatti salire dal paese d’Egitto per essere il vostro Dio. Siate dunque santi, perché io sono santo” (Levitico 11:44-45).
È interessante notare che Pietro nella sua prima epistola riprende lo stesso testo quando esorta i credenti a non conformarsi alle passioni peccaminose del tempo passato: “Come figli ubbidienti, non conformatevi alle passioni del tempo passato quando eravate nell’ignoranza; ma come Colui che vi ha chiamati è santo siate santi in tutta la vostra condotta, poiché sta scritto: Siate santi perché io sono santo” (1 Pietro 1:15-16).
Alcune osservazioni
– Siccome Dio è santo le persone che sono in relazione con lui devono avere un comportamento conforme a santità. Questo era richiesto a Israele nel passato ed è richiesto ai credenti del tempo presente. Implicitamente è l’evidenza che Dio è immutabile nei Suoi attributi.
– La santità di Dio è la motivazione, non la misura per essere santi. Dio non ci chiede di essere santi quanto Lui è santo. Dio ci dice di essere santi, perché Lui è santo.
– L’ubbidienza a Dio e alla Sua Parola è una caratteristica imprescindibile per vivere una vita di santificazione.
– “Come colui che vi ha chiamati è santo” e: “siate santi, perché io sono santo”, implica che noi conosciamo qualcosa della santità di Colui che ci ha chiamato. La vita cristiana deve essere un processo di crescita nella conoscenza di Dio, così come si è rivelato nella Scrittura. Questa conoscenza del Santo deve avere un effetto di trasformazione nelle nostre vite. Sulla terra non potremo mai essere santi come Dio è santo, perché la santità assoluta appartiene solo a Lui. Ma possiamo e dobbiamo crescere nella santità personale, parallelamente alla crescita nella conoscenza di Dio.
– Essere santi in tutta la nostra condotta sottolinea che tutte le aree della nostra vita devono manifestare i caratteri di santità (pensieri, parole e azioni) e che tutto il nostro essere (spirito, anima e corpo) è interessato da questo processo.
Il credente è chiamato a “possedere il proprio corpo in santità e onore”, perché è stato riscattato a prezzo e il suo corpo “è il tempio dello Spirito Santo”. Vogliamo avere un motivo per vivere nella purezza e astenerci dalla fornicazione? Dio è santo. Si può esaminare a questo riguardo 1 Tessalonicesi 4:1-8; 1 Corinzi 6:19-20.
Non ci può essere rapporto tra giustizia e iniquità, comunione tra la luce e le tenebre. Dio vuole camminare con noi, ma occorre una decisione netta di separazione dalle cose che sono in contrasto con la sua santità.
Vogliamo altre motivazioni per vivere in santità?
– Perché il Dio che invochiamo come Padre è anche Colui che “giudica senza favoritismi l’opera di ciascuno” (1 Pietro 1:17). È il nostro Padre tenero ed amoroso, ma è anche il nostro giudice imparziale. Possiamo correre per essere accolti tra le Sue braccia, ma non dobbiamo dimenticarci che esamina dettagliatamente la nostra vita e un giorno giudicherà le motivazioni dei nostri cuori.
– Perché il prezzo che il Signore Gesù ha pagato per riscattarci non è quantificabile (1 Pietro 1:18).
– Perché vivere nel peccato è opposto alle ragioni per cui il Signore Gesù è venuto su questa terra.
La speranza che Dio ha messo nei nostri cuori dovrebbe essere uno stimolo alla Santificazione
Questa santificazione sarà manifestata nella sua pienezza, quando un giorno saremo con il Signore e saremo simili a Lui. Allora avremo dei corpi glorificati, saremo liberati dalla presenza del peccato e il nostro stato corrisponderà alla nostra posizione. Questa prospettiva dovrebbe avere al presente un effetto santificante in noi. In 1 Giovanni 3:2-3 leggiamo: “Carissimi ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quand’egli sarà manifestato saremo simili a Lui, perché lo vedremo come egli è. E chiunque ha questa speranza si purifica come egli è puro”.
Considerazioni conclusive di carattere pratico
Se la santità di Dio diventa una realtà nella nostra vita non saremo più gli stessi.
Partire dalla santità ci fa considerare quale sia la distanza tra l’uomo peccatore e ci fa comprendere meglio il piano di salvezza di Dio per l’uomo e la necessità del sacrificio di Cristo.
Considerare la santità di Dio dovrebbe spingerci all’adorazione per ciò che Egli è nella sua essenza. Le creature angeliche ripetono “Santo, Santo, Santo”.
Entrare in contatto con la santità di Dio espone il nostro peccato e dovrebbe spingerci alla confessione e all’abbandono di tutto ciò che non onora Dio.
Più ci avviciniamo a Dio e riconosciamo la nostra miseria e più il nostro orgoglio dovrebbe essere annullato.
La considerazione di questo attributo dovrebbe motivarci ad un maggiore rispetto per Dio e per il Suo Santo Nome, ad avere la giusta riverenza e un santo timore. Vogliamo ricordare le parole iniziali della preghiera del Padre nostro che sei nei cieli “Sia santificato il tuo nome”.
L’esame della santità di Dio dovrebbe risvegliare la nostra coscienza ad un maggiore esame di noi stessi in tutti i dettagli della nostra vita e a modificare i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre azioni.
Perseguire una vita di santificazione pratica è la base per vivere una reale vita di comunione con Dio.
Se come abbiamo detto Dio è qualcosa di non paragonabile a niente e a nessuno, tutto questo dovrebbe fare stravolgere le nostre priorità e la nostra scala di valori.
Abbiamo evidenziato che la santità è il carattere che distingue Dio da ogni cosa creata, in questo senso è diverso da ogni altra cosa. Potremmo dire che da un punto di vista morale la santità dovrebbe essere il carattere che distingue i credenti dal mondo e ne evidenzia il carattere di stranieri e cittadini del cielo. Essere santi per noi vuol dire essere “distintamente Cristiani”. Dio ci chiama “santi” in Cristo. Vogliamo essere santi? Viviamo quello che già siamo in Cristo. La santità è qualcosa di naturale per chi è un figlio di Dio.