“Contato, contato, pesato, diviso” – (Daniele 5)

di Alfredo Apicella

Quando quel mozzicone di mano si mise a scrivere sulla parete della sala del festino, il re Baldassar, che stava banchettando coi suoi grandi, le sue mogli e le sue concubine, fu colto da sgomento; ebbe pensieri spaventosi, impallidì, gli tremarono le gambe. Cosa significavano le strane parole scritte dalle dita della mano misteriosa? “Mené, Mené, Téchel, U-Parsin”. A chi s’indirizzava il messaggio contenuto in quella breve frase?

Nessun incantatore, Caldeo o astrologo fu capace di leggere lo scritto e scoprirne il significato. Ma a corte c’era anche Daniele, noto per la sua straordinaria intelligenza e per essere capace di dare interpretazioni e risolvere questioni difficili. Ma qui non bastava l’intelligenza; poiché era Dio che aveva fatto scrivere quelle parole, solo un uomo che intrattenesse con Dio un rapporto personale e profondo poteva essere in grado di decifrarle; e Daniele era anche quell’uomo.

Contato, contato, pesato, diviso”. Ecco il significato. Dio aveva fatto il conto del regno di Baldassar e vi aveva posto fine; era stato pesato con la bilancia e trovato mancante! Quella stessa notte fu ucciso.

Nel nostro mondo tutto, o quasi tutto, viene pesato e misurato, dai prodotti alimentari che compriamo giornalmente ai tessuti del nostro abbigliamento, dal carburante che acquistiamo al distributore alle sostanze attive dei medicinali che assumiamo, e così via. Vi sono strumenti di misura di qualsiasi tipo e per qualsiasi uso, e tutti, per evitare contraffazioni e inganni, vanno sottoposti a revisioni periodiche e confrontati coi campioni primari di riferimento degli Istituti di Metrologia.

Nella Bibbia ci sono molti riferimenti ai pesi e alle misure. Dell’oro, dell’argento e del rame destinati alla costruzione del tabernacolo nel deserto sono riportati i pesi precisi. Erano pesati anche i vari aromi che componevano il profumo per l’unzione sacra (Esodo 30:23-25) come pure il fior di farina, l’olio dell’offerta quotidiana (39:38-40) e il vino delle libazioni. Le quantità e i pesi erano dettati da Dio stesso e la bilancia usata nel santuario dava misure assolutamente esatte. Per quanto riguarda il servizio sacro, queste furono scrupolosamente rispettate da Mosè, e guai a lui e a tutto il popolo se non fosse stato così. Come per il tempio edificato da Salomone Dio aveva previsto delle precise dimensioni, così, nella visione del nuovo tempio di Gerusalemme descritto da Ezechiele, tutto è  misurato con assoluta precisione: le mura, i cortili, le porte, le camere, le finestre, i pilastri, gli archi… (Cap. 40 e 41). Dio vuole con questo rassicurare i fedeli d’Israele che ristabilirà senz’altro il Suo santuario in mezzo a loro durante il regno glorioso di Cristo.

Nella vita quotidiana di quei tempi e negli scambi commerciali erano usati costantemente pesi e misure; ma chi controllava se gli “strumenti” erano giusti? Era una questione di coscienza e di timore di Dio. “La bilancia falsa è un abominio per il Signore, ma il peso giusto gli è gradito”, è scritto in Proverbi (11:1), e questo gli Ebrei l’hanno sempre saputo; purtroppo, però, non sempre ne hanno tenuto conto. Nei periodi di crisi spirituale e di indifferenza verso le leggi di Dio, anche i principi di onestà e di giustizia venivano meno. “Efraim è un cananeo che tiene in mano bilance false; egli ama ingannare”, deve dire il profeta (Osea 12:8). “Voi che dite: quando finirà il sabato perché possiamo aprire i granai, diminuire l’efa, aumentare il siclo e usare bilance false per frodare?… Il Signore l’ha giurato per colui che è la gloria di Giacobbe: non dimenticherò mai nessuna delle vostre opere” (Amos 8:5).

Disonestà e frode sono all’ordine del giorno nel nostro mondo, ma se un credente cadesse in questi peccati Dio gliene domanderebbe conto. Anche se chi lavora nel campo del commercio dev’essere particolarmente vigilante, tutti noi, indipendentemente dalla nostra professione, dobbiamo dimostrare con un’integerrima onestà che siamo figli di un Dio giusto e santo.

Ma c’è pure un altro modo di misurare e di pesare. La bilancia, in senso figurato, la possiamo usare nei rapporti col nostro prossimo ed anche per quanto riguarda noi stessi. Quando emettiamo dei giudizi o facciamo delle valutazioni su persone o comportamenti dovremmo usare sempre un giusto metro di misura; il nostro giudizio dovrebbe collimare con quello di Dio: “Con la misura con la quale misurate sarete misurati pure voi”, diceva il Signore. Pesato con la “bilancia del santuario” il male è male, senza sfumature o attenuanti possibili.

Se, per giustificare un nostro comportamento discutibile, cerchiamo di convincerci che non c’è poi tutto quel male che sembra, usiamo una bilancia falsa, un metro di misura errato. Oppure usiamo “due pesi e due misure” quando siamo indulgenti con noi stessi e molto severi con gli altri; o quando, per uno stesso problema, giudichiamo alcuni con intransigenza e tendiamo a discolpare altri, in base a simpatie, legami famigliari, affinità di carattere… La Bibbia è molto esplicita su questo argomento: “Non avrai nella tua borsa due pesi, uno grande e uno piccolo. Non avrai in casa due misure, una grande e una piccola. Terrai pesi esatti e giusti, terrai misure esatte e giuste affinché i tuoi giorni ti siano prolungati sulla terra che il Signore, il tuo Dio, ti dà. Poiché il Signore, il tuo Dio, detesta chiunque fa quelle cose e commette iniquità”  (Deuteronomio 25:14-16).

Anche Dio adopera pesi e misure. Per esempio, misura le prove alle quali i suoi figli vanno incontro e fa in modo che non superino le loro forze (1 Corinzi 10:13), misura la fede che assegna a ciascuno (Romani 12:3), i doni che distribuisce (Efesini 4:7) e il campo di attività nel Suo servizio. Pesa “gli spiriti” e “i cuori” (Proverbi 16:2, 24:12), pesa i comportamenti e le opere: “Il SIGNORE è un Dio che sa tutto e da Lui sono pesate le azioni dell’uomo” (1 Samuele 2:3). Egli legge cosa c’è nei nostri pensieri più segreti, li mette alla prova, li misura, e agisce di conseguenza.

Il patriarca Giobbe lo sapeva; e un giorno, sconvolto dalle disgrazie che gli erano piombate addosso, disse: “Ah, se il mio travaglio si pesasse, se le mie calamità si mettessero tutte insieme sulla bilancia! Sarebbero trovati più pesanti della sabbia del mare!” (Giobbe 6:2). Però commise poi un grave errore quando aggiunse, al culmine dell’esasperazione: “Dio mi pesi con bilancia giusta e riconoscerà la mia integrità” (Giobbe 31:6). Forse aveva l’idea che tanti hanno (e che è anche alla base della religione musulmana) che Dio adoperi, per così dire, una bilancia con due piatti, e che sull’uno metta le opere buone e sull’altro quelle cattive; se le opere buone pesano di più, Dio approva e premia, se no giudica e condanna.

Che grave errore! La realtà è che Dio mette su un piatto gli uomini con tutte le loro opere, e sull’altro la Sua santità a la Sua giustizia, le esigenze delle Sue perfezioni e della Sua deità. Ecco perché tutti sono trovati mancanti, esattamente come il re Baldassar quando fu “pesato”. Tutti sono perduti e meritevoli di condanna. “Gli uomini del volgo non sono che vanità e i nobili non sono che menzogna; messi sulla bilancia vanno su, tutti insieme sono più leggeri della vanità” (Salmo 62:9).

Come può allora Dio apprezzare le opere del credente e dare delle ricompense e dei premi in base alla fedeltà, alla fatica, all’impegno con cui il servizio è stato svolto (1 Corinzi 3:8)? Lo può fare perché il credente è strettamente unito a Cristo, e Dio vede il valore infinito dell’opera Sua, del Suo sangue versato, del Suo amore che è arrivato fino alla morte. Il “peso” della Sua gloriosa Persona e del Suo sacrificio perfetto sono, per chi crede in Lui, la garanzia della piena approvazione di Dio e la sicurezza che vedrà realizzarsi tutte le Sue promesse, per il presente e per l’eternità.

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